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Percorso : HOME > Iconografia > Cicli > Trecento > PaviaCICLo AGOSTINIANo Di Bonino da Campione A PAVIA
Ecco qual è la morte della morte:
sarà inghiottita in modo che non potrà farsi vedere.
Che cosa significa non farsi vedere ?
Non esisterà più né dentro né fuori.
BONINO DA CAMPIONE
1362
Arca di Sant'Agostino in san Pietro in Ciel d'Oro a Pavia
La Storia dell'Arca di sant'Agostino
Regna in Pavia nel 712 Liutprand, figlio di Ansprand, uomo di molto senno, pio e amante della pace, clemente coi rei e generoso nelle elemosine, litterarum quidem ignarus sed philosophus aequandus, ossia pressoché analfabeta ma intelligente e saggio da non temere confronti con i filosofi. E' cattolico, fonda chiese, alza monasteri, rispetta il papa di Roma, di cui - dice - "in tutto il mondo è il capo della Chiesa di Dio e dei sacerdoti." Sarà lui a donargli quel castello di Sutri che gli storici considerano il primo nucleo dello Stato Pontificio. Liutprand ha grandi ambizioni: sogna di diventare rex totius Italiae e non più della sola longobardia, approfittando della crisi iconoclastica che travaglia l'impero bizantino.
E vuol rendere la sua capitale padana degna del nuovo rango. Come Roma, anche Pavia ha una sua basilica di San Pietro, fuori dalle mura, a nord della città, non lontano dal palazzo reale. E' già illustre nella venerazione popolare perchè lì, due secoli prima, è caduto un martire: il filosofo Severino Boezio, decapitato dai sicari di un altro re barbaro, Teodorico il goto. Raccontano i devoti pavesi che il cadavere si era rialzato, aveva preso sotto braccio il proprio capo mozzato e si era inoltrato a lenti passi nella chiesa di san Pietro, sedendo su una panca in paziente attesa con la testa fra le ginocchia, finché non era accorso il parroco a dargli degna sepoltura: e lì riposava, sotto il soffitto dorato come il cielo del Paradiso.
Ma Boezio è santo solo per il popolino, il re vuole una vera, grande reliquia, come il corpo del principe degli Apostoli sulla cui sepoltura è sorta la Basilica di san Pietro a Roma. E' il vescovo di Pavia, che si chiama anch'egli Pietro e forse aspira segretamente all'autocefalia della sua diocesi, cioè dalla autonomia da Roma sull'esempio dell'orgogliosa Ravenna, è lui a dare al sovrano il suggerimento giusto. A Caralis, nell'isola di Sardegna nominalmente bizantina ma di fatto abbandonata a se stessa e alle invasioni arabe, giacciono i resti mortali del più insigne fra i quattro Dottori della Chiesa, sant'Agostino.
Sono stati trasferiti colà dall'africana Ippona poco prima che quella città fosse oltraggiata dai Vandali e ora che l'indifesa Sardegna è oggetto delle incursioni devastatrici degli arabi, quelle sante spoglie dovrebbero essere messe al sicuro. Salpa da Genova un rapido naviglio carico di messi regali ed episcopali, e soprattutto di denari, poiché i cagliaritani riluttano a privarsi della reliquia e tirano sul prezzo. Bisognerà togliere dalle stive monete d'oro a sacchi, sessantamila, prima che la transazione sia conclusa. Re Liutprand in corona e manto sta sulla battigia in devota attesa: quando sbarca l'agognata cassa piega le ginocchia a terra, imitato dalla corte e dai genovesi che si sono assiepati tutti quanti sulla riva destra del mare. Quella che varca l'Appennino diretto a Pavia non è un trasporto, è una processione: vessilliferi, crociferi, inni, scampanio di chiese, pioggia di fiori, fedeli genuflessi. Ma giunta dalle parti di Tortona, com'è tradizione in tutte o quasi le traslazioni di reliquie in quei tempi miracolosi e fabulatori, la Salma s'arresta da sé, nessuno riesce più a smuoverla.
Ci vuole un voto regale perché acconsenta a riprendere il viaggio: la promessa di donare i campi in cui è avvenuto il prodigio in dote alla chiesa che la custodirà. Che è San Pietro in Ciel d'Oro, attorno alla quale si è radunata giubilante tutta Pavia. E' una splendida giornata di ottobre dell'anno 722 o 725. Le ossa del santo vengono solennemente deposte in una cassetta rettangolare d'argento appositamente fabbricata e lavorata da orafi di corte, racchiusa a sua volta in una di piombo e questa in una di legno, e sepolta presso l'altare. Comincia ben presto l'afflusso di pellegrini. E un ventennio dopo la traslazione, la basilica ospita un papa, Zaccaria, che vi celebra la Messa.
Il vescovo Ambrogio di Milano
Passa un altro anno e muore re Liutprand, nel gennaio 744: ha regnato per oltre tre decenni, è stato il migliore sovrano che la Longobardia abbia avuto. Per suo desiderio, dopo averlo deposto provvisoriamente in sant'Adriano, lo tumulano in San Pietro, presso Agostino, sotto il Cielo d'Oro. Le ossa del re, del filosofo e del santo sono affidate alla custodia dei monaci benedettini, poiché accanto alla basilica è sorto un convento, forse per iniziativa del monarca stesso, forse già esistente e solo ingrandito. Trent'anni dopo, il regno dei Longobardi è alla fine. Di loro non rimarrà che un toponimo che si contrarrà in Lombardia e si restringerà anche geograficamente alla sola parte centrale della Padania. Nell'ottobre 773 l'ultimo re, desiderio, scorge da una torre della città un esercito invasore allagare la pianura. Gli annali del Monaco di San Gallo, scritti un secolo dopo, fanno di questa modesta campagna militare un susseguirsi di prodigi. Sopra Pavia, sopra il capo del sovrano condannato da Dio, si addensano nubi nere che offuscano la luce del giorno. Ma sotto quel manto di tenebre balenano i lampi di un fiume di ferro che si riflettono nelle onde del Ticino e del Po e, in mezzo a quei guerrieri innumerevoli, si erge come un gigante una figura con la testa coperta da un elmo di ferro, con una corazza di ferro sul petto e sulla spalle, con le mani coperte di guanti di ferro, con la lancia di ferro nella sinistra, con la destra stesa sull'invincibile spada di ferro.
Questo spettro metallurgico è Carlo re dei Franchi e futuri imperatore d'occidente. Sappiamo dai suoi biografi che il libro preferito della sua maturità e vecchiaia fu La città di Dio di sant'Agostino. Ci piace immaginare che abbia incominciato a farselo leggere lì, all'ombra del chiostro della basilica che serbava le spoglie di Agostino, forse per ingannare le lunghe ore tediose di un lungo assedio. Anzi che abbia cominciato con Le Confessioni, più accattivanti per un giovane conquistatore digiuno di teologia, più atte a rendergli familiare e simpatico il gran santo le cui parole lo accompagneranno per tutta la vita. E allora sarà anche grazie all'infatuazione per le opere di sant'Agostino che Carlo, presa la città nel giugno 774 e spedito lo scoronato Desiderio prigioniero in Francia, vi fondò subito quello Studium che doveva mutarsi poi nell'Università; così almeno vuole la tradizione. Perchè la dimora di un Doctor Ecclesiae non poteva che essere dotta: e Carlo ci manda a elevare il tono culturale un celebre grammatico e retore, Dungal.
Perde sovrani e corte la città conquistata, poiché Carlo Magno e i suoi imperiali stanno di preferenza oltralpe e vi fanno solo rapide apparizioni; ma resta capitale di quello che si comincia a chiamare Regnum Italicum, è piena di funzionari, di messi, di giudici, di milites e di esperti di diritto che discettano e discriminano. Meta di romei, tappa irrinunciabile e prestigiosa per chi scende dall'Europa transalpina sulla via di Roma pontificia, San Pietro in Ciel d'Oro è la gemma ecclesiastica di quella Papia che la parlata del popolo addolcisce in Pavia. Ogni anno vi si celebrano due feste grandiose: quella dell'Apostolo Pietro titolare della basilica il 29 giugno, quella di sant'Agostino il 28 agosto. Alla prima partecipa il Capitolo della cattedrale e praticamente tutto il clero cittadino, che la vigilia della ricorrenza vi si reca in processione a cantare vespro, e torna il giorno dopo a messa grande, dopo la quale è d'uso che l'abate offra agli intervenuti vino e ciliege. La seconda, oltre che occasione di tripudio e divertimento per Pavia e contado, è l'esibizione della potenza terrena del monastero: vi convengono a pagare i tributi in danaro o in natura gli amministratori di tutte le dipendenze e proprietà. Qualcuno è partito parecchi giorni prima, perché i beni di san Pietro sono sparsi per mezza Italia, c'è una filiale omonima, col suo Coelum Aureum, persino a Firenze. Felicem illam ecclesiam, esclamava nel XII secolo Filippo Premostratense, felice perché merita di contenere reliquie siffatte.
La felicità e la prosperità sotto il cielo aureo di San Pietro durano anche quando nel Duecento ai benedettini si sostituiscono i canonici regolari di Santa croce di Mortara e poi i lateranensi e gli agostiniani. Durano e si accrescono anche quando nel Trecento i Visconti già signori di Milano si impadroniscono della Urbs Regia, della Pavia non più capitale ma ancora vibrante di memorie imperiali e ancora aureolata d'una plurisecolare maestà. Erigono un vasto e sfarzoso castello i nuovi dominatori, cingono la città di nuove robuste e più ampie mura, che ora includono San Pietro e il suo monastero. Sono devoti di Agostino, perché anche perché era stato istruito a Milano dal vescovo Ambrogio e da quel grand'uomo che fu Simpliciano. Come il suo remoto predecessore Liutprand, Galeazzo II Visconti che nel 1359 ha preso Pavia, e nutre tra i suoi sogni segreti quello di una corona di Lombardia che solo suo figlio Gian Galeazzo riuscirà a sfiorare ma non a raggiungere, vorrà essere sepolto nell'abside della basilica, dove ormai riposano tanti pavesi insigni. Quel puntino lucente d'oro sulla gran mappa d'Europa cristiana che a quell'epoca si va costellando di guglie gotiche slanciate verso il Paradiso è già entrato col suo nome da fiaba in un'altra impalpabile e chimerica geografia, quella letteraria: Petrarca la visita, Dante la cita. Ma è Boccaccio a farla teatro d'una sua novella tutta cortesia e cavalleria e negromanzia.
C'è il Sultano di Babilonia d'Egitto, quel saladino considerato fiore d'ogni virtù, che s'aggira incognito per la cristianità con una finta carovana di mercanti a spiare i preparativi della crociata organizzata dal Barbarossa. C'è messer Torello da Pavia che andando a divagarsi con cani e falconi s'imbatte in quei mentiti commercianti sulle rive del Ticino e poiché le porte della città sono chiuse li ospita e festeggia con grande onore. Parte il Sultano riconoscente e grato, torna in Egitto: passa in Oriente la crociata con messer Torello, che finisce schiavo ad Alessandria mentre in Pavia giunge notizia della sua morte. La moglie mestamente s'accinge a rimaritarsi. Ma ecco che il Sultano riconosce tra i prigionieri colui che l'aveva ospitato in veste di mercante e chiamato un suo negromante versato nelle arti magiche dell'incantato Oriente gli ordina di sistemare le cose. Il mattino seguente, nell'incerta luce dell'alba, il sagrestano di san Pietro in Ciel d'Oro entra sonnacchioso nella navata con un lume in mano e si impaurisce alla vista di un gran letto a baldacchino che campeggia incongruamente sotto la sacra volta.
Corrono i monaci, corre l'abate, tra le misteriose coltri qualcosa si muove, fuggono via tutti terrorizzati. poi dal giaciglio arcano una voce umana e pavese chiama per nome l'abate e dal letto volante giunto nella notte dalla fatata Alessandria scende Torello. La Chiesa risuona di esclamazioni di meraviglia e di gioia naturalmente il nuovo matrimonio non si farà e il redivivo ha anche le tasche piene di gioielli come si conviene a chi torna per incantesimo dalla reggia del Sultano. Parte ne tocca all'abate che di Torello è zio e ne fa uso per far più bela San Pietro in Ciel d'Oro. A farla più bella, in quella Pavia viscontea che è tutto un cantiere e presso la quale di lì a poco s'aprirà la fabbrica della Certosa per opera di Gian Galeazzo primo duca di Milano, sta pensando un patrizio pavese che è teologo e religioso degli eremitani di sant'Agostino e vescovo di Lodi. Si chiama Bonifacio Bottigella e vuole onorare la basilica e l'Ordine e il santo con ciò di cui il novello fervore culturale e artistico rende d'un tratto evidente la mancanza, finora non sentita o poco considerata: un monumento sepolcrale degno di tanto nome.
APPROFONDIMENTO
Ed ecco lapicidi e marmorini all'opera per anni e anni, ad alzare piano piano la gran montagna di figura e sopra e intorno ad Agostino giacente. Così afferma la tradizione che fissa nel 1362 l'anno di inizio dei lavori. Così nello stato visconteo prima e sforzesco poi, Pavia e san Pietro in Ciel d'Oro con la sua Arca, ormai compiuta ed eretta nella sagrestia, rimarranno una delle meraviglie di quella Lombardia che proprio per le sue ricchezze susciteranno la cupidigia degli invasori. Attorno ad Agostino dormiente l'arca è una esplosione di personaggi, di santi e di segni di grande simbolismo. Lo vegliano e lo custodiscono Giovanni, l'apostolo dell'amore, Simpliciano che lo allevò alla fede dei neoplatonici, Paolo eremita, prototipo dei monaci di cui Agostino si innamorò a Milano e Cassiciaco, l'arcangelo Michele, così caro ai Longobardi e a Liutprando.
Gli fanno corona le Virtù cristiane che tanto amò e predicò: la fede, la carità, la giustizia, la temperanza, la mansuetudine. Solo quando, nel secolo dei lumi, il vecchio mondo comincerà a tramontare e la rivoluzione francese gli darà la spallata decisiva, la basilica verrà travolta nella sua rovina, con la cacciata degli agostiniani, la trasformazione del convento in caserma, la vendita della chiesa, le demolizioni e i crolli, mentre l'Arca viene smontata e ammucchiata in un magazzino. Sembra che San Pietro in Ciel d'Oro debba ormai scomparire e un appaltatore l'acquista per recuperarne il materiale edilizio, pietre e mattoni, ma scopre che non ne trarrebbe vantaggio e il piccone si ferma. Poi vengono le resipiscenze, gli appelli alla cittadinanza, i restauri, la ricostruzione, il ritorno e il rimontaggio dell'Arca sull'altare maggiore, la tumulazione delle ossa di Agostino.
L'epigrafe latina sopra il portale inneggia all'evento: Hosanna ! Ma ciò che vediamo oggi non è che la pallida ombra di quello che fu uno degli edifici più celebrati e illustri della cristianità. E l'Arca, collocata troppo in alto dalla pomposa mentalità settecentesca, è stata snaturata in un incombente e opprimente e inaccessibile monumento, tradendo la sua intenzione originaria di esposizione per immagini della vita e delle opere del Doctor Ecclesiae.