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Percorso : HOME > Iconografia > Cicli > Quattrocento > CarlisleCICLo AGOSTINIANo dI Carlisle
Agostino incontra Ponticiano a Milano
MAESTRO DI CARLISLE
(1484-1507)
Cattedrale di Carlisle
Ponticiano mostra un eremita ad Agostino
La leggenda in inglese antico traduce le parole riportate in latino nella striscia che avvolge Ponticiano: Her ponciane hym tald ye lyffe off sanct Anton / And to Elipius he stonyshed said thus onone. I personaggi sono disposti in mezzo a rocce stilizzate ricoperte di fiori e alberi. Al centro Ponticiano mostra ad Agostino con l'indice destro un eremita con le mani giunte che vive in un luogo aspro. Un eremita del genere fu già dipinto dal beato Angelico in un'opera che si trova a Cherbourg. Agostino interrompe la sua lettura e dice: Quid patimur ? Surgunt indocti et celum rapiunt. Et nos cum doctrinis nostris in infernum demergemur. Il testo inglese identifica l'eremita in sant'Antonio.
14. Un giorno - Nebridio non c'era, non ricordo perché - viene a trovarci, Alipio e me, un certo Ponticiano, nostro concittadino, un africano, che aveva una posizione molto importante a palazzo. Ci mettemmo a sedere per fare un po' di conversazione. E per caso sopra un tavolo da gioco che avevamo davanti notò un codice: lo prese, lo aprì e trovò l'Apostolo Paolo. Con sua grande sorpresa, perché pensava fosse uno dei testi che mi consumavo a spiegare nelle mie lezioni. Allora sorrise e mi guardò negli occhi e si congratulò con me: pieno di meraviglia per essersi improvvisamente reso conto che avevo sempre sott'occhio quello scritto, e solo quello. Era cristiano e battezzato, e spesso si prosternava in chiesa davanti a te, Dio nostro, con fitte e prolungate preghiere. Allora gli dissi che dedicavo a quei testi i miei studi più attenti, e fu così che iniziò la conversazione. Lui si mise a raccontare di Antonio, il monaco egiziano, il cui nome godeva di altissima fama presso i tuoi servi, ma che a noi era fino a quel momento ancora ignoto. Quando se ne rese conto, indugiò su quell'argomento, per istruirci un po' su quel grand'uomo, stupito della nostra stessa ignoranza. E anche noi eravamo stupefatti nell'apprendere le tue meraviglie nella vera fede e nella chiesa cattolica, tanto bene attestate da una tradizione così recente, quasi a noi contemporanea. Tutti eravamo meravigliati: noi, perché erano così grandi, lui, perché ci erano ignote.
- 15. Allora si mise a parlare delle schiere di monaci dalla vita che distilla il tuo profumo e dei loro fecondi deserti di eremiti, di cui non sapevamo nulla. Perfino a Milano, fuori le mura, c'era un monastero pieno di buoni fratelli, mantenuto da Ambrogio, e non lo sapevamo. Continuava a parlare, sempre più infervorato, e noi muti, ad ascoltarlo. Così venne a dire che un giorno si trovava a Treviri con altri tre suoi colleghi, e mentre l'imperatore se ne stava a vedere i circensi, durante lo spettacolo pomeridiano, erano usciti a passeggio nei giardini adiacenti alle mura. E lì mentre casualmente passeggiavano a due a due, uno con lui, gli altri due insieme, le due coppie si persero di vista. Gli altri due continuando a girovagare si imbattono in una capanna dove abitavano dei servi tuoi poveri di spirito, quelli ai quali appartiene il regno dei cieli, e vi trovarono un libro in cui era scritta la vita di Antonio. Uno di loro cominciò a leggerla e ne restò ammirato, anzi se ne innamorò a tal punto che mentre leggeva già meditava di darsi a quella vita e di lasciare la carriera secolare per dedicarsi al tuo servizio. Erano, quei due, funzionari dell'amministrazione. Allora, preso da un improvvisa passione divina e da un'ira contro se stesso che era fatta di sobria vergogna, sbarrò gli occhi sull'amico: "Dimmi, ti prego, dimmi dove vogliamo arrivare con tutte queste nostre fatiche? Che cosa cerchiamo? Qual è la causa che serviamo? Potremmo avere speranza più grande a palazzo, che di essere un giorno amici dell'imperatore? E comunque che cosa c'è che non sia precario e azzardato in questa carriera? E quanti pericoli non bisogna attraversare per arrivare a uno anche più grande? E quando verrà quel giorno? Amico di Dio, invece, se voglio lo divento subito, ecco!"
Parlava, e nel travaglio di far nascere questa vita nuova tornò con gli occhi alle pagine: e leggeva e si trasformava nell'intimo, dove tu lo guardavi, e la sua mente si spogliava del mondo, come poco dopo si vide. Mentre leggeva rotolando con le onde del cuore ebbe un brivido, e vide il meglio e decise. Era già tuo. "Io ho rotto ormai con quella nostra speranza," dice all'amico, "e ho deciso di servire Dio, e a partire da questo momento. Comincio in questo luogo. Se non hai voglia di imitarmi, almeno non mi ostacolare". L'altro rispose che lo seguiva, per condividere una ricompensa e una carriera così grandiose. Erano entrambi tuoi. E già costruivano la torre: al giusto prezzo di abbandonare ogni loro bene per seguire te. A quel punto Ponticiano e l'amico che passeggiava con lui da un'altra parte del giardino, a furia di cercarli capitarono nello stesso luogo e ve li trovarono, e li esortavano a tornare, perché il giorno ormai tramontava. Ma quelli, dopo aver raccontato della decisione che avevano presa per il futuro, e del modo in cui era nata e si era affermata in loro quella volontà, li pregarono di non esser loro di impedimento, se pure non volevano essere della partita. E questi, pur persistendo nella vita di prima, piansero tuttavia sopra se stessi, diceva Ponticiano, e si rallegrarono devotamente con loro e si raccomandarono alle loro preghiere, e trascinando il cuore in terra tornarono a palazzo: mentre quelli rimasero nella capanna, fissando il cuore al cielo. Entrambi erano fidanzati: e quando seppero dell'accaduto, anche le loro promesse spose ti dedicarono la loro verginità.
Agostino, Confessioni 8, 6, 14-15
Jacopo da Varagine, Legenda Aurea