Percorso : HOME > Monachesimo agostiniano > Storia dell'ordine > Eremiti di Toscana > Luijk

VAN LUIJK: PREOCCUPAZIONI E DESIDERI

Affresco che raffigura la sepoltura di santa Cecilia

 

La sepoltura di santa Cecilia

 

 

PREOCCUPAZIONI E DESIDERI

di B. van LUIJK

 

 

 

Durante il penoso processo della unificazione si sentiva la necessità di un segno esteriore, che indicasse l'unità: in primo luogo una divisa uguale per tutti i membri e poi un governo uguale per tutti i gruppi partecipanti. Gli eremiti toscani erano d'origine multiforme: alcuni portavano l'abito benedettino, originale o quello d'Avellana, come per esempio i frati di Morimondo, già dal 1205 sotto la protezione papale con la fondazione-sorella di Ponte Novello (Justis petentium, 25 marzo 1205, 18 ottobre 1217, 1 giugno 1236 e Quanto callidius, 25 settembre 1213, resp. L. 2, 8, 21 e 6).

La maggioranza portava il vestito canonicale, che però ebbe subito delle variazioni locali. Era in uso anche l'abito eremitico. A causa di questa varietà si cercava una soluzione per dimostrare l'unità. Su proposta di una commissione il cardinale protettore Riccardo prescrisse nella lettera Si ad coenam Domini del 1253 un abito per i "professi", ovvero sacerdoti, un altro per i "novizi" e un terzo per i "conversi". Per i "professi" l'abito nero con una cintura di cuoio; per i "novizi" una tunica bianca con scapolare e cappa; per i "conversi" una tunica nera con scapolare o cappuccio.

E tutti avrebbero portato fuori del convento il bastone di questuante con traversa dritta e una mantella nera (Pia desideria, 1 luglio 1253, L. 105). Questa decisione fu soltanto un tentativo, oppure l'abito prescritto non piacque. Infatti due anni dopo venne prescritto (nel decreto del 22 luglio 1255) il seguente vestito: i "professi" dovevano portare inoltre uno scapolare bianco con la cintura sopra di esso; i "novizi" una tunica bianca con scapolare bianco ed una cocolla nera; i "conversi" dovevano usare una tunica e uno scapolare, ambedue di colore nero. Per il resto l'abito rimaneva inalterato (Pia desideria, 22 luglio 1255, L. 148). Tale decisione sembra essere presa in un "capitolo" celebrato verso la festa di Pentecoste del 1255, in cui tenne conto della critica sull'abito prescritto nel 1253. Nel "capitolo" celebrato nel 1253 venne anche elaborato uno statuto per il governo generale secondo le direttive date da due abati cistercensi, cioè quelli di Fallera e di Fossanova, deputati dal papa per servire gli eremiti toscani con la loro esperienza. Unificando le costituzioni papali intorno al governo presentiamo la ricostruzione delle decisioni prese (Cum a Nobis petitur, 15 febbraio 1254; Solet annuere,14, 15 e 17 luglio 1255; Hiis quae pro animarum, 31 luglio 1255 e Pacis vestrae, 13 agosto 1255, resp. L. 111, 135, 140, 144, 152, 154).

In primo luogo venne prescritto un "capitolo" annuale e, per evitare conflitti causati da un generalato a vita, fu stabilito che il priore generale venisse eletto per soli tre anni. Di conseguenza l'agenda di un "capitolo generalissimo", da celebrarsi ogni tre anni, portava l'elezione d'un "priore generale". L'eletto aveva immediatamente tutti i poteri e la piena autorità senza dover aspettare la conferma papale. Questa decisione venne stabilita a condizione che, tra l'elezione e la conferma, il neo-eletto non potesse alienare beni ecclesiastici o quelli dell'Ordine. La conferma di tutto ciò venne data con la reiterata concessione della costituzione papale Religiosam vitam eligentibus, emessa all'inizio del pontificato di Alessandro IV, il 30 luglio 1255. I decreti che descrivono il governo dell'Ordine vennero tutti emessi nel mese di luglio dello stesso anno. L'ultimo, del 31 luglio 1255: Hiis quae pro animarum, offre la quasi completa descrizione del governo di una provincia corrispondente ai progetti presentati nell'importante "capitolo" del 1253 e poi perfezionati. Ogni anno si tiene un "capitolo provinciale", a cui partecipano il "priore" e un "discretus" (deputato) di ciascun convento; al "discreto" spetta la consegna degli atti sigillati, che debbono essere presentati dal "visitatore" ai "definitori provinciali" e contengono la descrizione dell'opera di governo dei "priori locali".

Ciascuna "visitatio" (ossia "circumscriptio", cioè "provincia") ha due "definitori": uno eletto dai superiori per curare i loro interessi, l'altro eletto da e per i conventuali. Nell'ultima istanza spetta a questi "definitori" la correzione dei superiori e dei membri della provincia. Per evitare un giudizio parziale il "priore generale" manda in più due altri "definitori", i quali durante gli ultimi venti giorni precedenti i "capitoli", sia "provinciale" che "generale", esaminano l'operato dei "visitatori" e ne fanno una relazione pure da rimettere alla presidenza del "capitolo". Nel "capitolo" del 1253, accanto all'ordinamento del governo si parlò anche della povertà. Questo fu un argomento contrastato a causa del fatto che molti eremi avevano consuetudini canonicali e pertanto i loro membri potevano avere un peculio personale; altri invece osservavano una povertà più o meno assoluta. Le consuetudini canonicali possono essere ricostruite con l'aiuto di dati fornitici da documenti come quelli della canonica indipendente di Segromigno e di quella di Arcetri, i cui membri sì unirono agli eremiti toscani (Per Segromigno, sopra nota 8. Dopo l'incorporazione il priore Aldobrandino d'Arcetri-Lepore difendeva con successo il suo diritto sul peculio personale e causò poi alcune difficoltà con un processo in cui venne accucusato d'aver venduto e alienato a profitto personale possessi ecclesiastici, AA 12 (1927), pp. 94-108. I primi documenti riguardanti quest'eremo risalgono all'11 aprile 1244 (Sacrosanta Romana Ecclesia), al 5 settembre 1252, di cui il testo è andato perso, e al 12 sett. 1252 (Quoniam ut ait) L. 40, 98 e 99.

Questo esempio e le generali consuetudini canonicali, tramandati nella Regula Canonicorum Gregorii VII (Appendice II) formano la base della nostra descrizione dell'ideale toscano. Un'altra indicazione che gli eremiti toscani in genere non professavano la povertà, è il fatto che essi mai richiesero il privilegio di sovvenzione: Quoniam ut ait, con eccezzione di quello ottenuto dall'eremo di Arcetri. Esiste però un privilegio tale, spesso copiato e ritrovato specialmente in Francia, che giudichiamo una falsificazione di tempo posteriore a ragione del gran numero di giorni privilegiati nonchè di anni di condono che contiene: Quoniam ut ait, 26 aprile 1244, L. 47. Altre indicazioni per costumi secolari offrono la bolla Exhibita Nobis, 2 dic. 1250, L. 85 e ANDREA ARRIGHI, Memorie delli obblighi, op. cit., riguardo l'usanza nella canonica dei SS. Michele e Jacopo di Certaldo, pp. 59-60). Nel "capitolo" del 1253 fu deciso, che nessun membro potesse avere qualche cosa in proprietà senza il permesso esplicito del superiore: tutto quello che un frate ricevesse, doveva cederlo alla comunità sottto la pena di venir espulso dall'Ordine. I frati non potevano avere nemmeno l'usufrutto di qualsiasi bene sotto qualsiasi titolo esso fosse stato loro concesso. Questi decreti particolari sono aggiunti a consuetudini, di cui non ci è stata tramandata la descrizione dettagliata, ma che certamente non differivano molto dalla cosiddetta, e dal secolo XII largamente diffusa, Regola Canonicale di Gregorio VII (Vedere Appendice II, pp. 89-91). Nell'ultimo paragrafo della cosuetudine Hiis quae pro si impose esplicitamente ai padri capitolari di osservare la vita comune e di evitare qualsiasi infrazione ed esenzione al di fuori dei casi di necessità. I "visitatori" dovevano essere intenti agli aspetti religiosi del loro dovere e non lasciarsi corrompere, sotto pena d'essere giudicati inabili a governare per tre anni. I "priori conventuali" dovevano agire conformemente al "consiglio" (ossia alla "pars sanior") delle comunità sotto pena d'essere destituiti dai "visitatori" o "definitori" e di venir dichiarati inabili a ricoprire uffici maggiori ugualmente durante tre anni. In una lettera curiale, emessa dopo quelle citate, venne poi particolarmente difeso il titolo ufficiale del nuovo Ordine: Eremitae Ordinis S. Augustini, contro eventuali falsificazioni ed intenzioni cattive in danno dei conventi incorporati.

La gerarchia nell'Ordine fu allora stabilita nel seguente modo: il "priore provinciale" stava sotto il "priore generale", il quale in decisioni importanti era sottomesso al cardinale protettore. Ogni "priore provinciale" attendeva obbedienza da parte dei "priori locali", aiutati da un "consiglio conventuale" e controllati dai "visitatori", che dovevano rendere conto delle loro esperienze ai "definitori-capitolari". Questi "visitatori e "definitori" riferivano quanto a loro sembrasse necessario e presentavano proposte da realizzare al "capitolo provinciale", che si celebrava all'inizio di ogni anno e poi ogni due o tre anni. Le bolle papali del 1255 hanno largamente promosso l'unione fra i diversi gruppi nel ceto degli Erenniti dell'Ordine di S. Agostino, cioè dei Toscani (Un sommario della loro evoluzione insieme con quella dei Brettinesi e dei Giambonini è stato composto nell'Appendice III. Cfr. anche K. ELM, Die Bulle "Ea quae iudicio" Clemens IV, 30-VIII-1266, Vorgeschichte Ueberlieferung, Text und Bedeutung in Aug. 15 (1965), 54-67, 493-520; 16 (1966), 95-145). Questa iniziativa conosceva nello stesso tempo un movimento parallelo ancora più vasto. Il cardinale Riccardo voleva anche incorporare diversi altri gruppi di eremiti ancora indipendenti come quelli di Montecchio, Montespecchio, Todi, Stretto e Centocelle con le loro fondazioni-sorelle. In più desiderava che anche gli eremiti di san Guglielmo (i Guglielmiti) con i Brettinesi e i Giambonini si unissero in un solo Ordine insieme con i Toscani: in una vasta ed uniforme corporazione degli Eremiti dell'Ordine di S. Agostino. A questo progetto lavoravano probabilmente i suoi vicari: un certo Alberto nella regione di Bologna nel 1249, un Ottonello nella Lombardia e nella Romagna ed i "visitatori" Rainaldo di Polverigi e Benvenuto nell'Italia Centrale nel 1254 (Notizie prese dallo Spoglio B. 54 (Archivio di Stato di Siena) e dagli Acta Eugubina AA 16 (1937), 51.

Notizie dettagliate non possiamo dare, perché a richiesta degli originali degli atti notarili, i direttori degli Archivi Statali hanno dichiarato che soltanto gli spogli sono accessibili e che non si sa con esattezza dove si trovino gli atti notarili, che dopo la secolarizzazione degli archivi religiosi diverse volte sono stati trasportati e forse andati dispersi, ed a ragione che quella sezione degli Archivi non è ancora inventariata né descritta).