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L'antico eremo di Spoleto
LA DIASPORA REGOLARE
di B. van LUIJK
Indicando i membri di una congregazione come Toscani si vuol significare che il loro centro giaceva nella Marca di Tuscia. Per quanto riguardava la vita ecclesiastica, le Chiese di Tuscia influivano almeno sulle isole adiacenti come la Corsica, la Sardegna, l'Elba ed altre di minore valore. Inoltre, le città toscane avevano relazioni e rapporti con la Francia meridionale, con la Provenza, con Arles, con Narbona e con le città della costa orientale di Spagna. Nel territorio senese e nord-toscano sessanta eremi formarono nel 1250 una unità giuridica [1]. L'ordine esistente talora è stato formato da diversi centri e da fondazioni particolari, di cui alcune hanno ricevuto nel corso del tempo il titolo di ordine, sebbene fossero soltanto fondazioni indipendenti.
I centri principali si trovavano nella Garfagnana e in Loppia, nei Monti Pisani e nell'Agro Senese. Di parecchi eremi in queste regioni esistono documenti antentici, che indicano che un numero rilevante di essi amministravano una chiesa rurale, dipendente da una canonica urbana, da un'abbazia o monastero [2]. Nella Garfagnana Brancoli esisteva già nel 782, S. Quirico nel 786; dalla seconda parte del secolo decimo esistevano: Cerbaiola, Chifenti, Montemagno, Sommocolonia e Agnano; dall'inizio del secolo decimoprimo: Pereto e Montevorno. Altri risalgono alla seconda parte del secolo dodicesimo: nei Monti Pisani, Cella di Prete Rustico, S. Giorgio di Spelonca, Moriglione; nella Garfagnana, S. Galgano di Valbona; nell' Agro Senese, Rosia, S. Leonardo e Montespecchio.
La maggior parte di questi eremi o celle, come i Toscani chiamavano le loro fondazioni, era dipendente da laici e di conseguenza aveva delle chiese private: i possessori erano un capitolo, un monastero femminile o una abbazia. Altre fra le chiese passate agli eremiti appartenevano ad una "mensa episcopi" o spettavano direttamente alla Sede Apostolica [3]. Le celle non giacevano in città, ma erano celle rurali: si trovavano in una villa, in una pieve, in un vico o borgo. Poichè erano persone giuridiche, pagavano dal secolo decimo dei fitti: gli amministratori avevano le chiese in enfiteusi. Il fitto era un censo fondiario sugli edifici, sulle raccolte di grano e di legna, sul bestiame e sulla chiesa stessa. Anche si ebbero diritti di sepoltura che causavano tante liti [4]. In genere i rettori, anche quelli che dipendevano da abbazie, erano canonici secolari, perché dall'inizio del secolo XII la cura parrocchiale fu interdetta ai monaci, cosicché gli abati interessarono membri del clero secolare per le chiese rurali loro sottomesse: il monaco-sacerdote restò, almeno in teoria, dentro le mura claustrali [5].
Un buon numero di questi preti secolari cercavano di realizzare la sublimatio e diventarono "regolari" [6]. Questi scelsero una regola spesso quella del monastero da cui dipendevano. Così alcuni vivevano secondo una regola canonicale, altri accettarono le consuetudini di san Pier Damiani o quelle di una comunità benedettina. Nonostante i decreti papali, non tutti i monaci ritornavano alla vita strettamente claustrale, però continuarono la vita attiva, unita a quella monacale. Questo è provato dalla frequenza dei decreti papali in cui ai monaci veniva ordinato di ritornare nella clausura. Però casi singoli non sono individuabili con certezza, perché il titolo di monaco aveva una larga interpretazione. Un esempio costituiscono i membri degli eremi dedicati a S. Galgano in Cataste, in Fonticelle (o Fontanella, probabilmente vicina a Perugia), e in Trassilico. L'eremo di Cataste risale al 1203 ed entrò con le case-figlie nella congregazione toscana. Il superiore maggiore di questo nucleo fu probabilmente in quel momento un certo Andrea, il quale diede al fonolatore di Cataste, Stefano, il titolo di prior maior [7]. Secondo l'uso del tempo ogni "cella" doveva procurarsi la continuazione e la sopravivenza per proprio conto e curare la formazione dei novizi. Come una famiglia di una tale canonica rurale (spesso anche chiamata monastero, rettorato o priorato) fosse composta, lo descrivono gli atti notarili finora conservati e consultati. La pieve di Segromigno nella diocesi di Lucca aveva, nel 1203, un rettore, a cui erano sottomessi due sacerdoti, un diacono, un suddiacono e due accoliti: quindi una comunità di sette membri [8].
Le stesse notizie ci offrono anche gli atti notarili degli eremi Toscani [9]: Cella di Prete Rustico ebbe nel 1216 un rettore, due sacerdoti e quattro frati; nel 1248: un priore, tre preti e nove frati. L'eremo S. Galgano, diretto nel 1243 dal priore frate Guido, ebbe un prete, un suddiacono e otto frati. Nella cella di S. Giorgio di Spelonca abitavano nel 1204 quattro frati, che si chiamavano "preti-eremiti". Montevorno ebbe nel 1245 un priore e due sacerdoti ed alcuni frati. Rupecava o Lupecavo era abitato nel 1223 da sei frati. Nel territorio senese i dati non sono tanto abbondanti, ma i documenti di Rosia, di S. Leonardo e di S. Matteo di Lepore presso Firenze indicano la stessa situazione. Senza dubbio le celle nominate sono le principali e le più grandi. Esistono però anche altre con cinque o meno membri, le quali all'inizio avevano avuto soltanto uno o due frati, che non sempre erano sacerdoti, ma professavano semplicemente una vita clericale. Tutti questi frati si chiamavano eremiti e spesso nel senso di un membri di una casa eremitica con cura di anime fra il popolo del vicinato. Degli eremi alcuni dipendevano da un istituto ecclesiastico: Rosia, ad esempio, dalla abbazia benedettina di S. Bartolomeo di Sestinga; S. Matteo di Lepore o Arcetri spettava alla cannonica di S. Stefano al Ponte di Firenze; Cella di Prete Rustico pagava il fitto alle Mantellate di S. Maria di Pontetetto; S. Galgano di Valbona nella Carfagnana chiese nel 1204 la sottomissione di S. Giorgio di Spelonca, e Montevorno dipendeva da Moriglione. Dagli atti notarili appare che tutti gli altri eremi nella Garfagnana e nei Monti Pisani dipendevano dalle chiese canonicali di Lucca: da S. Martino, S. Michele, S. Salvatore in Muro o S. Frediano; tali eremi erano fondazioni canonicali i cui membri desideravano vivere regolarmente. Canonici dei sudetti eremi si chiamarono presto frati, e diventarono sempre più indipendenti dal capitolo cattedrale e dal vescovo a causa della loro interpretazione dell' ideale dei "Pauperes Christi". Si unirono e formarono diverse leghe ossia congregazioni come, fra altre quella "delle Tredici", nelle diocesi di Lucca e di Pisa [10].
Note
(1) - Per i luoghi, vedere sotto nelle note 33-35 e le carte geografiche nel testo, composte secondo le notizie e i dati forniti da F. Roth, o. c., Aug. 3 (1953), pp.284-301; M. BATTISTINI, Il codice 3642 della Biblioteca Reale di Bruxelles, BSA 1 (1927), pp. 23-26; M. BARSOTTI, La coronazione della miracolosissima Immagine di S. Maria Vergine detta del Sasso nella chiesa di S. Agostino di Lucca, Lucca 1693, pp. 109-142. Questi dati abbiamo confrontati e corretti secondo gli spogli degli atti notarili di diversi eremi, conservati negli Archivi di Stato: Lucca, Spoglio di S. Agostino 1100-1300; Firenze: Spoglio 50, 58, 63, 66 e 68; Siena: Spoglio B. 54, B. 70 e Patrimonio Resti 3541; Bologna: il fondo Conventi soppressi, S. Giacomo e le Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Studi e Testi vol. 58, 98; Toscana; 60 Emilia; 120, Lazio. Non abbiamo ritrovato ogni luogo con certezza: i dubbi, rimasti abbiamo notati con il segno interrogativo nelle cartine geografiche.
(2) - Notizie dettagliate e molti esempi derivano da L. NANNI, La parrocchia. Abbiamo notati con il segno interrogativo nelle cartine geografiche, pp. 42 e 48
(3) - L. NANNI, op. cit., pp. 27-48.
(4) - L. NANNI, op. cit., pp. 8-9, 95-105.
(5) - Riguardo a questo si trovano anche molte notizie in L. NANNI, op. cit., pp. 109-110, 116-120. Questo autore completa le notizie date da U. Berlière (vedere l'ultima nota del capitolo precedente) partendo da un altro punito di vista.
(6) - Vedere sopra pp. 9-14.
(7) - R. ARBESMANN, The Three earliest Vitae af St. Calganus nel volume "Didascalie. Studies in honor of Anselm M. Albareda", a cura di S. PRETE, 1961 (nell'estratto pp. 33-37); AA 23 (1953), p. 134 e F. SCHNEIDER, Der Einsiedler Calgan von Chiusdino und die Anfränge von S. Galgano, "Quellen und Forschungen", 17 (1914-1924) pp. 61-77.
(8) - Per Segromigno, L. NANNI, op. cit., p. 113. Altri dati forniscono P. GUERRINI, Canoniche e priorati agostiniani nel territorio Bresciano, BSA 8 (1932), pp. 67-69. I membri avevano un salario: il pievano (cioè parroco) di Segromigno 9 lire; i preti ciascuno 2 lire e mezza con gli stipendi; il diacono 2 lire ed il suddiacono 35 soldi (una lira e quindici soldi).
(9) - Vedere appendice VII: Notizie rignardautti i principali eremi e i membri della Congregazione lucchese, pp 98-99.
(10) - Le celle di questa Congregazione sottolineate nella cartina p. 48.