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Teologia dell'Ordine: SCRITTORI POLITICI AGOSTINIANI DEL SECOLO XIV

Agostino si imbarca per Roma, da un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Firenze

 

Agostino si imbarca per Roma, da un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Firenze

 

 

SCRITTORI POLITICI AGOSTINIANI DEL SECOLO XIV

di Ugo Mariani

 

ed. Libreria Editrice Fiorentina, 1927

 

 

 

LE TEORIE POLITICHE NELL'INIZIO DEL SECOLO XIV

 

I sistemi politici dell'età di mezzo sono da un quarto di secolo l'oggetto delle ricerche e delle discussioni appassionate di numerosi cultori delle scienze storiche e filosofiche. Furono dapprima studiati i principi giuridici che formarono il sustrato di queste dottrine, si passò poi all'esame della loro realizzazione nel campo economico ed amministrativo, infine s'investigò profondamente il problema delle relazioni fra chiesa e stato. In questi ultimi anni alcuni scrittori rivolsero la loro attenzione all'origine e allo sviluppo del potere papale, tratteggiandone in ampie sintesi d'insieme, le diverse fasi di formazione e di affermazione, e lumeggiando l'intima connessione della politica con la teologia e filosofia di allora.

Il movimento dottrinale prodottosi in Francia e in Italia intorno a Filippo il Bello e Bonifacio VIII, è stato particolarmente messo in luce. Ma l'indole di questo lavoro non mi permette di tentare un largo sunto delle diverse tappe percorse dal pensiero teologico nel Medio Evo prima di sboccare nelle grandi affermazioni teocratiche d'Innocenzo III e dei suoi successori. Mi limito a tracciare un breve quadro sintentico delle posizioni dottrinali delle scuole filosofico-politiche che fiorirono durante il regno di Filippo il Bello, rimandando i lettori che desiderassero più ampie notizie sull'argomento ad un lavoro recente di Iean Rivière [1]. Il periodo che va dalla fine del secolo XI al principio del secolo XIV, segna il tempo dello splendore maggiore del potere teocratico nel Medio Evo. Forti della missione universale e dell'origine divina della Chiesa, i Sommi Pontefici, nel corso dei secoli, avevano conquistato la direttiva della vita sociale e politica dei popoli cristiani.

Dopo quasi trecento anni dalla morte di Gregorio Magno, Niccolò I gettava le basi della potenza teocratica e in seguito Gregorio VII la consolidava ed accresceva, ed Innocenzo III la portava all'apice della grandezza. Già prima che tramontasse la gloria di Roma, gli ordinamenti della Chiesa si erano venuti modellando su quelli dell'Impero: poi, durante e dopo gli stanziamenti germanici nei paesi latini, il vescovo romano a poco a poco occupava il posto dell'imperatore e a lui si rivolgevano nei bisogni e nei pericoli le popolazioni italiane. A mano a mano intorno al Pontefice si forma una corte, come già intorno all'imperatore i ministri del Papa hanno i titoli e le funzioni dei ministri della corte di Bisanzio: lo stesso formulario regola gli editti delle due cancellerie, la pontificia e l'imperiale: alcune disposizioni del Digesto: "Quod Principi placet, legis habet vigorem", "Princeps legibus solutus est", che una volta si applicavano ai reggitori dell'Impero, si riferiscono ora ai vescovi di Roma: la Chiesa è l'erede dell'impero, il sommo pontefice il successore dell'imperatore. Poi si fa un passo più innanzi, la chiesa diventa superiore all'impero. Essendo l'uomo composto di anima e di corpo, l'umanità ha bisogno di due guide, una temporale, l'altra spirituale: dell'imperatore e del papa. Ma l'anima è superiore al corpo, lo spirito alla materia, quindi, data la tendenza del Medio Evo all'unità, i due poteri non possono rimanere lungo tempo uguali, ma diventerà superiore quello spirituale che tanto avanzerà il temporale quanto l'anima sarà più eccellente del corpo [2]. Dapprima il pontefice si contenta di consacrare e incoronare gl'imperatori, poi esige da essi il giuramento di fedeltà come vassalli al loro signore. "Numquid ego, dirà Bonifazio VIII ai messi di Alberto Tedesco, numquid ego summus sum Pontifex? Nonne ista est cathedra Petri? Nonne possum jura Imperii tutari? Ego sum Caesar, ego sum Imperator" [3].

E il fiero pontefice aveva al fianco la spada e in capo il diadema imperiale. Sorgono intanto i grandi ordini monastici che riformano i costumi corrotti della società: la cavalleria, all'apogeo della gloria, si schiera a difesa del Re, della donna, dell'altare: i crociati ristabiliscono i vincoli di commercio e di cultura con l'Oriente: a Parigi, a Bologna, ad Oxford, nelle principali città di Europa si fondano le Università da cui si bandiscono le nuove conquiste del pensiero. Irnerio e tutta una legione di giuristi compiono una delle più grandi rivoluzioni storiche, abrogando gli statuti barbari longobardi, franchi, alemanni e riformando il diritto secondo i testi dell'antica giurisprudenza. La fede religiosa dei popoli innalza le meravigliose cattedrali gotiche, l'amore di libertà crea il Comune. E' tutta una nuova civiltà che sboccia dopo i secoli ferrei della barbarie, a cui i pontefici di Roma danno un grande impulso. Sotto Innocenzo III la potenza politica dei papi è portata ai supremi fastigi. Poi essa decade, le grandi istituzioni civili e religiose dell'età di mezzo tralignano: alla teoria e al trionfo di un grande potere universale teocratico che dia alle singole nazioni un'impronta comune di civiltà, subentra il concetto e la fondazione dello Stato moderno, basato su due elementi di una collettività più ampia della polis antica e più salda dello stato medioevale.

Con Bonifacio VIII crolla irrimediabilmente il superbo edificio politico che tanti papi con mirabile tenacia di propositi e di opere avevano innalzato, sebbene questo pontefice nelle Decretali composte nel 1298, nelle varie Bolle emanate durante il suo pontificato e specialmente in quella che s'inizia con le parole "Unam sanctam" fosse il più spinto assertore della dottrina teocratica medioevale. Al sistema politico curialista, difeso con tanta energia e passionalità dai tre monaci agostiniani Egidio Romano, Giacomo da Viterbo, Agostino Trionfo, si opponevano due distinte correnti d'idee: l'imperialismo degli scrittori ghibellini con a capo Dante, e la scuola francese di Filippo il Bello. Quest'ultima combatte tanto il papato quanto l'impero, perchè vuole rivendicare l'indipendenza della Francia da ambedue queste ormai vecchie istituzioni. Giovanni da Parigi è il più autorevole rappresentante di questa scuola, e Pierre du Bois il gazzettiere più popolare. Gli scritti di questo strano e sbrigliato pubblicista sono per noi un indice eloquente dello stato d'animo dei francesi negli albori del secolo XIV. Nella prima parte della "Summaria brevis et compendiosa doctrina felicis ezpeditionis et abbreviationis guerrarum ac litium regni francorum" [4].

Pierre du Bois afferma che il mondo è d'accordo nel desiderio di sottoporsi al dominio della Francia [5]. Questa aspirazione del mondo intiero si potrebbe effettuare se il Re di Sicilia si facesse interprete presso il pontefice della volontà dei sovrani francesi di essere nominati senatori di Roma e signori del patrimonio di S. Pietro con il diritto all'omaggio e all'obbedienza di tutti gli altri monarchi. I pontefici, ai quali verrebbe assegnata una rendita corrispondente all'entrate che essi percepiscono dai loro stati, sarebbero in tal modo liberi dalle cure mondane, dalle guerre e dalle necessità di lanciare continuamente scomuniche per fini politici e un'infinità di anime che vanno ora all'inferno perché colpite dalle censure ecclesiastiche, sarebbero invece salve [6].

Padrone degli stati pontifici, il re francese lo diventerà ancora della Lombardia, ricca provincia, soltanto di nome dipendente dai sovrani di Germania, i quali, non potendo sottometterla, dovrebbero cederne i diritti alla Francia. L'impero d'Oriente si potrebbe ottenere facilitando il matrimonio tra uno dei principi reali francesi e l'ereditiera del trono di Costantinopoli [7], ed anche la conquista della Spagna, dell'Ungheria, della Germania, non sarebbe soverchiamente difficile purché si seguissero i suggerimenti dello scrittore. Nella seconda parte dell'opera, dopo una carica a fondo contro l'ordinamento dei tribunali ecclesiastici e l'estensione della loro giurisdizione, Pierre du Bois dedica alcune pagine alle armi spirituali che la Chiesa possiede. Egli non sembra preoccuparsi troppo della scomunica. Se la politica del Re dovesse arrestarsi dinanzi alle minacce delle censure ecclesiastiche, il potere civile dipenderebbe, in questa terra, da un altro potere a lui superiore e ne seguirebbero inconvenienti gravissimi [8]. E non si ferma qui, ma discute e critica la disciplina ecclesiastica e molte leggi stabilite dalla Chiesa. Non abbiamo noi le prescrizioni dell'antico e del uovo Testamento? Perché moltiplicare gli obblighi e i divieti quando né gli apostoli, nè gli evangelisti li hanno autorizzati con il loro esempio? Egli si preoccupa anche dell'altra vita. Quante anime donate a Satana con queste leggi sempre trasgredite! [9]. Più moderato e scientifico è il linguaggio di Giovanni da Parigi.

Il celebre domenicano in perfetto accordo con gli imperialisti e con Dante, sostiene che la potestà civile non deriva dal Papa, nè assolutamente (cioè, come dirà poi Agostino Trionfo, in quanto all'institutio e all'auctoritas), nè riguardo all'esecuzione [10], ma deriva immediatamente da Dio che elegge la persona da investirsi della regia dignità. Il fine della Chiesa essendo spirituale è certamente superiore al fine delle potestà terrene, ma non ne consegue che al Sommo Pontefice sia stato affidato il governo temporale dei laici e dei loro beni, perché diversa è la natura dei due poteri. E non in tutte le cose, dice Giovanni da Parigi, la potestà secolare è inferiore a quella spirituale, ma nel temporale è maggiore, e nella sfera del suo dominio, gode di una piena indipendenza [11]. La tesi della scuola francese concorda qui mirabilmente con la dottrina imperialistica di Dante che nella Monarchia volle decisamente sostenere la sovranità assoluta della Chiesa nel campo spirituale e quella dell'Impero nel campo secolare, insieme alla coordinazione di ambedue i poteri, ciascuno nella propria sfera di azione. Concorda anche con gli altri scrittori ghibellini. Cino da Pistoia lasciò scritto che "a Deo procedit imperium et sacerdotium: ergo temporaliter sub Imperio omnes populi, omnes reges sunt, sicut sub Papa sunt spiritualiter" [12].

La dottrina di Dante e di Cino da Pistoia fu propugnata da Enghelbert, Abate d'Admont, nel suo libro "De ortu et fine romani imperii" [13], scritto probabilmente nel 1310; da Landolfo o Rodolfo Colonna nell'opuscolo "De translatione imperii" [14], di cui si giovò, per il fondo storico, senza però accettarne l'idea della necessità dell'impero, Marsilio da Padova nel trattato pubblicato con lo stesso titolo nel 1325 o 1326, durante le lotte fra Ludovico il Bavaro e Giovanni XXII: dall'anonimo autore della "Quaestio an Romanus Pontifex potuerit treguam indicere Principi Romanorum". L'accordo fra le due scuole viene spezzato quando Giovanni da Parigi combatte, per salvaguardare l'indipendenza della corona francese, la monarchia universale.

Egli asserisce che non soltanto non è necessario l'impero, ma "è meglio che più gruppi di uomini formino più regni" [15], perchè quanto il regno è più esteso, tanto è più difficile mantenervi la pace. In ogni modo, sia o no necessaria la monarchia universale, la Francia può, contro di essa, far valere il diritto di prescrizione, perchè le popolazioni galliche resistettero sempre ai Romani e Costantino non comprese la Gallia nell'atto di donazione. Questo concetto di prescrizione, nuovo nella letteratura politica di quell'epoca, e quello dell'indipendenza della Francia di fronte all'Impero, viene messo in luce da tutti i trattatisti di Filippo il Bello: da Raoul de Presle nella "Quaestio in utramque partem pro et contra pontificiam potestatem", all'anonimo della "Quaestio de Potestate Papae" e all'autore della "Disputatio super potestate praelatis Ecclesiae atque principibus terrarun commissa".

Pierre du Bois fa un passo più innanzi, come abbiamo veduto, e sposta la sede dell'impero dalla Germania alla Francia. Il 12 ottobre 1303, divorato da febbre ardente, dopo aver solennemente recitato la sua professione di fede, Bonifazio VIII passava a miglior vita. Il dramma di Anagni aveva fiaccato il suo corpo e il suo spirito e segnato la fine della potenza politica dei papi. Gli animi di quell'epoca tanto agitata, dovettero intuire che con l'epilogo della lotta fra il pontefice e il Re di Francia, qualche cosa del loro mondo crollava, ma non potevano d'un subito calcolare la portata degli avvenimenti che si erano svolti sotto i loro attoniti occhi. Poche e timide voci di protesta si levarono a condannare il sacrilego attentato. Ma una voce, quella del Poeta divino, si levò dal suo esilio a bollare l'infamia dei nemici del Papa:

Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso, /

E nel Vicario suo Cristo esser catto, /

Veggiolo un'altra volta esser deriso, /

Veggio rinnovellar l'aceto e il fele, /

E tra vivi ladroni essere anciso [16].

Per un momento il grande Alighieri, deposte le ire contro Bonifazio, s'inchinava riverente alla sua sventura.

 

 

Note

 

(1) - Le Probléme de l'Église et de l'État au temps de Philippe le Bel, Paris, Champion 1926.

(2) - E' la teoria d'Innocenzo III. Cfr. Registrum super negotia R. Imperii, 18 (Migne, P. L., CCXVI, 1012-1013).

(3) - FRANC PAPINI, Cronicon, in MURATORI, Rer. ital. script. t. XI, col. 745.

(4) - L'opera contenuta nel manoscritto 6222 C. della biblioteca nazionale di Parigi è anonima ma M. de Vailly l'attribuì con prove inconfutabili a Pierre du Bois e assegnò il 1300 come data di composizione del Trattato. (VAILLY, Mèmoire de l'Instit. de France, Acad, des Inscript. 1589, XVIII pagg. 435-492).

(5) - E. RENAN, Études sur la politique religieuse du regne de Philippe le Bel, Paris 1899, pag. 291.

(6) - Ibid., pagg. 292-294.

(7) - Ibid., pag. 295.

(8) - lbid., pag. 303.

(9) - Ibid., pag. 304

(10) - GIOVANNI DA PARIGI, De Patestate regia et papali, in GOLDAST, Monarchia, II, pag. 120 e sgg. Cfr. FRANCO SCADUTO, Stato e Chiesa negli scritti politici dalla fine della lotta per le investiture sino alla morte di Ludovico il Bavaro. Firenze, Le Monnier 1882, pag. 85.

(11) - SCADUTO, op. cit., pag. 86.

(12) - Cfr. SEBASTIANO CAMPI, Memorie della Vita di messer Cino da Pistoia. Pisa, I, pag. 138.

(13) - E' in GOLDAST, Politica Imperialis. Francofurti 1614, pag. 754 e sgg.

(14) - GOLDAST, Monarchia, II, pag. 88 sgg.

(15) - SCADUTO, Op. cit., pag. 94.

(16) - Purg. XX, 86-90.