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PITTORI: Johann Sigmund Müller

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JOHANN SIGMUND MULLER

1705-1707

Třeboň, monastero agostiniano, chiostro

 

Il tolle lege nel giardino di Milano

 

 

 

Seguendo l'impostazione dei cicli pittorici narrativi che descrivono la vita e i miracoli di Agostino, la cui popolarità è cresciuta nel periodo anti-Riforma, il ciclo di Třeboň inizia con la scena della conversione del santo. La scena segue direttamente il testo delle Confessioni di Agostino, dove nel libro dell'ottavo al capitolo XII descrive, mentre si trovava nel giardino di Milano sotto un fico, il triste stato d'animo della sua mente. In questo momento sente una voce che lo chiama: “Tolle, lege! Tolle, lege! ”. Agostino, ricordando sant'Antonio, che andò al tempio nel momento in cui veniva letto il Vangelo e applicò a se stesso le parole giuste che sentiva, accolse la chiamata come un segno di Dio. Quindi aprì il libro delle Scritture, che portava con sé e lesse: “Non in banchetti e ubriachezza, non in fornicazione e spudoratezza, non in conflitti e invidie, ma indossa il Signore Gesù e non prenderti cura del corpo in modo che sorga la lussuria." La prima rappresentazione nota della conversione di Agostino si trova su una vetrata chiamata a Erfurt intorno al 1300. Da allora, tuttavia, l'iconografia della scena si è modificata e Agostino viene fatto giacere sotto un fico, ispirato alle incisioni del Cristo sul Monte degli Ulivi nei cicli della passione di Albrecht Dürer, oppure compaiono gli angeli a esortare Agostino a leggere. La composizione che ci viene presentata dall'autore del ciclo di Třeboň è in relazione alle incisioni di Bolswert, rispetto al quale tuttavia è più semplificata. Il pittore si concentra sul primo piano e presente un Agostino vestito in modo signorile con una barba corta. Alza la mano destra verso i putti, che compaiono nei raggi della luce divina sul bordo sinistro dell'immagine. Uno di essi punta con la mano destra verso le altezze celesti e con la mano sinistra verso Agostino, quindi indica nella direzione delle parole "Tolle, lege! Tolle, lege!”. La mano sinistra di Agostino è posata sulle pagine delle Scritture e sulle singole pagine sono scritti i numeri che indicano la datazione del dipinto al 1706. La somiglianza con l'incisione di Bolswert può essere notata nella posa in cui è raffigurato Agostino e nelle figure dei piccoli putti trasportati su nuvole. La scena descritta occupa solo un terzo della superficie pittorica, dato che l'autore utilizza lo spazio rimanente per illustrare un pittoresco paesaggio, dove possiamo vedere una piccola città situata sulla baia del mare dove navigano pescherecci, alte montagne e nuvole enormi. Il paesaggio dà l'impressione di uno stile molto italiano.

 

Nelle opere scritte subito dopo la conversione, Agostino non fa il minimo accenno alla famosa scena dell'orto o del tolle lege che ricorda nelle Confessioni. Si può osservare, come sostenne Pincherle, che la descrizione che fa Agostino del suo stato d'animo è, da una parte, tutta dominata dalla preoccupazione, polemica contro i manichei, di dimostrare l'esistenza e il valore del libero arbitrio, la possibilità di una scelta fra bene e male e che, d'altra parte, essa è redatta sotto l'influsso di quei passi paolini che parlano del contrasto fra lo spirito e la carne.

E si potrebbe ancora suggerire, insistendo sull'importanza di questo fatto, che l'episodio dimostra come Agostino abbia conosciuto l'epistolario di san Paolo proprio all'inizio della sua conversione.

Tuttavia questa scena, vera senza dubbio in molti, probabilmente in tutti, i suoi particolari, è stata redatta con la preoccupazione di dimostrare appunto il contrario di ciò che taluno ha creduto di scorgervi: di mettere in luce cioè l'impotenza dell'uomo a operare da solo la propria salvezza e la necessità dell'intervento, subito efficace della grazia divina, intervento che non ha nulla di miracoloso.

Possiamo anche ammettere che il testo paolino, di contenuto così caratteristicamente etico, e inserito in una esortazione morale ed escatologica, fosse per l'appunto quello che Agostino lesse effettivamente, ricavandone la forza di tradurre in atto i progetti che da qualche tempo maturavano nella sua mente.

 

E, come racconta nelle Confessioni, recatosi in giardino, si mise sotto una pianta a piangere amaramente, e diceva: - Quanto tempo ancora? Quanto ancora? Domani, domani ! ancora un po' di tempo. Ed era desolato di non sapersi decidere o a restare nel mondo o a consacrarsi a Dio.

JACOPO DA VARAGINE, Legenda Aurea

 

Così parlavo e piangevo nell'amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte: «Prendi e leggi, prendi e leggi». Mutai d'aspetto all'istante e cominciai a riflettere con la massima cura se fosse una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo affatto di averla udita da nessuna parte ... Tornai al luogo dove stava seduto Alipio e dove avevo lasciato il libro dell'Apostolo all'atto di alzarmi.

Lo afferrai, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva: « Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non assecondate la carne nelle sue concupiscenze ... » Non volli leggere oltre né mi occorreva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono.

AGOSTINO, Confessioni 8, 12, 29