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Iconografia AGOSTINIANa nella chiesa di san Marco a Milano

Agostino fra il sangue di Cristo e il latte della Vergine, dipinto nella chiesa agostiniana di san Marco a Milano

Agostino fra il sangue di Cristo e il latte della Vergine

 

 

GUGLIELMO CACCIA detto il MONCALVO

1617-1619

Chiesa di San Marco a Milano

 

Agostino fra il sangue di Cristo e il latte della Vergine

 

 

 

Inginocchiato su uno sfondo paesaggistico, il santo indossa i paramenti episcopali con piviale bordato a immagini di santi entro nicchie; a sinistra giacciono a terra mitra e pastorale. L'apparizione in gloria d'angeli del Padre emana lo Spirito che schiude al santo due visioni descritte da un cartiglio: a sinistra il Crocefisso (HINC PASCOR A VULNERE), a destra la madonna col Bambino (HINC LACTOR AB UBERE).

L'opera risale al periodo milanese (1617-1619) di Guglielmo Caccia detto il Moncalvo. La scena compendia il tema trinitario della lactatio claravalliana con quello della contemplatio crucis della controriforma. Lo stile e l'impaginazione del dipinto ricordano altre sue opere a Villanova d'Asti e Acqui.

 

L'episodio è relativo a una leggenda che nasce probabilmente in Italia. Diversi pittori si sono ispirati a essa che trae spunto da passi delle sue meditazioni: il santo è presentato innanzi al Cristo crocefisso ed alla Vergine, mentre, pregando, si domanda: "Hinc a vulnere pascor", e, volgendosi verso Maria, soggiunge: "Hinc lactor ab Ubere", concludendo: "Positus in medio quod me vertere nescio, Dicam ergo Jesu Maria miserere". Sembra che l'episodio prenda spunto da un passo della S. Aurelii Augustini Hipponensis episcopi et S. R. E. doctoris vita di Cornelius Lancelotz (1574-1622) O.S.A. edito ad Anversa nel 1616.

Lancillottus scrive, riportando parole apocrife di Agostino: "Positus in medio quo me vertam nescio. Hinc pascor a vulnere, hinc lactor ab ubere." La medesima scritta fu riportata da Francesco Francia e poi da Kartarius, un incisore nativo di Viterbo, che lavorò a Roma fra il 1560 e il 1570, nella sua stampa della Vita di Agostino edita nel 1570.

 

 

Guglielmo Caccia (Montabone, 9 maggio 1568 - Moncalvo, 1625)

Guglielmo Caccia è soprannominato Moncalvo perche trascorse la giovinezza nel comune di Moncalvo. Fu allievo del Sabatini ed è forse l'esponente più importante dell'arte della Controriforma in Piemonte: è l'artista devoto per eccellenza, umile e modesto glorificatone di Dio, ma grande in quanto sa esprimere sentimenti universali. Viene considerato come il più importante esponente dell'arte della Controriforma in Piemonte, tanto da essere definito il Raffaello del Monferrato. E' possibile che Guglielmo abbia esordito come frescante come collaboratore o associato di Pier Francesco, con cui lavora nel 1593 alla pala di Larizzate e che in un documento del 1596 lo chiama "mio compagno" in ogni caso, è probabile che sia attraverso di loro che il Caccia recupera la tradizione gaudenziana, anche se non bisogna dimenticare che Gaudenzio era stato attivo a Casale, dove a quel tempo si conservavano numerose sue opere.

È stato anche notato che in queste opere Caccia dimostra di ben conoscere l'estremo approdo del manierismo lombardo, studiato evidentemente dal vivo a Milano, soprattutto il linguaggio di Antonio Campi, così come appare evidente l'antico ma sempre valido modello delle architetture di Bramante (percepibile nella nitida struttura archittettonica della Presentazione al tempio). È altresì vero che sulla complessa cultura del Caccia, in questi anni giovanili in rapida evoluzione, agiscono profondamente le suggestioni della Controriforma, non solo quelle letterarie di Carlo e Federico Borromeo, e dei trattati-precetti del tardo Cinquecento, ma anche quelle irradiate da centri del territorio piemontese-lombardo: non si dimentichi che vicino alla sua città natale vi è l'importante nodo religioso costituito dal santuario di Boscomarengo, promosso da papa Pio V Ghislieri, a suo tempo decorato con opere di Giorgio Vasari e della sua scuola (e dove il Moncalvo esegue due dipinti importanti); ed anche che il pittore ha occasione di collaborare con uno dei più notevoli esponenti dell'arte del cattolicesimo controriformato italiano, Federico Zuccari, negli affreschi della Grande Galleria di Palazzo Reale a Torino (commissionata da Carlo Emanuele I di Savoia e terminata nel 1607), oggi scomparsa.

Non v'è dubbio, però, che il Caccia doveva considerare con sospetto questi grandi artisti, coltissimi depositari delle verità divine più elevate: la religiosità del Caccia, forse meglio aderente all'esempio proposto da San Carlo Borromeo, è vicina agli umili, al pio e devoto popolino di campagna, alla piccola nobiltà rurale, che viveva con piccoli possedimenti e piccole rendite, in piccoli paesi e coltivava piccoli e semplici sogni. Tra il 1605-1607 dipinse la galleria di Palazzo Reale di Torino voluta da Carlo Emanuele I, insieme al pittore Federico Zuccari, opera andata distrutta in seguito ad un incendio. In questa circostanza acquisì il titolo nobiliare di barone. La sua opera migliore è la Deposizione dalla Croce nella chiesa di San Gaudenzio a Novara. Inoltre ha dipinto la cupola di San Paolo sempre a Novara, la chiesa dei Conventuali a Moncalvo, l'Annuncio ai pastori (1614) per l'Arciconfraternita di San Michele a Casale Monferrato, San Paolo con Sant Andrea per la chiesa di Sant'Antonio Abate. Operò anche a Guarene, Vercelli, Crea, Torino, Novara, Milano. Il Moncavo collaborò con Gaudenzio Ferrari.

A Carabbia nella chiesa parrocchiale di San Siro si conserva una sua tela raffigurante la Madonna col Bambino tra i Santi Giacomo Maggiore e Francesco d'Assisi. Il Caccia creò una scuola pittorica le cui opere si possono ammirare nei dintorni di Montabone, nelle chiese di Monastero Bormida, a Nizza Monferrato e a Acqui Terme. Tra i suoi allievi più famosi vi furono la figlia Orsola Caccia e Daniele Crespi.

Seguendo la linea della ricerca del "decoro" predicata dal Gilio e poi dagli alfieri della Controriforma, il Moncalvo si allinea alle tendenze della contemporanea pittura italiana, sia padana che dell'Italia centrale, che diviene squisitamente "religiosa" in quanto intende "commuovere" il fedele, spiegandogli con semplicità e forza persuasiva i misteri delle Sacre Scritture: operazioni affini sono svolte negli ultimi decenni del Cinquecento da pittori quali Ludovico Carracci (che certamente il Caccia ben conosceva) e Bartolomeo Cesi a Bologna, Girolamo Muziano e Federico Zuccari (con cui il Caccia lavora negli anni 1605-7) a Roma, e nella Milano borromaica, tra gli altri, da Simone Peterzano, Ambrogio Figino e - più tardi - da Daniele Crespi, con cui Moncalvo ha occasione di collaborare. Il linguaggio che adotta Moncalvo è comunque colto e raffinato, sopportato da una tecnica eccellente, di cui già i contemporanei coglievano le preziosità, anche se essenzialmente finalizzato alla divulgazione delle idee propugnate dal Concilio di Trento.