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Il chiostro del convento agostiniano di Viterbo
GLI STUDI NELL'ORDINE AGOSTINIANO DAL MEDIOEVO AD OGGI
di David Gutiérrez
da Analecta Augustiniana Vol. XXXIII (1970) pp. 75-149
Gli studi nelle Costituzioni del 1551
Nel capitolo generale del 1543 Seriprando propose la revisione delle Costituzioni del 1290 e, d'accordo con i membri del capitolo, designò la commissione che doveva adattare quelle antiche leggi alle necessità della nuova era; però, chiamato poco dopo a prendere parte al concilio di Trento, non poté realizzare questo punto del suo programma fino al biennio 1549-51. Non è possibile determinare con certezza la parte che ebbe nella redazione delle Costituzioni che portano il suo nome; però ci sono motivi solidi per supporre che ne fu l'autore principale e che, in particolare, il capitolo 87, dedicato agli studi ecclesiastici, sia opera sua. (Vedi AA. IX, 152). E' ovvio che fosse il più competente tra i suoi confratelli , che risaltò anche negli studi tra i padri del concilio Tridentino. Le proposte che presentò nelle congregazioni conciliari degli anni 1546-1548 sulla fondazione dei seminari, sullo studio necessario per dedicarsi alla cura delle anime, sulla riforma della predicazione che secondo lui, deve essere "contio ad salutem ex sacris Litteris" e sul modo di coltivare gli studi biblici, dice Jedin che contengono un programma di preparazione sacerdotale che in fondo è simile a quello che ha proposto la chiesa nell'era contemporanea, nonostante in quel periodo sembrasse un ideale inaccessibile (JEDIN, o.c., I, 445; Conc. Trid. XIII, 82-85; G. PELLICCIA, La preparazione ed ammissione dei chierici ai santi ordini nella Roma del secolo XVI, Roma 1946, 194 e 476).
Si dice che le Costituzioni del 1551 differiscano poco da quelle del 1290 e che siano rimaste in vigore per poco tempo, essendo state sostituite dalla nuova edizione del 1581; però, per quel che riguarda gli studi, si deve dire il contrario; cioè, che le Costituzioni preparate da Seriprando rappresentano una delle tre date più degne di ricordo con quelle del 1290 e del 1348. Per convincersi di questo basta confrontare il capitolo 37 con il 36 delle Costituzioni del 1290, e si vedrà chiaramente che il secondo fu molto ritoccato; e per quel che riguarda il tempo in cui rimase in vigore la riforma scolastica di Seriprando, si deve dire che non fu solamente derogata dalle Costituzioni del 1581, ma che fu inclusa quasi alla lettera nelle stesse, così come nelle Costituzioni del 1686, rimanendo pertanto in vigore (con poche aggiunte e ancor meno omissioni) fino all'anno 1885. La riforma di Seriprando eliminò definitivamente dalla nostra legislazione i termini ambigui di "studium generale provinciae", "studio solemne" e studio generale di una sola nazione, decretando che c'erano nell'Ordine solo due tipi di "studi": generali e provinciali, secondo il grado del superiore al quale fossero direttamente sottoposti; determinò chiaramente i diritti e i doveri scolastici del reggente, dei baccellieri, dei lettori e del "magister studentium" o decano degli allievi; aggiunse al corpo dei professori, in conformità a quello che aveva ordinato il concilio Tridentino nella sua quinta sessione, un "magister biblicus" (Conciliorum oecumenicorum decreta, ed. HERDER 1962, 643. Sulla parte che ebbe Seripando nella preparazione di questo decreto vedi JEDIN, o.c., I, 341 ss. Nel 1587 insiste in un altro punto del sacro ministero il generale Gregorio Petrocchini: "Confessarii, quorum cura inter primarias hisce in terris adnumerai debet, ad confessiones audiendas non admittantur nisi scientia et conscientia insigniti, tresque saltem summas et praesertim Armillan penes se habere inveniantur". Dd 43, 33. La summa preferita è opera del domenicano Bartolomé Fumo. HURTER, II, 1561), il quale, oltre alla sua lezione quotidiana di esegesi, anche svolgesse le domeniche e i giorni festivi: "super aliqua sanctarum Scripturarum difficultate, non per modum contentiosae disputationis - quae longe abesse a scientia salutis debet - sed per modum familiaris et pii colloquii circulum tenere, et post duas aut tres diffultates discussas, catholicam iuxta sanctos doctores determinare veritatem".
Questa riforma rafforzò in modo particolare il diritto esclusivo del priore generale nella concessione dei gradi accademici, anteponendo a tutte le promozioni la nuova e significativa clausola: "si priori generali videbitur", ed elevò il livello culturale mediante l'applicazione rigorosa della legge nei corsi e negli esami. Il religioso che si presentava come candidato al corso accademico in uno "studium generale", doveva avere una lettera di raccomandazione del proprio superiore maggiore, "sigillo provinciae signata" e firmata dai definitori; questo documento certificava al superiore dello "studium" che il candidato era una persona di vita esemplare, che era già sacerdote e che era sufficientemente preparato in materie umanistiche; però doveva dare prova di questa ultima capacità leggendo e spiegando "verbis latinis congruis coram priore loci et toto studio" un testo di Cicerone, scelto dagli esaminatori. Se superava la prova, entrava nello studio come allievo di filosofia, frequentava due anni il corso di logica e durante altri tre quello di filosofia naturale e metafisica, per presentarsi dopo questi cinque anni a un esame che durava tre giorni, nei quali doveva dimostrare la sua competenza in queste discipline. Il reggente dello "studium", d'accordo con gli altri professori, informava tramite una lettera il priore generale "de sufficientia et moribus" dell'allievo, e il superiore dell'Ordine poteva promuoverlo al corso teologico e dichiararlo "cursor". Dopo tre anni di studio della nuova disciplina, il candidato poteva aspirare al titolo di lettore, se superava un esame di sei giorni, con due di preparazione, dopo avere ricevuto dal reggente il questionario al quale doveva rispondere: il primo giorno spiegava davanti a professori e allievi una lezione di metafisica; il secondo una di teologia, inerente al primo o al secondo libro delle Sentenze, e il terzo, su uno dei due libri della stessa opera di Pietro Lombardo; nei tre giorni seguenti doveva rispondere alle difficoltà "non minus quam decem" che gli presentavano in ordine il reggente e tutti gli altri, "usque ad ultimum cursorem". Il reggente e i suoi colleghi informavano un'altra volta per iscritto il Generale, che poteva, se l'esito era positivo, promuovere il candidato al grado di lettore (il primo, in ordine ascendente, tra i titoli accademici). Il lettore che insegnava successivamente (nello stesso centro) "cum profectu discipulorum", poteva essere dichiarato baccelliere, senza un nuovo esame, "cum priori generali videbitur"; però non prima di tre anni. Se continuava con soddisfazione dei superiori e allievi nell'insegnamento, e il Generale aveva facoltà pontificia per promuovere candidati al magistero, poteva premiare con questo massimo grado il baccelliere che lo meritasse, "alioqui licentietur ad suscipiendum gradum in probata alique doctorum theologorum facultate, quae in litteris licentiae nominetur".
Il nostro Ordine, dice la riforma scolastica di Seriprando, non riconosce titoli conseguiti in altro modo. In più i religiosi che li avessero ottenuti legalmente li perdono tutti, se vivono qualche tempo fuori dall'Ordine senza permesso dei superiori, e neanche il Generale può restituirli, ma soltanto il capitolo legislativo e con il consenso di tutto il definitorio, "nemine discrepante". Tutti gli esami menzionati dovevano svolgersi tra le festività mariane del 15 agosto e dell'8 settembre; due giorni dopo "in festo sancti Nicolai de Tolentino" cominciava il corso, che continuava fino al 28 giugno, con una lunga interruzione nel tempo di quaresima, dalla domenica di settuagesima alla seconda domenica dopo Pasqua, perché molti professori andavano a predicare in città lontane. Però l'attività scolastica non cessava del tutto nei mesi di luglio e agosto, poiché continuavano le dispute o dissertazioni, che dovevano tenersi "hieme in theologia, aestate in philosophia post prandium, in logica post coenam". Le Costituzioni del 1551 ordinavano per ultima cosa che tutti i professori insegnassero "tam in artibus quam in theologia" secondo la dottrina di Egidio Romano; nelle questioni che lui non aveva spiegato in forma scritta, dovevano seguire in teologia "doctorem nostrum Thomam de Argentina", mentre si spiegherebbe in "arti" la summa di Paolo Veneto. Potevano anche difendersi, "disputationis gratia", le opinioni di Gregorio da Rimini, Gerardo da Siena, Michele da Massa, Alfonso Vargas di Toledo, Agostino Favaroni da Roma e di altri teologi agostiniani, "quorum scripta in communibus servantur bibliothecis". Le Costituzioni del 1581 (edizione necessaria dopo la riforma tridentina e adattamento ordinato dalla Chiesa a tutte le antiche famiglie religiose. Per quello che si riferisce alla nostra, AA., IX, 363; EMPOLI, 311) furono preparate dal generale Taddeo da Perugia, discepolo prediletto di Seriprando, che già nel 1547 lo aveva nominato reggente degli studi in Sant'Agostino di Roma (D. PERINI, Bibliografia Aug., II, 129; AA., XXI, 173-76).
Le Costituzioni del discepolo differiscono notevolmente da quelle del maestro per due ragioni: una, perché il discepolo ebbe da includere la legislazione promulgata a Trento, soprattutto alla fine del 1563, e l'altra, perché volle cambiare la sua struttura, adottando per la prima volta (come nelle Costituzioni della Compagnia di Gesù) la divisione in parti, che hanno conservato tutte le edizioni successive; però per quello che si riferisce agli studi, Guidelli ripetè quasi letteralmente, come già è stato detto, quello che aveva disposto Seriprando 30 anni prima (Solo omise che i candidati a uno "studium generale" fossero già sacerdoti: però anche lui esigeva che si osservasse la legge: nel 1575 scriveva nel suo registro: "Increpavimus regentem Ariminensem, quod litteras testimoniales de profectu studiorum ad nos miserit plenas mendis et erroribus". Dd 36, f. 55). L'unica differenza importante è quella di avere proposto come maestro dei nostri studi (con Egidio Romano) San Tommaso d'Aquino in sostituzione di Tommaso di Strasburgo; però questo cambio, conforme alla tradizione teologica dell'Ordine, con il decreto del capitolo generale del 1539 e con quello che aveva disposto Seriprando nello studio generale di Valencia (Si vedano le note 96 e 99 di questo studio), fu dovuto all'autorità che diede all'Angelico San Pio V, nel collocarlo nel 1567 insieme ai grandi Padri della Chiesa, cosi come nella bolla di riforma che nel 1570 indirizzò quel Pontefice al nostro Ordine, ordinando che i professori preparassero le loro lezioni "ex sancto Thoma Aquinate vel Aegidio Romano vel alio catholico et approbato doctore" (EMPOLI, 313, norma che lo stesso Papa estese ad altri ordini. Ib. 135, bolla di Gregorio XIII che limita il numero di maestri in Italia, "cum extra Italiam... magistros seu doctores nisi magna cum cautela et parvo numero non admiserint". La provincia di Spagna ottenne da Sisto V di non potere avere in questa più di sei persone con il grado di maestro; lo stesso chiesero nel 1600 a Clemente VIII le province di Andalusia, Messico, Michoacan, Perù, Equador e il Nuovo Regno di Granada.
I religiosi che possedevano i requisiti per il magistero si chiamavano in queste province (e in quelle di Aragona e Portogallo) prima "laureati", poi "presentati" e per ultimo maestri "supernumerari", che entravano in ordine nel numero previsto, quando moriva o rinunciava uno di questi. EMPOLI, 74-76). Oltre ai legislatori, contribuirono al rinnovamento degli studi alcuni degli agostiniani già detti e altri che risaltarono nell'insegnamento universitario o come scrittori, influendo in entrambi i casi fuori del proprio Ordine. Il primo professore di sacra Scrittura nella Università di Alcalà (culla della prima "Bibbia poliglotta") fu Dionisio Vàzquez di Toledo († 1539), scelto per occupare quel posto per la sua preparazione filologica e per la sua conoscenza dell'esegesi dei santi Padri, come assicura il suo ascoltatore Alvar Gomez de Castro (Al fondarsi nel 1532 di questa cattedra, dice Alvar Gomez, si cercò un uomo degno di questa: "Oportebat autem linguarum peritiam esse praeditum, in sacris auctoribus evolvendis bene versatum et maturo iudicio instructum... Tandem, post longam consulationem, Dionysius Vasquius ... accitus est, qui tunc in sacris concionibus apud Hispanos principatum tenebat". De rebus gestis a Francisco Ximenio Cisnerio, Compluti 1569, 223v.) Alla fondazione dell'Università del Messico nel 1553, si affidò la cattedra di Bibbia a fra Alonso de Veracruz (†1584), che aveva oltre alla conoscenza del greco e dell'ebraico una buona formazione teologica, e che fu, nella nascente cristianità messicana, "luce e fiaccola di tutti gli ordini mendicanti" (M. CUEVAS, Historia de la Iglesia en Mexico, II, El Paso 1928, 173. Edizione delle opere inedite di Veracruz ed. da R. Burrus, Roma, Institutum historicum Societ. Iesu, 1968. Non possiamo ricordare qui i nostri vari agostiniani, che contribuirono al progresso degli studi nel Nuovo Mondo: vedi J.A. SALAZAR, Los estudios en el Nuevo reino de Granada, Madrid 1946; F. ZUBILLAGA - A. DE EGAÑA, Historia de la Iglesia en la America española, 2 v. Madrid, ed. BAC, 1965-1966). Fu ugualmente rinnovatore, nello stesso campo degli studi biblici, l'insegnamento di fra Luis de Leon (†1591) nell'Università di Salamanca, ma benchè non ottenesse la cattedra di Bibbia fino al 1579, aveva già dato prova delle sue preferenze scientifiche fin dall'inizio dei suoi studi: con la traduzione del Cantico dei Cantici nel 1561, e con la relazione De sacra Scriptura nel corso 1567-1568. "Oltre questo, (dichiara lui stesso nel suo primo processo) tutta la scuola è testimone che nel giorno di San Luca (18 Ottobre, giorno in cui incominciava il corso universitario) dell'anno 71 dissi pubblicamente nella cattedra, nella prima lezione di quell'anno...che per l'intera comprensione della Scrittura era necessario sapere tutto, e principalmente tre cose: la teologia scolastica, quello che scrissero i santi, le lingue greca ed ebraica... E mai trattai ne' in pubblico ne' in segreto della profondità del sapere che Dio racchiuse nei libri della santa Scrittura, ma questo non significava che chiedessi che chi provava di capirla dovesse sapere tutte le scienze, le storie e le arti meccaniche, tanto più la teologia scolastica, che è la vera introduzione per essa" (Collecciòn de docum. inéd. para la historia de España, X, 361; Augustinianum, I (1961) 533-550). Fra Luis non solo studiò le discipline necessarie per spiegare la Bibbia ai suoi allievi, ma anche per scrivere libri "che risveglino le anime o le conducano alla virtù", e per esporre fatti "che o come nati dalle Sacre Scritture o come collegati e conformi a loro, sostituiscano questi, quanto è possibile, con il comune atteggiamento degli uomini" (Dei nomi di Cristo, dedic.: Obras completas, ed. BAC, Madrid 1951, 389).
Con lo stesso fine avevano studiato la Bibbia, nella prima parte di quel secolo, Dionisio Vàzquez e San Tommaso da Villanova, che figurano fra i tre o quattro migliori restauratori della predicazione cristiana nella Spagna del secolo d'oro ("Vazquez produsse nella nostra letteratura religiosa del secolo XVI, e particolarmente in quella del pulpito, una rivoluzione simile a quella che produsse un secolo prima S. Vincenzo Ferrer". GONZALES OLMEDO (spra nota 94), p. XIX. Riferimenti a san Tommaso da Villanova, Lexikon f. Theol. und Kirche, X, 150), come lo furono in Italia Egidio da Viterbo e Seriprando, e in parte in Germania Giovanni Hoffmeister. Influì per ultimo nel progresso degli studi Onofrio Panvinio (†1568) che, con la sua corrispondenza e con le sue numerose opere, diede straordinario impulso allo sviluppo dell'archeologia cristiana e della storia della Chiesa (HURTER, III, 91-94; JEDIN, nel Lexikon f. Theol und Kirche, VIII, 31). Non è solo legislazione scolastica, ma frutto di essa (cioè prova di sana dottrina e di giudizio sicuro) quello che fecero il suddetto fra Luis e suo nipote Basilio Ponce de Leon (†1629) in favore dei due massimi dottori della teologia mistica nell'età moderna. Chiamato con altri teologi a censurare i libri di Santa Teresa di Gesù, fra Luis si oppose ai suoi colleghi, che giudicavano pericolosa la pubblicazione di questi scritti, affermando tutto il contrario: "che sono di una sana e cattolica dottrina e, a mio parere, di grandissima utilità per tutti quelli che li leggessero...e anzi, per il l'onor di Dio e per il beneficio comune, conviene che questi libri si stampino e si pubblichino" (Testo e bibliografia nel Dizionario di Spiritualità, IV, 1002 s.). Incaricato dal Consiglio reale di Castiglia di prepararne l'edizione, fra Luis poté divulgare nel 1588, preceduta da una lettera e seguita nel 1589 da una apologia, "che contengono le frasi più belle che mai si siano pronunciate in difesa e a lode delle opere di Santa Teresa" (SILVERIO DE SANTA TERESA, Historia del Carmen descalzo, IX, Burgos 1940, 8°. Delle parole di santa Teresa dice fra Luis che "colpiscono l'anima come fuoco del cielo, in modo da alzare una fiamma in qualunque luogo passino". Obras completas, ed. cit. 1315).
Non fu meno decisivo l'intervento di Basilio Ponce contro gli avversari della mistica di San Giovanni della Croce, che nel 1619 avevano presentato all'Inquisizione spagnola quaranta proposte della Notte oscura, che, secondo questi antimistici, dovevano essere condannate perché erronee e pericolose; l'agostiniano dimostra nella sua estesa ed erudita Risposta che le suddette proposte non contengono alcun errore o pericolo, anzi aiutano la dottrina dei migliori teologi e maestri di vita spirituale di tutti i tempi; più ancora: la dottrina di San Giovanni della Croce, conferma Ponce de Leon, significa un notevole progresso, perché, "nonostante altri autori abbiano trattato della abnegazione esteriore, però nessuno della interiore come questo santo e con documenti più certi. E per evitare l'inganno in rivelazioni (cosa che fa capire a diversi spirituali e maestri di spirito) nessun libro è stato scritto fino a oggi che possa confrontarsi con questo... ed essendo questi due punti tanto necessari in materia di spirito, trattandoli questo autore con tanta impegno, che in questa materia è il primo uomo di Spagna, non so come si possa dubitare dell'utilità di questi libri" (Sanctus Augustinus vitae spiritualis magister, II, Roma 1959, 209). E si noti che questo giudizio è dell'anno 1622.