Percorso : HOME > Monachesimo agostiniano > Storia dell'ordine > Studi Generali > Gutierrez

Gutierrez: Studi Generali nell'Ordine agostiniano

Stampa che riproduce lo Studio parigino agostiniano lungo le rive della Senna

 

Stampa seicentesca dello Studio parigino agostiniano lungo le rive della Senna

 

 

GLI STUDI NELL'ORDINE AGOSTINIANO DAL MEDIOEVO AD OGGI

 

di David Gutiérrez

da Analecta Augustiniana Vol. XXXIII (1970) pp. 75-149

 

 

Abusi e rimedi contro la decadenza

Le disposizioni di Tommaso da Strasburgo e dei suoi successori non poterono impedire la decadenza degli studi nelle Province dell'Ordine durante i due secoli che mancavano alla riforma tridentina, perché le cause del male erano molteplici, e alcune generali e molto profonde. Tralasciando quelle di carattere generale, che sono quelle che gli storici attribuiscono alla rilassatezza dei costumi in tutte le classi sociali, ricorderemo una causa transitoria e altre comuni a tutte le epoche, che però furono straordinariamente dannose all'attività scientifica in questo periodo. La causa transitoria fu la peste o "morte nera", che decimò quasi tutti i paesi d'Europa dal 1348 fino al 1352 (Ricordano quella peste tutti i manuali di storia; si dice, con poco fondamento, che fra gli agostiniani quel morbo "fece strage di più che cinquemila". A. DE ROMANIS, L'Ordine agostiniano, Firenze 1935, 73). Nonostante siano poco degne di fede le statistiche che indicano le vittime di questa peste, in particolare quella di 5000 agostiniani che si dice morissero in quel periodo, è innegabile che la mortalità spopolò molti dei nostri conventi; è anche certo che per riempire questo vuoto, si accettarono candidati alla vita religiosa senza le qualità necessarie e che furono affievolite le regole della disciplina scolastica. Il capitolo generale celebrato a Basilea nel 1351 concesse che i novizi "recipi possint ad ordinem pro futuro triennio per priorem localem... etiam non habita sui provincialis licentia"; e per quello che si riferisce agli studi, lo stesso capitolo dispose "quod ad studia generalia ubi non possunt haberi studentes, possint pro isto triennio mitti studentes illius provinciae, qui etiam alias non fuerint in studiis aliis" (AA. IV, 277).

Come si può vedere queste dispense alla legge erano solo per un triennio; però furono rinnovate nel capitolo di Perugia del 1354, il quale aggiunse al riguardo "quod reverendi magistri non possint deinceps tenere scriptores infra loca ordinis", e che il reggente dello studio di Parigi "non praesumat venire ad capitulum generale", come poteva fare prima (Ibid., 307-309. Capit. Gener. 1308: "Quum ibi salus ubi multa consilia, consilia vero sunt a sapientibus perquirenda, sapientia autem in magistris sacrae paginae maxime vigere dignoscitur: definimus... quod in electione prioris nostri generalis, in qua prae ceteris factis ordinis consultius est agendum, omnes parisienses magistri...de cetero vocem obtineant ac etiam ad definitiones generalis capituli una cum aliis definitoribus admittantur...Hanc autem definitionem et ordinationem volumus scribi in corpore constitutionum nostri, ordinis, ut pro constitutione perpetua habeatur et teneatur". Ibid. III, 81). Non mancano infine nelle stesse fonti le rimostranze dei priori generali a causa della scarsità di personale capace di proseguire l'insegnamento nei principali studi; è sufficiente come esempio la risposta di Gregorio da Rimini al superiore della vasta provincia di Spagna, che con la raccomandazione di Alfonso Vargas di Toledo (già vescovo d'Osma) gli aveva chiesto aiuto nel 1358: "De lectoribus autem italicis mittendis ad provinciam praelibatam, sumus adeo male fulciti, quod vix tales, ut petitis studiis vancantibus in Italia invenire possumus" (Ibid. V, 155; però gli mandò presto un lettore, di nome Francesco da Amelia, per insegnare nel convento di Toledo. Ibid. 156).

I danni che portò la peste agli studi diedero origine a nuovi motivi di decadenza e causarono la ripetizione di alcuni abusi del passato. Continuava certamente a rimanere in vigore l'esame di ammissione dei lettori (in logica, filosofia e teologia) della durata di una settimana; che però erano tenuti, abitualmente dai reggenti degli studi più vicini, che molte volte non si mostravano sufficientemente severi; si eluse frequentemente la legge dei quattro anni d'insegnamento, perché i lettori potessero scegliere per il baccellierato e i baccellieri per il magistero; si moltiplicarono le esenzioni dei laureati, soprattutto dei maestri, che formarono, in alcune Province, una classe privilegiata all'interno della famiglia conventuale, e come conseguenza dei mali anteriori, aumentò il numero degli ambiziosi che, con il favore di prelati amici o di persone importanti, si procuravano il titolo di maestri per avere le loro immunità, senza preoccuparsi della scienza né della vita esemplare e di studio, in virtù delle quali erano stati concessi i privilegi. E' certo che non mancarono in questo lungo periodo di decadenza uomini di studio che meritavano quelle dispense per la loro condotta religiosa e per il loro impegno nel lavoro; con i registri dei priori generali e con altre fonti sicure si può fare una lunga lista di nomi benemeriti tra gli anni 1360 e 1520; però è chiaro che abbondarono più che mai i lettori e i baccellieri "honoris", così come i "magistri bulati" o fatti "per saltum", senza avere applicato le regole, come si legge negli atti dei capitoli di quel tempo. Quello che si celebrò a Rimini nel 1394 confermò un decreto approvato "in diversis generalibus capitulis contra magistratos de gratia domini nostri Papae" (Ibid. 127; la citazione che diamo dopo, ibid. 220. Non si trattava naturalmente di bolle pontificie, ma di documenti presi dagli officiali della curia, "inscio Pontifice", come indicano altre volte i superiori che lottarono contro questo abuso. Ibid. VII, 170,427); ma l'abuso continuò, perché nel capitolo del 1400 si ripete "quod procurantes magisterium de bulla sint ipso facto excommunicati et quod nec possint absolvi atiam per patrem generalem". E' possibile che la severità della pena sia rimasta in vigore per un breve periodo, perché la modificò il capitolo celebrato a Pamiers nel 1465. Nel 1482 il capitolo di Perugia aggiunse un'altra sanzione: "Item praesenti definitione volumus et daclaramus, omnes et singulos magistros nostri ordinis factos per saltum aut sine licentia ordinis, privatos esse gratiis et privilegiis... et conventualitate sui conventus, si obedire contempserint" (Ibid. VII, 276).

Questo abuso, dannoso evidentemente per l'osservanza e la vita di studio, fu combattuto alla fine del secolo XV dai generali Anselmo da Montefalco e Mariano da Genezzano, e ancora agli inizi del secolo XVI da Egidio da Viterbo e Seriprando; però non fu mai né sarà mai sradicato, perché nacque con l'uomo decaduto e rinacque con vigore quando decadde l'osservanza. Il periodo dei corsi di studio ecclesiastici continuò ad avere la durata di nove anni per i religiosi che aspiravano solamente al sacerdozio, non meno di quindici per quelli che ottenevano (senza dispense o sotterfugi) i gradi accademici. I priori generali ricordavano ai sacerdoti l'obbligo di ripassare frequentemente i testi di morale pratica (Capitolo gener. del 1486: "Item definimus et ordinamus quod quilibet audiens confessiones habeat ad minus librum qui dicitur Defecerunt scrutantes etc., vel librum alium ad materiam confessionum pertinentem". Ibid VII, 345. Il generale Anselmo da Montefalco raccomandava nel 1491 lo stesso libro di sant'Antonino da Firenze, "et in eo studeant continue ut sciant solvere et ligare". Arch. dell'Ordine, Dd 8, 246); i priori delle case di studio dovevano fare osservare la legge, che stabiliva che tutti i religiosi frequentassero le lezioni di teologia, e i reggenti dovevano dirigere le dispute quasi quotidianamente su temi filosofici o teologici che facevano parte del corso. Sembra per questo che il livello medio di cultura nei nostri conventi, almeno nelle Province osservanti, non fosse in questo periodo molto inferiore a quello del primo secolo di fioritura che comincia nel 1256. Era opinione generale nell'Ordine che i meno dotti fossero i religiosi delle Congregazioni d'osservanza del XV secolo, (perché si occupavano più della preghiera che dei gradi accademici, cfr. T. DE HERRERA, Historia del convento de San Augustìn de Salamanca, Madrid 1652, p. 144. Opera fondamentale per la storia ispano-agostiniana); però i definitori della Congregazione spagnola (una delle più rigide) rifiutarono nell'anno 1439 il giudizio negativo che di essi avevano i loro confratelli i "claustrales", che li avevano qualificati "simplices et idiotae", assicurando che fosse soltanto una calunnia: "...quamvis verum non dicant, quia per Dei gratiam omnes fere sacerdotes nostri sciunt bene legere et cantare et intelligere quae legunt: et plures litterati sunt inter nos et boni praedicatores, qaumvis de gradibus scientiae non curent" (AA. III, 66; HERRERA, o.c. 31. Riferimenti agli studi e promozioni nella Spagna di quel secolo, cfr. BELTRAN DE HEREDIA, Bulario de la Universidad de Salamanca, II, Salamanca 1966, num. 514 e 647). Dice quasi lo stesso degli agostiniani francesi di quel secolo l'anonimo certosino che, verso il 1485, scrisse il trattato De religionum origine, poiché nel parlare dei nostri confratelli scrisse: "Novi dudum paucos istius ordinis, sed valde venerabiles viros atque statui praedicationis valde idoneos" (E. MERTENE, Veterum scriptorum et monumentorum ecclesiasticorum et dogmaticorum amplissima colletio, Parigi 1729, VI, 63 s). Non erano inferiori, sotto l'aspetto intellettuale, ai loro confratelli di Spagna e Francia gli agostiniani inglesi, che ebbero proprio in questo periodo di decadenza diversi vescovi, scrittori, predicatori e consiglieri di principi e re (A. GWYNN, The English Austin Friars in the time of Wyclif, London 1940; F. ROTH, The English Austin Friars, I: History, New York 1966).

Era ancora più elevato il livello di cultura nelle Province agostiniane tedesche e italiane, nonostante fosse maggiore in queste il numero dei maestri fatti "per saltum", furono anche molti quelli che ottennero legittimamente i loro titoli e influirono nella vita universitaria dei rispettivi Paesi. Ricorderemo alcuni fatti e diversi nomi in questo senso. Il primo che ottenne il dottorato nella facoltà teologica dell'Università di Firenze fu un agostiniano; conosciamo il suo nome per uno scritto del cronista ufficiale della città dell'Arno, Matteo Villani: "A dì 9 di dicembre del 1359 nella Chiesa da Santa Riparata pubblicamente e solennemente fu maestrale in divinità e prese i segni di maestro in teologia frate Francesco di Biancozzo de' Nerli, dell'ordine de' frati romitaggi; e il Comune, mostrandosi grato al Papa del beneficio ricevuto di potere questo fare, per lungo spazio di tempo fece suonare a parlamento - sotto titolo di Dio lodiamo - tutte le campane del Comune; e i signori priori co' loro collegi e con tutti gli ufficiali del Comune, con numero grandissimo di cittadini, furono presenti al detto ammaestramento, che fu cosa notabile e bella" (Cronaca, lib. 9°, cap. 58: continuazione della Cronaca di Giovanni Villani). Fu ancora più solenne la festa che si celebrò a Bologna il 2 giugno del 1364, in occasione dell'inaugurazione della facoltà teologica di quella celebre Università; era presente il nostro Ugolino da Orvieto, "al quale (scrisse il cardinale) toccava la parte più essenziale, la teologica, dovendo redigere gli statuti della nuova facoltà e fissare il suo indirizzo scientifico ... Ugolino ha superato il livello egidiano (Cioè, dell'alta scolastica, quella a cui appartiene Egidio Romano) e rispecchia un tempo nuovo, egli lo conosce da vicino, ma non si fida di queste modernità. Ciò dimostra il suo studio di arginare la strada maestra della solida dottrina scolastica con i suoi elenchi delle sentenze condannate a Parigi. Ciò mostra che Ugolino era singolarmente adatto allo scopo di guidare la nuova facoltà della grande Università di Bologna in un corso dottrinale sicuro, che armonizzasse la solidità del vecchio con una mobilità ben compresa del nuovo progresso" (EHRLE, I più antichi statuti (v. sopra, n. 6) p. CLI-CLVI; A. SORBELLI, Storia dell'Università di Bologna, 1940, p. 136, si dice che Ugolino diede prova allora di essere "dotto, delicato accuratissimo ... Gli statuti bolognesi sono i più interessanti e i più compiuti di quanti si redigessero per altre facoltà teologiche derivate dalla parigina"). Sono queste le stesse qualità che Alberto Lang riconosce nel nostro teologo, quando espone la sua dottrina sulle relazioni fra fede e ragione, fede e grazia, fede e libero consenso della volontà; perché in tutti questi punti, dice il critico tedesco, "Ugolino ha diritto al primo posto d'onore - ehrenvollen - nella storia del problema della credibilità o dell'analisi della fede, non solo per l'esattezza con cui presentò la soluzione più giusta ed equilibrata contenuta in quelle relazioni, ma anche per l'influenza che esercitò la sua dottrina a Parigi e nelle nuove università tedesche" (A. LANG, Die Wege der Glaubensbegrundung bei den Scholastikern des 14. Jahrhunderts ("Beiträge zur Gesch. der Philosophie des Mittelalters", Bd. 30 Heft 1-2), Münster i. W. 1930, 209; id., Die Entfaltung des apologetischen Problems in der Scholastik des Mittelalters, Friburgo de Br. 1962, 168 ss.).

Prese parte con Ugolino nell'organizzazione degli studi teologici a Bologna fra Bonaventura da Padova, che tre lustri più tardi si occupò degli stessi problemi; perché, nominato cardinale da Urbano VI nel 1378, fu scelto dallo stesso Papa insieme ad altri due cardinali (il domenicano Nicola Caracciolo e il francescano Tommaso del Frignano) per riformare o aggiornare i primi statuti d'altre università italiane, dato che il grande scisma d'occidente, che incominciò in quello stesso anno, escluse dalle università francesi gli studenti e gli insegnanti "d'obbedienza" romana; il lavoro dei tre cardinali, pubblicato due volte nel nostro secolo, fu redatto verso l'anno 1380 (EHRLE, o. c. p. CCI-CCIV; E. ESTEBAN, in AA. V, 145-147). Nel 1389 fra Leonardo di Carinzia scrisse con altri colleghi gli statuti della facoltà teologica dell'Università di Vienna, nella quale gli succedette come professore un altro agostiniano, Giovanni de Retz, anche lui conosciuto per i suoi scritti (J. ASCHBACH, Geschichte der Wiener Universitat, I, Vienna 1865, 614; F. RENNHOFER, Die Augutiner- Eremiten in Wien, Wurzburg 1956, 96-99). Figura tra i primi professori dell'Università di Praga Nicola von Laun o di Luna, vescovo ausiliario di Ratisbona negli anni 1354-1371 e messaggero della civilizzazione cristiana nell'Europa orientale (Si veda il documentato studio biografico di J. HEMMERLE, incluso nell'opera di R. SCHREIBER, Studien zur Geschichte der Karls-Universitat zu Prag, Freilassing-Salzburg 1954, 81-129; AA. XXVII, 242 s.).

E' ugualmente degno di ricordo in questo senso l'ungherese Stefano d'Insula, che ottenne il dottorato a Parigi, e successivamente fu professore a Tolosa e Gran, vescovo di Nyitria e arcivescovo di Kalocsa dal 1350 fino al 1382; a lui e al suo confratello e maestro Alessandro d'Ungheria si deve principalmente il giudizio favorevole che due eruditi ungheresi del nostro secolo hanno formulato dei nostri predecessori della fine del medio evo nella loro patria: "Au debut du XIV siecle la clef de la vie scientifique et de la civilisation theologique d'Hongrie - fortement liées à l'Occident - passa entre les mains des ermites de saint Augustin" (A. GABRIEL, Alexandre d'Hongrie, maitre regent à l'université de Paris vers 1300, en la Revue d'histoire comparée, nouv. ser. I (1943) 505-514; J. UDVARDY, Etienne de l'Ile, in AUGUSTINIANA 6 (1956) 322-335). Intorno al 1389 presero parte alla fondazione della facoltà teologica di Colonia (nella quale furono anche professori Gyso di Colonia e Nicola von Neuss, cfr. A. ZUMKELLER, en Wahrheit und Verkundigung (Festgabe Michael Shmaus), Pederborn 1967, p. 1121-1140). Fra gli agostiniani che insegnarono teologia in altre università dell'Europa centrale prima della rivoluzione luterana, occupano il primo posto per numero e per meriti i professori d'Erfurt, seguiti a distanza da quelli che insegnarono a Basilea, Vienna, Praga, Tubinga, Heidelberg e Lovanio. La partecipazione dei nostri religiosi alla vita universitaria italiana nei due ultimi secoli del medio evo si svolse a Napoli, Firenze, Bologna, Padova, Pavia e Torino. Gli storici delle Università di Oxford e Cambridge menzionano diversi professori agostiniani che insegnarono in quei celebri atenei fra gli anni 1340 e 1520; però, con l'eccezione di tre o quattro, sono poco conosciuti per i loro scritti. Lo stesso deve dirsi degli agostiniani francesi che ressero cattedre di teologia nelle università della loro patria dopo il 1350, ma anche di loro oggi si conoscono appena le loro opere. Al contrario, fra gli spagnoli che insegnarono nelle Università di Lerida, Valencia e Salamanca abbiamo tre scrittori come Bernardo Olivier, Martìn di Cordoba e Jaime Perez di Valencia, morto nel 1490. Nel 1511 terminò la sua laboriosa carriera Ambrogio Calepino, famoso per il suo Dictionarium septe linguarum, "quod ob suam utilitatem innumeris vicibus in lucem prodiit" (H. HURTER, Nomenclator, II, Innsbruck 1096,1160. Nello stesso anno nel quale morì Calepino celebrarono il capitolo provinciale gli agostiniani di Castilla nel convento di Arenas de san Pedro: "L'unico argomento che si trattò (dice un autore di quel secolo) fu quello di come si potessero moltiplicare nella religione gli uomini dotti; e per ottenere ciò si decise che nella casa di Salamanca si leggesse continuamente filosofia e teologia. Ordinarono reggente - che è un lettore - il dotto padre maestro fra Alonso di Cordova, che allora non era graduato, però dava prova di grande genio e abilità come si dirà più avanti". J. ROMAN, Chronica de la Orden ..., Salamanca 1569, fol. 112. Il cronista, che ebbe davanti gli atti di questo capitolo, dice che nel 1513 "ordinarono che non si dovessero impartire corsi d'arte ne' di teologia ai religiosi nei tre anni successivi all'essere diventato frate". Ibid. fol. 112), che ha determinato che "calepino" sia in molti paesi sinonimo di dizionario.