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Gutierrez: Studi Generali nell'Ordine agostiniano

Immagine di san Tommaso

 

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GLI STUDI NELL'ORDINE AGOSTINIANO DAL MEDIOEVO AD OGGI

 

di David Gutiérrez

da Analecta Augustiniana Vol. XXXIII (1970) pp. 75-149

 

 

LA TRADIZIONE AGOSTINIANO-TOMISTA

 

La difesa dell'antropologia teologica del Vescovo di Ippona non fu prescritta dalle nostre leggi, come si è visto, fino all'anno 1686; però la difesa di quella dottrina è la nota più distintiva della scuola agostiniana dal primo secolo della sua storia (E l'unica parte della teologia nella quale appaiono le diverse interpretazioni del pensiero di S. Agostino, che fu invece accettato senza divergenze negli altri trattati di dogmatica). La distinzione che si fa tra la scuola "antica", che comincia con Egidio Romano, e la scuola "nuova", della quale si propone come fondatore Enrico Noris (Si veda per esempio il Lexikon fur Theol. und Kirche, I, 1090-92, e M. GRABMANN, Geschichte der kathol. Theologie, 197, vers. Spagnola 253), è accettabile solamente dagli autori moderni, cioè quelli che scrissero dopo il 1650. Questi diedero una maggiore importanza nei loro corsi e trattati speciali alla teologia della redenzione e della grazia; ma questo dovettero fare i teologi di tutte le scuole, a causa della riforma protestante, degli errori di Bayo, delle controversie "de auxiliis" e dell'ultrabayanismo di Giansenio: errori e controversie che ampliarono straordinariamente il trattato "de gratia", come si può vedere, osservando quello che era nelle summe teologiche del medio evo e quello che fu nei grandi corsi successivi al concilio di Trento. Per questo la distinzione tra scuola antica e nuova non significa in quella agostiniana (l'unica che utilizza quel termine) un vero cambio di direzione dottrinale da parte degli autori moderni, ma solo diversità di metodo, di forma e di specializzazione nelle questioni nuove, come già indicava Berti: "Aliqui ex nostratibus aegidiani, aliqui vero augustiniani dici amant" (Augustinianum systema de gratia dissert. 4, c I, n°. 15; però dopo allega in suo favore autori dell'uno e dell'altro gruppo. Nel suo "De theologicis disciplinis", lib. 12, c. 3, scrive: "Pugnant enim pro hac sentenia theologi in Augustinum studiosissimi, Norisius, Gavardi, Bellelli, Lafosse, Clenaerts, Pauwens, Rolliers et Lovanienses augustiniani reliqui omnes". Ed. Romae 1739, II, 563. E poichè crede che sia la vera dottrina di S. Agostino, di S. Tommaso e di Egidio Romano, conclude - p. 565: "Quod hi tres docent poterit quisque sartum tectumque tenere").

E questo per la differenza di mentalità (più scolastica nei primi e più positiva o patristica nei secondi), e per indole dei trattati dogmatici nei quali ebbero a specializzarsi entrambi. Per il resto tutti osservavano la legge, che ordinava di seguire Egidio Romano e San Tommaso, e difendevano in tutte le sue parti la dottrina soteriologica di S. Agostino. Per quello che si riferisce alla continuazione dottrinale, si è già provato in altri studi che Noris non si crede innovatore o padre di una nuova scuola, ma interprete e discepolo dei suoi predecessori (A. TRAPE', in Sanctus Augustinus vitae spiritualis magister, II, Roma 1959, 5-75 passim; D. GUTIERREZ, in Augustinianum I (1961) 150-152). Lo stesso assicura di se Berti: "Theologicum systema fabricavi Gregorio Ariminensi, Norisio ac theologis nostris quampluribus praeeuntibus" (Augustinianum systema de gratia, praefatio, p. XLVIII. Poco dopo aggiunge: "...haec ab omnibus aegidianis propugnata semper fuere").

La lista di questi predecessori è formata (citando solo quelli più conosciuti e retrocedendo nel tempo) da Basilio Ponce, Augustìn Antolìnez, Luis de Leon, Seripando, Pérez de Valencia, Favaroni, Ugolino da Orvieto, Gregorio da Rimini ed Egidio Romano; perché anche questo, che è il più scolastico e speculativo di tutti, si mostra favorevole alle opinioni che spiegarono più ampiamente i suoi successori e ne difende chiaramente alcune che erano per questi fondamentali. Cosi vediamo che enuncia con tanto vigore come loro il primato della grazia quando insegna: "Dicemus ergo quod, si volumus dictum nostrum concordare Scripturae sacrae, in operibus meritoriis quantum plus possumus tanto plus debemus dare gratiae et quanto minus naturae, dum tamen salvetur libertas arbitrii". Quodl. 6, q. 2. Anche Egidio afferma la massima convenienza della giustizia originale che, "si non erat debita naturae humanae in sua institutione simpliciter et absolute, erat tamen debita ex quadam decentia divinae iustitiae et bonitatis". In 2 Sent. d. 31 q. I. a. I. Sostiene la necessità assoluta della grazia elevante perché l'uomo possa disporsi "saltem proxime" alla giustificazione, e l'assoluta necessità della grazia sanante perché possa osservare la legge naturale dato che per il primo peccato "homo exspoliatur gratuitis et vulneratur in naturalibus et redditur inhabilis ad ipsa bona naturae". In 2 Sent. d. 28, q. I a 2. Senza la stessa grazia non può il peccatore evitare la ricaduta: "Non ergo loquamur transcendentia; non quadremus circulum per logicam; loquamur ut in se quilibet experitur dicentes: difficile est, atiam cum gratia, omnia vitia superare, et sine gratia impossibile est a vitiis non succumbere". E difende queste tesi, perché crede che siano di Sant'Agostino, "quem non sequi est valde periculosum" (In 2 Sent. d. 28, q. 2 a 2. Allega i passi citati - con altri relativi alla dottrina egidiana sulle virtù degli infedeli - A. TRAPE', Il concorso divino nel pensiero di Egidio Romano, Tolentino 1942, 20-23, 130-133, 154. Si veda anche A. LA VALLE, La giustizia di Adamo e il peccato originale secondo Egidio Romano, Palermo 1939; Diction. de spiritualité, IV, 999 e 1004).

L' "Agostinismo mitigato dai grandi scolastici", di cui parla Portalié (Diction. de theol. cathol., I, 2531: "L'augustinisme expliqué et adouci des grands scolastiques". Più ponderato era su questo punto ANSELMO STOLZ, Manuale theologiae dogmaticae, IV, Friburgo de Br. 1940, 104: "Talis sana Augustini auctoritas servatur in theologia scholastica, imprimis thomistica. Attamen considerandus est diversus finis ... Sic quidem consonantia doctrinae, non autem verborum statuti potest"), non si trova nella dottrina soteriologica di Egidio Romano nè in quella di San Tommaso d'Aquino, considerato sempre (in dogmatica) come fedele discepolo del Vescovo di Ippona; e questo non solo per i migliori rappresentanti della scuola tomista, ma anche per un confratello di P. Portalié, che, dopo avere esaminato con attenzione gli scritti dell'Aquinate, conclude: "Il nous semble que, sur les conséquences du péché originel, saint Thomas est aussi radical que son maitre saint Augustin ... saint Thomas reste fidèle à la tradition augustinienne sur l'impuissance du libre arbitre de l'homme déchu en tant que tel. Il entend à la manière de saint Augustin l'axiome fondamental: Sine me nihil potestis" (H. RONDET, Gratia Christi, Parigi 1948, 217s. Più avanti, p. 321, l'autore avverte: "Le P. Portalié, scolastique et moliniste, est peut-etre ici un peu suspect". L'osservazione si riferisce al giudizio che dà dell'agostinismo di Bellelli e Berti: però equivale a quello che dice Portalié dell'agostinismo dei grandi scolastici). E' molto verosimile che la conformità della dottrina tra i due massimi teologi della Chiesa abbia determinato la tradizione tomista della scuola agostiniana, tradizione non ratificata dalle leggi dell'Ordine fino all'anno 1539; però tanto antica come la stessa scuola perché comincia con i suoi due primi dottori, Egidio e Giacomo da Viterbo. Del primo si conoscono e si propagano soprattutto le sue critiche su diversi punti della dottrina del Dottore Angelico (E. HOCEDEZ, Gilles de Rome et saint Thomas, in Mélanges Mandonnet, I, 385-409; G. BRUNI, Egidio Romano e la sua polemica antitomistica, nella Rivista di filosofia neoscolastica 27 (1934) 239-51: P. NASH, Giles of Rome: a pupil but not a disciple of Thomas Aquinas, in J. COLLINS, Readings in ancient and medieval Philosophy, Westminster (Maryland) 1960, 251-57); però il risultato degli studi che raccolgono queste censure è soltanto che si tratta di tesi secondarie o di correzioni analoghe a quelle che fecero unitariamente (in quel secolo e nei successivi) i rappresentanti della stessa scuola; nel resto, cioè, nelle questioni fondamentali, riconoscono tutti gli specialisti che l'agostiniano prova, sviluppa e difende la dottrina del suo venerato maestro ("Gilles est un disciple de saint Thomas et l'on doit, sans forcer la note, le ranger parmi les thomistes... dans ce sens, qu'il a adopté toutes les grandes thèses du Docteur dominicain": P. MANDONNET, in Revue des sciencies philosophiques et theologiques 4 (1910) 482. "Nei riguardi di san Tommaso Egidio può dirsi discepolo, critico e continuatore": A. TRAPE', nella Enciclop. Cattol. V, 139. Lo stesso conclude HOCEDEZ, 1, c. nella nota precedente).

Nonostante si tratti di prove estranee alla stessa dottrina, è indubitabile che pesano molto in questo caso quelle che ci offrono due testimoni degni di fede: Guglielmo di Tocco, discepolo di San Tommaso a Napoli negli anni dal 1272 al 1274, e il beato Giacomo da Viterbo, che visse nel convento agostiniano di Parigi con il suo maestro Egidio durante gli anni 1286-1292. Dice il primo, nella sua Vita fratris Thomae, che a causa dell'opposizione che avevano suscitato nella capitale francese alcuni dottori invidiosi contro la dottrina del suo maestro, "quidam magister eremitarum, frater Aegidius, de praedicto Doctore dixit, deridendo insufficientiam correptorum: in hoc mirabili et digno memoria doctore, fratre Thoma de Aquino, fuit sui subtilitatis ingenii et certitudinis iudicii manifestum indicium, quod opiniones novas et rationes quas scripsit bacellarius, magister effectus, paucis exceptis, nec docendo nec scribendo mutavit; nos autem moderni temporis, sicut incerti et dubii iudicii, opiniones quas aliquando tenuimus, in contrarium arguti modico argumento mutamus" (Acta SS martii, Venetiis 1735, I, 672; ed. crit di D. PRUMMER, Fontes vitae S. Thomae, en Revue thomiste del 1924). Ancora sono più significative le dichiarazioni di Giacomo da Viterbo, tanto per quello che dice di avere ascoltato ("domestico sermone") da Egidio Romano, quanto per quello che afferma per conto proprio (Non trascriviamo tutto, soltanto parte delle sue dichiarazioni, che possono vedersi complete in Acta SS cit. 688, 714; in Revue thomiste 39 (1934) 383, 404, e in AA. XVI, 364s). Il magistero di San Tommaso, secondo il nostro agostiniano, fu incomparabile, perché "in scriptis ipsius inveniuntur communis veritas, communis claritas, communis illuminatio, communis ordo et doctrina cito perveniendi ad perfectam intelligentiam" (E' il testo più antico in favore del titolo "Doctor communis", che fu il più frequente nel medioevo per designare l'Aquinate. A. WALZ, nel DThC, XV, 629).

E questo, perché era dotato di scienza infusa: "Et tenebat et credebat idem frater Iacobus... quod ea quae scripsit idem frater Thomas erant potius ex cogitatione spirituali, per illuminationem Spiritus sancti, quam per humanum ingenium acquisita". Non dubitava nell'affermare che Cristo, "pro illuminatione orbis et universalis Ecclesiae", suscitò prima San Paolo "et postea Augustinum et novissimo tempore dictum fratrem Thomam, cui usque ad finem saeculi non credebat alium successurum". Niente di strano per lo stesso che nel 1300, quando l'agostiniano fu inviato come lettore allo "studium" di Napoli, visitò il convento domenicano e chiese di vedere la cella "quae fuerat dicti fratris Thomae... et statim genuflexus ibidem, coram multis fratribus dixit: veni adorare in loco ubi steterunt pedes eius". Canonizzato l'Aquinate nel 1323, i teologi agostiniani di quel secolo seguirono l'esempio dei due primi dottori dell'Ordine: non rinunciarono, a imitazione di Egidio Romano, alle critiche di alcune delle loro opinioni; però, nell'essenziale, furono per alcuni decenni i migliori interpreti e difensori dei suoi insegnamenti (A. LANG, Die Wege der Glaubensbegrunduf 123), lo citano frequentemente con il titolo di "Doctor Sanctus" e Tommaso da Strasburgo, nominato priore generale nel 1345, ordinò che in tutti i conventi dell'Ordine si celebrasse (nella Messa e nell'ufficio divino) "festum sancti Thomae, quod cadit septimo die mensis martii" (AA. XVI, 5. Sulle qualità di Alfonso Vargas rispetto all'Angelico, cfr. J. KURZINGER, Alfonsus Vargas Toletanus, Münster 1930, 62).

Tra quelli che osteggiarono Riccardo Fitzralph (arcivescovo di Armagh) per i suoi attacchi contro la povertà evangelica praticata dai religiosi mendicanti si distinse l'agostiniano Giovanni Hiltalingen di Basilea, che verso il 1368 scrisse contro l'avversario: "Nec valet pro hoc quod dicit Armagh hic in libello quem edidit in curia contra mendicantes: quod sanctus Alexius et sanctus Franciscus excusantur quasi viri illitterati. Quid igitur dicet de sancto Thoma de Aquino? Numquid ipsum idiotam reputabit, de cuius fructu operum satiata est terra?" (In quatuor libros Sent., Munich, Staatsbibliothek, ms 26711 fol. 230). Non mancavano le manifestazioni di venerazione alla persona e alla dottrina del Dottore comune da parte degli agostiniani del secolo XV, specialmente da quelli che scrissero alla fine dello stesso secolo. Dai trattati teologici del professore di Erfurt, Giovanni Bauer di Dorsten (†1481), assicura un esperto in materia che "s'inscrivent completement dans le courant traditionnel" e che "la theologie de saint Thomas d'Aquin, parait chez lui fortement à l'avant-plan" (L. MEIER, in Revue d'hist. Eccles. 50 (1955) 864). Jaime Pérez di Valencia si lamentava nel 1484 della decadenza generale, non solo dalla fede, ma anche della cultura cristiana, che ancora aveva prosperato nei tre secoli precedenti "per merito di Ugo di San Vittore, del maestro delle sentenze e di San Tommaso d'Aquino, qui scholastico et disputativo stilo scripserunt" (IACOBUS PEREZ DE VALENTIA, Expositiones psalmorum (Hain, 12596ss), in ps. 70, 18: "Et usque in senectam et senium"). Per Giovanni di Paltz (†1511) l'Aquinate è il maggiore teologo dopo Sant'Agostino (M. FERDIGG in AA. XXX, 295. Non possiamo citare la "Oratio pro s. Thoma Aquinate" (Hain, 3716), perché l'autore, Aurelio Brandolini Lippi, ancora non era agostiniano quando la pronunciò nel 1490). Fu patrocinatore del tomismo all'inizio dell'età moderna Alonso da Cordova (†1541), che era già dottore dell'Università di Parigi e professore in quella di Salamanca quando si fece agostiniano nel 1510.

Il beato Orozco, che lo ebbe come maestro, dice che il suo insegnamento "era molto utile", che "preparò molti discepoli e molti dotti", e che "seguiva nella cattedra e nel pulpito la dottrina dell'angelico dottore San Tommaso" (Crònica del glorioso doctor de la Yglesia sant Augustin, Sevilla 1551, f. 54). Ancora fu più importante in questo senso (dentro l'Ordine agostiniano) l'attività di Seripando, come ci mostrano i testi che già abbiamo citato nella 3° parte di questo lavoro e per quello che affermò in altri momenti, di sapere: che San Tommaso aveva capito bene Sant'Agostino, che era uno dei tre migliori apologisti del cristianesimo e che gli spettava il titolo di principe della teologia scolastica: "ob singularem eruditionem cum pietate coniunctam, regnavit in scholis regnavit et in cathedra Christi" (Conc. Tridentinum, ed. Goerresiana, XII, 614. In una lettera di contenuto teologico, scritta nel 1539 all'umanista Marco Antonio Flaminio, diceva Seripando al destinatario: "Appresso dico che san Tommaso, qual credo intese Agostino quanto qual se voglia altro, tiene apertamente questa opinione nella Summa, la quale è la più exatta opera di tutti i suoi scritti". Poco ammiratore dei molti controversisti del suo tempo, Seripando aggiungeva nella sua lettera: "Et io per me ringratio il Signor Dio che habbiamo un libro simile a quello di Eusebio di praeparatione evangelica et di Agostino de civitate Dei et di san Thomaso contra gentes". H. JEDIN, Seripando, II, 496s.).

Quando si preparava al Concilio di Trento il decreto De iustificatione, è certo che Seripando sconsigliò il suo stile e il suo metodo; però lo fece per due motivi che giudicava fondamentali: uno, per non irritare oltre i luterani, che ripudiavano la teologia scolastica; e l'altro, il principale, perché era convinto che per esporre bene la dottrina della salvezza si dovesse ricorrere prima di tutto alla Scrittura e dopo ai santi Padri: come fece lui stesso, con mano maestra, quando la presidenza del Concilio gli affidò la redazione del celebre decreto, che è il meno "scolastico" e il più biblico-agostiniano di tutti i decreti tridentini. Però, quando nelle discussioni conciliari fu necessario ricorrere alla teologia del medioevo, fu il nostro Generale che presentò all'assemblea i testi più appropriati, che erano tutti dell'Angelico: possono vedersi nel voto che il nostro teologo lesse nella congregazione del 28 dicembre del 1546: CT V, 743. Ci si permetta di citare alcuni passi caratteristici della mentalità del suo autore: "Ardua certe quaestio, de iustificatione decernere secundum quatuor genera causarum... De his enim quae ad iustificationem concurrunt doceri possumus ex sacris Litteris atque etiam ex priscis catholicae Ecclesiae doctoribus. De quatuor causarum generibus nulla certe ibi mentio, nullum verbum. Confugiendum igitur ad recentiores theologos et praesertim ad divum Thomam, qui apertius hac de re locutus videtur... Nulla hic mentio neque finis, neque materiae, neque instrumenti, neque dispositionis aperta; et forte, ad evadendas multas difficultates, bene esset de fide hoc lequendi modo uti, quem docuit sanctus hic Doctor" (Conc. Trid., ed. cit. V, 743. E finiva con: "Sed has angustias nobis parit philosophia, dum volumus ex eius praescripto de divinis loqui mysteriis. Dicerem igitur, mentionem fidei habendam esse, vel cum dicitur: Passio Christi est causa meritoria, addendo, cuius effectus per fidem ad no pervenit, vel cum dicitur: Baptismus est causa instrumenttalis, addendo, in quo per fidem mors Christi nobis applicatur").

Considerata la grande stima di Seripando per la dottrina di San Tommaso, come si può spiegare che il nome di questo (segnalato come maestro degli studi agostiniani nel capitolo generale del 1539) fosse sostituito con quello di Tommaso di Strasburgo nelle Costituzioni del 1551? Crediamo che possa darsi una risposta soddisfacente alla domanda. In primo luogo, perché il cambio non implicava l'abbandono del tomismo, perché il sostituto era quello che lo rappresentava nella miglior maniera nella tradizione dell'Ordine. Inoltre, perché uno dei principali collaboratori nelle Costituzioni del 1551 fu Fabiano Chiavari di Genova (†1569), che anche si distinse come editore delle opere dei suoi predecessori del medioevo (D. A. PERINI, Bibliographia august., I, 225s; AA. XXVIII, 293); e, per ultimo, perché fu lo stesso Seripando quello che promosse questa attività; infatti, nel comunicare all'Ordine (1° aprile del 1551) che già si erano pubblicate le nuove Costituzioni, ordinò che con il prezzo ("iuste texatum") che avrebbero dovuto pagare i conventi per le copie che chiedessero, doveva costituirsi un fondo, del quale nominava amministratori il procuratore generale, il priore e il reggente degli studi nel convento di Sant'Agostino di Roma, "qui pro tempore erunt, ipsique teneantur perpetuo ea pecunia uti in imprendimendis lucubrationibus doctorum nostri ordinis, qui hactenus scripserunt vel in posterum scribent. Harum litterarum exemplum impressum est in capite libri constitutionum; originale vero habetur in deposito conventus Romani, cum confirmatione Sedis apostolicae" (AA. II, 83, nella lettera di prefazione che antepose alle sue Costituzioni). Nei primi anni dopo questa edizione si pubblicarono diverse opere dei teologi agostiniani del medioevo, e il commento di Tommaso di Strasburgo ai quattro libri delle Sentenze si ristampò non meno di tre volte in Italia durante la seconda parte di quel secolo.

Ci siamo intrattenuti molto su Seripando, perché non mancano quelli che lo considerano come un seguace dell'evangelismo italiano e, in questo senso, per un antiscolastico; però Jedin, che è oggi il migliore conoscitore dell'evoluzione intellettuale del teologo agostiniano, non la pensa in questa maniera: Seripando, secondo il suo biografo, dedicò gli ultimi tre decenni della sua vita allo studio della Bibbia (specialmente alla figura di San Paolo) e agli scritti antipelagiani di Sant'Agostino, perché erano la fonte da cui pretendevano estrarre la loro dottrina Lutero e i suoi seguaci; però, a differenza di questi, conobbe bene ed ebbe una grande stima dei grandi scolastici, in particolare San Tommaso d'Aquino, ricorrendo con sicurezza alle sue opere, quando fu necessario per tracciare la linea tra la verità e l'errore (H. JEDIN, Seripando, II, 239: "Die Urform der vorkonziliaren Rechtfertigungs Iehre Seripandos war vorwiegend thomistisch". Id., Geschichte des Konz. von Treint, II, Friburgo de Br. 1957, 218ss.). Lorenzo di Villavicencio, che si dedicò soprattutto allo studio della Scrittura, confessava ugualmente la necessità di ricorrere, per interpretarla bene, all'aiuto dei dottori scolastici, principalmente dell'Aquinate, "quem doctrina, sanctitate atque religione merito reliquis omnibus praeferendum omnes eruditi semper iudicarunt" (De recte formando theologiae studio, Antuerpiae 1565, lib. 3, cap. 1). E lo giudicarono con una maggiore unanimità dopo l'anno 1567, nel quale San Pio V lo dichiarò Dottore della Chiesa, che allora come si sa, erano pochi. Gli agostiniani lo studiarono da quella data più che nei secoli precedenti, non solo per il suo nuovo titolo e perché il suo nome entrò nelle Costituzioni del 1581, ma anche perché la Summa theologica fu adottata come manuale in molte università, specialmente del mondo ibero-americano, perfino dai professori che insegnavano materie diverse dalla tomista. Cosi l'agostiniano Alfonso de Mendoza, titolare della cattedra di Scoto nell'Università di Salamanca, dichiarava nel 1588: "Nullius autem in verba magistri in his disputationibus iuravi. Loquor de magistris recentioribus, nam antiquorum Patrum pedibus caput ego meum non solum humiliter sed iuste suppono. Sed et prae ceteris theologis divum Thomam selegi, cuius doctrinae et placitis inhaeream: quamvis non ita inhaerebo, ut si quando aliunde radius veritatis affulgeat, non debeam post eam libere et expedite currere" (Quaestiones quodlibeticae, Salmanticae 1588, proemio).

Con questo stesso criterio difesero la dottrina di San Tommaso la maggior parte degli agostiniani che insegnarono teologia nelle università di Coimbra, Salamanca, Valladolid, Alcalà, Saragozza, Valencia, Messico e Lima, con altre ispano-americane di minore fama, cosi come vari dei nostri professori negli "studi" d'Italia, Francia e Germania. Non mancano perfino tra questi autori quelli che possono qualificarsi tomisti rigidi, come Francisco de Cristo morto nel 1587 a Coimbra (Nonostante i titoli delle sue opere stampate sembrino indicare che si tratti di commenti ai libri delle Sentenze, l'autore segue più l'ordine e la dottrina della Summa teologica dell'Aquinate. VELA, Ensayo, II, 167-70; HURTER, III, 142s. Dei suoi commenti inediti citeremo il "De Eucharistia", conservato nel ms. 5512 della Bibl. Nazionale di Lisbona e qualificato di prezioso "wertvolle" da Stegmuller, Spanische Forschungen der Goerres-Gesellschaft, I: Reihe, III, 428; ibid. 433, nota d'un codice del "Methodus, hoc est docendi ratio", che il nostro teologo fece nell'anno 1556 e che si considerava perduto), Juan de Guevara morto nel 1600 a Salamanca, nella cui università insegnò per 44 anni (Riferisce della sua brillante carriera e della sua produzione scolastica, VELA, Ensayo, III, 400-499; L. MARTINEZ FERNANDEZ, Sacra doctrina y progreso dogmàtico en los "Reportata" inéditos de Juan de di Guevara, Vitoria 1967), Juan du Puy morto nel 1623 a Tolosa (Nella cui Università insegnò teologia dal 1593: "R.P. Fratris Ioannis Puteani... Commentariorum in summam theologiae divi Thomae doctoris angelici tomus prior (et posterior)", in un volume, Tolosae 1637. HURTER, III, 640s.) e l'irlandese Agostino Gibbon morto nel 1676, che si formò a Salamanca e insegnò a Erfurt (Speculum theologicum seu theologia scholastica ad mentem divi Thomae, Monguntiae 1669, Erfurti 1670; nell'edizione che pubblicò a Coimbra negli anni 1740-1745 l'agostiniano portoghese Benito de Meyrelles l'opera non ha 4 volumi., come nelle prime due edizioni, ma 6 volumi, perché l'editore incluse altri trattati di Gibbon. J. HENNING, Augustine Gibbon de Burgo: a study in early irish reaction to Luther, in The Irish ecclesiastical Record 69 (1947) 135-151). Ricordiamo per ultimo che il già citato Basilio Ponce de Leon, predecessore immediato di Lupo e Noris, redasse nel 1627 lo "Statuto e giuramento d'insegnare a leggere le dottrine di Sant'Agostino e San Tommaso, e non contro di loro", nell'Università di Salamanca (Delle edizioni latine dello "Statuto", che si pubblicò anche in Italia e in Belgio, vedi VELA, Ensayo, II, 103-108, VI 358-63. "Quo in negotio -nella composizione dello statuto- omnium lingua et calamus fuit Basilius Ponce de Leòn". Hurter, III, 891); benché il suo scritto non ottenne l'approvazione del Consiglio Reale di Madrid, che ascoltò le suppliche formulate in senso contrario da gesuiti e francescani, è indubbiamente un'altra prova della direzione dottrinale della scuola agostiniana, che continuò vedendo nell'Angelico un fedele interprete del Dottore della grazia.