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Percorso : HOME > Iconografia > Cicli > Trecento > ErfurtCICLo AGOSTINIANo di ERFURT
Agostino insegna retorica ai suoi discepoli
MAESTRO VETRAIO DI ERFURT
(1316 - 1324)
Chiesa di sant'Agostino
Agostino insegna retorica
Il soggetto della scena è chiaramente indicato dalla scritta che Agostino regge in mano anche se non viene specificato il luogo: Cartagine, Roma e Milano. Agostino è raffigurato giovane, è seduto al centro della scena, con il viso rivolto all'osservatore, una gamba sovrapposta all'altra. Da ciascun lato un giovane discepolo si rivolge al maestro come per ascoltarlo.
Il discepolo seduto a sinistra ha in mano un libro: Agostino impugna una scritta che si sviluppa attorno alla sua testa e che reca: AVGVSTINVS ET DISCIPVLIS SVIS.
Agisti dunque su di me fino a farmi maturare la decisione di partire alla volta di Roma, per insegnare là invece che a Cartagine la mia disciplina. Come poi venni a questa convinzione io non te lo voglio tacere, dato che anche in questi fatti bisogna riconoscere e celebrare le tue profondità segrete e la tua attenzione costante e tenerissima per noi. Non volevo andare a Roma per le prospettive di maggiori guadagni e maggior prestigio con cui gli amici volevano allettarmi - benché anche queste cose allora avessero peso sulle mie decisioni. Ma la ragione prima e forse unica era la fama che gli studenti di là avevano d'essere più tranquilli, e disciplinati da un ordinamento più rigoroso: e non avevano l'abitudine di irrompere alla spicciolata e alla rinfusa in una scuola se non erano allievi di quel maestro, anzi non vi erano affatto ammessi senza il suo permesso. A Cartagine invece l'indisciplina degli studenti è vergognosa e sfrenata: hanno l'impudenza di cacciarsi dove vogliono, sono come furie che turbano l'ordine istituito per il profitto degli allievi. Commettono ogni sorta di insolenze di una scempiaggine incredibile, che le leggi dovrebbero punire, se l'usanza non li proteggesse. E si rivelano tanto più miserabili, in quanto agiscono come se ciò che fanno fosse lecito, mentre per la tua legge non lo sarà mai; e credono di passare impuniti quando è la stessa cecità del loro agire la pena, e soffrono cose incomparabilmente peggiori di quelle che fanno. E io che da studente m'ero sempre rifiutato di indulgere a quegli usi, adesso da professore ero costretto a sopportarli da parte altrui: per questo aspiravo ad andarmene dove questo, stando a chi ne era informato, non sarebbe accaduto.
AGOSTINO, Confessioni 5, 12, 22