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sant'Agostino in un dipinto di Foppa
LA REGOLA: CONTENUTO DOTTRINALE
di p. Agostino Trapé
PREMESSA
La Regola agostiniana è breve - appena poche pagine - ma ricca di contenuto. I suoi precetti, non molti ma essenziali, danno alla vita religiosa un orientamento forte, sicuro, moderno. Non fissa un regolamento della giornata, ma lo suppone e ne impone l'osservanza; non descrive la lectio divina e lo studio, ma ne enuncia il principio; non parla del ministero sacerdotale, ma ne prepara e ne arricchisce l'azione attraverso l'organizzazione della vita in comune. Rivela una conoscenza profonda del cuore umano, e un'intuizione sicura delle esigenze più vere della vita consacrata. Moderazione e austerità, interiorità e ricerca del bene comune, amicizia schietta e ascesa costante verso Dio, autorità umile ed efficiente e fraternità sincera si fondono in essa per creare un equilibrio mirabile, quell'equilibrio sapienziale che è proprio, per dono di natura e di grazia, del Vescovo d'Ippona. Ne risulta un quadro spirituale che è insieme profondamente umano e autenticamente evangelico. L'idea-madre della Regola è la carità presentata come fine, mezzo e centro della vita religiosa. Il fine è indicato in quelle parole iniziali: Prima di tutto si ami Dio e quindi il prossimo (n. 1); il mezzo in quelle altre che vengono subito dopo: abbiate un'anima sola e un sol cuore protesi verso Dio (n. 3); il centro in quelle altre ancora: su tutte le cose di cui si serve la passeggera necessità, si elevi l'unica che permane: la carità (n. 31). Tutto il resto è considerato un presupposto o alimento o un motivo d'ispirazione. Presupposto sono i consigli evangelici che spianano la via al cammino della carità; alimento: la preghiera, la mortificazione, lo studio, il lavoro; motivo d'ispirazione: la bellezza eterna alla cui contemplazione il religioso si consacra, la fragranza della virtù di Cristo che il religioso vuol diffondere nel mondo, la libertà interiore che sente come fonte perenne di gaudio e di speranza. Vediamo un po' più da vicino alcuni particolari di questo quadro meraviglioso, cominciando dai motivi che ne raccomandano l'osservanza.
Capitolo primo
I GRANDI MOTIVI D'ISPIRAZIONE
Per avere in mano la chiave che apra i segreti della Regola agostiniana, del suo grande equilibrio sapienziale, dei suoi alti ideali, della sua incomparabile fortuna, bisogna cominciare a leggerla dal fondo. Non è una battuta: è l'indicazione di chi l'ha scritta. Raccomandandone, infatti, verso la fine, la fedele osservanza, lo fa con parole altissime che svelano all'attento lettore i motivi universali e profondi del suo pensiero filosofico, teologico e mistico. Scrive: "Il Signore vi conceda di osservare queste norme con amore, come innamorati della bellezza spirituale ed esalanti dalla vostra santa convivenza il buon odore di Cristo, non come servi sotto la legge, ma come uomini liberi sotto la grazia" (n. 48). Da questa sintesi emergono quattro motivi, tutti fondamentali, o, se si vuole, quattro dimensioni della vita dello spirito nella comunità monastica:
- il motivo dell'amore o dimensione affettiva. È infatti l'amore, forza segreta dell'animo, che rende possibile e gioiosa l'osservanza delle prescrizioni della Regola. Per esporre subito un profondo pensiero agostiniano riguardante l'amore, si può dire così: la vita consacrata e, molto più, la vita monastica si abbraccia per un più grande amore, esige l'esercizio d'un più grande amore, attende come premio un più grande amore.
- il motivo della bellezza spirituale o dimensione contemplativa. La bellezza spirituale o è Dio o è il riflesso di Dio nelle creature. Agostino fu innamorato di questa bellezza, l'amò con tutte le fibre dell'animo, la cercò senza stancarsi, la pose nella Regola come meta della preghiera contemplativa, come risorsa delle ascensioni interiori, come sostegno del monaco nell'impegno ascetico.
- il motivo del profumo di Cristo o dimensione apostolica. Se quello precedente poteva essere considerato un motivo prevalentemente filosofico - si sa quanto i filosofi neoplatonici, specialmente Plotino, abbiano scritto su la bellezza -, questo è nettamente cristologico e dipende da quel grande innamorato di Cristo che fu S. Paolo. Dio, dice l'Apostolo, ... diffonde per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza nel mondo intero. Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo... (2 Cor 2, 14-15). Agostino, che ereditò da S. Paolo l'amore appassionato a Cristo, ne riprende il tema e lo propone ai suoi religiosi perché diffondano dovunque nel mondo l'amore e l'imitazione di Cristo.
- il motivo della libertà cristiana o dimensione carismatica. Questo motivo è proprio di colui che la tradizione ha chiamato dottore della grazia e perciò della libertà; dico della libertà cristiana che abbraccia tutta la vita e si estende nell'eternità. Anche questo motivo non poteva mancare nella Regola agostiniana. Pertanto, occorre leggerla e meditarla alla luce di questi grandi principi per scoprirne la ricchezza e la modernità che ne fanno una norma spirituale ammirata, amata, ricercata, ieri e oggi. Qui vorrei invitare il lettore, che si avvicina ad essa per la prima volta, ad approfondire un poco questi quattro motivi che gli permettono di entrare nel vivo della spiritualità monastica o più semplicemente religiosa quale la concepì, l'amò, la visse, l'organizzò e la difese il Vescovo d'Ippona.
1. ... con amore
Il primo motivo è l'amore. Il Signore vi conceda di osservare queste norme con amore. Una sola parola; ma ricca di significati profondi e rivelatrice d'un panorama che abbraccia tutti i precetti della Regola. Questa parola infatti ha una portata metafisica, psicologica e spirituale immensa, che il Vescovo d'Ippona ha contribuito ad approfondire e a chiarire con grande intuito e passione. Si sa che egli ha scavato molto a fondo nell'anima umana per scoprire non solo la verità; ma, insieme alla verità e in conseguenza di essa, l'amore; l'amore che è la radice di ogni attività, il rapporto che ci lega inseparabilmente a Dio, la tensione profonda e la ricerca continua, insaziabile dell'eterno. Sarebbe veramente bello potersi soffermare su questi aspetti della filosofia dell'amore. Sarebbe bello, dico, parlare dell'amore che muove l'anima come il peso i corpi e la porta ovunque si porti [1]; parlare delle passioni umane e delle virtù come modulazioni di un unico movimento, che è il movimento dell'amore [2]; parlare della ricerca inconsapevole di Dio per cui ogni creatura capace d'amore, lo sappia o non lo sappia, ama Dio e lo cerca e lo invoca [3]. Ma il discorso porterebbe lontano. Lasciando dunque da parte questi aspetti profondissimi ed altri ancora, della filosofia agostiniana dell'amore, accennerò a due proprietà singolari che l'amore possiede:
- La prima è questa: l'amore rende leggere le cose pesanti e facili le cose difficili. S. Agostino lo ripete spesso con ricchezza di particolari. "Non sono affatto gravosi - scrive nel De bono viduitatis - i lavori degli amanti, ma sono anch'essi motivo di diletto; come appunto i lavori dei cacciatoti, degli uccellatori, dei pescatori, dei vendemmiatori, dei negozianti, degli sportivi. Quel che importa dunque è sapere ciò che si ama, perché quando una cosa la si fa per amore o non si sente la fatica o si ama di sentirla" [4]. Ciò vale non solo per le cose buone o indifferenti, ma anche per le cose cattive. "Sappiamo - dice S. Agostino in un discorso al popolo - sappiamo quante cose faccia l'amore... quante asprezze gli uomini hanno sofferto, quante indegne e intollerabili cose hanno sopportato per ottenere ciò che amavano; sia che si tratti di amatori del denaro, cioè degli avari, o degli amatori di onori, che sono gli ambiziosi, o degli amatori dei corpi, che sono i lascivi. Ma chi può enumerare tutti gli amori? Considerate tuttavia quante fatiche fanno gli amanti, né sentono la fatica, anzi faticano di più quando qualcuno impedisce loro di faticare" [5]. L'amore infatti è una forza che non può stare oziosa: deve agire, scuotere, trascinare [6]. Quando perciò S. Agostino chiede a Dio che conceda ai suoi religiosi di osservare la Regola con amore, indica loro qual è il segreto dell'osservanza regolare, quel segreto che la rende possibile e gioiosa. Se poi prendiamo la parola amore come sinonimo di carità, tutto quello che abbiamo detto sulla sua forza travolgente non solo non viene meno, ma diventa più vero. La carità, quand'è vera, possiede tutte le risorse psicologiche dell'amore e possiede, inoltre, tutte le ricchezze dei doni di Dio tra i quali è il più prezioso e il più grande. La carità perciò è un amore più forte, più profondo, più invincibile di ogni altro amore, perché è opera dello Spirito Santo che la diffonde nei cuori. S. Paolo parla di larghezza, lunghezza, altezza e profondità della carità [7], e S. Agostino commenta: "larghezza, perché la carità si esercita in tutte le opere buone e la sua benevolenza si estende fino all'amore dei nemici; lunghezza perché in questo esercizio è longanime e sopporta tutte le molestie; altezza, perché per queste opere non spera un premio temporale, ma il premio eterno; profondità, perché è un dono della grazia che ci viene secondo il segreto, misterioso proposito del divino volere" [8]. Dotata di queste dimensioni, la carità trasforma necessariamente in gioia tutto ciò che tocca, e imprime all'anima un dinamismo che non conosce ostacoli.
- La seconda proprietà dell'amore, che qui voglio ricordare, è quest'altra: l'amore rende sempre nuove, e perciò sempre affascinanti, le cose abituali, le cose di ogni giorno. Quanto questa proprietà sia preziosa non occorre dirlo; particolarmente per chi, come il religioso, è portato dall'osservanza regolare a ripetere spesso e per tutta la vita gli stessi atti, le stesse formule, gli stessi esercizi. Si sa che l'abitudine, la noia, la stanchezza sono i nemici più insidiosi della vita religiosa, soprattutto della vita comune. S. Agostino mette in rilievo questa proprietà dell'amore proprio contro la noia; la noia da cui può essere mortalmente preso il catechista costretto a ripetere ai neofiti sempre le stesse verità elementari. Dice il Santo in sostanza: facciamo nostri con l'amore - un amore fraterno, paterno, materno - i sentimenti di questi neofiti, e sembreranno nuove anche a noi le cose che andiamo dicendo. "Non avviene di solito - continua - che, percorrendo spaziose e incantevoli località cittadine o campestri non proviamo più alcun lascino, perché già le abbiamo contemplate spesso? Eppure, mostrandole a chi non le ha mai viste, nel fascino nuovo che essi provano non si rinnova forse anche il nostro? E tanto più fortemente quanto più essi sono nostri amici, perché a misura che attraverso il vincolo dell'amore noi siamo in loro, quelle cose, che erano vecchie, diventano nuove anche per noi" [9]. Pensiamo che questo possa e debba dirsi anche della vita in comune, e non solo per quelli che in essa esercitano l'ufficio di educatori. Comunicare agli altri le proprie esperienze, ascoltare le esperienze degli altri, costatare il progresso nella virtù di quelli che amiamo, osservare lo stupore e la gioia che provocano nell'animo di tanti giovani pratiche e dottrine per noi abituali, aiutarli con il consiglio e l'esempio a scoprire le ricchezze della vita interiore, sono mezzi efficacissimi per rendere sempre nuove, e perciò affascinanti, le cose che per la forza dell'abitudine tendono a non esserlo più. Pensiamo che sia proprio questo uno dei frutti migliori della vita comune. Ma a consolazione di chi questi mezzi nella comunità in cui vive o non li trova o non sa usarli - le due ipotesi sono ambedue possibili - dirò che v'è un'altra ragione che spiega la proprietà dell'amore di cui stiamo parlando, che è questa: l'amore è fonte perenne di conoscenza, sia perché spinge l'intelligenza a fissarsi nelle cose amate, sia perché dà alla conoscenza un valore e un sapore sperimentale che la conoscenza puramente nozionale non ha. "Non si può infatti amare ciò che s'ignora del tutto. Ma quando si ama ciò che in qualche modo si conosce, in virtù di questo amore si riesce a conoscerlo e più profondamente" [10]. Ora è proprio questa progressiva scoperta delle ricchezze delle cose spirituali - il significato, il valore, l'importanza - che le rende sempre nuove al nostro sguardo, e perciò oggetto perenne di stupore, di contemplazione, di gioia.
2. ... innamorati della bellezza spirituale
Al motivo metafisico e psicologico dell'amore si aggiunge quello mistico della contemplazione. Non poteva mancare nella Regola una visibile traccia di quella che fu la passione più profonda e più costante dell'animo agostiniano: la contemplazione della divina bellezza. "Il Signore vi conceda di osservare queste norme ... come innamorati della bellezza spirituale". La bellezza spirituale è la bellezza della sapienza, la bellezza di Dio. S. Agostino ne fu perdutamente invaghito fin dall'età di 19 anni. L'amore della sapienza divenne spontaneamente amore della bellezza. La prima questione infatti che lo occupò come scrittore, a 25 anni, fu proprio questa: la bellezza. Noi non amiamo che il bello, diceva ai suoi amici, e nulla ci attrae e ci avvince agli oggetti del nostro amore se non la convenienza e la bellezza, perché se ne fossero privi non ci attirerebbero affatto [11]. Quando poi a 32 anni scoperse il volto autentico della sapienza, cioè la natura di Dio, che è luce intellettuale piena d'amore, la passione per la bellezza divenne amore di Dio. "... mi si mostrò - scrive all'amico Romaniano - il volto della filosofia con piena evidenza. Magari avessi potuto mostrarlo, non dico a te che ne hai avuto sempre fame, ma a quel tuo avversario ... Anch'egli subito disprezzando e abbandonando le piscine circondate di palme e gli ameni frutteti e i delicati e sontuosi banchetti e i buffoni domestici ed infine quanto suscita in lui l'acre desiderio del piacere, convertitosi in amante tenero e rispettoso, volerebbe ammirato, bramoso e appassionato verso la bellezza di quel volto" [12]. Da quel momento Dio fu per Agostino non solo Verità, Eternità, Amore, ma anche Bellezza, anzi il "Padre della Bellezza" [13], "la bellezza di ogni bellezza" [14], "fondamento, principio e ordinatore per cui sono belle tutte le cose che sono belle" [15].
Da quel momento il rimpianto cocente di aver amato troppo tardi questa bellezza ineffabile, rimpianto espresso nelle Confessioni con le note commoventi parole: "Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai" [16]. Da quel momento l'abitudine di salire a Dio attraverso la bellezza delle cose: sia delle cose corporee - la bellezza dell'universo proclama infatti Dio creatore, e lo loda e a lui richiama il nostro pensiero [17] -; sia delle cose artistiche, poiché "tutte le cose belle, che attraverso l'anima passano nelle mani dell'artista, provengono da quella bellezza che sovrasta le anime e a cui giorno e notte l'anima mia sospira" [18], sia dalla storia umana, che scorre come un amplissimo carme modulato da una mano ineffabile che ci richiama alla contemplazione della bellezza di Dio [19], sia dell'anima nostra, in cui risiede la vera bellezza [20], che consiste nella natura stessa dell'anima fatta ad immagine di Dio [21], e nella virtù che essa coltiva, poiché la vera e la somma bellezza è la giustizia [22] o, come dice altrove lo stesso Dottore, la fede e la carità. L'anima diventa bella, amando Dio, che è bello; e quanto più cresce nell'amore tanto più cresce nella bellezza; poiché l'amore stesso, cioè la carità, è la bellezza dell'anima [23]. Da questa abitudine nasce quell'insistente richiamo di S. Agostino a non fermarsi all'universo sensibile, né all'arte, né alla storia, né all'animo umano; ma a trascendere tutto per salire alla fonte stessa della bellezza, per salire a Dio. Molti purtroppo sanno trarre da questa bellezza la misura per approvare le cose belle - infatti le approvano e le amano, mentre non potrebbero farlo se non avessero in sé la norma per giudicarle - ma non vi traggono la misura per goderne, perché nessuno può godere rettamente delle cose belle, se non ama prima di tutto la Bellezza e non si serve di loro per salire ad essa e possederla [24]. Quante volte S. Agostino abbia percorso questo itinerario non è possibile dirlo. Possiamo dire però che questo era il suo più profondo desiderio [25], che si applicava ad esso ogni volta che glielo consentivano gli obblighi del ministero pastorale [26], che il Signore premiava spesso questo suo impegno e questa sua fedeltà con i doni straordinari della contemplazione infusa.
"Spesso faccio questo, leggiamo nelle Confessioni, è la mia gioia, e in questo diletto mi rifugio, allorché posso liberarmi dalla stretta delle occupazioni. Ma fra tutte le cose che passo in rassegna consultando te, non trovo un luogo sicuro per la mia anima, se non in te. Soltanto lì si raccolgono tutte le mie dissipazioni, e nulla di mio si stacca da te. Talvolta m'introduci in un sentimento interiore del tutto sconosciuto e indefinibilmente dolce, che qualora raggiunga dentro di me la sua pienezza, sarà non so cosa, che non sarà questa vita" [27]. Bisogna dunque concludere che l'estasi di Ostia, così mirabilmente descritta nel libro 9° delle Confessioni, non è un caso isolato [28]. Del resto l'insistenza di S. Agostino sul tema dell'interiorità è anche un richiamo alla contemplazione. Si sa che l'interiorità agostiniana è una dottrina profonda e vastissima che comprende almeno quattro aspetti essenziali: filosofico, pedagogico, ascetico e mistico. La Regola, richiamandoci al desiderio della bellezza spirituale, ci richiama a questi ultimi due. Occorre infatti abituarsi a vivere gioiosamente in se stessi - ciò che non si ottiene se non attraverso un impegnativo sforzo ascetico - per salire, poi, attraverso la meditazione contemplativa, dall'anima nostra a Dio e fissare in lui lo sguardo della mente. La vita religiosa impegnandoci in questo sforzo ascetico ci prepara, per sua natura, alla contemplazione, che rappresenta, anche nei suoi gradi iniziali, un frutto e un nutrimento preziosissimo nella carità. Nelle sue forme più alte essa è un dono tanto straordinario, che possiamo umilmente chiedere, anche se non possiamo meritare. Fortificata da questo dono, l'anima "seguendo una certa dolcezza, una non so quale nascosta ed interiore delizia, come se dalla casa di Dio risuonasse soavemente un organo... astraendosi da ogni rumore della carne e del sangue, giunge fino alla casa di Dio... dove eterna è la festa, dove ciò che si celebra non passa" [29].
Dobbiamo aggiungere infine che S. Agostino era abituato a salire a Dio dalle bellezze di un'altra creatura, che, per essere unita ipostaticamente al Verbo, è piena di grazia e di verità, e perciò di bellezza inenarrabile: l'umanità sacrosanta di Cristo. Per gli occhi della fede tutto è bello in Cristo uomo: la nascita, la passione, la morte. Perché tutto è opera dell'amore. "Cristo ha trovato in noi molte cose brutte, dice S. Agostino ai fedeli di Cartagine, eppure ci ha amati: se noi troveremo qualcosa di brutto in lui, facciamo a meno di amarlo... Ma per chi capisce, anche il Verbo fatto carne è tutto bellezza... Bello come Dio... bello nel seno della Vergine... Dunque, bello nel cielo, bello qui in terra, bello nel seno (di sua madre), bello nelle mani dei parenti, bello mentre fa miracoli, bello mentre subisce i flagelli, bello quando invita alla vita, bello quando disprezza la morte, bello quando depone l'anima, bello quando la riprende, bello nella croce, bello nel sepolcro, bello in cielo... L'infermità della sua carne non distolga i vostri occhi dallo splendore della sua bellezza" [30]. Abbiamo ricordato sopra che S. Agostino esorta esplicitamente le vergini a contemplare la bellezza di Cristo, loro sposo. Vale la pena di riportare qui il testo intero. "Considerate la bellezza di colui che amate. Pensatelo uguale al Padre e obbediente anche alla madre; Signore del cielo e servo qui in terra; Creatore di tutte le cose e creato come una di esse. Contemplate quanto sia bello in lui anche quello che i superbi scherniscono. Con occhio interiore mirate le piaghe del crocifisso, le cicatrici del risorto, il sangue del morente, il prezzo versato per il credente, lo scambio effettuato dal redentore. Pensate al valore di tutte queste cose e ponetelo sulla bilancia dell'amore" [31].
3. ... esalanti il buon odore di Cristo
Al motivo della contemplazione, a cui la vita religiosa ci prepara e ci sprona, S. Agostino aggiunge il motivo, che non poteva mancare, dell'apostolato. Lo esprime con le parole di S. Paolo: siamo il buon odore di Cristo in ogni luogo [32], parole che valgono per tutti i fedeli - e S. Agostino lo sa [33] - ma che la Regola applica opportunamente alla vita religiosa. "Il Signore vi conceda di osservare queste norme ... come ... esalanti dalla vostra santa convivenza il buon odore di Cristo" [34]. È il motivo cristologico della spiritualità della Regola, un motivo profondo, essenziale, che nasce in S. Agostino dall'esperienza e dalla lunga meditazione del Vangelo. Penso che il lettore non ignori quale posto occupasse la sacra persona di Cristo nella vita e nel pensiero del Vescovo d'Ippona. Se ha letto le pagine delle Confessioni sul nome di Gesù bevuto col latte materno [35], nella scoperta di Cristo Redentore degli uomini e Mediatore di salvezza [36], sul comando di S. Paolo di rivestirsi di Gesù Cristo [37], sull'adesione a Lui, sacerdote e sacrificio, e perciò fonte della nostra fiducia [38], non potrà dimenticarle facilmente, tanto è grande la carica di affetto che egli vi ha infuso. In quanto al pensiero divino, che la teologia, la pietà e la storia trovano per S. Agostino una sola spiegazione, un solo nome che le illumini: il nome di Cristo.
L'accenno dunque della Regola non è occasionale, non è indifferente: è invece l'espressione, sia pure brevissima, d'una pietà profonda, d'una dottrina vastissima, d'una spiritualità che ha in Cristo l'alfa e l'omega. Occorre osservare poi che l'accenno della Regola si riferisce direttamente all'apostolato e, cosa non meno significativa, all'apostolato comunitario. Vuole cioè che la comunità religiosa sia tale che renda testimonianza a Cristo, ne diffonda la fragranza delle virtù, ne confermi con opere la dottrina, ne glorifichi il nome. Si tratta, come si vede, dell'apostolato cristiano più importante, quello della santità, che è apostolato di carità, di sofferenza, di gioia, e poi ancora, come risultanza di questo, apostolato di parola e di azione. La Regola vuole perciò che la comunità, vivendo in mezzo al popolo di Dio e con il popolo di Dio, sia un centro di alta spiritualità cristiana, e sia conosciuta come tale. Ricordiamo la posizione dei monaci di Cartagine: "Così, dicevano, ci comportiamo anche noi: attendiamo alla lettura in compagnia dei fratelli che vengono a noi stanchi delle agitazioni della vita mondana, per trovare, fra noi, la quiete nello studio della parola di Dio, nella preghiera, nel canto dei salmi, inni o cantici spirituali. Ci apriamo con loro, li consoliamo, li esortiamo al bene, costruendo in essi, cioè nella loro condotta, quanto a nostro avviso ancora vi manca, avuta considerazione dello stato in cui si trovano" [39]. Questa posizione non era sbagliata per ciò che affermava, ma per ciò che escludeva.
Escludeva infatti dalle occupazioni del monachesimo il lavoro manuale. Contro questo esclusivismo, che costituiva una disobbedienza al Vangelo e una causa d'inganno e di scandalo per i fedeli, si rivolse S. Agostino. È dunque necessario che ogni comunità, se in essa Cristo è veramente amato, sia una comunità "esemplare". Questa esemplarità nasce, come si sa, dalla carità, dall'osservanza regolare, dalla disponibilità al servizio della Chiesa, che è il Corpo di Cristo. Dalla carità, poi, nasce l'imitazione. "Se amiamo veramente, imitiamo: non possiamo rendere un frutto migliore dell'amore che mostrando l'esempio dell'imitazione" [40]. Per questo S. Agostino esorta particolarmente le vergini consacrate a salire su su per i gradi delle beatitudini, imitando in ciascuno di essi le corrispondenti virtù di Cristo. "Beati i poveri di spirito! Imitate colui che, essendo ricco, si è fatto povero per voi [41]. Beati i miti! Imitate colui che disse: Imparate da me, perché sono mite ed umile di cuore [42]. Beati coloro che piangono! [43] Imitate colui che pianse sopra Gerusalemme. Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia! Imitate colui che disse: Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato [44]. Beati i misericordiosi! Imitate colui che prestò soccorso all'uomo ferito dai briganti e abbandonato ai margini della strada mezzo morto, in condizioni disperate [45].
Beati i puri di cuore! Imitate colui che non commise peccato e sulla cui bocca non si è trovato inganno [46]. Beati i pacifici! Imitate colui che pregò per i suoi carnefici: Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno [47]. Beati i perseguitati per amore della giustizia! Imitate colui che patì per voi, lasciandovi un esempio affinché ne seguiate le orme [48]. Coloro che imitano l'Agnello in queste virtù, in queste stesse ne seguono le orme" [49]. Le vergini consacrate, inoltre, seguono, cioè imitano l'Agnello nello splendore della verginità. "Voi dunque - dice loro S. Agostino - seguite l'Agnello conservando con perseveranza ciò che avete consacrato a Lui con ardore" [50]. Come frutto di questa assidua e perseverante imitazione di Cristo, si sprigiona dalla comunità religiosa quella fragranza spirituale che, diffondendosi nella Chiesa e nel mondo, ne manifesta la presenza e la divinità. Questo è il primo e principale apostolato di ogni comunità religiosa, sia essa consacrata esclusivamente alla contemplazione, come le Monache di clausura, sia essa consacrata, anche, all'attività ministeriale o caritativa. E non si tratta di un apostolato di comodo, ma di rottura. S. Paolo lo ricorda nelle parole alle quali la Regola si riferisce - siamo il buon odore di Cristo tra coloro che si salvano e tra coloro che si perdono: per gli uni odore di morte... per gli altri odore di vita... [51] e S. Agostino lo commenta spesso, mostrandone il misterioso significato [52]. "La parola della croce infatti è stoltezza per coloro che se ne vanno in perdizione, ma per noi, che siamo nella via della salvezza, è la forza di Dio" [53]. Per questo S. Paolo non cessava di predicare Cristo crocifisso, anche se la sua predicazione era "uno scandalo per i Giudei, una stoltezza per i Gentili" [54]. Lo stesso fece S. Agostino.
La lunga e sofferta polemica contro i Pelagiani non ebbe altro scopo che questo: impedire che la forza della croce di Cristo fosse svuotata della sua sostanza e della sua efficacia; ut non evacuetur crux Christi [55]. Per questo le sue parole destarono scandalo, e qua e là lo destano ancora. Inutile mettere in luce il carattere decisamente moderno delle brevi parole della Regola che abbiamo brevemente commentato: il lettore se ne è accorto da sé. Oggi si parla molto, e giustamente, di testimonianza, ma è proprio la testimonianza in favore di Cristo che S. Agostino chiede alle sue comunità, una testimonianza individuale e collettiva. Oggi si parla molto e, ripetiamo ancora, giustamente, di autenticità, ma è proprio l'autenticità un'esigenza fondamentale della dottrina agostiniana in genere e della Regola in particolare. Il cristiano non è autentico se non è santo, ed è santo solo se è autentico. Autentico vuol dire sincero, convinto, conseguente, vero. Soprattutto vero. Autenticità e verità coincidono. Che cos'è infatti la verità se non l'armonia tra ciò che una cosa è e ciò che deve essere, cioè tra il nome e la realtà? Non per nulla S. Agostino ripete a ciascuno dei suoi religiosi, se non con queste parole, certo in questo senso: sii uomo; sii cristiano; sii servo di Dio; sii, se lo sei, sacerdote; sii te stesso. Sii te stesso; ma nell'ambito della dignità cristiana, perché la nostra personalità non può essere altro che la personalità di Cristo, né altra può essere la nostra libertà, se non quella che ci viene da Cristo. Con questa conclusione il discorso si riannoda al quarto motivo che S. Agostino mette in campo per indurre i suoi figli spirituali ad osservare con diligenza e amore le prescrizioni della Regola.
4. ... uomini liberi sotto la grazia
"Il Signore vi conceda di osservare queste norme con amore... non come servi sotto la legge, ma come uomini liberi sotto la grazia" [56]. Con queste parole la Regola riprende un tema caro a S. Paolo, caro più tardi a S. Agostino, caro in ogni tempo ad ogni anima nobile e generosa, che sente l'anelito per la libertà. Libertà va cercando, ch'è sì cara (Dante, Purg. 1, 71). È un tema eminentemente moderno. Lo sentono particolarmente i giovani, anche se qualche volta lo interpretano male. Non fa meraviglia: il tema della libertà è il più sentito, ma è anche quello che si presta più facilmente alla confusione e all'inganno. I termini sostanzialmente sono quelli antichi: libertà e dovere, ma la soluzione non è sempre la stessa. Spesso per difendere la libertà si crede necessario negare la legge, o almeno negare che la legge costituisca una norma obbligante. S. Paolo invece ha proclamato con grande forza la vocazione cristiana alla libertà [57], ma non per togliere di mezzo la legge - intendiamo la legge evangelica - bensì per rivelare il segreto che ci fa sentire la legge come un bisogno, non come un peso; come aiuto, non come un ostacolo; come una spinta, non come un freno. Questo segreto è la fede che opera per mezzo dell'amore [58], è la carità che lo Spirito Santo diffonde nei nostri cuori [59]. Infatti non abbiamo ricevuto lo spirito di schiavitù per ricadere ancora nel timore, ma abbiamo ricevuto lo spirito di adozione filiale per il quale esclamiamo: Abba, o Padre! [60]. Da questa grande verità nascono due luminose conclusioni, una sulla libertà, l'altra sulla legge, che l'Apostolo esprime così: dove è lo spirito del Signore ivi è la libertà [61], ... la legge non è fatta per l'uomo giusto [62]. S. Agostino ha sviluppato questa dottrina di S. Paolo particolarmente nel suo libro De spiritu et littera, un libro utilissimo, indispensabile per intendere la dottrina agostiniana sulla grazia. Vi si parla dell'osservanza servile della legge, e dell'osservanza liberale: la prima nasce dal timore che sente la legge come un'imposizione e come un freno, e quindi come minaccia di castigo; la seconda invece nasce dall'amore ed è fonte di gioia e di libertà [63]. Ecco un commento alle parole della Lettera ai Romani: Siamo stati giustificati gratuitamente per mezzo della grazia di Cristo [64].
"Non già - dice il Santo - che ciò avvenga senza la nostra volontà, ma la legge dimostra che la nostra volontà è debole, affinché la grazia la guarisca; e la volontà, guarita dalla grazia, osservi la legge, non più costituita sotto la legge, né più bisognosa della legge" [65]. Non più costituita sotto la legge, perché l'uomo giusto non è sotto la legge, ma nel cuore stesso della legge, in quanto la porta scolpita nel cuore e la osserva con amore; non più bisognosa della legge, perché l'uomo giusto ha raggiunto la santità e la dirittura morale, ed è diventato perciò norma a se stesso. Non si sente più servo, anche se serve, perché non è servo della legge, ma è servo di Dio. E Dio è amore. Coloro dunque che sentono il peso della legge - ammonisce S. Agostino - imparino a sentir la fame e la sete della giustizia e da servi si trasformeranno in figli. Con questo non cesseranno di essere servi: serviranno ancora, ma come figli; serviranno il Signore e il Padre liberamente [66]. Ne segue che saremo liberi solo a condizione di essere servi: liberi dal peccato, servi della giustizia [67]. È l'amore della giustizia o, come dice S. Agostino, la soave liberalità dell'amore per la giustizia che ci rende cristianamente liberi. Di questa inestimabile libertà il Vescovo d'Ippona fu difensore e cantore insieme. La libertà vera, quella che Cristo ci ha promesso e ci ha procurato - Se il Figlio vi libererà sarete veramente liberi [68] - consiste nell'essere spiritualmente sani [69]. L'uomo perciò è tanto più libero quanto più è sano spiritualmente, ed è tanto più sano quanto più è soggetto alla grazia [70]. Vale la pena di citare un altro testo agostiniano che dimostra quale vasta e profonda dottrina si nasconda nelle brevi parole della Regola che abbiamo citato. Dice dunque S. Agostino: "Forse rendiamo vano il libero arbitrio predicando la grazia?
Niente affatto. Ma piuttosto lo rafforziamo. Come non si rende vana la legge per mezzo della fede, ma si rafforza, così è del libero arbitrio per mezzo della grazia. Infatti la legge si osserva solo col libero arbitrio, ma, per mezzo della legge si ha la cognizione del peccato, per mezzo della fede s'impetra la grazia contro il peccato, per mezzo della grazia la sanità dell'anima dalla malattia del peccato, per mezzo della sanità dell'anima la libertà della volontà, per mezzo della libera volontà l'amore della giustizia, per mezzo dell'amore della giustizia il compimento della legge. Perciò come la legge non è resa vana ma rafforzata dalla fede, perché la fede impetra la grazia con cui si adempie la legge, così il libero arbitrio non è reso vano, ma è rafforzato dalla grazia, perché la grazia sana la volontà e la volontà sanata ami liberamente la giustizia" [71]. Verso questa méta sublime della libertà cristiana, che dà tanto valore all'osservanza della vita comune, e la rende facile e gioiosa, la Regola vuol sospingere ciascun religioso. Per questo gli ricorda l'opposizione che corre tra la schiavitù della legge e la libertà della grazia.
(1) - Cf. Confess. 13, 9, 10.
(2) - De mor. Ecd cath. 1, 15, 25.
(3) - Cf. Solil. 1, 1, 2.
(4) - De bono viduit. 21, 26.
(5) - Serm. 96, 1.
(6) - Cf. Enarr. in ps. 121, 1.
(7) - Ef 3, 14.
(8) - Cf. Ep. 140, 63.
(9) - De catech. rud. 12, 17.
(10) - In Io. Ev. tr. 96, 4.
(11) - Cf. Confess. 4, 13, 20.
(12) - Contra Acad. 2, 2, 6.
(13) - Solil. 1, 1, 2.
(14) - Confess. 3, 6, 10.
(15) - Solil. 1, 1, 3.
(16) - Confess. 10, 27, 38.
(17) - Enarr. in ps. 84, 9; 148, 15; Serm. 241.
(18) - Confess. 10, 34, 53.
(19) - Ep. 138, 5.
(20) - Ep. 3, 4.
(21) - Ep. 120, 19.
(22) - Enarr. in ps. 44, 3.
(23) - In Io. Ep. tr. 9, 9.
(24) - Confess. 10, 34, 53.
(25) - Cf. Miscell. Ag. I, p. 193; De opere monach. 29, 37.
(26) - Confess. 11, 22.
(27) - Confess. 10, 40, 65.
(28) - Confess. 9, 10, 23 ss.
(29) - Enarr. in ps. 41, 9.
(30) - Enarr. in ps. 44, 3.
(31) - De s. virg. 54, 55.
(32) - 2 Cor 2, 15.
(33) - Cf. Enarr. in ps. 21, 2.
(34) - Regola, 48.
(35) - Confess. 3, 4, 8.
(36) - Confess. 7, 21, 27.
(37) - Confess. 8, 12, 28-30.
(38) - Confess. 10, 43, 68-70.
(39) - De opere monach. 1, 2.
(40) - Serm. 304, 2, 2.
(41) - 2 Cor 8, 9.
(42) - Mt 11, 29.
(43) - Lc 19, 41.
(44) - Gv 4, 34.
(45) - Lc 10, 30-35.
(46) - 1 Pt 2, 22.
(47) - Lc 23, 34.
(48) - 1 Pt 2, 2 l.
(49) - De s. virg. 28, 28.
(50) - De s. virg. 29, 29.
(51) - 2 Cor 2, 15.
(52) - Enarr. in ps. 37, 9; 44, 22; 92, 2; Serm. 273, 5.
(53) - 1 Cor 1, 18.
(54) - 1 Cor 1, 23.
(55) - 1 Cor 1, 17.
(56) - Regola, 48.
(57) - Gal 5, 13.
(58) - Gal 5, 6.
(59) - Rom 5, 5.
(60) - Rom 8, 5.
(61) - 2 Cor 3, 17.
(62) - 1 Tim 1, 9.
(63) - De spiritu et litt. 14, 26.
(64) - Rom 3, 24.
(65) - De spiritu et litt. 9, 15.
(66) - De spiritu et litt. 32, 56.
(67) - In Io. Ev. tr. 41, 8.
(68) - Gv 8, 36.
(69) - De perf. iust. hom. 4, 9.
(70) - Ep. 157, 8.
(71) - De spiritu et litt. 30, 52.