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Contenuto Dottrinale

Milano: sant'Agostino in un dipinto di Foppa

sant'Agostino in un dipinto di Foppa

 

 

LA REGOLA: CONTENUTO DOTTRINALE

di p. Agostino Trapé

 

 

 

 

Capitolo terzo

L'UMILTÀ

 

Non si può scrivere un'introduzione, sia pur breve, alla Regola senza parlare dell'umiltà. Per molte ragioni. La prima è che l'umiltà, per S. Agostino, non si può separare dalla carità, né questa da quella: ubi humilitas, ibi caritas; dov'è l'umiltà, c'è anche la carità [156]. La seconda, che il dottore della grazia ha scritto un'ampia teologia dell'umiltà, illustrandone le radici metafisiche [157], teologiche [158], cristologiche [159], umane [160]. La terza, che l'umiltà è il fondamento dell'edificio spirituale [161] e l'unica via che porti alla sapienza [162]. La quarta, che l'umiltà è la casa dove abita il custode della verginità consacrata: custos virginitatis caritas, locus huius custodis humilitas; custode della verginità è la carità, la casa dove abita questo custode e l'umiltà [163]. La quinta ... Ma può bastare. Qui interessa l'umiltà nell'ambito della Regola. Per essere brevi si può dire così: l'umiltà insieme alla carità ne è la chiave interpretativa e ne svela il contenuto profondo e la forza di persuasione.

1. La natura maligna della superbia

Anzitutto, il discorso sulla superbia. Si trova proprio a inizio della Regola. Importante perché legato con le parole che ne costituiscono il nucleo centrale. Rivolto a "quelli che credevano di valere qualcosa nel mondo", cioè ai nobili e ai ricchi che entravano nel monastero - e in quel momento di fervido entusiasmo cristiano non erano pochi - dice loro di non vantarsi dei ricchi parenti e meno ancora di gloriarsi di aver portato al monastero i loro beni; "a che giova, si chiede, spogliarsi dei propri beni dandoli ai poveri e diventare povero, se la misera anima nel disprezzare le ricchezze diviene più superba che non quando le possedeva?" (n. 8).

Misura della virtù è l'umiltà, origine di ogni vizio la superbia: una dottrina su cui torna con appassionata insistenza il Vescovo d'Ippona. Rivolto, poi, agli altri, a quelli che provenivano da umili condizioni, li ammonisce paternamente di non "montarsi la testa" per il fatto di trovarsi associati a quelli cui non osavano avvicinarsi nel mondo; non cerchino le vanità della terra, siano umili. E aggiunge un motivo di profonda psicologia: "affinché i monasteri, se ivi i ticchi si umiliano e i poveri si vantano, non comincino ad essere utili ai ricchi e non ai poveri" (n. 7).

L'insistenza su questo tema dell'umiltà non sta solo nella condizione della vita in comune nella quale devono convivere in fraterna concordia quelli che provengono dalle più diverse condizioni sociali, ma soprattutto dalla natura perversa della superbia. S. Agostino lo spiega nella Regola stessa con queste parole: "Se infatti ogni altro vizio spinge a compiere azioni cattive, la superbia tende insidie anche alle buone per guastarle" (n. 8). Parole, queste, che convengono con quelle, non meno esplicite e più insistenti, della lettera al giovane Dioscoro. Dopo avergli detto che quando si tratta della via per giungere alla sapienza, che è Cristo, "la prima è l'umiltà, la seconda è l'umiltà, la terza è ancora l'umiltà", ne dà questa ragione: "perché la superbia ci strapperà senz'altro di mano tutto il merito del bene di cui ci rallegriamo, se l'umiltà non precede, accompagna e segue tutte le nostre buone azioni in modo che l'anteponiamo per averla di mira, la poniamo accanto per appoggiarci ad essa, ci sottoponiamo ad essa perché reprima il nostro orgoglio". Seguono altre parole che richiamano appunto quelle della Regola: "Poiché tutti gli altri vizi sono da temersi nelle azioni colpevoli; la superbia invece deve temersi anche nelle azioni buone, poiché le azioni per sé degne di lode vanno perdute se ispirate dall'amore della stessa lode" [164].

2. L'umiltà nella compagine della vita monastica

Sulla base di queste due ragioni - concordia nel monastero e fuga della superbia come il più maligno dei vizi - si svolgono e devono interpretarsi i precetti della Regola. L'umiltà è necessaria nel governo del monastero sia in chi comanda, sia in chi ubbidisce. Il primo "deve stimarsi felice non perché domina col potere, ma perché serve con la carità" [165] e, se esteriormente si trova ad essere più in alto degli altri, interiormente deve mettersi più basso di tutti "prostrandosi ai loro piedi davanti a Dio" (n. 46). Il secondo deve obbedire con diligenza ed umiltà, perché "obbedendo maggiormente, mostrerete pietà non solo di voi stessi ma anche di lui" (n. 47) [166]. L'umiltà è necessaria nel fare e nell'accettare la correzione fraterna la Regola tanto insiste (nn. 25-29). Chi fa la correzione non deve avere solo una grande carità, ma anche una grande umiltà pensando alla fragilità umana e a se stesso, interrogandosi se quel vizio che si appresta a correggere nell'altro lo abbia avuto mai egli stesso o se, avendolo avuto, o lo ha corretto o se ce l'ha tuttora: in quest'ultimo caso più che correggere deve invitare il confratello a gemere insieme per correggersi insieme [167]. In ogni caso dev'essere convinto "che non c'è peccato che ha commesso un uomo che non possa commettere un altro uomo se gli manca dall'alto la guida di Colui che ha fatto l'uomo" [168]. Non minore umiltà è necessaria in colui che riceve la correzione, tanto è vero che il legislatore, conoscendo bene il cuore umano più incline a difendere che a correggere i propri difetti, commina la pena dell'espulsione a chi, dopo la correzione, ricuserà d'accettare la pena (n. 27) [169].

L'umiltà è necessaria nel chieder perdono e nel perdonare le offese, un esercizio non infrequente di carità fraterna che non si può mettere in atto senza grande umiltà. Eppure è d'una importanza estrema, perché, dice la Regola, "chi si rifiuta di chieder perdono o non lo richiede di cuore, sta nel monastero senza ragione alcuna, benché non ne sia espulso" (n. 42) [170]. A questo dovere di umiltà nel chiedere perdono S. Agostino fa un'eccezione per il superiore che si accorga di aver ecceduto nella riprensione degli inferiori; la fa appunto perché l'umiltà, entrando in collisione con l'autorità, non ne indebolisca il vigore: "per salvare un'umiltà sovrabbondante non si deve spezzare il prestigio dell'autorità presso chi deve starvi soggetto" (n. 43).

Giudichi ognuno come vuole questa disposizione, ma essa rivela lo spirito acuto di S. Agostino che ha presente in tutta la Regola l'umiltà, ma ha presenti anche l'autorità, e vuole evitare che un'umiltà eccessiva, particolarmente presso coloro che non saprebbero apprezzarla, rechi detrimento all'autorità. Senza il rispetto dell'autorità una comunità religiosa non può avere né coesione né vita serena e prospera. Infine l'umiltà è necessaria per ricoscere le proprie colpe davanti a Dio e chiedergliene perdono, che è l'ultimo precetto della Regola. È interessante notare come i santi che hanno professato la Regola agostiniana abbiano compreso questa nota dominante dell'umiltà. Vale la pena di ricordare una santa del lontano medioevo, Chiara da Montefalco, che come superiora non fece che raccomandare questa virtù quale fondamento di tutte le altre [171].

 

 

 

(156) - In Io. Ep. tr., Prol.

(157) - In Io. Ev. tr. 5, 1; De Trin. 15, 22, 5 l.

(158) - Ep. 186, 3, 10; 194, 4, 17; Confess. 2, 7, 15.

(159) - De s. virg. 31, 31-52. 53; Enarr. in Ps. 31, 18.

(160) - Serm. 99 6; Confess. 2, 7, 15.

(161) - Serm. 69, 2.

(162) - Ep. 118, 22.

(163) - De s. virgin. 51, 52.

(164) - Ep. 118, 3, 22.

(165) - Sul concetto di superiore-servo, cf. A. TRAPÈ, Il sacerdote uomo di Dio a servizio della Chiesa, Città Nuova, Roma 1985 2 pp. 108-138.

(166) - Vedi appresso, c. 8

(167) - De serm. Domini in monte 2, 19, 64.

(168) - Serm. 99, 6.

(169) - Vedi appresso, c. 4.

(170) - Vedi appresso, c. 4, § 3.

(171) - Cf. A. Trapè, La spiritualità di S. Chiara e la Regola di S. Ag., in Atti, 10 Conv. di spir. clariana, Montefalco 1985.