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Contenuto Dottrinale

Milano: sant'Agostino in un dipinto di Foppa

sant'Agostino in un dipinto di Foppa

 

 

LA REGOLA: CONTENUTO DOTTRINALE

di p. Agostino Trapé

 

 

 

 

Capitolo decimo

FRUGALITÀ E MORTIFICAZIONE

 

Accanto alla preghiera, e intimamente collegato con essa, v'è un altro mezzo che l'ideale cristiano propone come nutrimento della carità: la frugalità e la mortificazione. La Regola ne parla, ma secondo il solito, brevemente. Domate la vostra carne con digiuni ed astinenza dal cibo e dalle bevande, per quanto la salute lo permette. Ma se qualcuno non può digiunare, non prenda cibi fuori dell'ora del pasto se non quando è malato [321]. Sono parole d'una discrezione singolare. Per ammirarne la portata innovatrice occorre ricordare che furono scritte quando nei monasteri d'Oriente e d'Occidente era in vigore la pratica di digiuni lunghi e rigorosi e la pratica di una astinenza severa ed estenuante. I digiuni duravano spesso tre giorni continui senza cibo o bevanda alcuna [322], e molti digiunavano per tutta la vita cinque giorni alla settimana [323], l'astinenza, poi, escludeva non solo il vino e le carni - cosa allora ordinaria - ma ogni genere di cibi cotti. Anche gli infermi, scrive S. Girolamo, usano solo l'acqua; mangiare qualcosa di cotto è ritenuto, poi, un atto di lussuria [324]. Perciò non si può non ammirare la discrezione della Regola che enuncia il precetto generale e ne indica i limiti, fa un'eccezione per i deboli e un'altra ancora per gli ammalati.

1. Legge evangelica

Il precetto generale, che fa parte del messaggio evangelico, è il seguente: Domate la vostra carne con i digiuni e l'astinenza. Digiuno e astinenza significano, spiega altrove S. Agostino, la mortificazione in genere [325]. Ora non v'è chi non sappia che la mortificazione è una legge evangelica [326], legge che S. Paolo ha inculcato ripetutamente e insistentemente [327], come condizione di salvezza: Coloro che appartengono a Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e le sue voglie [328]. È noto pure che S. Agostino prese molto sul serio questa legge. Le Confessioni lo documentano. Nella seconda parte del libro 10° troviamo un ampio, minuzioso, spietato esame di coscienza intorno ai peccati della sensibilità, della curiosità e della superbia, che ci dimostra, senza volerlo, a quale alto grado di purificazione interiore il Santo era giunto [329]. La necessità della purificazione non nasce dal male del corpo o della materia, poiché nulla è male di ciò che Dio ha creato, e il corpo non è qualcosa di estraneo all'anima, ma è un componente essenziale della natura umana - S. Agostino difende energicamente questa verità contro il platonismo [330] - ma nasce dalla "guerra civile" tra la ragione e i sensi sorta nell'uomo a causa del peccato originale. La purificazione quindi non ha lo scopo di mortificare l'amore, ma quello di liberarlo dalle scorie del male, perché diventi più autentico e più vero, e perciò più forte e più generoso. "Nessuno vi dice - sono parole di S. Agostino al suo popolo - nessuno vi dice: non amate niente. Tutt'altro! Sareste pigri, morti, detestabili, miseri, se non amerete nulla. Amate, ma state attenti a ciò che amate. L'amore di Dio e l'amore del prossimo si chiama carità; l'amore del mondo, l'amore di questo secolo si chiama cupidigia. Sia frenata la cupidigia e sia stimolata la carità" [331].

È noto a questo proposito l'aforisma agostiniano: "il nutrimento della carità è la diminuzione della cupidigia: la perfezione il non avere cupidigia" [332]. Meta altissima questa a cui non è possibile giungere qui in terra; ma meta necessaria, a cui si deve aspirare di continuo attraverso l'opera della purificazione e dell'ascetismo cristiano. Si tratta in fondo di ristabilire l'ordine e di creare i presupposti della pace: la pace tra l'anima e Dio per mezzo della carità, la pace tra la ragione e i sensi per mezzo della purificazione [333]. Inoltre la purificazione è legata strettamente, per S. Agostino, alla contemplazione. Unendo questi due concetti egli si riferisce alla settima delle beatitudini evangeliche che dice: beati i puri di cuore perché vedranno Dio. "Tutto il nostro sforzo in questa vita - così egli al popolo - consiste nel sanare l'occhio della mente con cui si vede Dio. Per questo si celebrano i sacrosanti misteri, per questo si predica la parola di Dio, per questo le esortazioni della Chiesa ... L'occhio della mente infatti è simile all'occhio del corpo: come questo, se è disturbato da qualcosa di estraneo, si chiude alla luce e, benché questa gli brilli intorno, se ne allontana e ne resta assente, così l'occhio della mente, turbato e ferito dal disordine delle passioni, si allontana dal sole della giustizia e non osa contemplarlo, né può" [334].

Quello della purificazione è un impegno essenziale della vita religiosa, inseparabile dalla preghiera, condizione sine qua non del progresso spirituale. Fa parte di quell'impegno totale che si richiede per raggiungere la sapienza. "Non raggiungerai il vero - ammonisce S. Agostino l'amico Romaniano - se non ti darai tutto alla filosofia" [335]. Ed ecco l'ammonimento che dà allo stesso tempo, nel De ordine, ai giovani: "I giovanetti che si applicano al conseguimento della sapienza devono vivere in maniera da astenersi dalla libidine, dalle lusinghe del ventre e della gola, dall'esagerata cura e ornamento della persona, dalle frivole occupazioni nei giuochi, dal torpore dell'accidia e della pigrizia, dall'emulazione, maldicenza e invidia, dall'ambizione agli onori e ai poteri e perfino dal desiderio smoderato della fama. Siano convinti che l'amore al denaro è sicuro veleno di ogni loro nobile aspirazione. Non agiscano né da codardi né da temerari. Nei confronti delle colpe dei soggetti cerchino di superare l'ira o la frenino in maniera da poterla considerare superata. Non portino odio ad alcuno. Trovino rimedio ad ogni vizio" [336]. Come S. Agostino stesso fin dal momento della conversione s'impegnò in quest'opera si può vedere dal primo libro dei Soliloqui che è, dopo la lunga, mirabile preghiera a Dio, tutto una considerazione sulla necessità di purificare l'anima per giungere a contemplare la bellezza di Dio. "L'anima, vi si legge, ha bisogno di tre disposizioni: che abbia occhi di cui possa ben usare, che guardi, che vegga. Occhio dell'anima è la mente immune da ogni macchia del corpo, cioè già separata e purificata dai desideri delle cose caduche [337].

2. Digiuno e astinenza

In quest'opera di purificazione occupano un posto speciale, per la veneranda tradizione della Chiesa e per l'efficacia pratica, il digiuno e l'astinenza. Per questo la Regola ne parla esplicitamente. S. Agostino, seguendo il consiglio e l'esempio di S. Ambrogio, voleva che ci si attenesse all'uso della chiesa locale [338]. Ma sul dovere di attenersi a quest'uso è piuttosto severo. Si ricordi il caso del sacerdote Abundanzio: il grande provvedimento a suo carico fu motivato, fra l'altro, dalla provata infrazione alla legge del digiuno [339]. Vale la pena di ricordare qui una norma del monastero dei chierici, che era in vigore certamente anche in quello dei laici: nessuno poteva pranzare o cenare fuori del monastero. "Dico anche questo: se per caso nel nostro monastero o nella nostra comunità qualcuno sia malato o convalescente, ed a questi sia necessario ristorarsi prima dell'ora del pranzo, non proibisco alle pie persone - uomini o donne - di portare loro quanto sembri opportuno: ma che nessuno pranzi o ceni fuori dal monastero" [340]. In quanto alla pratica del digiuno e dell'astinenza nei monasteri la Regola indica però un limite: per quanto la salute ve lo permette. La salute: limite doveroso, che preclude gli eccessi e dà una norma sapiente; norma che vale per tutti, e varia per ciascuno; varia secondo la costituzione fisica, le occupazioni, la resistenza. Una norma flessibile dunque che rispetta le condizioni dei singoli, cioè, si direbbe oggi, la personalità. Anzi, a questa norma generale, così sapientemente modulata, la Regola fa un'eccezione generale. L'eccezione è a favore di quelli che non possono digiunare. Si suppone che non lo possano o perché deboli di costituzione o perché occupati in lavori pesanti o anche perché le abitudini della vita precedente non consentono il passaggio immediato alle austerità monastiche. In questo caso però la Regola vuole che non si prenda cibo alcuno fuori dell'ora dei pasti. Ma se qualcuno non può digiunare, non prenda cibi fuori dell'ora del pasto [341]. Anche questa prescrizione è molto sapiente e, vorremmo aggiungere, molto moderna. Ai cibi si dovrebbero aggiungere, nello spirito della Regola, anche le bevande. Se le condizioni odierne hanno consigliato la Chiesa e spesso consigliano anche le comunità religiose ad attenuare il rigore dei digiuni, la prescrizione della Regola non solo conserva tutto il suo valore, ma cresce di valore e di attualità. Se non si può digiunare, si stia almeno all'oratio determinato nel prendere i cibi e le bevande necessarie. Anzi questa dovrebbe essere un'abitudine costante della vita del pio religioso. Ma anche a questa prescrizione la Regola fa un'eccezione, che è la malattia: se non quando - aggiunge - è ammalato [342]. Vorremmo aggiungere che S. Agostino dà al digiuno anche un significato caritativo, cioè sociale. Ciò che dirà bellamente S. Leone Magno: "diventi refezione del povero l'astinenza del digiunatore" [343], egli lo aveva detto non meno bellamente, anzi, per l'accenno esplicito al corpo mistico, più bellamente, con queste parole: "Riceva Cristo affamato ciò che prende in meno il cristiano che digiuna... La volontaria povertà del ricco diventi la necessaria ricchezza del povero" [344].

3. Frugalità religiosa

Occorre dire, infine, che la prima forma di digiuno e di astinenza, e quindi di purificazione, è la frugalità. La Regola lo ricorda con quel principio che abbiamo messo in rilievo più volte: è meglio aver meno bisogni che avere più cose. In realtà l'esempio che dava S. Agostino ai suoi religiosi era eloquente. Del suo tenore di vita nell'episcopio, non diverso certamente da quello che aveva tenuto nel monastero dei laici, dice Possidio: "Usava d'una mensa frugale e parca, che ammetteva talvolta, fra erbaggi e legumi, anche la carne, per riguardo agli ospiti e ai fratelli più deboli". Possidio aggiunge: "sempre poi aveva il vino" [345], ma i bicchieri, ci fa sapere altrove il biografo, erano stabiliti [346]. L'uso della carne e del vino era, per quei tempi, un'innovazione ardita che Possidio sente il bisogno di spiegare citando S. Paolo e un passo delle Confessioni [347]. Pensiamo che a questo modo di fare non fosse estranea una ragione d'opposizione ai manichei. Possidio, completa il quadro con queste altre parole: "Solo i cucchiai aveva d'argento; invece i recipienti in cui si portavano le vivande in tavola erano di terracotta o di legno o di marmo; e questo non per necessità o per indigenza, ma per deliberato proposito" [348]. Terminiamo ricordando un passo del Contra Academicos, dove si dice che Agostino mangiava quanto era strettamente necessario per estinguere la fame [349] e che talvolta stava tanto poco a tavola che l'inizio del pranzo coincideva con la fine [350]. Dalle Confessioni poi citeremo solo queste parole: "Tu mi hai insegnato, o Signore, ad accostarmi agli alimenti per prenderli come medicamenti" [351]. Ma qualche volta dimenticava anche questa norma. Dice infatti Possidio che ascoltava con "religiosa diligenza" tutti quelli che andavano da lui "talvolta fino all'ora della refezione, talvolta prolungando anche per tutto il giorno il digiuno" [352].

 

 

 

(321) - Regola, 14.

(322) - Cf. De mor. Eccl. cath. 1, 33, 70.

(323) - Cf. Ep. 36, 8.

(324) - Ep. 22, 7.

(325) - De perf. iust. hom. 8, 18.

(326) - Cf. Mt 16, 24.

(327) - Rom 8, 13; Gal 6, 14; Col 3, 5; 2 Cor 4, 10.

(328) - Gal 5, 24.

(329) - Confess. 10, 29, 40-41, 66.

(330) - Cf. Enarr. in ps. 141, 18-19; Retract. 1, 4, 3.

(331) - Enarr. in ps. 31, s. 2, 5.

(332) - De div. qq. 83, q. 36, 1.

(333) - Cf. Enarr. in ps. 143, 6.

(334) - Serm. 88, 5.

(335) - Contra Acad. 2, 3, 8.

(336) - De ordine 2, 8, 25.

(337) - Solil 1, 6, 12.

(338) - Ep. 36, 32.

(339) - Cf. Ep. 61.

(340) - Serm. 356, 13.

(341) - Regola, 14.

(342) - Ivi.

(343) - S. LEONE M., Serm. 13.

(344) - Serm. 210, 12; Enarr. in ps 52, 8.

(345) - POSSIDIO Vita S. Aug. 22, 2.

(346) - POSSIDIO Vita S. Aug. 25, 2.

(347) - Confess. 10, 31.

(348) - POSSIDIO, Vita S. Aug. 22, 5.

(349) - Contra Acad. 2, 6, 14.

(350) - Contra Acad. 3, 4, 7.

(351) - Confess. 10, 44.

(352) - POSSIDIO, Vita S. Aug. 19, 2