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L'africa romana: Museo del Bardo a Tunisi

Piano terra del Museo del Bardo con le sale di esposizione dei reperti archeologici

Piano terra del Museo del Bardo

 

 

IL PIANO TERRA DEL MUSEO

 

 

 

Dalla sala 1 che racconta delle vicende preistoriche dell'area litoranea e interna della Tunisia si accede alla sala 2, detta del tophet di Cartagine: vi sono riuniti steli, cippi e ceramiche provenienti dal santuario della metropoli punica dove, dopo i sacrifici, le ceneri delle vittime erano raccolte in urne poste ai piedi di un piccolo monumento votivo. Si noti un trono decorato da un betilo (VI secolo a. C.), la cui dedica a Baal Hammon è una delle più antiche iscrizioni puniche conosciute.

A fianco sono esposti stele e cippi funerari recanti il simbolo della dea Tanit, sormontato da un disco o da una mezzaluna (V-IV secolo a. C.). Al centro della sala è un obelisco raffigurante un sacerdote che conduce un bambino destinato al sacrificio (V-IV secolo a. C.). Altri cippi e stele votive (IV-II secolo a. C.) permettono di seguire l'evoluzione grafica del simbolo di Tanit.

Corridoio A: le stele votive esposte, risalenti al III-II secolo a. C., provengono dal tophet di Sousse.

Sala 3, detta dei gioielli punici: collezioni di gioielli e amuleti in stile egizio ed ellenistico, eseguiti tra il VII e III secolo a. C. Questi oggetti, in parte importati in parte fabbricati sul posto, sono stati rinvenuti in tombe di Cartagine, Utica e capo Bon. Si tratta di collane, oinochoe, scarabei, sigilli, anelli, fibule e pendenti, di amuleti con i relativi astucci, di vasetti per profumi e di piccole maschere in vetro dorato.

Il pezzo più importante è una corazza da parata, di provenienza campana, che appartenne a un soldato di Annibale; scoperta in un sarcofago ligneo a Ksour-Essaf, nel Sahel, è in bronzo e presenta una testa di Minerva in rilievo, sormontata da due scudi.

Sala 4: comprende vari oggetti facenti parte del corredo funerario di tombe puniche e ordinati cronologicamente dalla vetrina l (VII secolo a. C.) alla vetrina 9 (III secolo a. C.). La ceramica è di provenienza corinzia (VII-VI secolo; vetrine 1, 3 e 5), etrusca (VI secolo a. C.; vetrine 1, 3 e 5), magnogreca (VI secolo a. C.; vetrina 6) e campana (IV- II secolo a. C.; vetrine 7, 8 e 9); figurine in terracotta e oggetti in bronzo e vetro completano la collezione. L'influsso egizio si ritrova in modo particolare nelle maschere raccolte nella vetrina 2: quelle degli uomini, dal volto contratto in una smorfia, proteggevano le tombe dal male, mentre quelle delle donne, sorridenti, attiravano gli spiriti del bene.

Ma al mondo egizio si rifanno, nella decorazione, anche sei rasoi a forma di accetta, che sono però di fabbricazione punica. Nella vetrina centrale si trovano manici di oinochoe in bronzo, ornati di teste femminili greche o egizie, di maschere di Sileno o di palmette, nonché oinochoe in bronzo di importazione o imitazione greca e alessandrina (V-IV secolo a. C.), che circondano una bella giara in alabastro di produzione egizia (VI secolo a. C.).

Corridoio B: in una vetrina sulla sinistra, uscendo dalla sala 4, grandi statue arcaicizzanti in terracotta provenienti da un santuario rurale dei dintorni di Korba (I secolo a. C.); tali opere, assai restaurate, furono eseguite riutilizzando stampi più antichi (V-IV secolo), probabilmente di origine siciliana: rappresentano Demetra, dea dell'agricoltura e della fecondità, Kore (Persefone), la cui ciclica riapparizione sulla terra simboleggia il ritorno della primavera, e Ade (Plutone), dio degli Inferi e rapitore di Kore. Molto interessante anche un sarcofago punico in legno del III secolo a. C. Di fronte alla porta che dà accesso alla sala del Museo Arabo sono alcune stele provenienti dalla pianura cerealicola di Ghorfa (Tunisia centrale): molti esemplari hanno forma ovoidale e una delle facce presenta una decorazione a bassorilievo suddivisa in tre registri.

Queste stele, prodotte in ambiente berbero tra il II secolo a. C. e il I d. C., sono espressione del sincretismo che unisce antiche credenze puniche (riferimento a Tanit-Caelestis) a credenze greco-romane (riferimenti a Dioniso, Afrodite, Zeus, Hermes) e a concezioni naturalistiche fenicie. Come per le stele consacrate a Baal Hammon (ma su queste ultime i nomi sono di origine libica o punica), i temi sono tratti dalla vita dei campi. Hanno importanza anche il disco solare e la falce di luna, che si ritrovano per esempio dietro una testa di Tanit (n. 21) datata al I secolo a. C. Si noterà su molte delle stele la raffigurazione, a rilievo appiattito e senza rispetto della prospettiva, di elementi di un tempio (colonnato del pronao, soffitto a cassettoni, frontone). Altro pezzo interessante è un betilo, costituito da un grosso sasso scolpito con una testa umana e orecchie di animale (V secolo a. C.). Nell'ultima parte del corridoio, in connessione con la collezione esposta nel corridoio D, si nota il bel sarcofago delle Nove Muse (III secolo) e la parte anteriore di un altro sarcofago, ornata di strigili che inquadrano una corona d'alloro.

Sala 5, detta sala cristiana: vi sono esposti mosaici provenienti da chiese paleocristiane o bizantine (IV-VII secolo), insieme a monumenti sepolcrali da necropoli e mausolei. Al centro, fonte battesimale cruciforme in marmo, del VI secolo, proveniente da una chiesa di el-Kantara, sull'isola di Jerba. Presso l'ingresso si trovano mosaici pavimentali rinvenuti a Cartagine (Bir Ftouha) e nell'edificio detto «monastero di S. Stefano»; questi ultimi erano ornati di medaglioni con i nomi dei santi di cui l'edificio custodiva le reliquie: Stefano, le martiri di Cartagine Perpetua e Felicita (i cui nomi sono scomparsi) e i loro compagni. Vi sono poi pavimenti provenienti da Fumos Minus (impiantito con la rappresentazione di Giona e la balena, ritratta come il drago marino Cetus), dal mausoleo di Blossius Honoratus (Daniele nella fossa dei leoni) e da Oued Remel (rappresentazione incompleta della costruzione di una chiesa).

Molti degli altri manufatti esposti sono mosaici tombali (coperchi di tombe o di fosse d'inumazione), il cui uso era frequente nelle chiese africane. Sulla parete dell'ingresso, il gruppo proveniente dalla «cappella dei martiri» di Tabarka. Da notare tre celebri rappresentazioni: la prima è quella di una chiesa simbolica «Ecclesia Mater» sulla tomba di Valentia: a destra la facciata, al centro la navata, vista in sezione, con un altare sul quale bruciano tre torce, sopra il tetto, visto dall'esterno, e a sinistra l'abside, vista dall'interno e preceduta da una scala; la seconda è quella all'interno di un pannello con due defunti: uno scriba (contabile?) barbuto, assiso davanti a un leggio, e una donna anziana di nome Victoria; la terza infine è una scena di caccia che sormonta l'epitaffio di un diacono di nome Crescentius. Gli altri mosaici funerari provengono da Cartagine, Thuburbo Majus, Fumos Minus (Borj el-Loudi), capo Bon ecc.

Da notare anche un esemplare di cassone funerario (tomba allestita sopra il pavimento e ornata di mosaici nei lati visibili). In questa sala sono esposti anche alcuni sarcofagi in pietra o in marmo, tra cui quello di Tilla (Hammam-Lif) che rappresenta a bassorilievo Giona, Daniele e il Buon Pastore.

Corridoio C: alle pareti, piastrelle in terracotta decorate a rilievo o dipinte, un tempo utilizzate per il rivestimento di muri e soffitti delle basiliche; provengono da Cartagine, Kasserine, Bou-Ficha, el-Jem e altri siti della regione di Kairouan. Il Vecchio e il Nuovo Testamento hanno ispirato i temi cristiani (figure di santi), ma ricorrono anche motivi puramente decorativi (cervi, leoni, lepri, come pure vari tipi di fiori stilizzati).

Sala 6, detta di Bulla Regia: vi sono esposti un mosaico di pregevole fattura e alcune statue provenienti dall'antica Bulla Regia, che ebbe notevole prosperità nel III e IV secolo. Il mosaico di Perseo e Andromeda (III-IV secolo) ornava l'oecus di una ricca villa romana: Perseo, che ha appena ucciso il mostro marino, aiuta Andromeda ad abbandonare lo scoglio al quale era incatenata, mentre una divinità marina assiste alla scena. Le sculture (ritratti e statue provenienti da un tempio dedicato ad Apollo e agli dei Augusti) datano alla metà del II secolo d. C.; nelle nicchie, le tre statue, una volta nella cella del tempio, rappresentano Apollo citaredo, Esculapio e Cerere con diadema. Le altre opere raffigurano le divinità protettrici della città o personaggi illustri e benefattori della stessa, tra cui gli imperatori Lucio Vero e Marco Aurelio.

Tra i ritratti di imperatori romani provenienti da varie località della Tunisia (I-III secolo), si segnala quello di Gordiano, attribuito oggi, più verosimilmente, a un sacerdote del III-IV secolo. Sale paleocristiane: in questa sezione del museo sono raccolti vari frammenti architettonici provenienti da chiese paleocristiane della Tunisia, mosaici e alcuni fonti battesimali; quello rinvenuto in una chiesa scavata negli anni '50 a nord di Kelibia costituisce il pezzo più importante della collezione. Risalente probabilmente al VI secolo, è composto da una vasca cruciforme a quattro alveoli e reca sul bordo una lunga dedica che fa riferimento ai donatori e a un vescovo di nome Cipriano (il martire di Cartagine o un vescovo locale?); il mosaico contiene svariati motivi decorativi: croci, rami fioriti, una colomba col ramoscello d'olivo, una rappresentazione simbolica dell'arca di Noè, un calice ed elementi di fauna marina.

Tutt'intorno sono mosaici tombali, tra cui quelli provenienti dalla stessa chiesa, lucerne, vasi in argilla rossa detta «sigillata D», piastrelle in terracotta, croci, monete (IV-VII secolo), un piatto di vetro inciso con figure di apostoli proveniente da Cartagine e una pisside d'avorio rinvenuta a Junca.

Corridoio D, detto dei sarcofagi e delle stele: raccoglie monumenti funebri e votivi compresi tra l'inizio del II e la fine del V secolo d. C.; oltre a costituire un'importante testimonianza della vita quotidiana dell'epoca, tali opere confermano il contrasto esistente tra l'arte romana ufficiale, che è soprattutto quella delle città imperiali, e una corrente artistica popolare, alimentata, fino al IV-V secolo, da tradizioni locali fortemente radicate in ambiente rurale. Tuttavia alcuni dettagli, come gli abiti (la tunica e, talvolta, la toga) o le stesse iscrizioni latine mostrano che vi era un consistente interscambio. Tra i pezzi più interessanti, si segnala sulla sinistra, all'ingresso della sala, un sarcofago scolpito (Ucubi; III secolo), raffigurante un paesaggio con boschi, due Eros funebri e il pastore Endimione sprofondato nel sonno eterno da Selene, dea della Luna. Al di sopra è posto un architrave scolpito proveniente da Maktar (III secolo): lo decorano anteriormente una maschera, un'aquila e delle protomi di animali, lateralmente gli attributi di Bacco e di Cerere.

Nel piccolo ambiente annesso al corridoio sulla destra: colonna votiva a Bacco, con la lista di coloro che eressero il monumento e al centro Bacco; stele della sacerdotessa Calpennia Victoria, ritratta in piedi su un altare; stele a Saturno (regione di Siliana) e cippo funerario in muratura e stucco (III secolo). Nel corridoio: a destra bel sarcofago (Cartagine; inizi IV secolo), con i simboli della scienza che possedeva il defunto, e, sulla sinistra, un cippo funerario di una famiglia di difensores publici. Nel secondo piccolo annesso si trovano un sarcofago (Korba; III secolo) le cui sculture rappresentano una porta, che si apre sotto un frontone sorretto da due colonne, e due figure, verosimilmente i ritratti dei due defunti; una serie di ex voto a Saturno; una statua funebre (fine III secolo) di un uomo, dal volto rude ed espressivo, che reca gli attributi di Ercole (la presenza di spighe e papaveri attesta che il defunto era stato iniziato ai misteri di Cerere). Più avanti nel corridoio sono vari sarcofagi ornati e un fronte di sarcofago decorato con due sposi circondati dalle Quattro Stagioni.

Di fronte alla porta del Museo Arabo, bel soffitto (Korba; II secolo) raffigurante Giunone, ritratta insieme a due divinità assise, che regge le briglie di una carrozza tirata da pavoni. Sul pavimento, davanti alla porta del corridoio che conduce alla sala di Thuburbo Majus, mosaico (Thuburbo Majus; IV secolo) raffigurante due pugili, uno dei quali, ferito alla testa, si accascia davanti all'avversario. Nell'asse del corridoio: cippo funerario (Gabès; I secolo) di Quarta, sacerdotessa di Cerere (l'iscrizione è bilingue, latina e neopunica). All'estremità del corridoio, sulla destra, bassorilievo (dintorni di Béja; III secolo) dedicato a sette divinità libiche.

Corridoio E: varie stele votive, tra cui quelle a Cerere che raffigurano tempietti, frammenti di sculture, iscrizioni dedicatorie, ma soprattutto resti di una grande statua di Giove Serapide e di una fontana semicircolare (III secolo) decorata da un mosaico raffigurante un paesaggio marino e degli Amorini.

Sala 8, detta di Thuburbo Majus: sono qui esposti mosaici e sculture, datati in prevalenza al III-IV secolo d. C., che provengono da ricche dimore, da monumenti pubblici e da un tempio trasformato in chiesa dell'antica città. Il pavimento della sala è costituito da un mosaico che ornava l'oecus di una casa situata nei pressi del foro; ghirlande ripartiscono la superficie in quadrati, mentre i medaglioni contengono dei fiori; conchiglie e tralci completano la decorazione.

Contro la parete di sinistra (entrando), grande mosaico a nove medaglioni (III secolo), nei quali si inscrivono delle corone; all'interno di ognuna di esse un uccello becca da un ramo. Un altro mosaico (III secolo) contiene rettangoli delimitati da ghirlande di alloro; altre conchiglie, orientate verso il centro, indicano il grande medaglione ottagonale che accoglie un fiorone, mentre crateri con tralci carichi di frutta e fiori simboleggiano le Stagioni. Addossata al pilastro centrale della parete di fondo è una statua di Ercole in marmo, eretta dalla corporazione dei Sagarii (il «sagum» era un abito di origine gallica) di cui Ercole era patrono. Alla parete di destra (entrando), resti di fregi provenienti dalle terme d'Inverno e decorati da tralci di acanto e fili di perle che inquadrano vari animali. Tra le sculture e i ritratti il pezzo più interessante è un piccolo bassorilievo, fissato al pilastro di fronte all'ingresso, che rappresenta le Menadi danzanti; in stile neoattico, è probabilmente opera di un artista greco, come suggeriscono il vivace movimento del corpo e la morbidezza del drappeggio.

Si torna alla sala cristiana (5) per prendere lo scala che conduce al primo piano. Le pareti della scala sono rivestite di mosaici funerari paleocristiani, provenienti da necropoli ed edifici cristiani di Tabarka, Sbeitla, Dougga, Lemta, Sfax, Korba ecc., e datati al IV-V secolo Tali mosaici, che rappresentano talvolta i defunti mentre pregano, recano epitaffi e simboli cristiani: colombe, agnelli, barche. Sulla destra, bel pannello con croce monogrammatica dorata e ornata di gemme, rinvenuto sotto l'altare di una chiesa di Sbeitla. Sul secondo pianerottolo, statua di Apollo proveniente dal teatro di Cartagine (II secolo).