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L'africa romana: Museo del Bardo a Tunisi

Sale espositive del piano primo del Museo del Bardo

Sale espositive del piano primo del Museo del Bardo

 

 

IL PRIMO PIANO DEL MUSEO DEL BARDO A TUNISI

 

 

 

Si accede sulla sinistra alla sala 9, detta di Cartagine Romana; la maggior parte delle statue e delle sculture raccolte in questo ambiente, che fu un tempo il patio del palazzo, è stata scoperta nel corso degli scavi dell'omonima città. Al centro, altare dedicato alla gens Julia (fine I a. C.- inizi I secolo d. C.), con i quattro lati ornati di bassorilievi:

a) Enea, capostipite della gens, fugge da Troia portando con sé il padre Anchise e il figlioletto Ascanio;

b) Roma, in costume da amazzone e assisa su un mucchio di armi, tiene in mano una spada e una Vittoria;

c) il sacrificio di un vitello, in cui l'officiante sembra essere l'imperatore Augusto;

d) rappresentazione di Apollo, protettore dell'imperatore, con i relativi attributi (cetra, grifone e tripode).

Davanti all'altare, bellissimo pavimento di oecus proveniente da una casa di Oudna (II-III secolo). La scena rappresenta Dioniso che regala una vigna al re dell'Attica Ikarios; crateri con raffigurazioni delle Quattro Stagioni e di Amorini che vendemmiano ornano gli angoli. Subito accanto, il pavimento della soglia dello stesso oecus raffigura una scena di caccia. In fondo al patio, un pavimento di atrium (III secolo), proveniente dalla stessa casa, conserva un mosaico che ricostruisce la vita quotidiana rurale della Tunisia in epoca romana.

Belle statue sono disposte negli intercolumni e nelle nicchie delle pareti laterali della sala, mentre teste, busti, statuette e frammenti di sculture occupano vetrine e bacheche. Questi pezzi provengono in maggioranza da Cartagine e datano in prevalenza al II e III secolo d. C. Si segnalano tra gli altri: una donna drappeggiata; il dio Bacco ebbro e che dà da bere a una pantera; la statua colossale di un'imperatrice, molto probabilmente Faustina II moglie di Marco Aurelio; Giove-Serapide; Giunone; l'imperatrice Giulia Domna moglie di Settimio Severo; una Venere pudica; Ercole, riconoscibile dalla muscolatura e dalla pelle del leone nemeo; Iside; l'imperatore Adriano sotto le sembianze del dio Marte; un imperatore non identificato, in abbigliamento militare; un'altra Venere pudica; Mercurio; una donna che tiene in mano spighe e papaveri, attributi di Cerere; Ganimede. Nelle vetrine: statuette in bronzo di Ercole ebbro (III secolo) e di Bacco adolescente, dalla folta chioma (Thibar).

Davanti alla porta della sala 13, mosaico di una sala a doppia abside (Althiburos): sullo sfondo di un mare pieno di pesci, un pescatore tira su la lenza al cui amo ha abboccato un pesce; in ciascuno dei due semicerchi è raffigurata una testa di Oceano. Su un altro lato della sala, davanti a una scala che dà accesso a un soppalco dove è esposto, tra altre sculture, un bel Giove capitolino che brandisce una saetta, il pavimento conserva un mosaico (Althiburos; III secolo) con un motivo a spire intrecciate che disegnano dei «nodi di Ercole» e individuano rosoni e croci.

La sala 10, detta di Sousse, occupa l'antica sala delle feste del palazzo e deve il nome all'immenso pavimento, raffigurante il trionfo di Nettuno (II secolo), rinvenuto a Sousse, l'antica Hadrumetum. Questo mosaico, che proviene da un grande oecus, è composto da cinquantasei medaglioni rotondi o esagonali, dove sono rappresentati sirene, Tritoni e Nereidi, che circondano il medaglione centrale nel quale è ritratto Nettuno sul carro. Sulla parete in fondo alla sala sono tre mosaici semicircolari, provenienti da una sala trilobata; in essi sono raffigurate dimore signorili e altri edifici, di interessante tipologia architettonica, circondati da animali ed elementi vegetali. Sulla sinistra, mosaico della corsa dei carri (Gafsa; epoca bizantina): quattro quadrighe si lanciano sulla pista dove si trovano le gabbie dei leoni; spettatori affollano le gradinate.

Al di sotto, testa del dio Oceano (III secolo), ritratto con chele di crostacei che spuntano dai capelli. Il mosaico del dominus lulius (Cartagine; IV-V secolo), così chiamato per l'iscrizione che vi si legge, costituisce uno dei capolavori del museo: non vi è altro documento che fornisca una testimonianza così concreta sulla vita quotidiana dell'aristocrazia dell'Africa romana durante il Basso Impero. Il mosaico è formato da una serie di immagini organizzate su tre registri, al centro dei quali compare la grande villa del proprietario. Registro superiore: sulla sinistra l'inverno, sulla destra l'estate; al centro, la moglie del signore si fa vento all'ombra dei cipressi. Registro mediano: il padrone si prepara per la caccia.

Registro inferiore: a sinistra, l'evocazione della primavera; accanto, il signore riceve dei doni; a destra, in un verziere (allusione all'autunno), il padrone reca in mano una pergamena, sulla quale si legge Iulio dom(ino). Nella sala sono anche il mosaico del dio Oceano e dei Quattro Venti (Sousse; metà III secolo), in cui il dio è ritratto in un medaglione ottagonale al centro di una decorazione geometrica, e un mosaico raffigurante i giochi del circo (Cartagine; III secolo d. C.). Da notare la testa e i piedi di una gigantesca statua di Giove.

Sala 11, detta di Dougga: contiene i modelli in scala del Capitolium e del teatro di Dougga. Il pavimento della sala è ricoperto dal mosaico di un oecus: corone d'alloro individuano esagoni, al cui interno sono nature morte. Iniziando la visita dalla sinistra e girando in senso orario, si possono vedere, nell'ordine: il Trionfo di Nettuno (Chebba; II secolo) con le Quattro Stagioni, simboleggiate da figure femminili. L'equilibrio della composizione e i due temi (quello di Nettuno, dio dell'acqua che dona la fertilità, e quello delle stagioni) fanno di questo mosaico il pezzo più importante della sala; Eros vincitore nei giochi del circo (Dougga; IV secolo) era il quadro centrale del pavimento di una camera; il mosaico dei pescatori su un mare pescoso (Cartagine; Il secolo) ornava invece il pavimento di un'abside.

I Ciclopi nell'antro di Vulcano (Dougga; III secolo), ritratti mentre forgiano le saette di Giove, costituivano un pavimento, proveniente dal frigidarium delle terme, il cui soggetto si ispirava a un episodio dell'Eneide di Virgilio. Da notare anche un mosaico, con raffigurazioni di frutta, fiori, pavoni, piccioni, gazzelle, che risale al III secolo d. C. e proviene dalla villa di Cartagine detta «Casa della Voliera». In una vetrina, patera (Biserta; I secolo) in argento massiccio damaschinato d'oro giallo e bianco, decorata da una gara tra Apollo e Marsia. Vi è esposto anche un moggio (Béja), ornato con incrostazioni di rame e argento. Le collezioni di gioielli e cammei in pietre dure risalgono all'epoca romana.

Sala 12, detta di el-Jem: gli oggetti esposti sono stati rinvenuti nel sito dell'antica Thysdrus, che sotto i Severi conobbe il momento di massimo splendore. Al centro della sala, Trionfo di Bacco (III secolo): la scena principale raffigura Bacco in piedi su un carro trionfale trainato da due tigri, mentre ai quattro angoli sono crateri da cui si dipartono tralci di vite. Tra gli altri mosaici si segnalano una caccia (III secolo), i cui episodi sono ripartiti su tre registri; il mosaico delle Nove Muse (III secolo), con le Muse disposte all'interno di medaglioni che nascono da una decorazione geometrica; il grande pavimento di triclinium, a forma di T, che rappresenta alcune nature morte (xenia).

Al di sopra di una porta sono esposti altri due medaglioni appartenenti allo stesso pavimento, nei quali sono raffigurati un'anatra selvatica e un cigno. Due pannelli (Gightis) recano ognuno una coppia di pugili. La sala ospita anche una collezione di statuette in terracotta, parte del corredo di tombe di Sousse ed el-Jem, che rappresentano le divinità sotto la cui protezione erano posti i defunti.

Sala 13, detta di Althiburos: è l'antica sala da concerti del palazzo, alla quale ha dato il nome l'importante mosaico, proveniente appunto da Althiburos, che è posto al centro di essa e che raffigura un mare pescoso solcato da imbarcazioni (III-IV secolo). Vi sono rappresentate ventitre imbarcazioni di tipo diverso, ciascuna col nome scritto in caratteri latini e greci, che si accompagnano ad alcune citazioni poetiche. Si tratta di uno dei più preziosi documenti tecnici sulla navigazione in epoca romana. Al di sopra della porta, due frammenti rappresentano una testa del dio Oceano e un Tritone (Bir bou-Rekba). Gli altri mosaici raffigurano soprattutto episodi venatori: una caccia grossa (Cartagine; IV secolo); una scena di caccia (Cartagine; IV secolo), ove compare, al centro della composizione, un sacrificio offerto ad Apollo e Artemide; il centauro Chirone insegna ad Achille l'arte della caccia (zona di Béja; IV-V secolo). Altri mosaici presentano temi mitologici: un pavimento di camera (Dougga; fine II secolo) raffigura un nuotatore, forse Leandro, circondato da Nereidi che cavalcano mostri marini, e, negli angoli, le teste dei Quattro Venti; un secondo (Cartagine; fine IV secolo) Venere in una conchiglia sostenuta da due Tritoni e paesaggio marino.

Da segnalare ancora un paesaggio marino (Sidi Abdallah; IV secolo), ripartito su vari piani: l'abitazione del padrone con i relativi annessi; bagnanti e pescatori ai bordi dell'acqua; pescatori in una barca. Il paesaggio alessandrino o nilotico (el-Alia; II secolo, parzialmente rimaneggiato nel IV secolo), rappresenta al centro un lago e tutt'intorno un paesaggio con fattorie fortificate, case, capanne di pescatori, cappelle, altari. Sulla parete opposta all'ingresso, mosaico di banchetto (Cartagine; IV sec;), in cui si distinguono i convitati, i servitori, i cuochi, i musicisti e le danzatrici. Il mosaico con scena di banchetto in un'arena (el-Jem; III-IV secolo) mostra cinque personaggi, con sembianze divine e con le insegne delle corporazioni dei cacciatori professionisti (venatores), sdraiati su un triclinio che ricorda nella forma un anfiteatro; accanto, cinque tori. A sinistra due ubriaconi fanno rumore mentre si spogliano.

A destra altri tre personaggi, sobri e posati, mal sopportano questa vicinanza. Un servitore versa da bere, un altro raccomanda il silenzio. Sia che si tratti di una parodia dei banchetti degli dei dell'Olimpo, di un'allusione al Satyricon di Petronio o di un semplice festino, la scena non manca di vivacità, anzi è una delle testimonianze più vivide dei «sodalitia» africani, associazioni religiose e professionali riunite intorno a gruppi di venato- res che venivano assunti per le cacce-spettacolo allestite negli anfiteatri. Sulla parete di fondo, a sinistra entrando, mosaico (Utica; III secolo) che ritrae due coppie di lottatori; tra di loro, su un tavolo, la corona e la palma destinate ai vincitori.

Sala 14, detta di Oudna: iniziando da sinistra la visita di quella che era l'ex sala da pranzo del palazzo, si osservano quattro emblemata (quadri di mosaico, preparati a parte su tela per essere poi inseriti in un pavimento; inizi II secolo), le cui tessere sono estremamente piccole. Ritraggono avanzi di pasti, bucce e altri resti e fanno riferimento a superstizioni di carattere funerario di cui si trova eco presso gli autori greci; Aristofane e Diogene Laerzio assicurano che ciò che cadeva a terra durante il pasto era riservato ai morti o agli eroi, ossia alle anime dei defunti. Questa superstizione, diffusa anche a Roma, trovò nell' Africa romana un terreno già preparato da credenze locali relative alla magia degli avanzi, che si pensava mantenessero la vita nella casa. Nel mosaico di Orfeo che incanta le bestie feroci, Orfeo, contrariamente alla tradizione, è ritratto seminudo. Un'iscrizione ha conservato il nome dei committenti dell'opera (Laberianus e Paulinus Laberianus) e quello del mosaicista (Masurus). Il pannello Europa rapita da Giove costituiva il centro di una vasta composizione decorativa rappresentante il rapimento di Europa mentre raccoglie fiori in un giardino. Il mosaico di Venere al bagno, che raffigura Venere in mezzo al mare e ai pesci assistita da due Nereidi, ornava il pavimento di un atrium.

La dea Selene che contempla il pastore Endimione addormentato sotto un albero (Oudna; II secolo) occupa il centro di una composizione geometrica e floreale; in Ercole che seduce Auge (Sousse; fine II secolo), Auge seminuda tenta di trattenere il velo e di respingere l'assalitore. Il mosaico di Nettuno su un cavallo marino è considerato particolarmente raro, in quanto è uno dei pochi in cui il dio non è raffigurato su un carro tirato da ippocampi ma mentre cavalca direttamente l'animale. Nella sala sono esposti anche gioielli, statuette in bronzo e in terracotta con tracce policrome.

Sala 15, detta di Virgilio: sulla sala, a pianta cruciforme e rivestita di piastrelle di maiolica smaltata, affacciano gli ex appartamenti privati del palazzo, attualmente occupati dagli uffici del museo. In essa sono raccolti una serie di ritratti a tutto tondo di imperatori romani e, nel braccio sinistro della croce, un'importante collezione di statue, dedicate al culto di Demetra e Kore, che sono state rinvenute in un santuario sotterraneo. Al centro e sul pavimento: mosaico (Bir Chana; III secolo) con rappresentazioni di animali, busti delle divinità dei sette giorni della settimana e dei dodici segni dello Zodiaco.

Nel braccio destro della croce, Virgilio e due Muse (Sousse; III-IV secolo): Virgilio, al centro della composizione e con un papiro tra le mani, ascolta Clio (a destra) e Melpomene (a sinistra, con una maschera) che gli dettano i primi versi dell'Eneide. Il soggetto letterario si unisce qui a un'ispirazione mistica, a una ricerca spirituale e a un'istanza di purezza interiore, poiché il poeta è raffigurato come un iniziato alla ricerca di quanto di più elevato offre la condizione umana. Benché di gran lunga posteriore alla morte di Virgilio, questo celebre ritratto si ispira probabilmente a un originale contemporaneo al poeta.

Sala 16, detta della Preistoria tunisina: le collezioni esposte nelle vetrine sono formate quasi esclusivamente da strumenti litici e danno un breve cenno sul periodo preistorico, durato dall'alba del Quaternario fino alla fine del XII secolo a. C., quando coloni fenici si installarono sulle coste della Tunisia.

Le sale da 17 a 22 sono dedicate alle spedizioni di archeologia subacquea di Mahdia. Nell'estate del 1907 alcun pescatori di spugne scoprirono, 5 km al largo di Mahdia, il relitto di una nave che giaceva a 39 m di profondità. Varie spedizioni archeologiche, condotte dal 1908 al 1913, permisero il recupero di un'importantissima collezione di bronzi, quasi tutti intatti, e di marmi, decisamente più danneggiati dalla lunga permanenza in acqua, nonché utensili di vario tipo. Il naufragio, a quanto si è potuto stabilire, avvenne nell'81 a. C. e si suppone che il carico di opere d'arte greche fosse il risultato del sistematico saccheggio di Atene ordinato da Silla. Altri sostengono invece che le statue erano state acquistate a buon mercato in Grecia da un ricco personaggio romano o da un principe numida dell'Africa settentrionale.

In ogni caso, i bronzi risalgono per la maggior parte al III e al II secolo a. C., ossia al periodo ellenistico, e sono quasi tutti dei piccoli capolavori. L'esplorazione della nave di Mahdia è la più antica spedizione archeologica sottomarina compiuta con criteri scientifici. Lucerne antropomorfe che raffigurano Ermafrodito ed Eros androgino, entrambi nell'atto di correre con una fiaccola in mano; Eros citaredo, coperto di gioielli e nell'atto di danzare; Mercurio nell'atteggiamento di oratore; giovane satiro Tre statuette d'influenza alessandrina: nano danzante con nacchere; nano itifallico, col viso contratto in una smorfia, ritratto anch'esso mentre danza; un altro nano danzante; due ornamenti per mobili in forma di levrieri. Tra le statue bronzee, tutte di pregevolissima fattura: Agone, figura allegorica simboleggiante il genio dei giochi e delle gare sportive, che porta nella mano sinistra due palme o, più verosimilmente, un arco.

È probabile che l'Agone facesse parte dello stesso gruppo del Mercurio di Dionisos; a destra sul risalto più piccolo, lo scultore Boethos Calcedonios, vissuto nella prima metà del III secolo a. C., ha apposto la propria firma. Due cornici, che ornavano forse un ex voto a forma di prua di nave, raffigurano Dioniso e Arianna. Quattro grandi crateri in marmo (integrati in fase di restauro grazie a copie di epoca romana), utilizzati per mescolare l'acqua e il vino o come elementi decorativi, sono decorati con motivi bacchici; due di essi, identici, recano scolpito il medesimo corteo dionisiaco.

Due letti, ricostruiti con gli elementi originali in bronzo: pregevoli gli inserti raffiguranti una testa di cavallo, un busto di Artemide con la faretra e teste di menadi. Mosaici pavimentali a disegno geometrico e floreale; altri con animali e nature morte, maschere bacchiche, flauti di Pan e ritratto di donna. Inoltre, il relitto della nave, utensili di uso quotidiano e strumenti per la navigazione, tra cui due ancore in piombo del peso di 700 kg ciascuna.

Sala 23, detta dei mosaici marini: le pareti a destra e a sinistra dell'ingresso sono coperte dai frammenti di un grande mosaico (Cartagine; V secolo). Questo pavimento poligonale, che in origine ornava una grande esedra, rappresenta un paesaggio urbano sulla riva del mare: ville, torrette, grandi portici colonnati, la campagna arida e infine il mare, ove abbondano mostri marini e delfini sui quali sembra regnare una Nereide. Un altro mosaico (Cartagi ne; IV secolo) si trova sulla parete di fronte all'ingresso e raffigura un paesaggio marino popolato da pesci e anatre.

Da notare ancora vari frammenti appartenenti a un medesimo mosaico nel quale è ritratto Nettuno su una biga trainata da ippocampi (Radès; III secolo); lo circondano Nereidi che cavalcano mostri marini, mentre, agli angoli, sono le teste dei Quattro Venti. Sul pavimento, uno dei mosaici più interessanti è quello che ritrae le corse all'ippodromo (Cartagine; IV secolo), con un'iscrizione che inneggia alla fazione degli Azzurri. Una piccola fontana a forma di Amore che cavalca un delfino, un Mercurio oratore e una Venere provengono da Oudna, mentre il Bacco assiso su una pantera è stato rinvenuto a Sbeitla.

Sala 24, detta del mausoleo: interamente pavimentata con mosaici provenienti da Thuburbo Majus e da Cartagine, deve il nome alla tomba romana (metà II secolo) che ne occupa il centro. La tomba, in gesso e stucco, è stata scoperta nel cimitero degli officiales (impiegati, schiavi e liberti imperiali) assegnati agli uffici dell'amministrazione di Cartagine. I quattro lati sono ornati di bassorilievi che ritraggono un legato del proconsole, a cavallo, preceduto dal portainsegne, le sedie curuli, i fasci e degli Eros funebri. La sala ospita anche una seconda tomba di aspetto analogo.

La visita dei mosaici prende avvio dal lato sinistro. La caccia (Thuburbo Majus; IV secolo) raffigura nel registro superiore un servo che sguinzaglia i cani; dietro di lui, il cacciatore monta un cavallo al galoppo; nel registro inferiore, una cagna ha afferrato tra le fauci una lepre; alle spalle, un altro cacciatore su un cavallo al galoppo. Venere al bagno (Thuburbo Majus; IV secolo): la dea si pettina davanti a uno specchio, mentre due Amorini le tendono i gioielli. Bacco e Arianna (Thuburbo Majus; IV secolo): i due, che recano entrambi un tirso, si abbracciano; ai lati, un satiro e una baccante. Pescatori, Amore e Danzatrice (IV secolo): tre barche solcano un mare dove nuotano molti pesci; su due di esse alcuni pescatori tirano le reti, nella terza hanno invece preso posto una ballerina e un Amorino recante una torcia.

Questo pavimento proviene da un oecus trilobato. Ercole ai piedi di Onfale (III secolo): il semi dio è coricato sul pavimento con a fianco la faretra, l'arco e la clava. Seduta su un seggio, Onfale indossa la pelle del leone di Nemea; Amorini, satiri e baccanti completano la scena. Il mosaico del pescatore col tridente (Oudna; III secolo) costituiva il pavimento di un atrium; vi sono ritratti tre pescatori al centro di un mare pieno di pesci; uno tiene il tridente, gli altri tirano le reti. Mosaico con nature morte (Thuburbo Majus; V secolo), uno dei più interessanti della sala per la stilizzazione delle figure; uccelli (fagiani, colombe), pesci, fogliame e fiori sono inquadrati da foglie d'acanto. Il Trionfo di Venere (Thuburbo Majus; fine IV secolo) ritrae Venere nuda sul carro trionfale trainato da quattro Amorini; ghirlande descrivono un motivo a onde.

Nel mosaico delle baccanti (el Jem; III secolo) sono raffigurati, in medaglioni delimitati da ghirlande, le baccanti, il dio Pan, Sileno e due busti femminili; lo completano uccelli e frutta, mentre una ghirlanda con una maschera bacchica incornicia la scena. Pavimento di triclinium (Thuburbo Majus; III secolo): animali e pesci di specie diverse sono inseriti all'interno di corone di foglie; sui bordi ghirlande e frutta, agli angoli maschere di baccanti e satiri. Infine, mosaico con protomi di animali (Thuburbo Majus; IV secolo), ispirato ai giochi del circo.

Corridoio F: il pavimento è costituito da un mosaico marino (Cartagine; IV secolo), mentre le pareti sono coperte da un grande mosaico a fondo blu (IV secolo), nel quale è raffigurato un cratere, con manici a forma di S, assieme agli attributi di Bacco. All'ingresso della sala 25, mosaico con antilope (el-Jem; II secolo). Da segnalare anche una statua di donna (Inv. 3639; Cartagine; fine del- l'epoca dei Severi), dal volto fortemente espressivo.

Sala 25, detta dei Mosaici: in un mosaico a tre registri (Thuburbo Majus; IV secolo) sono rappresentati, in alto, Bacco e Arianna semisdraiati su una pelle di pantera all'interno di una vigna; nel registro mediano, Sileno afferra un kantharos che gli viene offerto da un satiro; in quello inferiore, baccanti e satiri danzanti con Pan. In una nicchia: statua di Mercurio che reca il caduceo e una borsa. La Venere pudica (Cartagine) è copia romana della Venere di Cnido di Prassitele. Su un piccolo soppalco interno: statua (Dougga) di un personaggio, probabilmente un benefattore della città, che porta sul capo la corona turrita, attributo dei geni protettori dell'abitato. Medaglione ottagonale (Dougga; III secolo) occupato da una figura che indossa una ricca tunica e reca la cornucopia, simbolo dei geni protettori delle città.

Mosaico con pavone che fa la ruota (Bir Chana; III secolo); la coda dell'animale, simbolo dell'eternità e dell'immortalità, era associata al cielo stellato, la sua carne era considerata imputrescibile. Il motivo del pavone con la coda aperta ritorna spesso nei mosaici, in quanto si adattava perfettamente a uno spazio semicircolare (abside, ambienti polilobati ecc.). Frammento di sarcofago (Oued Remel; inizi III secolo), che ritrae le Tre Grazie e i geni delle Quattro Stagioni, assai diffusi in epoca greco-romana come simboli della vita della natura e dell'umanità. Frammenti di pavimento di atrium (Oudna; III secolo): il fondo bianco è suddiviso da rami stilizzati e linee sinuose in medaglioni ovali e stellari che si intersecano e al cui interno si inscrivono rettangoli con anatre, pesci, pastori e altri motivi. Nel mosaico dedicato alla città di Ammaedara (Haidra; III secolo), il centro è occupato da una corona d'alloro con l'iscrizione «Felix Ammaedara».

Tutti i motivi vegetali hanno un significato allegorico: l'alloro e la palma indicano la gloria, il miglio l'abbondanza e la prosperità. Nel mosaico di Diana cacciatrice (Oudna; II-III secolo), la dea è raffigurata in un paesaggio agreste e in un atteggiamento a lei familiare, con l'andatura leggera, la testa rivolta verso sinistra e il passo spedito; reca in mano un arco e una faretra, mentre ai suoi fianchi è un levriero in atto di balzare sulla preda.

Sala 26: pavimento di frigidarium (Thuburbo Majus; IV secolo) con tema dionisiaco: le viti e i vigneti, gli Amorini vendemmiatori, i fregi d'acanto sono elementi caratterizzanti il culto di Bacco.

Sala 27, detta di Ulisse: sull'impiantito, di fronte all'ingresso, mosaico marino (Utica; IV secolo) che serviva da rivestimento di una fontana e, al centro della sala, altro mosaico marino (Haidra; III secolo), con pesci, molluschi e crostacei. Al di sopra dell'ingresso, Incoronazione (Cartagine; IV secolo): la dea, posta sotto un baldacchino, depone sulla propria testa un ricco diadema; a destra e a sinistra due barche trasportano nani che danzano e cantano. Il frammento del mosaico di Ulisse (Dougga; IV secolo) costituiva un tempo il pavimento di un impluvium. Il soggetto si ispira alla leggenda, cantata nell'Odisseo, di Ulisse e le sirene. L'eroe, circondato dai compagni, è legato all'albero maestro per sfuggire all'incanto delle sirene che lo lusingano con voci melodiose. Sulla destra, sopra una roccia, tre sirene, raffigurate come uccelli con la testa di donna; sulla sinistra, un pescatore tiene in mano una grossa aragosta. Un altro frammento dello stesso mosaico illustra un episodio del mito dionisiaco: Bacco punisce i pirati del Mar Tirreno trasformandoli in delfini. Sopra tali frammenti, altri due pannelli, provenienti dallo stesso impluvium, rappresentano scene di pesca, mentre, più in alto, un pavimento (Utica; III-IV secolo) raffigura il trionfo di Nettuno e Anfitrite. Il dio Oceano presenta una capigliatura folta, le cui ciocche sono acconciate a chela di gambero. Nettuno e Anfitrite, su un carro trainato da quattro cavallucci marini, sovrastano tre barche, governate da Amorini, in cui si trovano Venere, Arianna semisdraiata e Bacco, che ha la testa incoronata da pampini.

Delfini, pavoni, cigni e Amorini arricchiscono la scena. Altri mosaici raffigurano una divinità fluviale (Hammamet; IV secolo) e una testa del dio Oceano (el-Jem; III secolo), che appare anche sul fondo di una vasca rivestita di mosaici. In quasi tutte le rappresentazioni di questo soggetto lo sguardo del dio è carico di collera. Il mito di Apollo costituisce il tema centrale di un grande mosaico (el-Jem; fine II secolo): vi è illustrata la sfida musicale lanciata dal satiro Marsia ad Apollo, nella quale Atena funge da arbitro; la scena è circondata da medaglioni, occupati dalle Stagioni, e da riquadri trapezoidali contenenti piante di vario genere, altro simbolo delle Stagioni. Al di sopra, mosaico delle Stagioni (Sbeitla; IV-VI secolo), nel quale compare, sulla destra, un medaglione occupato dal busto di un uomo barbuto chiamato Xenophontes, forse lo scrittore greco Senofonte. Nel mosaico di Dioniso (Dougga; III secolo), il dio appare semisdraiato nell'atto di reggere un kantharos e un tirso, mentre baccanti e satiri occupano in alternanza gli otto rettangoli che lo incorniciano; un fregio di delfini, conchiglie e tridenti circonda l'insieme. Il trionfo di Venere (Kasserine; III secolo) ornava il pavimento di un oecus; il mosaico ritrae, su un fondo verde acqua, la dea adorna di gioielli e assisa sul dorso di un mostro marino dalla testa di leone. Nel mosaico della città in riva al mare (Cartagine; III secolo), il paesaggio, le ville, i pescatori, una Nereide e gli Amorini creano una composizione di straordinaria freschezza.

Sala 28: a destra dell'ingresso, mosaico di Venere incoronata da due donne-centauro (Ellès; inizi IV secolo). La dea appare agghindata e con gli occhi cerchiati da un tratto scuro. L'iscrizione spiega che i cavalli raffigurati si chiamavano Polystephanus (dalle molte corone) e Archaeus (il primo). Tutt'intorno, grandi piante di acanto cariche di fiori. Anche nel mosaico dei due cavalli da corsa (IV-V secolo) si leggono i nomi dei due animali: Diomede a sinistra, Alcide a destra. Nel grande mosaico di sala da pranzo (Cartagine; IV secolo), un motivo geometrico indica il posto in cui si trovava il divano (sigma o stibadium).

Al centro, in corrispondenza del tavolo, un pavone fa la ruota; davanti, quattro cavalli, campioni di corsa, si cibano di vegetali, simboli delle Quattro Stagioni. Sulla parete di fronte all'ingresso sono varie scene di caccia, tutte suddivise in registri; una di queste (Khanguet el-Hajaj; V secolo) rappresenta una caccia in un anfiteatro: in alto due orsi, in basso il cacciatore Lampadio che si precipita a lanciare la corda, mentre un altro cacciatore, sulla sinistra, si appresta a entrare in scena. Infine, al centro della sala, torso di Vittoria (el-Jem) in marmo nero, splendida copia romana di un'opera ellenistica. Lungo le scale che portano al secondo piano sono vari mosaici, uno dei quali (Korba; III secolo) raffigura Dioniso, ebbro, sostenuto da un satiro.