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CICLo AGOSTINIANo di Marzio Ganassini a Viterbo

Affreschi di Ganassini nel chiostro della chiesa della SS. Trinità: L'errore manicheo

L'errore manicheo

 

 

MARZIO GANASSINI

1610

Chiostro della Chiesa della SS. Trinità a Viterbo

 

L'errore manicheo

 

 

 

Il cartiglio in margine al dipinto riporta: Hic errore fuit Manichei captus iniquo cum rece documenta daret Carthagine fandi. La scena si svolge all'interno di una grande camera dall'aspetto rinascimentale con buona ricercatezza di particolari e un gusto che predilige le prospettive di effetto. In primo piano pare riconoscersi il giovane Agostino che sta seduto a un banco: tutto intorno si notano persone ed anche anziani che sono intenti a guardarlo e ad ascoltarlo. Ganassini ha posto in primo piano una scena complementare: un giovane in piena torsione indica una via ad un anziano che lo sta guardando. L'episodio può essere simbolico, ma anche realistico con un Agostino che chiede la strada al vecchio, un seguace di Mani.

 

Fu così che mi trovai in mezzo a persone pazze d'orgoglio, eccessivamente attaccate alla carne e alla chiacchiera, che in bocca avevano i lacci del diavolo e il vischio di una rimasticatura di sillabe: mozziconi del tuo nome, e di quelli del signore Gesù Cristo e del Paracleto nostro consolatore, lo Spirito Santo. Li avevano sempre sulle labbra, questi nomi: ma non erano che strepito e vento. Del resto avevano il cuore vuoto - di verità. "Verità, verità" ripetevano, e ne facevano un gran parlare con me, e in loro non ce n'era un'ombra. E ne facevano tante di asserzioni false: e non soltanto su di te, che veramente sei la verità, ma anche sugli elementi di questo mondo, creatura tua: e figuriamoci che su questo punto sono dovuto passare oltre i filosofi che ne parlavano in modo veridico, per amor tuo, padre mio e bene sommo, bellezza di ogni cosa bella. O verità, verità, come si struggevano per te fin da allora le viscere della mia mente, mentre quelli mi rintronavano continuamente e in tutte le maniere col suono del tuo nome e il peso enorme dei loro numerosi libri! E quelli erano i vassoi in cui al posto di te si offriva alla mia fame il sole e la luna, opere tue: belle, sì, ma pur sempre tue creature, ben diverse da te e anche dalle prime cose. Perché prima di questi corpi per quanto luminosi e celesti vengono le tue creature spirituali.

E io neppure di quelle, ma di te sola avevo fame e sete, verità in cui non c'è mutamento né passa l'ombra delle stagioni. E invece mi ammannivano su quei vassoi splendidi fantasmi, così che tanto valeva amare questo sole che almeno per questi occhi è vero, piuttosto che quelle fantasie di una mente incline a farsi illudere dagli occhi. Eppure le prendevo per te e le bevevo: non avidamente però, perché in bocca poi non era quello il tuo sapore - infatti con quelle vacue invenzioni tu non avevi nulla a che fare - e non me ne sentivo nutrito, ma sempre più affamato. Il cibo dei sogni è quanto di più simile a quello degli uomini desti: ma i dormienti non ne sono nutriti, perché dormono. Ma quei sogni non erano neppure affatto simili a te che mi parli ora: perché erano fantasmi di corpi, corpi immaginari, meno certi di questi veri corpi che vediamo con occhi di carne, celesti o terreni. Li vediamo e come noi li vedono le bestie e gli uccelli, e sono più certi di quando li immaginiamo. E questi corpi immaginati a loro volta sono più certi di quelli più grandi, infiniti, che immaginiamo per analogia, e che non sono più niente del tutto. Come quelle vuotaggini appunto di cui allora mi nutrivo, senza nutrirmi affatto.

Ma tu, amore mio, cui m'abbandono per essere forte, tu non sei questi corpi che vediamo, e sia pure in cielo, e nemmeno sei quelli che lassù non vediamo: perché ne sei l'autore e neppure li annoveri fra le tue opere più alte. E allora quanto più lontano sei da quelle mie immaginazioni, fantasmi di corpi che non esistono affatto! Sono più certe di loro le immagini fantastiche dei corpi che esistono, e più certi di queste i corpi stessi: ma non sono te. Ma neppure sei l'anima, che è la vita dei corpi - e indubbiamente vale più dei corpi, la loro vita. Tu sei la vita delle anime, vita delle vite, che vivi di te stessa e non ti muti, tu vita di quest'anima.

AGOSTINO, Confessioni 3, 6, 10