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Percorso : HOME > Iconografia > Cicli > Seicento > Viterbo > GanassiniCICLo AGOSTINIANo di Marzio Ganassini a Viterbo
Studia i neoplatonici
MARZIO GANASSINI
1610
Chiostro della Chiesa della SS. Trinità a Viterbo
Studia i neoplatonici
L'iscrizione in margine al dipinto riporta: Platone evolvens arcanus inpigit in istud verbum in principio, verbum erat atque Deus. La scena descritta da Ganassini è unica nella iconografia agostiniana. Vari sono del resto i temi affrontati solo da Ganassini, il che fa supporre che chi ne ispirò l'opera aveva una conoscenza approfondita della vita del santo e in particolare conosceva bene soprattutto il periodo milanese della vita del santo. Al centro della sala si apre una bella porta, che divide lo studio di Agostino in modo simmetrico: sulla destra il santo è alla sua scrivania intento a scrivere e a meditare. Vari libri sono deposti o aperti sugli scaffali della biblioteca, che danno un senso di pace e tranquillità. Agostino ha un turbante in testa, ha l'aspetto giovanile, pizzo e barba.
L'architettura dello studio è moderna, dato che la porta di accesso è aperta su un suggestivo chiostro dettato da una serie di colonne. L'ambiente è rifinito con cura e presenta elementi pregiati nei marmi policromi del pavimento. La preziosità anche di altri elementi, quale la libreria, sta a indicare l'importanza morale e sociale del luogo, poichè lo studio è proposto come strumento per giungere sicuri a Dio.
Agostino, non ancora battezzato, e per questo abbigliato alla turca, sta riflettendo su un passo che ha appena letto e che segna con un dito. Le gambe del tavolo hanno forma animalesca, e ricordarci le eresie e soprattutto il fatto che Agostino è ancora pagano. Agostino alzando lo sguardo dallo scritto di Platone, volge lo sguardo verso una finestra aperta che gli sta dirimpetto e da dove entra la scritta Cresce et manda, ovvero cresci nella fede e diventa annunziatore della buona Novella.
Feci visita a Simpliciano ... quando accennai alla lettura da me fatta di alcune opere dei filosofi platonici, tradotte in latino da Vittorino, già retore a Roma e morto, a quanto avevo udito, da cristiano, si rallegrò con me per non essermi imbattuto negli scritti di altri filosofi, ove pullulavano menzogne e inganni ... nei platonici invece si insinua per molti modi l'idea di Dio e del suo Verbo. Per esortarmi poi all'umiltà di Cristo ... evocò i suoi ricordi di Vittorino, da lui conosciuto intimamente a Roma.
AGOSTINO, Confessioni, 8, 2, 3