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Rifusione delle campane e la pittura della Chiesa

L'entrata privata dei Visconti alla chiesa parrocchiale

L'entrata privata dei Visconti alla chiesa parrocchiale

 

 

Rifusione delle campane e la pittura della Chiesa

 

 

 

Le campane della chiesa Misericordia di Missaglia che erano state messe sul campanile di Cassago nel 1798, mostravano da tempo la loro vecchiaia. Nel 1830 se ne ruppe una per cui fu necessità sostituirla. Desiderando rifare il concerto delle campane, il 6 marzo 1831 il parroco Michele Castelli inviò una lettera al duca Carlo per invitarlo a concorrere alle spese. Il parroco cerca di toccare le corde più intime del duca, ricordando la povertà della popolazione, l'urgenza della spesa e la riconoscenza per la generosità che la Casa Ducale aveva più volte già manifestato per Cassago:

"Nell'occorrenza che si deve rinnovare il cadente castello delle Campane di questa Chiesa parrocchiale e nella rifusione della Campana rotta non sarebbe cosa malagevole che le quattro campane esistenti, che sono veramente dissonanti ed isconcertate e che due sono dello stesso calibro, siano tutte rifuse per averne quattro di voce sonora ed in concerto. Questo fu il motivo per cui fui pregato portarmi da V. E. per sentirla in proposito.

Ma privo del bene dell'udienza, mi fu detto di mettere per iscritto quanto le si chiedeva. Ecco, Eccellenza, il comune desiderio sempre però subordinato alli venerati di Lei ordini. Si desidera che le quattro esistenti campane disconcertate siano rifuse per averne quattro in concerto, coll'avvertenza che per renderla in concerto è di necessità l'accrescimento di circa 15 Rubbi per la ragione che due campane sono dell'istesso diametro. Voglio sperare che l'E. V. sarà per annuire alle nostre umilissime suppliche mentre trattasi di una operazione che deve rendere le campane né più numerose delle esistenti, né più rumorose da recargliene disturbo. Voglio altresì sperare che questa nostra domanda non farà contrasto con l'offerta che l'E. V. ha fatta per la sola spesa del Castello, a norma della colletta proposta dall'I. R. Delegazione con Ordinatione 7021/1213 del 16 aprile 1830. Sin qui è quanto riguarda l'incombenza addossatavi.

E giacchè l'E. V. mediante l'ossequiata lettere del di Lei segretario Signor Parola, si compiacque farci conoscere le sue provide disposizioni a rendere eseguito l'ornamento e l'abbellimento a questa chiesa, non possiamo contenerci dal nuntiargliene l'espressione della verace riconoscenza, profonda gratitudine ed i rendimenti di grazia che sono senza limiti di tutta la popolazione. E riconoscendola disposta a divenirne conservatore di questa povera Chiesa s'implora la grazia ch'ella voglia riguardare con occhio benigno e stendere una provvida mano sui diversi oggetti che più interessano questa Chiesa ed i precipui dei quali sarebbero l'imbiancatura e colorimento interno, riparazione dell'Organo e Paramenti, provista di Biancheria, ripassata del tetto. Ciò le scrivo non per altro fine ma solo per rendergliela ragguagliata dello stato bisognevole di questa Chiesa. Nella dolce lusinga di vedermi sotto la di Lei protezione mi glorio dell'alto onore di riprotestarmi sempre."

Come aveva anticipato nella lettera del 6 marzo, il parroco l'11 luglio rinnova l'invito al Duca Carlo perché intervenga a finanziare in qualche modo la pittura della Chiesa. La lettera, come la precedente, è un piccolo capolavoro di diplomazia che riprende un colloquio già avviato da tempo e che ha lo scopo di convincere il duca ad aiutare la Fabbriceria: " Eccellenza non sapendo da chi dipendere per far stendere un disegnino per la tinta e qualche fregio a questa Chiesa a norma dell'intelligenza, quando otto giorni fa io ebbi l'alto onore d'essere ammesso all'udienza ed ella si è degnata significarmi il suo pensiero e temndo che questa operazione non possa essere a pieno beneplacito di V. E., sarebbe meglio che V. E. all'occasione che il signor De Rj od altro verrà a Cassago per gli affari di questa Provincia conducesse seco un soggetto da V. E. informato per rilevare, disegnare l'opera, dichiarandone il prezzo per un asta ed il tutto a genio e compimento di V. E. giacchè noi vogliamo essere guidati senza riserva dalla volontà di V. E. per cui vogliamo quello che ella vuole ed il nostro piacere è di piacere a Lei.

E se nella nostra Chiesa non si vedranno Pitture che, come Ella ha bene rilevato, non convengano, saremo però stupefatti al vedere altre opere riguardanti gli arredi e noi col pellegrino saremo costretti confessare la magnificenza della munificenza del grande e pio Signor Conte il Duca Visconti di Modrone.

Io adunque non pongo mano all'opera divisata, ma sto attento ad aspettare il soggetto di cui sopra e coi sensi i più ossequiosi della mia vera stima e profonda venerazione mi pregio d'esserle."

I buoni rapporti fra il parroco e la Casa Ducale sono richiamati da un breve "confesso" che il procuratore del Duca, il signor Alberto Fumagalli, rilasciò a don Michele l'11 novembre a proposito di un affitto. A metà novembre, il tradizionale "san Martino", si regolavano infatti i rapporti fra proprietà e pigionanti e il parroco paga la sua quota per una casa che gli era stata concessa dal duca:

"Stimatissimo Signore serve la presente per annunciarle d'avere ricevuto la somma di lire settanta cinque diconsi Lire 75 Milanesi ch'ella si è compiaciuta di farmi avere in causa di fitto di Casa dovute a S. E. il Signor Duca Carlo Visconti di Modrone. Riservandomi a rilasciarle regolare corrispondente quietanza ad ogni di lei richiesta, godo frattanto rassegnarmi suo Servitore Devoto Alberto Fumagalli Procuratore al signor Parroco Castelli."

Il Duca consegnava al parroco anche parte delle gallette, i bozzoli del prezioso baco da seta, che venivano offerte dalla popolazione alla chiesa di san Salvatore. Nel 1831 ne furono consegnate 12 che si aggiunsero alle altre 161 che i contadini complessivamente avevano offerto alla chiesa parrocchiale. La chiesetta di san Salvatore a quell'epoca era già proprietà privata della Casa Ducale che l'aveva ricostruita sulle fondamenta dell'antico edificio medioevale. Il parroco nel 1833, visto che la pittura della chiesa non andava avanti, ritorna alla carica con il duca e gli ricorda gli impegni che si era assunto a questo proposito due anni prima. Don Michele prende di nuovo carta e penna e stende una accorata lettera in cui con dignitosa fermezza richiama il duca alle sue promesse, soprattutto perché la popolazione, che assomma ormai a 900 persone e che ha già contribuito, vuole vedere realizzate le pitture:

"Allorché l'eccellenza vostra si è manifestata propensa per l'abbellimento ed Ornamento di questa chiesa già due anni fa e replicata in Luglio prossimo passato, quando io ebbi l'onore d'essere ammesso all'udienza di V. E. , non si dovrebbe più importunarla e si dovrebbe vivere quieti e tranquilli; ma non essendo per anco eseguite queste opere ed essendovi un Decreto arcivescovile del 24 febraro 1831 colla grazia di Lire 200, che obbliga un popolo, che ansioso brama, gli offerenti delle Lire 406 che mi molestano coi rimproveri e col rispettare l'offerta già fatta, mi trovo veramente sforzato supplicarla se mai in quest'anno si potranno vedere eseguite. Non creda, eccellenza, che questo provenga o da una mia mancanza di rispetto o da una mia diffidenza, ma solo dai suiindicati motivi e perché elle non ne farà una colpa. Le ripeto come le scrissi altre volte che noi vogliamo essere guidati senza riserva dalla volontà di V. E. ed affinché l'opera sia in tutto e per tutto conforme del di lei genio e comparimenti sarebbe bene che ella mandasse qualcheduno per rilevare come e quali cose debbiansi fare.

Permetta che le scriva ancora il parere di alcuni, i quali dissero che le Lesene fatte a umido, a scagliola saranno soggetto a soffrire e sarebbe meglio una Tappezzeria, la quale adornerebbe nobilmente la chiesa nei giorni di solennità nei quali è prescritto tutto l'addobbamento possibile. Il pensiero è giusto, ma se si dovesse dar ascolto al popolo non si finirebbe mai alcuna cosa, perché alcuni desiderano l'organo, altri tappezzeria, questi pitture e ornati, quelli paramenti, le quali cose non si possono fare tutte ad un tratto per mancanza di mezzi.

Ma questa disparità di pensamenti subito sarà tolta quando il popolo vedrà che il tutto viene ordinato da V. E. perché tutto il popolo ha posto in Lei la sua confidenza ed a Lei il proprio volere ha rassegnato. Nella dolce lusinga d'avermi per scusato e di vedermi sotto la di lei protezione, coi sensi più espressivi della mia verace riconoscenza, ossequiosa stima, profonda considerazione, venerazione mi glorio di protestarmi sempre di V. E. 11 aprile 1833."