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La gestione del Teatro alla Scala

Immagine del Maestro Arrigo Boito

Arrigo Boito

 

 

La gestione del Teatro alla Scala

 

 

 

Il 26 giugno 1898, presso il ridotto del Teatro alla Scala, viene ufficialmente costituita la Società Anonima per l'Esercizio del Teatro alla Scala. La società nasceva anzitutto per la straordinaria intelligenza e generosità di Guido Visconti di Modrone, già presidente della Banca Lombarda e proprietario, tra le altre cose, di Villa Olmo a Como.

E' grazie alla sua lungimiranza che la storia artistica ed amministrativa della Scala conosce un rinnovamento. La mancanza di ogni intento speculativo giustifica il comportamento tenuto da Guido Visconti di Modrone nei confronti di un gruppi che avevano a cuore più i loro interessi che quelli del Teatro milanese. Guido si pone a capo decisamente della Società che vuole gestire il Teatro alla Scala per trarlo da uno dei ricorrenti periodi di difficoltà economiche e artistiche. La situazione del Teatro era molto intricata: la proprietà era divisa fra il Comune, erede di altri Enti pubblici e i signori palchettisti.

La Società di Guido Visconti si pone fra Comune, palchettisti e città: sotto la sua guida il teatro ha una gestione di tipo imprenditoriale e grazie ad uomini fidati, come l'ingegner Casazza, che nomina direttore artistico e soprintendente, raggiunge livelli mai più raggiunti.

Nel 1998 Guido nomina il nuovo staff che reggerà le sorti della Scala: oltre a Giulio Gatti Casazza in prima linea ci sono Arrigo Boito, che sarà vicepresidente della società, e Arturo Toscanini. Il duca Guido si pone dunque come il primo artefice della rinascita e del salvataggio della Scala sul finire del XIX secolo. "Duca industriale", come veniva chiamato, era proprietario di stabilimenti specializzati nella tessitura del cotone.

"Gran signore dalle maniere affabili ", come lo descrive Filippo Sacchi, "aveva, in quel misto di bonomia patriarcale e moderna laboriosità, tutte le doti per farsi ugualmente ascoltare dalle vecchie classi signorili, con le quali aveva in comune le idee, e dalla nuova classe affarista, professionista e democratica con la quale aveva in comune le attività. Era un bellissimo vecchio, molto alto, con una bella faccia pacata, dominata dal gran naso visconteo, una barba bianca immacolata che gli scendeva ondeggiando a mezzo petto.

Era distinto e alla mano, estremamente semplice nel vestire e nel vivere." Il ritratto è confermato da tutti coloro che si sono trovati a descriverne abitudini ed impegni; in particolare la bonomia unita alla capacità di andare d'accordo con tutti è una caratteristica peculiare di quest'uomo straordinario. L'essere riuscito a convivere felicemente con Arturo Toscanini e col suo carattere sulfureo dimostra il grande equilibrio di un personaggio che ha segnato la storia di Milano. Leopoldo Pullé nel tracciarne un ricordo, poco tempo dopo la morte, lo descrive come un uomo "dello stampo degli antichi gentiluomini ambrosiani, i quali ormai non si incontrano più, fuorché nei dipinti, nei polverosi quadri di qualche ospizio di carità o dimenticati in qualche pinacoteca; di quei gentiluomini che non disdegnavano, nelle lunghe ore invernali dei loro castelli solitari, di chiamare, con vero sentimento di democrazia, il maestro di casa, l'agente o il fattore a essergli di compagnia in una partita alle carte.

Era uno di quei gentiluomini che sanno rispettare il lavoro e chi lavora; attribuendo al primo, maggior valore che non abbia la stessa mercede con cui il lavoro viene retribuito: convinto che il sudore della fronte di chi onestamente fatica, valga molto di più dell'oro, poco faticosamente fatto, o ereditato dagli avi. Non conobbe partiti, tranne uno, quello dei filantropi." Soldato volontario nel 1859 e nel 1866, Guido Visconti di Modrone eredita il titolo di duca alla morte del fratello primogenito Raimondo, che sostituisce anche nella gestione delle proprietà dei Visconti; nel 1889 è nominato senatore del Regno d'Italia.

Le qualità di filantropo sono confermate dal suo impegno di presidente della Società Anonima per l'Esercizio del Teatro alla Scala: dopo i primi tre anni, il duca Guido sostiene la sua carica e i relativi sforzi economici anche nel 1901 e nel quinquennio successivo. Solo la morte, avvenuta il 15 novembre 1902, gli impedisce di proseguire nel suo mandato: prima, però, aveva voluto essere lui stesso a firmare la convenzione col Comune che sanciva il contratto quinquennale della società esercente. Già malato, confida a Giulio Gatti Casazza che probabilmente non avrebbe visto neanche una delle opere che i cartelloni avrebbero previsto in quelle cinque stagioni; e infatti quattro mesi dopo muore.

Gli succede, a conferma di una continuità da lui stesso voluta, il figlio Uberto. L'impegno finanziario del Duca Guido fu notevole: nel primo bilancio del Teatro approvato il 30 aprile 1899 contribuirà di tasca propria con 78.466,42 lire a ripianare i debiti che ammontavano a 356.682 lire. Nel bilancio del 1900, decisamente migliore del precedente, contribuirà ancora con 44.410 lire mentre nel 1901 azzererà completamente il suo capitale sociale.