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lettera 5      ad  agostino

 

Scritta nel 388-391 

da Nebridio ad Agostino

 

Nebridio si lamenta che i concittadini di Agostino ne disturbino la contemplazione coi loro affari e lo invita nella propria villa.

 

 

1.   Itane est, mi Augustine, fortitudinem ac tolerantiam negotiis civium praestas, necdum tibi redditur illa exoptata cessatio ? Quaeso, qui te tam bonum homines interpellant ? Credo qui nesciunt quid ames, quid concupiscas. Nullusne tibi est amicorum, qui eis amores referat tuos ? nec Romanianus, nec Lucinianus ? Me certe audiant. Ego clamabo, ego testabor te Deum amare, illi servire atque inhaerere cupere. Vellem ego te in rus meum vocare, ibique acquiescere. Non enim timebo me seductorem tui dici a civibus tuis, quos nimium amas, et a quibus nimium amaris.

1. È dunque così, Agostino mio, che spendi energie e pazienza nelle faccende dei tuoi concittadini e non ti viene restituita ancora la sospirata tranquillità? Di grazia, chi ha il coraggio di importunarti, tu che sei tanto buono? Credo quelli che non sanno quale sia l'oggetto del tuo amore e del tuo ardente desiderio. Non c'è nessuno dei tuoi amici che riveli loro le tue predilezioni? Né Romaniano né Luciniano ? Ascoltino almeno me. Io proclamerò, io attesterò che tu ami Dio, vuoi servirlo ed essere a Lui unito. Vorrei attirarti nella mia casa di campagna e che ivi tu stessi tranquillo. Non avrò infatti paura d'essere chiamato seduttore dai tuoi concittadini che ami troppo e dai quali sei troppo amato.