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lettera 22      a valerio

 

Scritta nel 392 circa

a Ippona

 

Agostino ringrazia Aurelio per la premura dimostrata verso la comunità religiosa di Tagaste (n. 1) e per deplorare vizi e disordini vergognosi (n. 2-3), da eliminarsi con decreti conciliari o con l'esempio della Chiesa primaziale usando moderazione nel reprimerli e istruendo i fedeli (n. 4-6); si lamenta poi dell'ambizione e del fariseismo e delle brighe diffuse anche tra il clero (n. 7-8), infine chiede ad Aurelio d'indurre Saturnino a intrattenersi qualche tempo con lui (n. 9).

 

1. 1. Qua gratia responderem litteris Sanctitatis tuae cum diu haesitans non reperirem (omnia enim vicit affectus animi mei, quem iam sponte surgentem lectio epistolae tuae multo ardentius excitavit), commisi me tamen Deo, qui pro viribus meis operaretur in me, ut ea rescriberem quae utrique nostrum studio in Domino et cura ecclesiastica pro tua praestantia et mea obsecundatione congruerent. Atque illud primum, quod orationibus meis te adiuvari credis, non solum non defugio, verum etiam libenter amplector. Ita enim, etsi non meis, certe tuis, me Dominus noster exaudiet.

Quod fratrem Alypium in nostra coniunctione mansisse, ut exemplo sit fratribus curas mundi huius vitare cupientibus, benevolentissime accepisti, ago gratias, quas nullis verbis esplicare possim: Dominus hoc rependat in animam tuam. Omnis itaque fratrum coetus, qui apud nos coepit coalescere, tanta tibi praerogativa obstrictus est, ut locis terrarum tantum longe disiunctis ita nobis consulueris tanquam praesentissimus spiritu.

Quapropter precibus quantum valemus incumbimus, ut gregem tibi commissum tecum Dominus sustinere dignetur, nec te uspiam deserere, sed adesse adiutor in opportunitatibus, faciens cum Ecclesia sua misericordiam per sacerdotium tuum, qualem spirituales viri ut faciat, lacrymis cum gemitibusque interpellant.

 

 

1. 1. Dopo lunga esitazione poiché non riuscivo a trovare adeguate espressioni di riconoscenza per rispondere alla lettera della tua Santità (giacché tutte le superava l'affetto del mio animo che, già spontaneamente prorompente, la lettura della tua lettera ha assai più ardentemente stimolato), mi sono tuttavia affidato a Dio affinché, per quanto lo consentono le mie forze, mi determinasse a rispondere ciò che è conveniente a ciascuno di noi per il servizio del Signore e il ministero ecclesiastico, tenendo conto della tua posizione di superiore e della mia di collaboratore. E in primo luogo, per ciò che concerne il fatto che tu credi di essere aiutato dalle mie preghiere, non solo io non mi sottraggo, ma anzi accetto volentieri. Così infatti nostro Signore mi esaudirà anche se non per le mie, almeno per le tue. Poiché tu hai accolto assai benevolmente il fatto che il fratello Alipio sia rimasto in nostra compagnia per essere d'esempio ai nostri fratelli che desiderano evitare le cure di questo mondo, io ti rendo grazie quali mai a parole potrei riuscire ad esprimere: Iddio ricompensi ciò a vantaggio dell'anima tua. Tutta la comunità dei fratelli, dunque, che ha cominciato a radunarsi presso di noi, è legata a te da un privilegio così grande che tu hai pensato a noi che viviamo in luoghi tanto distanti, come se tu fossi presentissimo in spirito. Preghiamo quindi con tutte le nostre forze che il Signore si degni di sostenere insieme con te il gregge affidato alle tue cure, e di non abbandonarti in nessun caso, ma di assisterti col suo aiuto nelle necessità dimostrando, nei confronti della sua Chiesa, mediante il tuo ministero sacerdotale, una misericordia (Sal 9, 10; 17, 51) quale gli uomini che vivono secondo lo spirito, con lacrime e gemiti lo scongiurano di mostrare.

 

1. 2. Scias itaque, domine beatissime et plenissima caritate venerabilis, non desperare nos, imo sperare vehementer, quod Dominus et Deus noster per auctoritatem personae quam geris, quam non carni, sed spiritui tuo impositam esse confidimus, multas carnales foeditates et aegritudines quas Africana Ecclesia in multis patitur, in paucis gemit, conciliorum gravi ense et tua possit sanare. Cumenim Apostolus tria breviter genera vitiorum detestanda et vitanda uno in loco posuerit, de quibus innumerabilium vitiorum exsurgit seges, unum horum quod secundo loco posuit, acerrime in Ecclesia vindicatur; duo autem reliqua, id est primum et ultimum, tolerabilia videntur hominibus, atque ita paulatim fieri potest, ut nec vitia iam putentur. Ait enim vas electionis: Non in comessationibus et ebrietatibus, non in cubilibus et impudicitiis, non in contentione et dolo; sed induite vos Dominum Iesum Christum, et carnis curam ne feceritis in concupiscentiis (Rm 13, 13 s).

1. 2. Sappi dunque, signore beatissimo e degno di essere venerato con la più perfetta carità, che noi non disperiamo, anzi fortemente speriamo che il Signore e Dio nostro per mezzo dell'autorità connessa alla carica che eserciti, e che confidiamo sia stata impressa non nella tua carne ma nel tuo spirito, e mediante l'autorità suprema dei Concili e quella tua personale, possa guarire le numerose sconcezze carnali e le infermità di cui la chiesa africana soffre in molti suoi membri ma di cui pochi si addolorano. Infatti, sebbene l'Apostolo abbia raccolto in breve in un unico passo i tre generi di vizi che bisogna detestare ed evitare, dai quali nasce una messe di vizi innumerevoli, uno solo di questi, quello che Egli mise al secondo posto, viene punito molto energicamente nella Chiesa; i due rimanenti invece, cioè il primo e l'ultimo, agli uomini sembrano tollerabili, sicché a poco a poco può accadere che non vengano neppure più considerati vizi. Dice infatti il Vaso di elezione: Non tra gozzoviglie ed ubriachezze, non in lussurie e dissolutezza, non in risse e gelosie; rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non abbiate per la carne tutte quelle attenzioni che ne favoriscono le concupiscenze.

 

1. 3. Horum ergo trium, cubilia et impudicitiae tam magnum crimen putantur, ut nemo dignus non modo ecclesiastico ministerio, sed ipsa etiam sacramentorum communione videatur, qui se isto peccato maculaverit: et recte omnino.

Sed quare solum? Comessationes enim et ebrietates ita concessae et licitae putantur, ut in honorem etiam beatissimorum martyrum, non solum per dies solemnes (quod ipsum quis non lugendum videat, qui haec non carnis oculis inspicit), sed etiam quotidie celebrentur. Quae foeditas si tantum flagitiosa et non etiam sacrilega esset, quibuscumque tolerantiae viribus sustentandam putaremus.

Quanquam ubi est illud, quod cum multa vitia enumerasset idem Apostolus, inter quae posuit ebriosos,ita conclusit, ut diceret cum talibus nec panem edere (1 Cor 5, 11)? Sed feramus haec in luxu et labe domestica, et eorum conviviorum quae privatis parietibus continentur, accipiamusque cum eis corpus Christi, cum quibus panem edere prohibemur; saltem de sanctorum corporum sepulcris, saltem de locis sacramentorum, de domibus orationum tantum dedecus arceatur.

Quis enim audet vetare privatim, quod cum frequentatur in sanctis locis, honor martyrum nominatur?

1. 3. Di questi tre vizi, dunque, sensualità ed impudicizia vengono considerate un delitto così grave che nessuno, il quale si sia macchiato di tale colpa, appare degno non solo del ministero ecclesiastico ma della stessa partecipazione ai Sacramenti. E con piena ragione. Ma perché questo solo? Le gozzoviglie e le ubriachezze infatti si considerano permesse e lecite al punto che si celebrano persino in onore dei beatissimi martiri, non solo nei giorni solenni (e chi mai non vede che ciò è deplorevole, purché non osservi siffatte cose solo con gli occhi della carne?) ma anche quotidianamente. Se questa bruttura fosse soltanto vergognosa e non anche sacrilega, potremmo considerarla come una prova da sopportarsi con tutte le forze della tolleranza. Per quanto, dove lo mettiamo il passo in cui lo stesso Apostolo, dopo aver enumerato molti vizi - tra cui ha posto l'ubriachezza - concluse dicendo di non mangiare neppure il pane con siffatti individui ? Ma tolleriamo questo in mezzo al lusso e alla corruzione di una casa privata e di quei conviti che si tengono fra le pareti domestiche e riceviamo pure il Corpo di Cristo insieme a coloro coi quali ci viene inibito di mangiare il pane; ma una vergogna così grande si tenga lontana almeno dai sepolcri dove riposano i corpi dei santi, almeno dai luoghi in cui si amministrano i Sacramenti e dalle case destinate alla preghiera! Chi osa infatti vietare in privato quello che, quando lo si fa pubblicamente nei luoghi santi, viene chiamato culto dei martiri ?

 

1. 4. Haec si prima Africa tentaret auferre, a caeteris terris imitatione digna esse deberet: cum vero et per Italiae maximam partem, et in aliis omnibus aut prope omnibus transmarinis Ecclesiis, partim quia nunquam facta sunt, partim quia vel orta vel inveterata, sanctorum et vere de vita futura cogitantium episcoporum diligentia et animadversione exstincta atque deleta sunt, [...] dubitare quomodo possumus tantam morum labem, vel proposito tam lato exemplo emendare?

Et nos quidem illarum partium hominem habemus episcopum, unde magnas agimus gratias Deo: quanquam eius modestiae atque lenitatis est, eius denique prudentiae et sollicitudinis in Domino, ut etiamsi Afer esset, cito illi de Scripturis persuaderetur curandum, quod licentiosa et male libera consuetudo vulnus inflixit.

Sed tanta pestilentia est huius mali, ut sanari prorsus, quantum mihi videtur, nisi concilii auctoritate nonpossit.

Aut si ab una ecclesia inchoanda est medicina; sicut videtur audaciae, mutare conari quod Carthaginensis Ecclesia tenet, sic magnae impudentiae est, velle servare quae Carthaginensis Ecclesia correxit. Ad hanc autem rem quis alius episcopus esset optandus, nisi qui ea diaconus exsecrabatur ?

1. 4. Se l'Africa per prima cercasse di eliminare siffatti disordini meriterebbe di essere degna d'imitazione da parte di tutti gli altri paesi: e invece noi, mentre nella maggior parte dell'Italia e in tutte o quasi tutte le altre chiese transmarine essi non esistono (in parte perché non si sono mai verificati, in parte perché o, appena sorti o già inveterati, sono stati cancellati ed eliminati, per la diligenza e la condanna da parte di vescovi santi e veramente pensosi della vita futura) ... in qual modo possiamo ancora esitare di correggere un'usanza così abominevole, pur essendoci stato dato un esempio così diffuso? E noi abbiamo altresì un vescovo di quelle parti, e ne ringraziamo grandemente Iddio; per quanto egli è uomo di tale discrezione e mitezza e inoltre di tale prudenza e sollecitudine nel Signore che, quand'anche fosse africano, facilmente lo si persuaderebbe, con argomenti tratti dalle Scritture, della necessità di curare la piaga che una consuetudine licenziosa e frutto di una male intesa libertà ha inferto. Ma il contagio di questo male è tanto grave che - a mio avviso - non lo si potrà pienamente sanare se non con l'autorità d'un concilio. Se però la cura deve essere incominciata da una chiesa, come sembra un atto di audacia cercar di mutare quello che la Chiesa Cartaginese mantiene, così è segno di grande impudenza voler mantenere ciò che la Chiesa Cartaginese ha corretto. E quale altro vescovo si dovrebbe desiderare per questo fine se non colui che da diacono detestava siffatti disordini ?

 

1. 5. Sed quod erat tunc dolendum nunc auferendum est; non aspere, sed sicut scriptum est, in spirito lenitatis et mansuetudinis (Gal 6, 1; 1 Cor 4, 21). Dant enim mihi fiduciam litterae tuae indices germanissimae caritatis, ut tecum tanquam mecum audeam colloqui. Non ergo aspere, quantum existimo, non duriter, non modo imperioso ista tolluntur; magis docendo quam iubendo, magis monendo quam minando. Sic enim agendum est cum multitudine: severitas autem exercenda est in peccata paucorum. Et si quid minamur, cum dolore fiat, de Scripturis comminando vindictam futuram ne nos ipsi in nostra potestate, sed Deus in nostro sermone timeatur. Ita prius movebuntur spiritales vel spiritalibus proximi, quorum auctoritate, et lenissimis quidem sed instantissimis admonitionibus caetera multitudo frangatur.

1. 5. Ma quello che allora si doveva deplorare, ora si deve eliminare, non con durezza ma, come sta scritto, con spirito di dolcezza e mansuetudine . Infatti la tua lettera, indizio di sincerissimo affetto, mi dà fiducia sicché io oso parlare con te come con me. Ordunque, non con l'asprezza, per quanto io ritengo, non con la durezza, non con maniere imperiose si eliminano simili cose, ma più ammaestrando che comandando, più ammonendo che minacciando. Giacché con la moltitudine bisogna agire così, la severità invece deve essere usata per i peccati di pochi. E se facciamo qualche minaccia, si faccia con dolore, minacciando la punizione futura secondo le Scritture, affinché non noi siamo temuti per nostra autorità ma Dio per il nostro discorso. Così si scuoteranno dapprima le persone che vivono secondo lo spirito o i più vicini ad esse, in modo che per la loro autorità e i loro rimproveri, fatti invero con grande dolcezza ma anche con grande insistenza, venga piegato il resto della moltitudine.

 

1. 6. Sed quoniam istae in coemeteriis ebrietates et luxuriosa convivia, non solum honores martyrum a carnali et imperita plebe credi solent, sed etiam solatia mortuorum; mihi videtur faciliusillis dissuaderi posse istam foeditatem ac turpitudinem, si et de Scripturis prohibeatur, et oblationes pro spiritibus dormientium, quas vere aliquid adiuvare credendum est, super ipsas memorias non sint sumptuosae, atque omnibus petentibus sine typho, et cum alacritate praebeantur: neque vendantur; sed si quis, pro religione aliquid pecuniae offerre voluerit, in praesenti pauperibus eroget. Ita nec deserere videbuntur memorias suorum, quod potest gignere non levem cordis dolorem, et id celebrabitur in Ecclesia quod pie et honeste celebratur. Haec interim de comessationibus et ebrietatibus dicta sint.

1. 6. Ma poiché dalla plebe ignorante e che vive secondo la carne codeste ubriachezze e dissoluti conviti nei cimiteri sogliono essere considerati non solo di onore per i martiri ma anche di conforto per i morti, mi pare che si possa più facilmente dissuaderli da una tale sconcezza e turpitudine se la si proibisca basandosi sull'autorità delle Scritture e se le offerte per le anime dei defunti sulle tombe stesse, che bisogna credere portino davvero qualche giovamento, non siano sontuose e vengano fatte a tutti quelli che le chiedono, senza arroganza ed alacremente; però, non si vendano: ma se qualcuno per devozione vorrà offrire denaro, lo eroghi ai poveri all'istante. Così non avranno l'impressione di trascurare le tombe dei loro cari (cosa che potrebbe causare non lieve dolore al loro animo) e nella Chiesa si celebrerà un rito conforme alla pietà e all'onestà. Questo intanto basti riguardo ai bagordi e alle ubriachezze.

 

2. 7. De contentione autem et dolo quid me attinet dicere, quando ista vitia non in plebe, sed in nostro numero graviora sunt? Horum autem morborum mater superbia est, et humanae laudis aviditas, quae etiam hypocrisim saepe generat. Huic non resistitur, nisi crebris divinorum Librorum testimoniis incutiatur timor et caritas Dei: si tamen ille qui hoc agit, seipsum praebeat patientiae atque humilitatis exemplum, minus sibi assumendo quam offertur; sed tamen ab eis qui se honorant nec totum nec nihil accipiendo, et id quod accipitur laudis aut honoris, non propter se qui totus coram Deo esse debet et humana contemnere, sed propter illos accipiatur quibus consulere non potest, si nimia deiectione vilescat. Ad hoc enimpertinet quod dictum est: Nemo iuventutem tuam contemnat (1 Tm 4, 12); cum hoc ille dixerit, qui alio loco ait: Si hominibus placere vellem, Christi servus non essem (Gal 1, 10).

2. 7. Quanto poi alle rivalità e alle gelosie, che cosa devo dire, dato che codesti vizi sono più gravi non nella plebe ma fra noi? La madre di queste infermità è la superbia e il desiderio smodato della lode degli uomini, che spesso genera anche l'ipocrisia. A questa non si resiste se, ricorrendo a frequenti prove tratte dai Libri Santi, non si ispira il timore e l'amore di Dio: se però colui che lo fa offra se stesso come modello di pazienza e d'umiltà, prendendosi meno di quello che gli viene offerto; ma purtuttavia non accettando interamente l'onore da quelli che glielo rendono e nemmeno rifiutandolo interamente, e a condizione che quel po' di lode o d'onore che si accetta, venga accettato non per lui, che deve vivere interamente al cospetto di Dio e disprezzare le cose umane, ma per coloro ai quali non può essere utile se perde il prestigio abbassandosi troppo. A ciò infatti si riferisce l'espressione: Che nessuno debba disprezzare la tua giovane età, poiché l'ha pronunziata Colui che in un altro punto dice: Se volessi piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo.

 

2. 8. Magnum est de honoribus et laudibus hominum non laetari, sed et omnem pompam inanem praecidere, et si quid inde necessarium retinetur, id totum ad utilitatem honorantium salutemque conferre. Non enim frustra dictum est: Deus confringet ossa hominibus placere volentium (Sal 52, 6). Quid enim languidius, quid tam sine stabilitate ac fortitudine, quod ossa significant, quam homo quem male loquentium lingua debilitat, cum sciat falsa esse quae dicuntur? Cuius rei dolor nullo modo animae viscera dilaniaret, si non amor laudis ossa eius confringeret. Praesumo de robore animi tui: itaque ista quae tecum confero, mihi dico; dignaris tamen, credo, mecum considerare quam sint gravia, quam difficilia. Non enim huius hostis vires sentit, nisi qui ei bellum indixerit; quia si cuiquam facile est laude carere dum denegatur, difficile est ea non delectari cum offertur; et tamen tanta mentis in Deum debet esse suspensio, ut si non merito laudemur, corrigamus eos quos possumus; ne arbitrentur aut in nobis esse quod non est, aut nostrum esse quod Dei est, aut ea laudent quae quamvis non desint nobis, aut etiamsupersint, nequaquam tamen sunt laudabilia; velut sunt bona omnia quae vel cum pecoribus habemus communia, vel cum impiis hominibus. Si autem merito laudamur propter Deum, gratulemur eis quibus placet verum bonum; non tamen nobis quia placemus hominibus, sed si coram Deo tales sumus, quales nos esse credunt, et non tribuitur nobis, sed Deo, cuius dona sunt omnia quae vere meritoque laudantur. Haec mihi ipse canto quotidie, vel potius ille cuius salutaria praecepta sunt, quaecumque sive in divinis Lectionibus inveniuntur, sive quae intrinsecus animo suggeruntur; et tamen vehementer cum adversario dimicans, saepe ab eo vulnera accipio, cum delectationem oblatae laudis mihi auferre non possum.

2. 8. È una gran cosa non compiacersi degli onori e delle lodi degli uomini, ma evitare ogni inutile pompa e, nel caso se ne conservi una parte in quanto necessaria, impiegarla totalmente per il vantaggio e la salvezza di quelli che ci onorano. Giacché non invano è stato detto: Dio spezzerà le ossa di coloro che vogliono piacere agli uomini. Che cosa v'è infatti di più debole e così privo di stabilità e robustezza, raffigurate dalle ossa, quanto un uomo che la lingua dei maldicenti riesce ad abbattere, sebbene egli sappia che ciò che si dice è falso? Ma se l'amore della lode non spezzasse le sue ossa, il dolore per questo fatto in nessun modo ne strazierebbe le parti più riposte dell'anima. Ho grande fiducia nella forza del tuo animo; perciò queste cose, di cui parlo con te, le dico a me: tuttavia, credo, vorrai degnarti di considerare con me quanto siano gravose, quanto siano difficili. Infatti le forze di questo nemico non le conosce se non chi gli abbia dichiarato guerra; perché, se è facile per uno vivere senza lode finché gli viene negata, è difficile che non se ne compiaccia quando gli viene offerta. Eppure la nostra mente deve tendere a Dio con tanta forza da correggere quelli che possiamo - se veniamo lodati immeritatamente - affinché non ritengano o che ci sia in noi quello che non c'è o che sia nostro ciò che è di Dio, oppure lodino quello che, sebbene non manchi in noi o ci sia anche in abbondanza, tuttavia non è affatto lodabile, quali sono tutti i beni che abbiamo in comune con le bestie o con i malvagi. E se siamo lodati meritamente per causa di Dio, congratuliamoci con coloro ai quali piace il vero bene; non però con noi per il fatto che piacciamo agli uomini, ma se siamo tali quali ritengono che siamo, e purché questo bene non venga attribuito a noi ma a Dio, di cui sono doni tutte le cose che ottengono una lode conforme alla verità e al merito. Questo ricanto a me stesso ogni giorno, o meglio me lo ricanta Colui dal quale provengono tutti i salutari precetti che o si trovano nei Libri Sacri o vengono suggeriti nel profondo del nostro cuore. E tuttavia, pur combattendo energicamente contro il demonio, spesso ricevo da lui delle ferite, quando non sono capace di allontanare da me il piacere per la lode che mi è data.

 

2. 9. Haec propterea scripsi, ut si tuae Sanctitati iam non sunt necessaria, sive quod plura huiusmodi ipse cogites atque utiliora, sive quod tuae Sanctitati medicina ista non opus sit, mala tamen mea nota sint tibi, sciasque unde pro mea infirmitate Deum rogare digneris: quod ut impensissime facias, obsecro per humanitatem illius qui praeceptum dedit ut invicem onera nostra portemus. Multa sunt quae de vita nostra et conversatione deflerem, quae nollem per litteras ad te venire, si inter cor meum et cor tuum ulla essent ministeria praeter os meum et aures tuas. Si autem venerabilis nobisomniumque nostrum tota sinceritate carissimus, cuius in te vere fraternam cum praesens essem benignitatem studiumque perspexi, senex Saturninus dignatus fuerit, quando opportunum videbitur, ad nos venire, quidquid cum eius Sanctitate, et spiritali affectu colloqui potuerimus, aut nihil, aut non multum distabit, ac si cum tua Dignatione id ageremus. Quod ut nobiscum ab eo petere atque impetrare digneris, tantis precibus posco, quantis verba nulla sufficiunt. Absentiam enim meam tantum longe Hipponenses vehementer nimisque formidant, neque ullo modo mihi sic volunt credere, ut et ego videam agrum quem fratribus datum provisione et liberalitate tua didicimus, ante epistolam tuam, per sanctum fratrem et conservum nostrum Parthenium, a quo multa alia, quae audire desiderabamus, audivimus. Praestabit Dominus ut etiam caetera, quae adhuc desideramus, impleantur.

 

2. 9. Queste cose ho scritto affinché, se non sono più necessarie alla tua Santità (sia perché di siffatti pensieri ne fai tu stesso in maggior numero e più utili, sia perché questa medicina non è necessaria alla tua Santità), siano però a te noti i miei mali e sappia che cosa tu debba avere la bontà di chiedere a Dio per la mia infermità. Che tu lo faccia con ogni cura io ti supplico per la umanità di Colui che ci ha dato il precetto di aiutarci a vicenda a portare i nostri fardelli (Gal 6, 2). Molte sono le cose riguardanti la nostra vita e le nostre abitudini che desidererei deplorare e non vorrei giungessero alla tua conoscenza per lettera, se tra il mio cuore e il tuo vi fossero altri mezzi di comunicazione oltre la mia bocca e le tue orecchie. Ma se il vecchio Saturnino, per noi venerabile e con tutta sincerità a tutti noi carissimo (la cui benevolenza e il cui affetto veramente fraterni nei tuoi confronti io ho potuto constatare quando ero presso di te) si degnerà, quando gli sembrerà opportuno, di venire da noi, qualunque colloquio potremo con spirituale affetto avere con la sua Santità, non vi sarà nessuna o non vi sarà una grande differenza che se lo avessimo con la tua onorevole persona. E ti supplico, con tante preghiere quante le parole non bastano ad esprimere, di degnarti di chiedergli con noi questo favore e di ottenerlo. Infatti gli Ipponesi temono molto, anzi troppo, che io mi assenti per andare in un luogo tanto lontano, e non vogliono in nessun modo fidarsi di me sicché anch'io possa vedere il campo che tramite Partenio, nostro santo fratello e conservo, abbiamo appreso essere stato donato dalla tua previdenza e liberalità ai nostri fratelli, prima ancora di ricevere la tua lettera; da lui abbiamo saputo molte altre cose che desideravamo sapere. Il Signore farà sì che si compiano anche tutte le altre che ancora desideriamo.