Contenuto
Percorso : HOME > Opera Omnia > Lettere > Lettera 27lettera 27 a PAOLIno
Scritta nel 396
a Ippona
Agostino risponde a Paolino, rigraziandolo per la sua benevolenza, pronto a ricambiare l'amore e desideroso di vederlo (n. 1-3); gli parla di Romaniano e del vescovo Alipio (che gli farà meglio conoscere) ed infine di Licenzio, con la preghiera di aiutarlo a difenderlo dai pericoli del mondo (n. 4-6).
1. O bone vir et bone frater, latebas animam meam: et ei dico ut toleret quod adhuc lates oculos meos, et vix mihi obtemperat; imo non obtemperat. An vero tolerat? Cum ergo me excruciat desideriumtui apud ipsam intus animam? Nam si molestias corporis paterer, et si non pertrurbarent aequìtatemanimi mei, recte illas tolerare dicerer; cum autem non aequo animo fero quod te non video, intolerabile est istam appellare tolerantiam. Sed quando tu talis es, esse sine te fortasse intolerabilius toleraretur. Bene est ergo, quia aequo animo ferre non possum, quod si aequo animo ferrem, aequo animo ferendus non essem. Mirum est, sed tamen verum, quod mihi accidit: doleo quod te non video, et me ipse consolatur dolor. Ita mihi displicet fortitudo qua patienter fertur absentia bonorum, sicuti es. Nam et Ierusalem futuram desideramus utique, et quanto impatientius desideramus ipsam, tanto patientius sustinemus omnia propter ipsam. Quis igitur potest non gaudere te viso, ut possit quandiu te non videt, non dolere! Ergo neutrum possum, et quoniam si possem, immaniter possem, non posse delector, atque in eo quod delector nonnullum solatium est. Dolentem itaque me non sedatus, sed consideratus consolatur dolor. Ne reprehendas, quaeso, sanctiore gravitate qua praevales, et dicas non recte me dolere, quod adhuc te non noverim, cum animum mihi tuum, hoc est teipsum interiorem aspiciendum patefeceris. Quid enìm? Si uspiam te vel in terrena tua civitate didicissem fratrem et dilectorem meum, et tantum in Domino ac talem virum, nullumne me dolorem sensurum fuisse arbitrareris, si non sinerer nosse domum tuam? Quomodo ergo non doleam, quod nondum faciem tuam novi, hoc est domum animae tuae, quam sicut meam novi?
|
1. O uomo dabbene e buon fratello, tu eri sconosciuto all'anima mia: e io la esorto a sopportare perché sei ancora sconosciuto ai miei occhi, e a stento mi obbedisce, anzi non mi obbedisce; o forse sopporta? Perché dunque il desiderio di te mi tormenta proprio nell'intimo dell'anima? Giacché, se soffrissi delle pene fisiche e queste non turbassero l'equilibrio del mio spirito, a ragione si direbbe che le sopporto; ma quando non tollero tranquillamente di non vederti, è intollerabile dare a questo il nome di tolleranza. Ma poiché tu sei una persona di tali meriti, l'essere privo di te si dovrebbe forse tollerare con maggiore intolleranza. È bene dunque che io non possa tollerarlo con animo tranquillo, poiché, se lo tollerassi tranquillamente, non dovrei essere tollerato io tranquillamente. È strano, ma tuttavia vero, ciò che mi succede: mi addoloro di non vederti e lo stesso dolore mi è di conforto. Così mi dispiace la forza per cui si sopporta pazientemente l'assenza delle persone dabbene come sei tu. Infatti anche la Gerusalemme futura noi la desideriamo certamente e quanto più impazientemente la desideriamo tanto più pazientemente sopportiamo per essa qualsiasi cosa. Chi potrebbe dunque non godere d'averti visto così da poter non addolorarsi per tutto il tempo che non ti vede? Io dunque, non posso né l'una né l'altra cosa e poiché, se lo potessi, lo potrei in maniera inumana, sono contento di non poterlo e nel fatto che sono contento c'è un certo conforto. Perciò nel mio dolore non la cessazione del dolore mi conforta ma la considerazione di esso. Non biasimarmi, te ne prego, nella tua più santa saggezza per la quale mi sei superiore, e non dire che non ho ragione a dolermi di non conoscerti ancora, perché tu mi hai aperto il tuo animo, cioè te stesso nell'intimo. E che dunque? Se avessi conosciuto in un luogo qualsiasi o nella tua città terrena te come mio fratello ed amico e uomo tanto grande e di tali meriti nel Signore, penseresti che non avrei provato nessun dolore, se non mi fosse stato concesso di conoscere la tua casa? Come potrei dunque non addolorarmi del fatto che non conosco ancora la tua figura fisica, cioè la casa dell'anima tua che io conosco come la mia? |
| |
2. Legi enim litteras tuas fluentes lac et mel, praeferentes simplicitatem cordis tui, in qua quaeris Dominum sentiens de illo in bonitate, et afferentes ei claritatem et honorem (Cf. Sal 28, 2). Legerunt fratres, et gaudent infatigabiliter et ineffabiliter, tam uberibus et tam excellentibus donis Dei, bonis tuis. Quotquot eas legerunt, rapiunt, quia rapiuntur cum legunt. Quam suavis odor Christi (2 Cor 2, 15), et quam fragrat ex eis, dici non potest. Illae litterae cum te offerunt ut videaris, quantum nos excitant ut quaeraris! Nam et perspicabilem faciunt et desiderabilem. Quanto enim praesentiam tuam nobis quodammodo exhibent, tanto absentiam nos ferre non sinunt. Amant te omnes in eis, et amari abs te cupiunt. Laudatur et benedicitur Deus, cuius gratia tu talis es. Ibi excitatur Christus, ut ventos et maria (Cf. Mt 8, 26) tibi placare dignetur tendenti ad stabilitatem suam. Videtur a legentibus ibi coniux, non dux ad mollitiem viro suo, sed ad fortitudinem redux in ossa viri sui, quam in tuam unitatem redactam et redditam, et spiritalibus tibi tanto firmioribus, quanto castioribus nexibus copulatam, officiisvestrae Sanctitati debitis, in te uno resalutamus. Ibi cedri Libani (1 Re 5, 6 9) ad terram depositae, et in arcae fabricam compagine caritatis erectae, mundi huius fluctus imputribiliter secant. Ibi gloria ut acquiratur, contemnitur, et mundus ut obtineatur, relinquitur. Ibi parvuli, sive etiam grandiusculi filii Babylonis eliduntur ad petram, vitia scilicet confusionis superbiaeque secularis (Sal 136, 8 s.). |
2. Ho letto infatti la tua lettera che effonde latte e miele (Es 3, 8; al.), che palesa la semplicità del tuo cuore nella quale cerchi il Signore nutrendo buoni sentimenti nei Suoi confronti (Sap 1, 1) e che rende a Lui gloria ed onore. L'hanno letta i fratelli, e godono instancabilmente e ineffabilmente dei tuoi beni, doni di Dio tanto fertili ed eccellenti. Tutti coloro che l'hanno letta me la rapiscono, giacché sono rapiti ogni volta che la leggono. È impossibile a dirsi quanto soave e quanto intenso sia il profumo di Cristo che emana da essa. Questa lettera, mentre da una parte ti rende presente e visibile, dall'altra quanto ci spinge a cercarti! Infatti ti rende visibile e nelle stesso tempo c'induce a desiderare la tua presenza. Giacché ci rende la tua assenza insopportabile tanto quanto ti rende in un certo senso presente ai nostri occhi. Tutti ti amano in essa e desiderano essere amati da te. Si loda e si benedice Dio, per grazia del quale tu sei quello che sei. In essa viene ridestato Cristo affinché si degni di placare i venti e i mari per te che tendi alla stabile dimora presso di Lui. Vi si vede da parte dei lettori una sposa che non è per il proprio sposo guida alle mollezze della vita, bensì ritorna nelle ossa del proprio sposo, apportatrice di fortezza: a lei, ritornata e ricondotta a formare una sola cosa con te, e a te legata da vincoli spirituali tanto più saldi quanto più sono casti, ricambiamo i saluti con gli omaggi dovuti alla vostra Santità. In essa i cedri del Libano, abbattuti e poi eretti dalla forza unifìcatrice della carità a formare un'arca, solcano senza corrompersi i flutti di questo mondo. In essa la gloria viene disprezzata per essere acquistata e il mondo abbandonato per essere conquistato. In essa i figli di Babilonia piccoli o anche grandicelli, cioè i vizi conseguenza della confusione e della superbia di questo mondo, vengono infranti sulla pietra. |
| |
3. Haec atque huiusmodi suavissima et sacratissima spectacula litterae tuae praebent legentibus; litterae illae, litterae fidei non fictae, litterae spei bonae, litterae purae caritatis. Quomodo nobis anhelant sitim tuam, et desiderium defectumque animae tuae in atria Domini ! quid amoris sanctissimi spiranti quantam opulentiam sinceri cordis exaestuant! quas agunt gratias Deo! quas impetrant a Deo! Blandiores sunt, an ardentiores; luminosiores, an fecundiores? Quid enim est, quod ita nos mulcent, ita accendunt, ita compluunt et ita serenae sunt? quid est, quaeso te, aut quid tibi pro eis rependam, nisi quia totus sum tuus in eo cuius totus es? Si parum est, plus certe non habeo. Tu autem fecisti ut non mihi parum videatur, qui me in illa epistola tantis laudibus honorare dignatus es, ut cum tibi me refundo, si parum hoc putem, tibi non credidisse convincer. Pudet me quidem tantum boni de me credere, sed plus piget tibi noncredere. Est quod faciam: non me credam talem qualem putas, quoniam non agnosco; et credam me abs te diligi, quoniam sentio et plane percipio: ita nec in me temerarius, nec in te ingratus extitero. Et cum me tibi totum offero, parum non est: offero enim quem vehementissime diligis; et offero, si non qualem me esse arbitraria, eum tamen pro quo, ut talis esse merear deprecaris. Hoc enim magis iam peto facias, ne minus optes mihi adiici ad id quod sum, dum me existimas iam esse quod non sum.
|
3. Questi spettacoli dolcissimi e santissimi e altri di tal genere offre ai lettori la tua lettera, quella lettera che è piena di fede non insincera, di speranza buona e di pura carità. Come esala per noi la tua sete e il desiderio e lo struggimento da cui è presa l'anima tua per la casa del Signore (Sal 83, 3)! Che santissimo amore effonde! Quali tesori di sincerità di cuore palesa quasi ribollendo! Quali grazie rende a Dio e quali da lui ne impetra! È più dolce o più ardente, più luminosa o più feconda? Qual è infatti la ragione per cui infonde in noi tanta dolcezza, c'infiamma a tal segno, fa cadere su di noi una così abbondante pioggia ed è apportatrice di tanta serenità? Qual è, di grazia, o che cosa potrei darti in cambio di essa se non essere totalmente tuo in Colui al quale tu appartieni totalmente? Se questo è poco, io non ho certo di più, ma tu hai fatto sì che non mi sembri poco, tu che nella tua lettera ti sei degnato di onorarmi con tante lodi che se, quando mi dono interamente a te, io considerassi ciò poco, sarebbe irrefutabilmente provato che non ti ho creduto. Certo mi vergogno di avere una così buona opinione di me, ma più mi dispiace di non credere a te. Ecco quello che farò: non mi crederò quale tu mi ritieni perché non mi riconosco tale e crederò di essere amato da te poiché lo sento e lo vedo chiaramente. Così non sarò né temerario riguardo a me né ingrato riguardo a te. E quando mi offro a te interamente, non è poco; offro infatti colui che tu ami con grandissimo ardore ed offro se non una persona tale quale pensi che io sia, tuttavia colui per il quale tu preghi affinché meriti di esser tale. Questo infatti adesso ti prego di fare ancora di più, onde non avvenga che tu abbia a desiderare che si aggiunga, a quel che sono, un minore avanzamento qualora ritenessi che io sia già quel che non sono. |
| |
4. Ecce carissimus meus est, et ab ineunte adolescente mihi familiariter amicissimus qui hanc Eximietati tuae ac praestantissimae Caritati epistolam apportat. Huius nomen est in libro de Religione, quem tua Sanctitas, quantum litteris indicas, libentissime legit: factus est enim tibi etiam tanti viri, qui tibi cum misit, commendatione iucundior. Neque tamen huis tam familiari amico meo velim credas, quae de me forte laudans dixerit. Sensi enim etiam ipsum saepe non mentiendi studio, sed amandì propensione falli iudicantem, et arbitrari iam me accepisse quaedam, quibus accìpiendis a Domino patente ore cordis inhiarem. Et si hoc in os meum, quis non coniiciat quanta de me absente meliora quam veriora laetus effundat? Librorum autem nostrorum copiam faciet venerabili studio tuo: nam nescio me aliquid, sive ad eorum qui extra Ecelesiam Dei sunt, sive ad aures fratrum scripsisse, quod ipse non habeat. Sed tu cum legis, mi sancte Pauline,non te ita rapiant quae per nostram infirmitatem veritas loquitur, ut ea quae ipse loquor minus diligenter advertas; ne dumavidus hauris bona et recta quae data ministro, non ores pro peccatis et erratis quae ipse committo. In his enim quae tibi recte, si adverteris, displicebunt, ego ipse conspicior; in his autem quae per donum Spiritus quod accepisti, recte tibi placent in libris meis, ille amandus, ille praedicandus est apud quem est fons vitae, et in cuius lumine videbimus lumen (Sal 35, 10), sine aenigmate, sed facie ad faciem, nunc autem in aenigmate videmus (1 Cor 13, 12). In his ergo quae ipse de veteri fermento eructavi, cum ea legens agnosco, me iudico cum dolore; in his vero quae de azymo sinceritatis et veritatis (1 Cor 5, 8) dono Dei dixi exsulto cum tremore. Quid enim habemus, quod non accepimus (1 Cor 4, 7)? At enim melior est qui maioribus et pluribus, quam qui minoribus et paucioribus donis Dei dives est. Quis negat? sed rursus melius est, vel de parvo Dei dono gratias ipsi agere, quam sibi agi velle de magno. Haec ut ex animo semper confitear, meumque cor a lingua mea non dissonet, ora pro me, frater. Ora, obsecro, ut non laudari volens, sed laudans invocem Dominum, et ab inimicis meis salvus ero (Sal 17, 4).
|
4. Ecco, il latore di questa lettera alla tua Eccellenza e alla tua eminentissima Carità è persona a me carissima e fin dall'inizio dell'adolescenza a me legata da grande e intima amicizia. Il suo nome si trova nel libro Sulla religione che la tua Santità (secondo quello che dichiari nella lettera) legge con grandissimo piacere: infatti ti è stato reso anche più gradito perché ti è stato presentato con lusinghiero giudizio da colui che te l'ha inviato, persona tanto ragguardevole. Non vorrei però che tu dessi credito a un mio così intimo amico a proposito di quello che forse potrà dirti in lode mia. Mi sono accorto infatti che anch'egli spesso ha sbagliato nei suoi giudizi, non per desiderio di mentire, ma per l'affetto che mi porta; e crede ch'io abbia già ricevuto certi doni che invece bramo con tutto l'ardore del mio cuore di ricevere dal Signore. E se ha fatto questo in mia presenza, chi non può immaginare quello che, più bello che vero, egli dirà di me in mia assenza, con gioia e senza risparmio? Tuttavia metterà a disposizione del tuo venerabile zelo le mie opere: infatti non so di aver scritto nulla rivolto sia a coloro che sono fuori della Chiesa di Dio sia ai nostri fratelli che egli non abbia. Ma mentre tu lo leggi, o mio santo Paolino, quello che la verità dice per mezzo della mia pochezza non ti rapisca al punto da avvertire con minor diligenza quello che dico io personalmente; affinché, mentre bevi avidamente le cose buone e rette che sono state affidate a me come ministro, tu non ti astenga dal pregare per i peccati e gli errori che io commetto. Giacché in ciò che, se farai attenzione, giustamente ti dispiacerà, si vede quello che sono io; al contrario in ciò che, per dono dello Spirito che tu hai ricevuto, giustamente ti piace nei miei libri, si deve amare e lodare Colui presso il quale è la sorgente della vita e nel Cui splendore noi vedremo la luce senza enigma e faccia a faccia, mentre ora la vediamo per enigma. Perciò in quello che io ho detto sotto l'effetto del vecchio lievito, quando leggendolo me ne accorgo, mi giudico con dolore; in quello invece che ho detto attingendolo alla fonte della purezza e della verità per dono di Dio, esulto con trepidazione. Perché, che cosa mai possediamo che non abbiamo ricevuto? Orbene, è senza dubbio migliore colui che è ricco per doni più grandi e più numerosi di Dio di colui che ne ha ricevuto di meno grandi e in minore numero: chi lo nega? Ma d'altra parte è meglio anche per un piccolo dono di Dio rendere grazie a Lui che pretendere ne vengano rese a noi per uno grande. Prega per me, fratello, affinché io confessi sempre questo con tutta l'anima e il mio cuore non sia in disaccordo con la mia lingua. Prega, te ne scongiuro, perché io invochi il Signore non con l'intenzione di riceverne lode ma lodandolo, e sarò salvo dai miei nemici. |
| |
5. Est etiam aliud quo istum fratrem amplius diligas: nam est cognatus venerabilis, et vere beati episcopi Alypii, quemtoto pectore amplecteris, et merito; nam quisquis de illo viro benigne cogitat, de magna Dei misericordia, et de mirabilibus Dei muneribus cogitat. Itaque cum legisset petitionem tuam, qua desiderare te indicasti ut historiam suam tibi scribat, et volebat facere propter benevolentiam tuam, et nolebat propter verecundiam suam: quem cum viderem inter amorem pudoremque fluctuantem, onus ab illo in humeros meos transtuli; nam hoc mihi etiam per epistolam iussit. Cito ergo, si Dominus adiuverit, totum Alypium inseram praecordiis tuis; nam hoc sum ego maxime veritus, ne ille vereretur aperire omnia quae in eum Dominus contulit, ne alicui minus intellegenti (non enim abs te solo illa legerentur), non divina munera concessa hominibus, sed seipsùm praedicare videretur, et tu qui nosti quomodo haec legas, propter aliorum cavendam infirmitatem fraternae notitiae debito fraudareris: quod iam fecissem, iamque illum legeres, nisi profectio fratris improvisa repente placuisset. Quem sic commendo cordi et linguae tuae, ut ita comiter ei te praebeas, quasi non nunc illum, sed mecum ante didiceris. Si enim cordi tuo non dubitaverit aperire seipsum, aut ex omni, aut ex magna parte sanabitur per linguam tuam. Volo enim eum numerosius contundi eorum vocibus, qui amicum non seculariter diligunt.
|
5. C'è ancora un'altra ragione perché tu ami maggiormente questo fratello: egli infatti è parente del venerabile e veramente santo vescovo Alipio, che tu ami con tutto il cuore e meritamente; infatti chiunque dà un benevolo giudizio di quell'uomo, lo dà riguardo alla grande misericordia e ai mirabili doni di Dio. Perciò, dopo aver letto la tua richiesta con cui hai manifestato il desiderio ch'egli ti racconti tutta la storia della sua vita, voleva farlo per la benevolenza che nutre nei tuoi confronti e nello stesso tempo non lo voleva per la sua modestia. E vedendo che ondeggiava tra l'affetto e il pudore, ho trasferito sulle mie spalle il peso togliendolo a lui: infatti anche di questo mi ha pregato in una sua lettera. Perciò presto, se il Signore mi aiuterà, farò entrare, per così dire, tutto intero nel tuo cuore Alipio: giacché ho soprattutto avuto paura di questo, cioè ch'egli avesse soggezione di rivelarti tutti i doni che il Signore ha riversato su di lui affinché a qualcuno meno intelligente non desse l'impressione di celebrare non i doni divini concessi agli uomini, ma se stesso (infatti queste cose non sarebbero state lette da te solo); e così tu, che sai come debba leggerle, fossi defraudato - per riguardo alla infermità altrui - delle notizie a te dovute indispensabili per conoscere un fratello. Ed io lo avrei già fatto e tu lo avresti già davanti ai tuoi occhi, se non si fosse decisa all'improvviso l'immediata partenza del fratello che io raccomando al tuo cuore ed alle tue parole in maniera che tu ti metta cortesemente a sua disposizione quasi che lo abbia conosciuto non adesso ma in precedenza insieme a me. Se infatti non esiterà ad aprirsi al tuo cuore, sarà guarito completamente o almeno in gran parte per le tue parole. Desidero infatti ch'egli venga più frequentemente colpito dalle parole di coloro che amano i loro amici in modo diverso da come li ama il mondo. |
| |
6. Filium autem eius, filium nostrum, cuius etiam nomen in aliquibus nostris libris invenies, etsi ad tuae caritatis praesentiam ipse non pergeret, statueram litteris in manumtuam tradere consolandum, exhortandum, instruendum, non tam oris sono, quam exemplo roboris tui. Ardeo quippe, ut dum adhuc aetas eius in viridi feno est, zizania convertat in frugem, et credat expertis quod experiri periculose desiderat. Nunc ergo ex eius carmine, et ex epistolaquam ad eum misi, intellegit benevolentissima et mansuetissima prudentia tua, quid de illo doleam, quid timeam, quid cupiam. Nec despero affuturum Dominum, ut per te ministrum eius tantis curarum aestibus liberer. Sane quia multa scripta nostra lecturus es, multo erit mihi gratior dilectio tua, si ex his quae tibi displicuerint, emendaveris me iustus in miscricordia, et argueris me. Non enim talis es, cuius oleo timeam impinguari caput meum. Fratres non solum qui nobiscum habitant, et qui ubilibet habitantes Deo pariter serviunt, sed prope omnes qui nos in Christo libenter noverunt, salutant, venerantur, desiderant Germanitatem, Beatitudinem, Humanitatem tuam. Non audeo petere; sed si tibi ab ecclesiasticis muneribus vacat, vides quid mecum sitiat Africa.
|
6. Il suo figliuolo poi - che è un figlio per me, il cui nome troverai anche in qualche mio libro -, avevo deciso, anche se non fosse venuto di persona alla presenza della tua Carità, di affidarlo nelle tue mani per mezzo di una lettera, affinché tu lo consoli, lo stimoli e lo istruisca non tanto con le tue parole quanto con l'esempio della tua fortezza. Giacché desidero ardentemente che, mentre la sua età è ancora verde, egli cambi la zizzania in frumento e creda agli esperti a proposito di quello che vuole sperimentare con un suo pericolo. Ora dunque la tua prudenza tanto benevola e mite comprende (dalla sua poesia e dalla lettera che gli mandai) quello di cui mi addoloro, quello che temo e quello che desidero a suo riguardo. E non dispero nell'aiuto del Signore affinché per mezzo di te, suo ministro, io sia liberato da così gravi affanni e preoccupazioni. E, poiché ti accingi a leggere molti scritti miei, la tua amicizia mi riuscirà certamente molto più gradita, se in quella che ti dispiacerà tu mi correggerai con giusta misericordia (Sal 140, 5) e mi riprenderai chiaramente. Giacché tu non sei tale per cui io debba temere che il mio capo sia unto dal tuo olio. Non solo i fratelli che abitano con noi e quelli che, dovunque abitino, servono parimenti il Signore, ma quasi tutti quelli cui siamo piacevolmente noti in Cristo, salutano, venerano e desiderano la tua Fraternità, la tua Beatitudine, la tua Umanità. Non oso chiedere, ma se gli uffici ecclesiastici ti lasciano del tempo libero, tu vedi qual sia la sete di cui l'Africa soffre insieme con me. |