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lettera 29      aD  Alipio

 

Scritta nel 395

a Ippona

 

 

Agostino, ancora semplice prete di Ippona, nel ricordo della nascita di Leonzio un tempo vescovo di Ippona, scrive all'amico fraterno Alipio, divenuto vescovo del loro paese natale Tagaste, indicandogli con quali esortazioni è riuscito a distogliere i fedeli dalla tradizionale ed indecente usanza di celebrare le feste dei santi con crapule, indegne sempre per i Cristiani (n. 1-11) e lo esorta a pregare per il buon esito d'una causa con i Circoncellioni (n. 12).

 

1.  De negotio interim quod non curare non possum, nihil certum scribere potui, absente fratre Machario, qui cito dicitur rediturus; et quod Deo adiuvante peragi potuerit, peragetur. De nostra autem pro eis sollicitudine, quanquam fratres nostri cives qui. aderant securos suos facere possent; tamen digna res epistolari colloquio quo nos invicem consolamur, a Domino praestita est; in quo promerendo multum nos adiutos esse credimus ipsa vestra sollicitudine, quae profecto sine deprecatione pro nobis esse non potuit.

 

 

1. A causa dell'assenza del fratello Macario non ho potuto per ora scriverti nulla di certo sull'affare che non posso non avere a cuore: credo però che tornerà presto, e allora si farà quello che con l'aiuto di Dio si potrà fare. Quanto poi alla sollecitudine che noi abbiamo per loro, sebbene i concittadini nostri fratelli che erano presenti potessero rassicurarne i loro cari, tuttavia ci è stato assicurato dal Signore un avvenimento degno del colloquio epistolare con cui ci consoliamo a vicenda, e nel meritarlo crediamo di essere stati assai aiutati dalla vostra stessa sollecitudine che certamente non ha potuto non essere accompagnata da preghiere per noi.

 

 

2.  Itaque non praetermittamus vestrae Caritati narrare quid gestum sit, ut nobiscum Deo gratias agatis de accepto beneficio, qui nobiscum preces de accipiendo fudistis: cum post profectionem tuam nobis nuntiatum esset tumultuari homines, et dicere se ferre non posse ut illa solemnitas prohiberetur, quam Laetitiam nominantes, vinolentiae nomen frustra conantur abscondere, sicut etiam te praesente iamiam nuntiabatur; opportune nobis accidit occulta ordinatione omnipotentis Dei, ut quarta feria illud in Evangelio capitulum consequenter tractaretur: Nolite dare sanctum canibus, neque proieceritis margaritas vestras ante porcos (Mt 7, 6). Tractatum est ergo de canibus et de porcis, ita ut et pervicaci latratuadversus Dei praecepta rixantes, et voluptatum carnalium sordibus dediti erubescere cogerentur; conclusumque ita, ut viderent quam esset nefarium intra ecelesiae parietes id agere nomine religionis, quod in suis domibus si agere perseverarent, sancto et margaritis ecclesiasticis eos arceri oporteret.

2.  Non possiamo perciò trascurare di narrare alla vostra Carità quello che è accaduto, affinché Voi, che con noi avete profuso preghiere per ottenerlo, con noi rendiate grazie a Dio per il beneficio ottenuto. Dopo la tua partenza ci era stato annunciato che il popolo tumultuava e sosteneva di non poter tollerare che fosse proibita quella festa che chiama “Allegrezza”, sforzandosi invano di mascherare il nome dell'ubriachezza (come già si annunziava quando tu eri ancora presente); ma nel quarto giorno della settimana, continuando la lettura del Vangelo, avemmo, per misterioso disegno di Dio onnipotente, l'opportunità di commentare il passo: Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle innanzi ai porci. Si argomentò dunque dei cani e dei porci in modo da far arrossire quelli che protestavano contro i precetti di Dio latrando ostinatamente e quelli che erano dediti alle sozzure dei piaceri carnali, e si concluse in modo che vedessero quale sconcezza fosse fare entro le pareti della chiesa, col pretesto della religione, quello per cui se si fossero ostinati a farlo in casa loro, sarebbe stato doveroso escluderli dal Santo e dalle Perle della Chiesa.

 

 

3.   Sed haec quamvis grate accepta fuerint, tamen quia pauci convenerant, non erat satisfactum tanto negotio. Iste autem sermo cum ab eis qui aderant, pro duiusque facultate ac studio, foris ventilaretur, multos habuit contradictores. Postea vero quam dies Quadragesima illuxisset, et frequens multitudo ad boram tractationis occurrit, lectum est illud in Evangelio, ubi Dominus de templo expulsis venditoribus animalium, et eversis mensis nummulariorum, dixit domum Patris sui pro domo orationum speluncam latronum esse factam (Mt 21, 12 s.): quod capitulum, cum eos intentos proposito vinolentiae quaestione feci, et ipse quoque recitavi, adiunxique disputationem, qua ostenderem quanto commotius et vehementius Dominus noster ebriosa convivia, quae ubique sunt turpia, de templo expelleret, unde sic expulit concessa commercia, cum ea venderentur, quae sacrificiis illo tempore licitis essent necessaria; quaerens ab eis, quibus similiorem putarent speluncam latronum, necessaria vendentibus, an immoderate bibentibus.

 

 

3. Ma, per quanto queste considerazioni fossero state accolte di buon grado, tuttavia, poiché pochi erano i convenuti, non si era fatto abbastanza per un affare così importante. Inoltre questa predica divulgata fuori da coloro che vi avevano assistito secondo la capacità e l'inclinazione di ciascuno, trovò molti oppositori. Quando però fu spuntato il giorno dell'Ascensione ed una folla numerosa si raccolse all'ora della predica, si lesse il passo evangelico in cui il Signore, cacciati dal tempio i mercanti di bestiame e rovesciati i banchi dei cambiavalute, disse che la casa del Padre suo era stata trasformata da casa di preghiera in una spelonca di briganti. E, dopo aver suscitato la loro attenzione proponendo la questione dell'ubriachezza, recitai io stesso quel capitolo ed aggiunsi un commento per mostrare con quanto maggior sdegno e violenza nostro Signore avrebbe bandito i conviti degli ubriaconi (che sono vergognosi in qualsiasi luogo) dal tempio, donde bandì in questo modo i commerci leciti giacché si vendevano le cose necessarie per dei sacrifici a quel tempo leciti, e chiesi loro a chi ritenessero più simile la spelonca dei ladri, se a quelli che vendevano delle cose necessarie o a quelli che bevevano in maniera smodata.

 

4.   Et quoniam mihi praeparatae lectiones suggerendae tenebantur, adiunxi deinde ipsum adhuc carnalem populum Iudaeorum, in illo templo, ubi nondum corpus et sanguis Domini offerebatur, non solum vinolentia, sed nec sobria quidem unquam celebrasse convivia; nec eos publice religionis nomine inebriatos inveniri in historia, nisi cum festa fabricato idoloexsolverent (Es 32, 6). Quae cum dicerem, codicem etiam accepi, et recitavi totum illum locum. Addidi etiam cum dolore quo potui, quoniam Apostolus ait, ad discernendum populum christianuma duritia Iudaeorum, Epistolam suam non in tabulis lapideis scriptam, sed in tabulis cordis carnalibus (2 Cor 3, 3), cum Moyses famulus Dei, propter illos principes, binas lapideas tabulas confregisset (Es 32, 19), quomodo non possemus istorum corda confringere, qui homines Novi Testamenti, sanctorum diebus celebrandis ea vellent solemniter exhibere, quae populus Veteris Testamenti et semel et idolo celebravit.

 

4.  E poiché mi si tenevano pronti i passi della Scrittura da sottoporre loro, aggiunsi poi che lo stesso popolo giudaico, che viveva secondo la carne, in quel tempio in cui non si offriva ancora il corpo e il sangue del Signore, non solo non aveva mai celebrato conviti accompagnati dall'ubriachezza, ma neppure sobri; e che mai nella Storia Sacra si trova ch'esso si fosse ubriacato col pretesto della religione se non quando celebrò le feste dopo aver fabbricato l'idolo. E mentre dicevo questo, presi anche il volume e recitai tutto quel passo. Aggiunsi ancora con tutto il dolore di cui fui capace (poiché l'Apostolo per distinguere il popolo cristiano dall'insensibilità dei Giudei dice che la sua lettera è stata scritta non su tavole di pietra ma sulle tavole di carne del cuore (4) come non avremmo potuto, mentre il servo di Dio Mosè aveva spezzato a causa di quei principi le due tavole di pietra (5), spezzare i cuori di quei tali che, uomini del Nuovo Testamento, volevano, per celebrare le feste dei santi, offrire solennemente quegli spettacoli che il popolo del Vecchio Testamento celebrò una volta sola e per un idolo.

 

5.   Tunc reddito Exodi codice, crimen ebrietatis, quantum tempus sinebat, exaggerans, sumpsi apostolum Paulum, et inter quae peccata posita esset obstendi, legens illum locum: Si quis frater nominetur aut fornicator, aut idolis serviens, aut avarus, aut maledicus, aut ebriosus, aut rapax; cum eiusmodi nec cibum sumere (1 Cor 5, 11); ingemiscendo admonens cum quanto periculo convivaremur cum eis qui vel in domibus inebriarentur. Legi etiam illud quod non longo intervallo sequitur: Nolite errare; neque fornicatores, neque idolis servientes, neque adulteri, neque molles, neque masculorum concubitores, neque fures, neque avari, neque ebriosi, neque maledici, neque raptores regnum Dei possidebunt. Et haec quidem fuistis; sed abluti estis, sed iustificati estis in nomine Domini Iesu Christi, et spiritu Dei nostri (1 Cor 6, 9-11). Quibus lectis, dixi ut considerarent quomodo possent fideles audire: sed abluti estis, qui adhuc talis concupiscentiae sordes, contra quas clauditur regnum coelorum, in corde suo, id est, in interiore Dei templo esse patiuntur. Inde ventum est ad illud capitulum: Convenientibus ergo vobis in unum, non est dominicam coenam celebrare: unusquisque enim propriam coenam praesumit in manducando; et alius quidem esurit, alius ebrius est. Numquid domos non habetis ad manducandum et bibendum? an Ecclesiam Dei contemnitis? (2 Cor 11, 20, 22) quo recitato diligentius commendavi, ne honesta quidem et sobria convivia debere in ecclesia celebrari; quandoquidem Apostolus non dixerit: Numquid domos non habetis ad inebrìandos vos? ut quasi tentummodo inebriari in ecclesia non liceret; sed: ad manducandum et bibendum, quod potest honeste fieri, sed praeter ecclesiam, ab eis qui domos habent, ubi alimentis necessariis refici possint; et tamen nos ad has angustias corruptorum temporum et diffluentium morum esse perductos, uti nondum modesta convivia, sed saltem domesticum regnum ebrietatis optemus.

5.  Allora, restituito il volume dell'Esodo, sottolineando (per quanto il tempo lo permetteva) la gravità della colpa dell'ubriachezza, presi le lettere dell'apostolo Paolo e mostrai tra quali peccati fosse stata posta, leggendo il passo: Se si chiama “fratello” un impudico o un idolatra o un avaro o un diffamatore o un ubriacone o un ladro, con un simile individuo non mangiare neppure ...; e gemendo ricordai loro con quanto pericolo noi banchettassimo con coloro che si abbandonavano all'ubriachezza anche solo nelle loro case. Lessi inoltre ciò che segue non molto dopo: Non illudetevi: né gli impudichi, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né i sodomiti, né i ladri, né gli avari, né gli ubriaconi, né gli ingiuriatori, né i rapinatori avranno l'eredità del regno di Dio. Appunto questo siete stati; ma vi siete mondati, ma siete stati giustificati nel nome del Signor nostro Gesù Cristo e dallo Spirito del nostro Dio. Letto questo dissi di considerare come potessero udire le parole ma vi siete mondati quei fedeli i quali tolleravano che vi fossero nel loro cuore, cioè nel tempio interiore di Dio, le sozzure d'una tale concupiscenza alle quali è precluso il regno dei cieli. Si giunse poi al capitolo: Quando dunque voi vi radunate insieme, il vostro non è affatto un celebrare la cena del Signore: ciascuno infatti, nel mangiare, si mette innanzi il suo proprio pasto, sicché l'uno ha fame, l'altro è ubriaco: non avete dunque voi case per mangiare e bere? O non tenete in alcun conto la chiesa di Dio? E dopo averlo recitato sottolineai con maggior diligenza che in chiesa non si debbono celebrare neppure dei conviti onesti e sobri, giacché l'Apostolo non ha detto: “non avete forse le case per ubriacarvi?” come se unicamente non fosse lecito ubriacarsi in chiesa, ma per mangiare e per bere: il che può farsi onestamente, ma fuori della chiesa, da coloro che hanno le case in cui potersi ristorare con gli alimenti necessari; eppure noi siamo ridotti in tali angustie per la corruzione dei tempi e il rilassamento dei costumi da non desiderare ancora conviti modesti, ma almeno che il regno dell'ubriachezza sia ridotto entro le pareti domestiche.

 

 

6.   Commemoravi etiam Evangelii capitulum quod pridie tractaveram, ubi de pseudoprophetis dictum est: Ex fructibus eorum cognoscetis eos (Mt 7, 16). Deinde in memoriam revocavi fructus eo loco non appellatos, nisi opera; tum quaesivi inter quos fructus nominata esset ebrietas, et recitavi illud adGalatas: Manifesta autem sunt opera carnis, quae sunt fornicationes, immunditiae, luxuriae, idolorum servitus veneficia, inimicitiae, contentiones, aemulationes, animositates, dissensiones, haereses, invidiae, ebrietates, comessationes, et his similia; quae praedico vobis, sicut praedixi, quoniam qui talia agunt regnum Dei non possidebunt (Gal 5, 19-21). Post quae verba interrogavi quomodo de fructu ebrietatis agnosceremur christiani, quos de fructibus agnosci Dominus iussit. Adiunxi etiam legendum quod sequitur: Fructus autem spiritus est caritas, gaudium, pax, longanimitas, benignitas, bonitas, fides, mansuetudo, continentia (Gal 5, 22-23): egique ut considerarent quam esset pudendum atque plangendum, quod de illis fructibus carnis non solumprivatim vivere, sed etiam honorem Ecclesiae deferre cuperent, et si potestas daretur, totum tam magnae basilicae spatium turbis epulantium ebriorumque complerent; de spiritalibus autem fructibus, ad quos et divinarum Scripturarum auctoritate et nostris gemitibus invitarentur, nolunt afferre Deo munera, et his potissimum celebrare festa sanctorum.

 

6.  Ricordai ancora il capitolo del Vangelo che avevo trattato il giorno precedente, dove è detto dei falsi profeti: Li riconoscerete dai loro frutti. Quindi rammentai che in quel passo col nome di frutti non si indica altro che le opere: allora esaminai tra quali frutti fosse ricordata l'ubriachezza e recitai il passo della lettera ai Galati: Sono ben note le opere della carne, che sono fornicazioni, impurità, dissolutezza, idolatria, magie, inimicizie, risse, gelosie, rivalità, discordie, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose simili a queste; riguardo alle quali vi predico, come vi ho già predetto, che coloro i quali commettono tali azioni non entreranno in possesso del regno di Dio. Dopo queste parole domandai come, dal frutto dell'ubriachezza, noi avremmo potuto essere riconosciuti come cristiani dal momento che il Signore comandò che si riconoscessero dai frutti. Aggiunsi ancora di leggere quel che segue: I frutti dello spirito, al contrario, sono: carità, gioia, pace, longanimità, benignità, bontà, fedeltà, mitezza, temperanza, e feci loro considerare quanto fosse vergognoso e lacrimevole che coi frutti della carne bramassero non solo di vivere in privato ma anche di rendere onore alla Chiesa e che, se fosse loro data la possibilità, avrebbero riempito tutto lo spazio di una così ampia basilica di turbe di banchettanti e di ubriaconi, mentre coi frutti dello spirito, ai quali erano esortati sia dall'autorità delle Scritture divine che dai nostri gemiti, non volevano offrire doni a Dio e con questi soprattutto celebrare le feste dei Santi.

 

7.  Quibus peraetis, codicem reddidi, et imperata oratione, quantum valui, et quantum me ipsum periculum urgebat, et vires administrare Dominus dignabatur, constitui eis ante oculos commune periculum, et ipsorum qui nobis commissi essent, et nostrum qui de illis rationem reddituri essemus pastorum principi, per cuius humilitatem, insignes contumelias, alapas, et sputa in faciem, et palmas, et spineam coronam, et crucem ac sanguinem obsecravi, ut si se ipsi aliquid offendissent, vel nostri misererentur, et cogitarent venerabilis senis Valerii circa me ineffabilem caritatem, qui mihi tractandi verba veritatis tam periculosum onus non dubitarit propter eos imponere, eisque saepe dixerit quod orationes eius exauditae essent de nostro adventu; quos non utique ad communem mortem vel spectaculum mortis illorum, sed ad communem conatum in aeternam vitam ad se venisse laetatus est. Postremo etiam dixi certum esse me, et fidere in eum qui mentiri nescit, qui per os prophetae sui pollicitus est de Domino nostro Iesu Christo dicens: Si reliquerint filii eius legem meam, et in praeceptis meis non ambulaverint, si iustificationes meas profanaverint, visitabo in virga facinora eorum, et in flagellis delicta eorum; misericordiam autem meam non auferam (Sal 88, 31-34): in eum ergo me fidere, quod si haec tanta quae sibi essent lecta et dicta contemnerent, visitaturus esset in virga et in flagello, nec eos permissurus cum hoc mundo damnari. In qua conquestione sic actum, ut pro negotii atquepericuli magnitudine tutor et gubernator noster animos facultatemque praebebat. Non ego illorum lacrymas meis lacrymis movi; sed cum talia dicerentur, fateor, eorum fletu praeventus meum abstinere non potui. Et cum iam pariter flevissemus, plenissima spe correctionis illorum, finis sermonis mei factus est.

 

 

7.  Fatto questo restituii il volume e, dopo aver ordinato di pregare, per quanto fui capace e conforme all'urgenza stessa del pericolo e alle forze che il Signore si degnava di concederimi, posi davanti ai loro occhi il comune pericolo, sia di loro stessi, sia di noi, che di essi avremmo dovuto rendere conto al Principe dei pastori. Per l'umiliazione, le straordinarie contumelie, gli schiaffi, gli sputi in viso, le percosse, la corona di spine, la croce e il sangue di Lui, li supplicai che, se per conto loro essi avevano mancato in qualche modo, almeno avessero misericordia di noi e considerassero l'ineffabile carità dimostrata nei miei confronti dal vecchio Valerio, il quale non aveva esitato per causa loro ad impormi l'onere così pericoloso di spiegare le parole della Verità, e sovente aveva detto loro che le sue preghiere erano state esaudite per la nostra venuta e non si era certo rallegrato che noi fossimo venuti da lui per morire insieme a loro o per assistere alla loro morte ma perché insieme ci sforzassimo per conseguire la vita eterna. Infine dissi anche di avere sicura la fede in Colui che non sa mentire, il quale per bocca del suo profeta, promise parlando di nostro Signore Gesù Cristo: Se i suoi figli abbandoneranno la mia legge e non cammineranno secondo i miei precetti; se violeranno le mie giuste disposizioni, visiterò con la verga le loro iniquità e con la sferza i loro misfatti, ma non toglierò loro la mia misericordia; di avere pertanto fede in Lui che, se disprezzavano queste così gravi ammonizioni che erano state loro lette e rivolte oralmente, li avrebbe visitati con la verga e col flagello e non avrebbe permesso che fossero dannati insieme a questo mondo. E nel levare tali doglianze agii conforme ai sentimenti ed alle facoltà che mi offriva il nostro protettore e reggitore in rapporto alla grandezza dell'impresa e del pericolo. Non fui io a suscitare le loro lacrime con le mie lacrime, ma, nel dire tali cose (lo confesso), prevenuto dal loro pianto, non potei trattenere il mio. E dopo che già avevamo pianto insieme, posi fine al mio discorso con pienissima speranza nella loro correzione.

 

 

8.   Postridie vero, cum illuxisset dies cui solebant fauces ventresque se parare, nuntiatur mihi nonnullos, eorum etiam qui sermoni aderant, nondum a murmuratione cessasse, tantumque in eis valere vim pessimae consuetudinis, ut eius tantum voce uterentùr et dicerent: Quare modo? Non enim, antea qui haec non prohibuerunt, christiani non erant. Quo audito, quas sicut maiores commovendi eos machinas praepararem, omnino nesciebam: disponebam tamen, si perseverandum putarent, lecto illo loco de propheta Ezechiele: Explorator absolvitur, si periculum denuntiaverit, etiamsi illi quibus denuntiatur, cavere noluerint (Cf. Ez 33, 9 secondo una citazione a senso o secondo una versione diversa dalla Volgata), vestimenta mea excutere atque discedere.

Tum vero Dominus ostendit quod nos non deserat, et quibus modis in se ut praesumamus hortetur: namque ante horam qua exhedram ascenderemus, ingressi sunt ad me iidem ipsi quos audieram de oppugnatione vetustae consuetudinis fuisse conquestos; quos blande acceptos, paucis verbis in sententiam sanam transtuli; atque ubi ventum est ad tempus disputationis, omissa lectione quam praeparaveram, quia necessaria iam non videbatur, de hac ipsa quaestione pauca disserui, nihil nos nec brevius nec verius posse afferre adversus eos qui dicunt: Quare modo? nisi et nos dicamus: Vel modo.

8.  Ma all'indomani, spuntato il giorno per cui solevano prepararsi le gole e i ventri, mi viene riferito che alcuni di coloro che avevano assistito alla predica, non avevano ancora smesso di mormorare, e tanta forza esercitava su di loro la pessima abitudine, che seguivano unicamente la sua voce e dicevano: "Perché adesso? Giacché non è che non fossero Cristiani coloro che in passato non proibirono queste cose". Udito questo, non sapevo assolutamente quali astuzie escogitare come più efficaci per commuoverli; mi disponevo tuttavia, se pensavano che si dovesse perseverare, a scuotere le mie vesti e andarmene dopo aver letto quel passo del profeta Ezechiele: L'esploratore si assolve se ha denunziato il pericolo, anche nel caso che quelli cui viene denunziato non abbiano voluto guardarsene. Ma allora il Signore dimostrò che non ci abbandona e in quali modi ci esorti ad aver fiducia in Lui: infatti prima dell'ora di salire sul pulpito, entrarono da me quegli stessi che avevo sentito essersi lagnati per l'opposizione fatta all'antica consuetudine. Accoltili cortesemente, con poche parole li indussi al partito che era ragionevole. E quando si giunse al momento della discussione, tralasciata la lettura che avevo preparata, perché non pareva più necessaria, feci alcune brevi considerazioni su questo stesso problema, dicendo non poter noi addurre niente di più conciso né di più vero contro coloro che dicono: "Perché adesso?", se non dire anche noi: "Almeno adesso".

 

 

9.   Verumtamen ne illi, qui ante nos tam manifesta imperitae multitudinis crimina vel permiserunt vel prohibere non ausisunt, aliqua a nobis affici contumelia viderentur, exposui eis qua necessitate ista in Ecclesia viderentur exorta: scilicet post persecutiones tam multas, tamque vehementes, cum facta pace, turbae Gentilium in chistianum nomen venire cupientes hoc impedirentur, quod dies festos cum idolis suis solerent in abundantia epularum et ebrietate consumere, nec facile ab his perniciosissimis et tam vetustissimis voluptatibus se possent abstinere, visum fuisse maioribus nostris, ut huic infirmitatis parti interim parceretur, diesque festos, post eos quos relinquebant, alios in honorem sanctorum martyrum vel non simili sacrilegio, quamvis simili luxu celebrarent: iam Christi nomine colligatis, et tantae auctoritatis iugo subditis salutaria sobrietatis praecepta traderentur, quibus iam propter praecipientis honorem ac timorem resistere non valerent; quocirca iam tempus esse, ut qui non se audent negare christianos, secundum Christi voluntatem vivere incipiant, ut ea quae ut essent christiani concessa sunt, cum christiani sunt, respuantur.

 

 

9.  Tuttavia, perché non si avesse l'impressione noi sminuissimo coloro che prima di noi o permisero o non osarono proibire crimini così manifesti della folla ignorante, esposi loro per quale necessità pareva che usanze di tal genere fossero sorte nella Chiesa. Dato che, fatta la pace dopo così numerose e violente persecuzioni, le turbe dei gentili che desideravano diventare cristiane ne venivano distolte dal fatto che usavano consumare i giorni di festa coi loro idoli in copiosi banchetti e nella ubriachezza e non potevano facilmente astenersi da questi piaceri perniciosissimi eppure tanto inveterati, parve opportuno ai nostri antenati che si tollerasse per il momento questa parte di debolezza e che, dopo quelle che abbandonavano, celebrassero altre feste in onore dei santi Martiri almeno con un non simile sacrilegio, anche se con simile dissipazione. A coloro invece che erano già legati insieme dal nome di Cristo e sottoposti al giogo di così grande autorità, [parve opportuno che] s'impartissero salutari precetti di sobrietà, ai quali non potessero più resistere per rispetto e timore di chi li impartiva. Esser quindi ormai tempo - [concludevo] - che coloro che non osano negare la loro qualità di Cristiani comincino a vivere secondo la volontà di Cristo in maniera che vengano rigettate, adesso che sono Cristiani, quelle concessioni ch'erano state fatte affinché diventassero Cristiani.

 

10.   Deinde hortatus sum ut transmarinarum Ecclesiarum, in quibus partim ista recepta nunquam sunt, partim iam per bonos rectores populo obtemperante correcta, imitatores esse vellemus. Et quoniam de basilica beati apostoli Petri, quotidianae vinolentiae proferebantur exempla; dixi primo audisse nos saepe esse prohibitum, sed quod remotus sit locus ab episcopi conversatione, et in tanta civitate magna sit carnalium multitudo, peregrinis praesertim, qui novi subinde veniunt tanto violentius, quanto inscitius illam consuetudinem retinentibus, tam immanem pestem nondum compesci sedarique potuisse. Verumtamen nos si Petrum apostolum honoraremus, debere praecepta eius audire, et multo devotius Epistolam inqua voluntas eius apparet, quam basilicam in qua non apparet, intueri; statimque accepto codice recitavi ubi ait: Christo enim passo pro nobis per carnem, et vos eadem cogitatione armamini; quia qui passus est carne, desiit a carne, ut iam non hominum desideriis, sed voluntate Dei reliquum tempus in carne vivat. Sufficit enim vobis praeteritum tempus voluntate hominum perfecisse, ambutantes in libidinibus, desideriis, ebrietate, comessationibus et nefandis idolorum servitutibus (1 Pt 4, 1-3). Quibus gestis, cum onmes. uno animo in bonam voluntatem ire contempla mala consuetudine cernerem, hortatus sum ut meridiano tempore divinis lectionibus et psalmis interessent; ita illum diem multo mundius atque sincerius placere celebrandum; et certe de moltitudine convenientium facile posse apparere, qui mentem, et qui ventrem sequeretur. Ita lectis omnibus sermo terminatus est.

 

 

 

10.  Esortai poi affinché volessimo essere imitatori delle Chiese d'oltre mare in cui siffatte consuetudini in parte non furono mai accolte, in parte furono già corrette ad opera di buoni reggitori (Ambrogio) con l'ottemperanza del popolo. E poiché si adducevano esempi di quotidiana ubriachezza provenienti dalla basilica del beato apostolo Pietro, dissi in primo luogo aver noi udito che lo si era proibito sovente; ma, essendo la località lontana dalla residenza del vescovo e grande, in una città così vasta, la moltitudine delle persone che vivono secondo la carne (conservando soprattutto i pellegrini che giungono continuamente nuovi quella consuetudine e con tanta più forza quanto maggiore è la loro ignoranza), non si era ancora potuto frenare e stroncare una così orrenda calamità. Tuttavia, se onoravamo l'apostolo Pietro, dovevamo ascoltare i suoi precetti e tenere presente con molto maggiore devozione l'Epistola in cui si manifesta la sua volontà che non la basilica in cui non si manifesta; e subito, preso il volume, recitai il passo in cui dice: Avendo infatti Cristo sofferto nella carne per noi, armatevi anche voi della stessa convinzione, che Colui che ha sofferto nella carne si è staccato dalla carne per vivere il tempo che gli rimane da vivere nel corpo non più secondo le passioni umane ma secondo il volere di Dio. Giacché è già eccessivo per voi aver consumato il tempo trascorso secondo la volontà degli uomini, vivendo in dissolutezza, cupidigia, ubriachezza, orge e nefande idolatrie. Fatto questo, vedendo che tutti unanimemente, deplorando la cattiva abitudine, erano inclini alla buona volontà, li esortai a partecipare nelle ore pomeridiane alle divine letture ed al canto dei salmi; così pensavo che quel giorno si dovesse celebrare molto più puramente e sinceramente, e certo dalla folla dei convenuti si sarebbe potuto facilmente vedere chi seguisse la ragione e chi il ventre. Così, eseguite tutte le letture, il sermone ebbe termine.

 

11.   Pomeridiano autem die, maior quam ante meridiem affuit multitudo, et usque ad horam qua cum episcopo egrederemur, legebatur alternatim et psallebatur; nobisque egressis duo psalmi lecti sunt. Deinde me invitum, qui iam cupiebam peractum esse tam periculosum diem, iussum compulit senex ut aliquid eis loquerer. Habui brevem sermonem, quo gratias agerem Deo. Et quoniam in haereticorum basilica audiebamus ab eis solita convivia celebrata, cum adhuc, etiam eo ipso tempore quo a nobis istagerebantur, illi in poculis perdurarent, dixi diei pulchritudinem noctis comparatione decorari, et colorem candidum nigri vicinitate gratiorem; ita nostrum spiritalis celebrationis conventum minus fortasse futurum fuisse iucundum, nisi ex alia parte carnalis ingurgitatio conferretur, hortatusque sum ut tales epulas instanter appeterent, si gustassent quam suavis est Dominus; illis autem essemetuendum, qui tanquam primum sectantur quod aliquando destruetur, cum quisque comes efficiatur eius rei quam colit, insultaritque Apostolus talibus dicens: quorum Deus venter (Fil 3, 19), cum idem alio loco dixerit: Esca ventri et venter escis; Deus autem et hunc et illas evacuabit (1 Cor 6, 13). Nos proinde oportere id sequi quod non evacuatur, quod remotissimum a carnis affectu spiritus sanctificatione retinetur; atque in hanc sententiam, pro tempore, cum ea quae Dominus suggerere dignatus est dicta essent, acta sunt vespertina quae quotidie solent, nobisque cum episcopo recedentibus, fratres eodem loco hymnum dixerunt, non parva moltitudine utriusque sexus usque ad obscuratum diem manente atque psallente.

 

 

 

11.  Nel pomeriggio poi accorse una folla maggiore che prima di mezzogiorno e fino all'ora della nostra uscita col vescovo si leggeva e si cantava alternativamente, e quando noi fummo usciti furono letti due salmi. Poi il Vecchio, ordinandomelo, mi costrinse mio malgrado (che avrei già voluto che una giornata così pericolosa fosse giunta al termine), a dir loro qualcosa. Tenni un breve sermone per rendere grazie a Dio. E siccome sentivamo dire che nella basilica degli eretici erano stati da loro celebrati i soliti conviti, poiché proprio in quel tempo in cui da noi venivano fatte queste cose essi continuavano ancora a darsi al vino, io dissi che la bellezza del giorno è adornata dal confronto con la notte e il colore bianco diventa più gradito per la vicinanza di quello nero: similmente il nostro convegno per una celebrazione spirituale sarebbe stato forse meno lieto se non vi si fosse contrapposta la crapula carnale dell'altra parte. Li esortai inoltre perché, se avevano gustato quanto è soave il Signore, ricercassero insistentemente tali banchetti, invece devono temere coloro che ricercano come la cosa più importante quello che un giorno sarà distrutto, giacché ciascuno diviene compagno di quello che ama, e l'Apostolo inveì contro siffatte persone dicendo: Loro dio è il ventre, avendo inoltre detto in un altro passo: I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi, ma Dio distruggerà quello e questi. Perciò noi abbiamo il dovere di perseguire ciò che non viene meno, ciò che, remotissimo dall'affetto carnale, si conserva mediante la santificazione dello spirito. E, dette in tal senso, come la circostanza richiedeva, le parole che Dio si compiacque di suggerire, si celebrarono i soliti riti vespertini di ogni giorno e, ritirandoci noi col vescovo, i fratelli nello stesso luogo cantarono un inno mentre una non piccola moltitudine dell'uno e dell'altro sesso si trattenne a salmodiare finché il giorno si fu oscurato.

 

12.   Digessi vobis quantum breviter potui, quod vos audire desiderasse quis dubitaverit? Orate ut a conatibus nostris omnia scandala et omnia taedia Deus dignetur avertere. Magna sane ex parte vobiscum requiescimus cum alacritate fervoris, quia spiritalis Ecclesiae Thagastensium tam crebra nobis dona nuntiantur. Navis cum fratribus nondum venit. Apud Hasnam, ubi est presbyter frater Argentius, Circumcelliones invadentes basilicam nostram altare comminuerunt. Causa nunc agitur; quae ut pacate agatur et ut Ecclesiam catholicam decet, ad opprimendas linguas haereseos impacatae, multum vos petimus ut oretis. Epistolam Asiarchae misimus. Beatissimi, perseveretis in Domino, memores nostri. Amen.

 

12.  Vi ho esposto con la maggior brevità possibile quello che senza alcun dubbio voi avreste desiderato di conoscere. Pregate che Dio si degni tener lontani dai nostri sforzi ogni scandalo e ogni cosa incresciosa. Noi certamente, pur continuando a lavorare con fervore, facciamo grande affidamento su di voi, giacché tanto frequentemente ci vengono annunziati i doni concessi da Dio alla Chiesa spirituale di Tagaste. La nave coi fratelli non è ancora arrivata. Ad Asna, dove è prete il fratello Argenzio, i Circoncellioni, invadendo la nostra basilica, hanno fatto a pezzi l'altare. La causa viene discussa attualmente e vi supplichiamo molto di pregare affìnchè essa venga trattata pacificamente come si addice alla Chiesa Cattolica per schiacciare le lingue degli eretici senza pace. Abbiamo mandato una lettera all'Asiarca. Continuate a vivere beatissimi nel Signore memori di noi. Amen.