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lettera 16      Da  Massimo Ad Agostino

 

Scritta nel 391

a Madaura

 

Massimo, insegnante di grammatica a Madaura (città dei primi studi di Agostino e non lontana da Tagaste) cerca di difendere il politeismo dei pagani affermando che sotto diversi nomi essi adorano un solo Dio (n. 1-4). Si sdegna che si preferiscano uomini morti agli dei pagani e schernisce certi nomi punici forse di martiri venerati dai Cristiani biasimandone il culto (n. 2): li critica altresì perché non ammettono profani ai loro riti sacri (n. 3).

 

1.   Avens crebro tuis affatibus laetificari, et instinctu sui sermonis, quo me paulo ante iucundissime salva caritate pulsasti, paria redhibere non destiti, ne silentium meum poenitudinem appellares. Sed quaeso ut si haec quasi seniles artus esse duxeris, benignarum aurium indulgentia prosequaris. Olympum montem deorum esse habitaculum, sub incerta fide Graecia fabulatur. At veronostrae urbis forum salutarium numinum frequentia possessum nos cernimus et probamus. Equidem unum esse Deum summum, sine initio, sine prole naturae, ceu patrem magnum atque magnificum, quis tam demens, tam mente captus neget esse certissimum? Huius nos virtutes per mundanum opus diffusas, multis vocabulis invocamus, quoniam nomen eius cuncti proprium videlicet ignoramus. Nam Deus omnibus religionibus commune nomen est. Ita fit ut dum eius quasi quaedam membra carptim, variis supplicationibus prosequimur, totum colere profecto videamur.

 

 

1.  Desiderando essere spesso allietato dalle tue lettere e dallo stimolo delle tue parole, con cui di recente mi hai così piacevolmente colpito senza danno per l'amicizia, non ho voluto cessare di ricambiarti, affinché tu non considerassi come segno di rincrescimento il mio silenzio. Ma se tu riterrai che queste mie parole siano deboli come le mie membra senili, ti prego d'accoglierle indulgentemente con benevolo orecchio. Che il monte Olimpo sia la sede degli dèi, la Grecia lo racconta senza sicura certezza. Che però la piazza della nostra città sia abitata da un gran numero di divinità salutari, noi lo vediamo e lo sperimentiamo. E parimenti che il Dio sommo sia unico, senza inizio né prole naturale in quanto Padre grande e magnifico, chi potrebbe essere tanto stolto e dissennato da negare che sia cosa certissima? Le manifestazioni della sua potenza, diffuse nell'universo creato, noi le invochiamo con molti nomi, poiché tutti evidentemente ignoriamo il vero nome di Lui; Dio, infatti, è un vocabolo comune a tutte le religioni. Per conseguenza appare certamente chiaro che, mentre ne onoriamo separatamente, per così dire, le membra con vari riti, lo adoriamo tutto intero.

 

2.   Sed impatientem me esse tanti erroris, dissimulare non possum. Quis enim ferat Iovi fulmina vibranti praeferri Mygdonem;Iunoni, Minervae, Veneri, Vestaeque Sanaem, et cunctis, proh nefas! diis immortalibus archimartyrem Namphamonem? inter quos Lucitas etiam haud minore cultu suspicitur, atque alii interminato numero (diis hominibusque odiosa nomina) qui conscientia nefandorum facinorum, specie gloriosae mortis, scelera sua sceleribus cumulantes, dignum moribus factisque suis exitum maculati repererunt. Horum busta, si memoratu dignum est, relictis templis, neglectis maiorum suorum manibus, stulti frequentant, ita ut praesagium vatis illius indigne ferentis emineat:

Inque Deum templis iurabit Roma per umbras

(Lucano, Phars. 7, 459).

Sed mihi hac tempestate propemodum videtur bellum Actiacum rursus exortum, quo Aegyptia monstra in Romanorum deos audeant tela vibrare, minime duratura.

2.  Ma non riesco a nascondere che sono incapace di sopportare un errore così grave: chi infatti potrebbe tollerare che a Giove, che scaglia le folgori, si preferisca un Migdone; che a Giunone, a Minerva, a Venere ed a Vesta si preferisca una Sanae, e - orrore! - a tutti quanti gli dèi immortali il martire dei martiri Nanfamone ? E tra questi viene accolta con culto non minore anche Lucita ed altri innumerevoli (nomi odiosi agli dèi e agli uomini) i quali, coscienti delle proprie azioni nefande, sotto apparenza d'una morte gloriosa aggiungendo in realtà ai loro delitti nuove scelleratezze, hanno trovato, coperti d'infamia, una morte degna dei loro costumi e delle loro azioni. Intorno alle tombe di costoro, se la cosa merita d'essere ricordata, s'affollano gli stolti, dopo avere abbandonato i templi e trascurato i Mani dei loro antenati, sicché diventa chiaro il presagio del poeta sdegnato per una tale follia: E nei templi dei suoi dèi Roma giurerà per delle ombre. Mi sembra anzi in certo modo che in questo momento sia scoppiata una nuova guerra Aziaca, in cui i mostri Egiziani osino scagliare contro gli dèi di Roma dardi che non avranno effetti duraturi.

 

3.   Sed illud quaeso, vir sapientissime, uti remoto facundiae robore atque exploso, qua cunctis clarus es, omissis etiam quibus pugnare solebas Chrysippeis argumentis, postposita paululum dialectica, quae nervorum suorum luctamine nihil certi cuiquam relinquere nititur, ipsa re approbes, quis sit isteDeus quem vobis, Christiani, quasi proprium vindicatis, et in locis abditis praesentem vos videre componitis. Nos etenim deos nostros luce palam ante oculos atque aures omnium mortalium piis precibus adoramus, et per suaves hostias propitios nobis efficimus, et a cunctis haec cerni et probari contendimus.

3.  Ma ti chiedo, uomo sapientissimo, che, messo completamente da parte il vigore dell'eloquenza, per la quale sei famoso presso tutti, tralasciate anche le argomentazioni di Crisippo (con cui solevi combattere), e abbandonata per un poco la dialettica, la quale lottando con tutte le sue forze cerca di non lasciare a nessuno alcuna certezza, mi dimostri concretamente chi sia questo dio che voi cristiani rivendicate come vostra esclusiva proprietà e fingete di veder presente in luoghi nascosti. Poiché noi adoriamo i nostri dèi con pie preghiere alla luce del giorno, visti ed ascoltati da tutti gli uomini, ce li propiziamo con vittime fragranti e cerchiamo che questi atti siano visti e approvati da tutti.

 

4.   Sed ulterius huic certamini me senex invalidus subtraho, et in sententiam Mantuani rhetoris libenter pergo:

Trahit sua quemque voluptas (Virgilio, Bucol. 2, 65)

Post haec non dubito, vir eximie, qui a mea secta deviasti, hanc epistolam aliquorum furto detractam, flammis vel quolibet pacto perituram. Quod si acciderit, erit damnum chartulae, non nostri sermonis, cuius exemplar penes omnes religiosos perpetuo retinebo. Dii te servent, per quos et eorum atque cunctorum mortalium communempatrem, universi mortales, quos terra sustinet, mille modis concordi discordia veneramur et colimus.

4.  Ma, vecchio e invalido, io evito di continuare ulteriormente questa battaglia, e volentieri accetto la massima dello scrittore di Mantova: Ciascuno è guidato dal proprio piacere. Dopo questo io non dubito, o esimio signore che ti sei allontanato dalla mia religione, che questa mia lettera scomparirà o bruciata o in un altro qualsiasi modo, dopo esserti stata furtivamente sottratta da qualcuno. Ma, se anche questo accadrà, andrà perduta la carta, non il mio discorso, il cui contenuto resterà sempre vivo in tutti coloro che sono veramente religiosi. Ti conservino quegli dèi, sotto il cui nome noi tutti mortali quanti siamo sulla terra, in mille modi ma con una varietà che mira ad un identico fine, veneriamo il padre comune a loro e a tutti gli uomini.