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Percorso : HOME > Sant'Agostino > La vita > Traslazione a PaviaLA VITA DI SANT'AGOSTINO: traslazione delle spoglie da cagliari a Pavia
Pavia: Agostino riposa fra discepoli e sapienti
La traslazione delle spoglie da Cagliari a Pavia
VIII secolo
di P. S. Bellandi O.S.A. testo edito nel 1930 da Libreria Editrice Fiorentina
È noto come fra la fine del sec. VII e i primi anni dell'VIII, i Saraceni penetrarono nella Sardegna, e circa il 720 s'impadronirono anche di Cagliari. Orribili furono le devastazioni alle quali si abbandonarono questi invasori. Il loro fanatismo li portava in modo speciale contro tutto ciò che era sacro. Era quindi legittimo anche il timore per le preziose reliquie del grande Dottore Africano. Un tale timore fu in breve condiviso da tutta la cristianità, tanta e così generale era la devozione per il gran Santo.
Ne è prova di ciò indubbia ed eloquente la decisione nella quale venne il re dei Longobardi, per interessamento, a quanto sembra, del Vescovo di Pavia di quel tempo, di inviare a Cagliari dei legati, con la missione di riscattare le reliquie del Santo. S. Beda nel suo Chronicon, sive de sex aetatibus hujus saeculi, in Monum. Historia Britannica Vol. 1. p. 101, riporta in proposito la testimonianza tramandataci da Paolo Diacono: "Luitprand quoque audiens, quod Saraceni, depopulata Sardinia, etiam loca illa ossa sancti Augustini Episcopi propter vastationem barbarorum olim traslata et honorifice fuerant condita, foedarent, misit et dato magno pretio, accepit et transtulit ea in urbem ticinensem, ibique cum debito tanto Patri honore recondit."
APPROFONDIMENTO
Non sono pervenuti fino a noi i particolari certi di tale riscatto, di sicuro sappiamo solo che la missione riuscì nel suo intento. Poco dopo la metà del secolo scorso fece grande rumore ed ebbe estesa risonanza la scoperta di antiche pergamene palinseste scritte in caratteri longobardi designate col titolo "carte d'Arborea."
In tali documenti sarebbero stati inseriti, tra l'altro, brani di una cronaca contemporanea o quasi, alla invasione dei Saraceni, ed al riscatto del corpo di S. Agostino per parte dei messi di Liutprando con estesi particolari intorno a tale riscatto. Fra l'altro viene narrata l'opposizione che fecero i buoni Cagliaritani a tale mercato, opposizione che costò la vita a diversi. Fra quest'oppositori si sarebbero trovati vari religiosi che custodivano le preziose reliquie. Molto si è disputato su l'autenticità di tali documenti. Non pochi però hanno, avanzato seri dubbi, alcuni hanno gridato al trucco, altri ne hanno sostenuto la validità storica. Anche intorno all'anno preciso nel quale ciò si verificò non vi è concordanza. Ad ogni modo, considerato tutto, possiamo di sicuro affermare, che il riscatto delle reliquie del S. Dottore, ed il loro trasferimento a Pavia, avvenne intorno all'anno 722. Proprio l'anno 722 stanno molti e gravi autori. Anche il Muratori sta per questa data.
Starebbe a conferma il fatto, che la morte del Gialeto, al tempo del quale entrarono in Cagliari i Saraceni e fu venduto a Liutprando il corpo di S. Agostino, è segnata precisamente nel 722. Amarissima tornò ai pii Sardi la perdita di tanto tesoro. Un'antichissima tradizione, che si trova confermata da quasi tutti gli autori che si sono occupati di storia Sarda, afferma, che non potendo salvare il corpo del Santo, alcuni ardimentosi tentarono, e vi riuscirono, stando a tale tradizione, di trafugare almeno le vesti sacre che lo ricoprivano, comprese le insigne episcopali mitra e baculo. Di una tale tradizione vi è espressa menzione nelle sopra ricordate carte d'Arborea. In esse viene anzi precisato anche il nome dei tre ardimentosi che si diedero da fare per salvare sì preziose reliquie.
Tale ardire costò a due di loro la vita. Secondo tale testimonianza, in quella generale confusione queste reliquie vennero nascoste nella spelonca di S. Giovenale Vescovo di Cagliari. Relativamente a queste due ultime reliquie, alla mitra, cioè, ed al baculo, vuole la medesima tradizione, che vari religiosi addetti alla custodia del sepolcro del Santo, costretti dagli invasori a cercare altrove un asilo, si rifugiarono nella Spagna, portando con sè le due reliquie. Dopo varie vicende, intorno alla metà del secolo XIII sarebbero venute in possesso degli Agostiniani di Valenza, che gelosamente le conservarono fino alla soppressione Spagnola dello scorso secolo.
Quando nel 1835 i Padri agostiniani furono costretti dalla legge di soppressione ad abbandonare il monastero di Valenza, le reliquie, a quanto viene affermato, rimasero presso il Superiore del soppresso Convento. Venendo costui a morte, 1840, avrebbe disposto che le medesime fossero consegnate in deposito, al Capitolo della Cattedrale Valentina (P. SULIS, Anno del Martirio di S. Efisio, e sua vita, con note e documenti, Cagliari 1881). Il baculo é coperto d'avorio e la mitra ha un piccolo fregio. Ambedue le reliquie fino a circa il 1830 erano custodite in preziose custodie d'argento. Divenute queste preda della licenza militare intorno a quel tempo, furono sostituite con altre fatte di legno dorato. Le vesti sacre invece rimasero nell'isola. In primo tempo queste furono nascoste per sottrarle alle ricerche degli invasori. Sgombrata l'Isola dai Saraceni, furono rimesse in venerazione. Per molti secoli furono custodite in una specie di d'armadio posto presso l'altare maggiore dell'antica chiesa dei PP. Conventuali di Cagliari. Rovinata questa nel 1875, l'Arcivescovo Mons. Balma nulla lasciò d'intentato per salvare le nostre preziose reliquie nelle quali già vari speculatori avevano fermati i loro avidi occhi (Arch. Arcivescovile di Cagliari).
Riuscito nell'intento, d'accordo col Rev.mo Capitolo della Primaziale, il pio prelato ne curò la definitiva sistemazione nella meravigliosa cripta della Chiesa Primaziale e precisamente nella Cappella di S. Saturnino, proprio di fronte alle reliquie del S. Martire. Coincidenza degna di nota: fu proprio all'ombra dell'antichissima basilica dedicata a S. Saturnino che Fulgenzio, esule per la seconda volta dall'Africa, si raccolse con altri discepoli del S. Dottore per continuare quel genere di vita religiosa che Agostino aveva suscitato sul suolo africano. Tale basilica sussiste ancora e dovrebbe essere carissima ad ogni cuore Agostiniano. Le sacre reliquie di cui sopra è cenno consistono: in una pianeta e due altre vesti sacre che si avvicinano nella forma alle nostre tonacelle. La pianeta, di forma antichissima, è di seta bianca leggera, foderata di lino. Sul davanti ha una croce formata con strisce di broccato d'argento a fiori rotondi azzurri su fondo di seta gialla. Così parimente sulle spalle. Non è nostro compito di entrare qui a parlare dell'autenticità di queste vesti sacre. Ci basta aver fatto menzione della costante tradizione che afferma essere stato per un certo tempo rivestito delle medesime il corpo di S. Agostino - e in ciò nulla vedo di straordinario e di inverosimile, - e della grande venerazione che sempre ha circondato le medesime. Chiunque visita, anche al presente, quel venerando monumento dell'antica pietà Sarda che è la cripta della Primaziale, osservando la cappella di S. Saturnino, può osservare l'antica ed artistica cassetta di noce, sigillata da ogni parte, che contiene dette reliquie, e può leggere, sopra la base che sorregge tale cassetta, l'iscrizione appostavi a grandi lettere: Sacrae vestes S. August. Ep. Ecc. Dr.
APPROFONDIMENTO
A PAVIA
Gli storici si dilungano molto nel narrarci vari episodi del trasloco del corpo del S. Padre da Cagliari a Pavia. Di tali episodi edificanti se ne fa eco anche la liturgia commemorante tale evento. Non è nostro intento trattenersi sopra di ciò. A noi preme solo stabilire dove giunte queste a Pavia, vennero collocate. Nessun dubbio è stato avanzato intorno alla documentata tradizione che indica nella Basilica di S. Pietro in Ciel d'oro di quella città la chiesa prescelta da Liutprando alla custodia di tanto tesoro. Paolo Diacono ricorda per la prima volta questa Basilica sotto l'anno 604 (P. DIACONUS, Historia Longobardorum, lib. IV, n. 31). Quindi di certo è più antica di questo tempo. Nel 722 Liutprando la restaurava ed abbelliva e vi fondava il monastero di S. Pietro in Ciel d'oro (PIETRO TOLINI, Scritti di Storia e d'Arte, p. 150, Milano 1881; P. DIACONUS, Historia Longobardorum, lib. 18, cap. 58).
Questo titolo di Ciel d'oro apparisce per la prima volta in questo monumento e sembra che le venisse dato per la grande magnificenza con la quale era stato decorato ed arricchito dalla pietà dello stesso Liutprando. Specialmente il Cielo della Basilica era tutto splendente d'oro. Or bene, fu proprio in questa Basilica, splendente d'oro, che venne solennemente deposto il riscattato corpo di S. Agostino. Innumerevoli sono le testimonianze che confermano essere state le sante reliquie riposte in questa Basilica. Basterebbe riportar qui a conferma di ciò le prove che se ne traggono dagli itinerari e dalle sillogi epigrafiche dei secoli VIII e IX (DUCHESNE, Liber Pontificalis, vol. I, p. 430).
Valga per tutte il ricordo della celebre andata di Papa Zaccaria a Pavia avvenuta non molto dopo. Incontrato il Pontefice sulle rive del Po dai messi di Liutprando, lo condussero in S. Pietro in Ciel d'oro dove, il giorno dopo, festa del titolare, e presente il re, celebrò solenne pontificale presso la tomba del S. Dottore.
IN QUAL LUOGO PRECISO DELLA BASILICA FURON RIPOSTE LE NOSTRE GLORIOSE RELIQUIE?
Tutta l'antica tradizione concordemente afferma che il corpo del Beato Agostino fu sistemato "in confessorio iuxta altare", nella confessione, o cripta, presso l'altare. E qui di fatto fu ritrovato nella visita ordinata dal Vescovo Rodobaldo nel 1236. "In confessione iacet corpus Beati Augustini". Intorno all'anno 1244 Vincenzo Belluacense scrive "quod autem in praedicta ecclesia corporis eius pretiosus thesaurus reconditus sit, stupendo ac evidenti miraculo elucexit; siquidem in crypta in qua iacet puteus est qui aliquot annis in die festi superabundus totam cryptam superfluxit (Speculum Historiale LXIII, cap. 148). E potremmo continuare ancora con tali testimonianze Non ostante ciò i molteplici segni anche esterni, come lampade, ceri, ornati, etc. che individuarono il luogo preciso nel quale si trovava il corpo del S. Dottore, quando la Bolla di Giovanni XXII, nel 1331, noi potemmo entrare ad ufficiare, insieme con i Canonici Regolari di S. Agostino che già vi si trovavano fino dal 1221, S. Pietro in Ciel d'oro, a sfogo di piccole miserie umane, s'incominciò dai Canonici a far nascere de sospetti intorno al vero preciso punto nel quale si trovava il corpo del S. Padre. Fra l'altro, s'incominciò, più o meno apertamente, a far correr la voce che in una data circostanza, per timore di una incursione di truppe francesi, il corpo del S. Dottore fosse stato tolto dal posto nel quale era stato sistemato dal Liutprando e nascosto nella cappella di S. Appiano.
Anzi, per dar corpo a tale voce, a cura dei medesimi Canonici, s'incominciò ad ornare in modo speciale tale cappella. A nulla però approdarono tali miseri espedienti. Costante rimase la tradizione nell'indicare "nella confessione" il luogo preciso nel quale si trovava il corpo del Santo Padre. "Vedemmo in Pavia, nella Chiesa di S. Agostino, sotto le volte del coro, dietro a un altare che è in una cappella di sotto la Chiesa (la cripta) la sepoltura dov'è il corpo di S. Agostino". Così gli Ambasciatori Fiorentini andati a Pavia per congratularsi con Luigi XI di Francia per la sua esaltazione al trono nel 1462 (Arch, Storico Ital. Serie 3. T. I° p. 45, Firenze 1865) . Nel 1471 un certo Antonio Preoltoni fa un lascito di 50 monete da spendersi "in ornamentum sacri sepulcri corporis S. Augustini existentis in confessorio ipsius ecclesiae" (MAIOCCHI-CASACCA, Codex diplomaticus ...., VOL. II, doc. CCCLIX).
Del resto gli stessi Canonici Regolari erano ben persuasi della verità della cosa, e ne potremmo arrecare moltissime prove. Ci contentiamo di due per non dilungarci di troppo. La prima, del 1500, ce la offre Agostino Ticinese Canonico Regolare Lateranense. Scrivendo questi dei diritti dei Canonici in S. Pietro afferma: "Canonicis etiam pertinebat ornare lampadas et coelum eius in confessione, ubi sanctissimi Patris Augustini corpus iacet" (AUGUSTINUS TICINENSIS, De situ orbis, p. 4). La seconda, eloquentissima, la troviamo in una convenzione stipulata nel 1509 fra i Canonici Regolari e gli Agostiniani di S. Pietro: "Canonicis etiam pertinebat ornare lampadas et coelum eius in confessione, ubi sanctissimi convenzione stipulata nel 1509 fra i Canonici Regolari e gli Agostiniani di S. Pietro:"si contigerit aliquam expensam fieri... aut altare B. Augustini et sepulcrum eius infernis... expensae sint et debeant esse comunes (MAIOCCHI-CASACCA, Codex dilplomaticus...., VOL. III, doc. CCLXXXV). Nel 1575 i nostri Padri della Provincia Portoghese destinano 2000 monete d'oro al mantenimento di 12 lampade da accendersi "coram altari inferioris sacelli ubi magni Parentis ossa condita sunt".
Di tali testimonianze indicanti in modo certo, assoluto il luogo preciso nel quale era stato riposto il corpo di S. Agostino ne potremmo portare a piacere, e ciò senza interruzione alcuna fino al 1695, anno nel quale per un caso del tutto fortuito si poté costatare de visu la veracità della tradizione.
SCOPERTA DEL CORPO DI S. AGOSTINO
Essendosi avviati nel 1695 dei restauri nella cripta della nostra Basilica, nell'abbattere una parete che si innalzava tra l'altare e il pozzo sopra indicato, e proprio nel punto dove la tradizione affermava essere stato riposto il corpo del S. Dottore, si delineò improvvisamente una specie di cassone in laterizio. Tolto qualche mattone apparve una grande urna di marmo. Quattro piccole chiavi di ferro la chiudevano e sigillavano gli angoli. Sul davanti vi era rozzamente tracciato sulla calce un nome: Augustinus. Presenti i Superiori delle due Comunità che funzionavano la Basilica, dei Canonici Regolari cioè e degli Agostiniani, si procedette all'apertura dell'urna, e fu necessario spezzare il marmo agli angoli tanto erano fortemente incatenati, si osservò ch'essa conteneva una cassetta d'argento chiusa. Sparsisi di un subito la voce di tale scoprimento, fu un grido generale di gioia.
Prima di procedere oltre, tanto il Superiore dei Canonici Regolari come il Priore degli Agostiniani presentarono istanza alla Curia Vescovile per una giuridica ricognizione delle sacre reliquie. La Curia accolse l'istanza, portandosi alla Basilica il Vicario Generale col Cancelliere. Si tolse dall'urna di marmo la cassetta d'argento, si osservò, si studiò, si notò tutto diligentemente, come apparisce dalla collezione originale degli atti già citati, ma l'invocata sentenza intorno all'autenticità del corpo del S. Dottore tardava a venire. Allora, sempre di comune accordo, tanto il Superiore dei Canonici Regolari, come il Priore degli Agostiniani, elessero il P. Michele Colli, Barnabita, a difensore della loro causa, e d'accordo procederono per ottenere l'intento (Collectio actorum atque allegatorum quibus ossa sacra Ticini in confessione S. Petti in Coelo aureo anno 1695 referta esse S. Augustini Hipponensis Episcopi ..., Venetia, 1729).
Non posiamo indicarne la causa, certo però si è, che intorno al 1704 l'animo della Comunità dei Canonici Regolari si cambiò radicalmente. Non solo il loro Superiore si ritirò dalla causa promossa per aversi sentenza favorevole in riguardo dell'autenticità del corpo del comune Padre, ma si levarono addirittura contro avanzando vari dubbi. Com'era da prevedersi, la cosa destò rumore non poco, gli animi si riscaldarono, e ben presto s'incominciò da ogni parte a scrivere opuscoli ed anche vere opere, parte in favore, parte contro l'autenticità.
Lo stesso Muratori scese in campo, sposando, contro il Fontanini che aveva scritto in favore dell'autenticità delle Reliquie di S. Agostino, la causa sostenuta dai Canonici Regolati. Per quanto manchino documenti certi, crediamo di non andare lontano dal vero affermando che così facendo il Muratori non secondava un sentimento di amore per la verità, ma piuttosto cercava di prendere una rivincita sul Fontanini che non molto prima gli si era levato contro. Non è nostro intento seguir qui tutte le fasi dell'aspra contesa, molto più che presto speriamo di poter pubblicare, ottenutone il necessario permesso dall'esimia e colta autrice, un importante lavoro in proposito. A noi basta aver accennato alla medesima. Evidentemente i sostenitori del dubbio, o dei dubbi, sull'autenticità del corpo del S. Dottore non avevano davvero ragioni attendibili, tante e così luminose, così inconfutabili erano le prove, gli argomenti in favore. Evidentemente la passione faceva un cattivo servizio ai patrocinatori del dubbio. Fortunatamente per por fine a sì deplorevole stato di cose, intervenne la Santa Sede (PIETRO TOLINI, Scritti di Storia e d'Arte, Milano 1881). Con apposito Breve Benedetto XIII commise al Vescovo di Pavia, Mons. Francesco Pertusati, di riprendere la causa e di definire la questione. Sei mesi durò l'esame di tutte le ragioni pro e contro presentate. Non contento di ciò, il Vescovo chiese il parere a insigni ed autorevoli personaggi e finalmente, in data 19 luglio 1728, emise la sentenza: essere quello il corpo di S. Agostino Dottore della Chiesa. Il 22 settembre dello stesso anno il Pontefice ratificò tale sentenza. Esposto ciò, credo opportuno riportare qualche particolare relativo alle due casse nelle quali fu ritrovato il corpo del S. Dottore ed allo stato di conservazione del medesimo. La cassa, o urna di marmo, che ciascuno può visitare perché si trova esposta al Museo Civico di Pavia, misura in lunghezza a 1,87, in larghezza m. 0,64 ed in altezza m. 0,95.
Chi ha presente la forma della cassa d'argento rileva subito che questa di marmo è stata costruita per contenere quella d'argento. Ai quattro angoli presenta ancora visibili i segni dello sforzo che dovette esser fatto per togliere le staffe di ferro. Sul coperchio si conserva incisa un'immagine del S. Padre in abiti vescovili. Questa figura però é ritenuta lavoro del secolo XV. Di somma importanza per la autenticità delle sacre reliquie è invece una croce Longobarda, sfuggita per molto tempo all'osservazione degli studiosi, che si può distinguere alla metà del coperchio e che è proprio della medesima forma di quelle che si trovano sulla casetta d'argento. Ciò costituisce un indubbio argomento che anche questa cassa, come quella argentea, è del tempo di Liutprando ed ordinata a difendere e custodire meglio tanto tesoro. Quella d'argento è rettangolare con coperchio a quattro spioventi. Ai quattro lati si osservano quattro crocette di argento fermate alla cassa ed ornate ciascuna con l'impressione della faccia del Salvatore. Si afferma che questo era un segno distintivo preso da Liutprando per protestare la sua fede contro i vaneggiamenti degli iconoclasti.
SPLENDIDO MONUMENTO
Paolo Diacono nella sua Historia Longobardorum scrive: "Hic (Luttprandus) monasterium beati Petri quod foras muros Ticinensi civitatis situm est, et coelum aureum appellatur, instituit" (L. VI, cap. 58). Per quanto l'autore non dica a quali monaci fosse affidato tale monasterio, da altre fonti veniamo a conoscere che furono monaci Benedettini, e per conseguenza essi ebbero per primi la custodia delle preziose reliquie del S. Padre (MAIOCCHI-CASACCA, Codex diplomaticus ...., VOL. I, pag. XV). Vi restarono fino al 1213 epoca nella quale Gregorio IX sciolse quella Comunità, affidando la custodia della celebre Basilica ai Canonici Regolari di S. Agostino della Congregazione di S. Croce di Mortara, i quali vi si stabilirono nel 1221 (Bolla di Onorio III). Solo nel 1331 l' Ordine agostiniano potette entrare in S. Pietro in Ciel d'oro in forza di una Bolla di Giovanni XXII in data 20 gennaio 1327, pur rimanendovi contemporaneamente i Canonici Regolari. L'Ordine in vero già da molto tempo prima si trovava in Pavia presso la Chiesa di S. Mostiola.
Ottenuto di potere officiare insieme con i Canonici Regolari la Basilica dove riposavano le reliquie del S. Padre, loro prima cura si fu quella di fabbricarsi, aderente alla Basilica, un nuovo monastero. Provveduto a questa prima necessità, l'animo dei nostri fu tutto rivolto ad abbellire la Basilica ed il sepolcro del S. Padre. Fino allora, esternamente, nulla era stato fatto intorno al medesimo. Furono proprio i nostri maggiori che idearono la costruzione di un'arca gloriosa destinata a raccogliere e conservare, le preziose reliquie del S. Padre. Ciò che avevano ideato ben presto attuarono e si ebbe quel meraviglioso capolavoro conosciuto sotto il nome di "Arca di S. Agostino", di molto superiore ai mausolei del Visconti, del Colleoni, di Guido Tarlato, da stare anzi addirittura bene in confronto con quelli di Gian Galeazzo Visconti che si ammira nella Certosa di Pavia e di S. Domenico in Bologna.
Ci vollero ben 18 anni di assiduo lavoro per portare a compimento tant'opera ed importò la spesa di ben 4000 fiorini d'oro. La sua grandiosità ed eleganza s'impone. L'Arca ha la forma di parallelepipedo alto m. 3,95 lungo 3,07 e largo 1,68. È divisa in quattro piani. La decorano ben 95 statue e 50 bassorilievi nei quali si rappresentano i fatti e gli episodi più importanti della vita del Santo Dottore. Se ne vuole autore Bonino da Campione, per quanto altri dissentano. Certo si è che la nostra Arca è uno dei più splendidi capolavori della scuola lombarda. Purtroppo per molti secoli questo meraviglioso monumento non servì per lo scopo che l'aveva ispirato. Terminato che fu, in cambio di essere subito adibito a gloriosa custodia delle preziose reliquie di S. Agostino, fu messo nella sagrestia e qui rimase per circa quattro secoli. Si temeva qualche furtiva profanazione.
Solo nel secolo XVIII fu finalmente tolto dalla sagrestia ed innalzato all'altare maggiore della Basilica proprio sopra il sepolcro del S. Dottore. Vi rimase però poco tempo. Nel 1800 il maestoso monumento fu smontato e portato alla Cattedrale della Città. Avendo Mons. Tosi Vescovo di Pavia costruita una nuova cappella ad hoc nella Cattedrale, in questa, nel 1832, fu sistemata la nostra Arca. Vi rimase fino al 1900, epoca nella quale per volere della S. M. di Papa Leone XIII tornò di nuovo in S. Pietro in Ciel d'oro e fu rimontata all'altare maggiore.
RICOGNIZIONI DELLE S. RELIQUIE
Dai primi del secolo VIII, dall'epoca cioè nella quale fu trasportato a Pavia il corpo di S. Agostino, chiuso in una triplice cassa - di legno, d'argento, di marmo - fu assicurato nella confessione della Basilica di S. Pietro in Ciel d'oro, e fino al tramonto del sec. XVII, per quasi cioè 10 secoli le sacre reliquie furono lasciate in pace. Si sapeva di sicuro che erano là e ciò bastava. Tanto semplici fedeli, come principi, prelati, regnanti, Pontefici Sommi in tutto questo lasso di tempo non cessarono mai di avvicinarsi a quel venerando luogo, d'inginocchiarsi innanzi, d'invocare la protezione del Santo, di mantenervi innanzi lampade e ceri, ma nessuno ardì mai turbar la pace di tanto sepolcro.
Fu solo, come abbiamo notato più sopra, per caso fortuito che venne aperto finalmente. Abbiamo ancora ricordata la viva commozione che destò in tutti il fatto, il generale interessamento, i dubbi che interessatamente furono avanzati intorno all'autenticità delle medesime, gli studi, le dispute fatte in proposito, e finalmente il giudizio favorevole e solenne che ne pronunziò il Vescovo di Pavia a ciò incaricato dalla S. Sede, il 19 luglio 1728, giudizio confermato ben presto dallo stesso Sommo Pontefice Benedetto XIII il 22 settembre successivo. Fu proprio nella circostanza di questo fortuito ritrovamento che si procedette a varie successive ricognizioni del sacro corpo. La più antica ricognizione della quale si conosca memoria scritta é quella del 9 febbraio 1696, fatta alla presenza delle Autorità Ecclesiastiche con l'assistenza di vari medici Pavesi. E' giunta fino a noi, e riporta elencate le sacre ossa trovate con una sommaria descrizione. Il 23 giugno dello stesso anno, presente Mons. Lorenzo Trotti, se ne fece un'altra; così pure il 15 maggio del 1698.
Altre due nel 1728 sotto Mons. Pertusati Vescovo diocesano ed altre ancora negli anni successivi. Nel 1733, convertita in Ospedale la Basilica di S. Pietro dai soldati Francesi, onde sottrarre il sacro corpo a qualche profanazione, fu provvisoriamente trasferito alla Cattedrale.
Il 30 agosto dell'anno seguente fu riportato al suo posto. Nell'aprile del 1736, per mostrare le sacre reliquie ad illustri personaggi, si riaprì la cassa, riconoscendosi prima la conservazione dei sigilli e minacciandosi la scomunica per chiunque avesse sottratta qualche reliquia. Costretti nel 1785 gli Agostiniani a partire da Pavia per la legge di soppressione, ricevette in custodia il sacro deposito Mons. Olivotti Vescovo della Città, col patto esplicito di restituirlo al loro ritorno. Tornati di fatto i nostri l'anno dopo e preso stanza presso la Chiesa di Gesù, S. Pietro era stato consegnato ai PP. Domenicani, al Gesù furono traslocate le Reliquie del S. Padre. In tale occasione si riconobbero i sigilli del Pertusati e vi furono apposti quelli dell'Olivotti.
Con facoltà di Pio VI l'8 gennaio del 1787 si aprì di nuovo l'urna e fu estratta una reliquia, un osso del piede destro, per il Duca di Parma. Esuli gli Agostiniani anche dal Gesù in forza di una nuova legge di soppressione, il I maggio del 1799 le reliquie del S. Padre furono di nuovo portate alla Cattedrale e riposte sotto l'altare maggiore, dove rimasero fino al 1832, nel quale anno si trasferirono nella cappella eretta nella Cattedrale stessa dalla pietà del Vescovo Mons. Tosi e furono riposte nell'Arca monumentale qui appositamente montata. Un anno dopo, nel 1833, per concessione di Gregorio XVI si procedette ad una nuova ricognizione ed in questa circostanza le sacre reliquie furono accomodate in un'urna di bronzo dorato. Nel 1842, per concessione dello stesso Gregorio XVI, fu riaperta l'urna ed estratta l'ulna del braccio destro destinata a Mons. Dupuh primo Vescovo d'Algeri per portarla ad Ippona, l'antica Sede Vescovile d'Agostino. Fino al 1880 le sacre reliquie furono lasciate in pace. In quest'anno furono trasferite nella Cappella dell'Episcopio dovendo il Duomo rimaner chiuso per restauri. Terminati questi nel 1884, prima di riportare al suo posto il corpo del S. Padre, col permesso di Leone XIII, si procedette ad una nuova ricognizione. Data l'importanza della medesima crediamo far cosa grata ed utile al tempo stesso, riportar qui testualmente la relazione che ce ne ha lasciata lo stesso Mons. Riboldi, allora Vescovo di Pavia, che la compì.
"Agli 8 febbraio 1880 la Cattedrale di Pavia veniva chiusa, stante il pericolo di rovina minacciato dalla soffitta e dal tetto, e tutte le sacre reliquie deposte nel tempio, e con esse quelle di S. Agostino, erano trasportate nell'Episcopio. Parve a Noi che questa fosse occasione opportuna per fare del Venerato deposito una nuova ricognizione, e per assicurarlo ai secoli futuri col silicato di potassa. Chiedemmo pertanto le necessarie facoltà al regnante Sommo Pontefice Leone XIII, il quale benevolmente ce le rimise con suo venerato rescritto in data del 17 Luglio 1880. Di queste facoltà usammo il 15 aprile 1884, quando, estratta l'urna di cristallo legata in bronzo dorato dalla antica cassa d'argento, ove essa sta d'ordinario riposta, e riconosciuti i sigilli postivi da Mons. Tosi il 13 ottobre 1842, l'aprimmo colle debite formalità. Era quella la nona volta che, dopo il solenne decreto di Benedetto XIII, si schiudeva il venerato sepolcro del vescovo d'Ippona. Noi che già avevamo toccate e numerate le ossa di Ambrogio, esultammo al baciare quelle preziose reliquie; ed in mezzo alle pene dalle quali pur troppo siamo stretti, sotto il grave peso dell'Ufficio a cui fummo inaspettatamente chiamati, Ci sentimmo in quel momento contenti di essere sposati a questa Chiesa Pavese, custode di S. Agostino. Abbiamo trovato il sacro deposito in uno stato di notevole deperimento; onde, come già avevamo ideato, giudicammo di immergerlo nel silicato di potassa. Ciò facemmo per tre volte successivamente: l'operazione riuscì felicissima; sicché le sacre ossa sortirono la consistenza vitrea, che le conserverà, nello stato in cui sono, ai tardi nipoti.
Esse sono le seguenti: 21 pezzi del capo, fra i quali l'osso petroso col meato uditorio; la mandibola inferiore per tre quarti circa, mancante di una parte alla destra, e portante due denti molari; 22 pezzi delle vertebre, la clavicola sinistra; due pezzi dello sterno; 13 pezzi delle scapole, 48 pezzi di coste, due soli dei quali sono di notevole grandezza; 14 pezzi del bacino fra i quali sono porzioni dell'osso sacro; l'omero destro, diviso in due pezzi, che furono congiunti poi col silicato di potassa; l'ulna sinistra, e l'estremità inferiore dell'ulna destra; i due radii, dei quali notammo essere il destro più corto del sinistro (dall'accurato esame fatto in questa ricognizione delle ossa di S. Agostino dall'espertissimo prof. di anatomia il Sig. Mazzucchelli, restò comprovato che il S. Dottore aveva il braccio destro un po' più corto del sinistro), e questo diviso in due pezzi: il femore destro, porzione notevole del femore sinistro, e 13 altri pezzi dei femori stessi; 5 pezzi delle due tibie, cioè le due estremità inferiori, due pezzi notevoli della parte media, ed un pezzo piccolissimo; la fibula sinistra divisa in due parti, e porzione della fibula destra, la rotella sinistra; i due astragali ed uno scafoide dei piedi; due pezzi del carpo; 5 pezzi dei metacarpi; 3 falangi della mano; 60 porzioni di ossa indeterminabili; in tutto 225 pezzi di ossi. Nell'urna colle ossa abbiamo rinvenuto un grosso involto di polvere in un panno verde e due ampolle, una piccolissima senza manico, e l'altra più grande col manico, ambedue di color verdastro" (La preziosa reliquia fu trasportata in Africa con la più grande solennità. L'accompagnarono ben sette Vescovi. Giunto il vascello presso Cagliari si fermò ed uno del Vescovi, presa la reliquia, benedì l'Africa, la Francia e la Sardegna che per oltre due secoli custodì il corpo del S. Dottore. Quel braccio che mai si stancò sopra tanti volumi e che tante volte si levò per benedire il suo popolo, riposa ora nella nuova splendida Cattedrale d'Ippona). L'Ordine, meglio, tutta la Chiesa debbono perenne gratitudine alla pietà dell'indimenticabile Vescovo Pavese per aver provveduto alla conservazione di tanto tesoro.
Non contento di ciò, a spese proprie e del Capitolo, fece fare vari ornamenti all'urna, e curò una migliore disposizione delle ossa e v'adattò intorno la ricca collana, con croce vescovile, legata al Santo da Mons. d'Allegre, intrecciata con due preziosi anelli, uno dono dello stesso Mons. d'Allegre, l'altro di Mons. Dupuh. Fino al 5 ottobre del 1900 le reliquie del S. Padre non furono più toccate (confrontando l'esito di questa ricognizione con quella fatta nel 1696, quando si trattò di emettere la sentenza di autenticità, troviamo che le due ricognizioni, in sostanza, convengono. Certo l'ultima fu fatta con maggiore cura). Restaurata la Basilica di S. Pietro in Ciel d'oro, richiamati colà, dopo oltre un secolo, i figli di tanto Padre per interessamento diretto della S. M. di Leone XIII, fu deciso che anche l'Arca monumentale di S. Agostino col suo prezioso tesoro tornasse nel tempio destinatogli dal pio Liutprando. La data della traslazione era stata fissata per il 7 ottobre del 1900. Per questo, due giorni prima, con autorità del Pontefice si procedette ad una nuova ricognizione.
Come a ricordo della dimora che le sacre reliquie avevano fatto nella Cattedrale Pavese, Leone XIII permise che in questa circostanza si estraesse dall'urna una costa del Santo da conservarsi appunto come preziosa reliquia nella Cattedrale. La traslazione dalla Cattedrale a S. Pietro, fatta il 7 ottobre del 1900, e riuscita oltre ogni dire solennissima, con l'intervento di una numerosa rappresentanza dell'Ordine, di molti Vescovi, fra i quali ben 5 Agostiniani e di un E. mo Cardinale, in ordine di tempo è stata l'ultima. Dal 1900 le ossa del S. Padre riposano sotto l'altare centrale della splendida Basilica di Liutprando e sopra di esse si erge veramente monumentale, la preziosa Arca fatta costruire a questo scopo dalla pietà dei figli. Voglia il Cielo che per secoli e secoli sì venerando sepolcro, sì sacre reliquie siano lasciate in pace, oggetto solo di viva, di ardente devozione. Voglia il Cielo che per secoli e secoli i figli di tanto Padre rimangano indisturbati alla gelosa ed amorosa custodia di tanto tesoro.
UN AUGURIO
Nel 1930 tutto il mondo cattolico celebrerà solennemente il XV centenario dalla morte di S. Agostino. Sarà certamente un avvenimento che desterà il più grande interesse. Non passerà inosservato per nessuno. Frequenti e numerose schiere di pellegrini si recheranno certo a Pavia, si porteranno in S. Pietro in Ciel d'oro per prostrarsi innanzi alle reliquie di Colui che dopo quindici secoli è ancora in grado sommo vivente ed operante. Or bene, il voto ch'io formulo fino da ora è questo: che in questa auspicata e propizia circostanza, da ogni parte del mondo, in un'epoca determinata prima, si porti a Pavia almeno una rappresentanza di tutti gli Ordini e Congregazioni religiose, tanto maschili che femminili, che hanno adottato l'aurea Regola di S. Agostino, e tutti insieme, con a capo il Prelato supremo della Famiglia Agostiniana, prostrati innanzi al sepolcro glorioso di tanto Padre, con un sol cuore, con un'anima sola, con una sola voce intonino e cantino fino in fondo il notissimo inno: "Magne Pater Augustine".