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Giocatori di carte in un palazzo seicentesco (Louvre)
MARIA FILIPPO ( ... - 1673) detto IL GIOVANE
di Luigi Beretta
Figlio forse primogenito del questore Giovanni, abbracciò la vita religiosa come lo zio monsignore, di cui portava lo stesso nome. Per distinguerli li si chiamava l'uno "il giovane" e l'altro "il vecchio". Il 6 ottobre 1638, quando era ancora chierico di Milano, il cardinale Antonio Barberini gli concede la patente dell'Ufficio di luogotente camerario apostolico.
Poco prima della morte del padre, il questore e capitano Gio:Batta, si coinvolge maggiormente nella gestione della eredità di famiglia e pare che si occupi con più attenzione anche di Cassago, avviando una duratura stagione di partecipazione alla vita civile e sociale di questo paese da parte di membri della Casata.
Il 14 novembre 1649 viene infatti nominato assistente della Scuola del S. Sacramento, quando "conoscendo il reverendo prete Filippo Balsamo curato di Cassago, essere necessario costituire et formare un Capitolo della Scuola del Santissimo Sacramento nella chiesa Parochiale di sancto Giacomo della sudetta Terra, qual habbi d'assistere alla cura di detta chiesa, Scuola et all'entrata d'essa, per ciò implorato il Divino Agiuto, et bilanciate le qualità delle persone col parere di tutto il popolo, ha eletto et elegge li seguenti nel tempo che dice la chiesa nel sudetto giorno, quali d'esso popolo sono stati accettati et come abbasso."
Il primo della lista "per assistente" è proprio "l'Illustrissimo F. Marchese Filippo Pirovano." Seguono i più bei nomi della nobiltà locale: Giovanni Nava, il priore, Ieronimo Corrente, suo vice, Carlo Riboldo, tesoriere, e poi ancora Alessandro Nava, il dottor Masnaga, Antonio Corrente ed altri. Al 1649 risale un bel foglio con una serie di appunti sulle entrate Pirovano a Cassago, che riescono a descrivere in modo spontaneo e affascinante le attività agricole del tempo, anche le più semplici, con i relativi contadini, affittuari, massari, pollame, granaglie. Si coltivava frumento principalmente, ma pure segale, avena, fave, lino, ceci, fagioli, verze. L'elenco rimanda ad altri fogli dove erano annotate tutte le attività economiche, che dovevano essere di tutto rispetto. Si trattava di una vera e propria azienda agricola che impegnava numerosi contadini e dava da vivere a molte famiglie. Era un'azienda da cui i Pirovano riuscivano a trarre lucrosi vantaggi economici. "deve Carlo Riboldo fitto d'una Casa e Giardino, Corte et pristino del 1649 a S. Martino, situata nella Terra di Cassago.
Paga ogni anno L. 160 caponi 4 polastri 4 Oua dozzine 4
Paga per il fitto del Campo di Pra da Formento Lire 43
Stara ventidue et per fitto del Prato di Preda
Deve Gio. Maria Fumagallo lavorano li beni descritti nel giornale a folio 10 tiene di semenza, Formento mogia 4 stara 3 e paga di fitto per le sopra mentovate Terre mogia 12 formento et stara 4
Deuono li sudetti per fitto di Cotica Lire 33
E più per la Casa e Giardino che altre volte teneva il Massaro che lavora tutta la Possessione della Torre Lire 50 con obligo alli sudeti di pagare tutti li carichi eccetto il Perticato Civile.
Deve Batta Sappa Monaca che tiene la Cassina Nova in affitto con sua Colombara et lavora la Possessione della Torre che si descrive in giornale a folio 10.
Tiene di semenza formento mogia 8 stara 4
Paga di fitto formento mogia 24, bebulcate due, caponi 12, polastri 12, oua dozzine 6, con obligo di pagare tutti li carichi eccetto il Perticato Civile.
Devono Steffano careni Fittabili della Possessione della Costa formento di semenza mogia undeci, segale mogia 1:4, scandela stara 4, avena stara 4, fave stara 4, linosa stara 3, ceci stara 1, fassoletti stara 1, lussini stara 4, verza stara 1.
Per fitto de Prati L. 50 caponi 12, polastri 42, ova dozzine 6, fassine di rouere n. 200. Bebulcate due, per la Brocca a metta riservato per la Foglia de Moroni a Signori Padroni con obbligo di pagar tutti li Carichi eccetto il perticato Civile.
Deve Benedetto Fumagallo pel fitto d'una caseta L. 51 e più il sudetto Benedetto tiene in affitto alcuni beni situati nel Teritorio di Cassago, et paga Formento mogia 6, e di semenza formento mogia 2, d'apenditio caponi 4 polastri 2 et oua dozzine 2, e paga tutti li carichi eccettuato il Perticato Civile con la Brocca a metà.
Deve Andrea Giussano Badina per fitto per parte delli Beni del Gambaione che furono della Possessione della Torre, formento mogia 6, caponi 3, oua dozzine 2, e tiene di semenza formento mogia 2:4 paga tutti li carichi eccetto il Perticato.
Deve Giuseppe Fumagallo per fitto del Prato Morigiato L. 40, caponi 2 e paga tutti li carichi eccetto il Perticato Civile.
Deve Antonio Fumagallo per fitto del luogo chiamato S. Salvadore di pertiche 37 i/2 et prato delli Stochi di pertiche 7 i/2 nel Territorio di Cassago L. 230. Apenditij caponi 4, polastri 2, Ova dozzine 2. Paga tutti li carichi eccetto il Perticato.
Deve prete Filippo Balsamo per un prato in Torevilla di pertiche 6 L. 15.
Deve Gio. maria Rovello Gambero per una vendita fatta al signor Marchese Giouanni con patto di gratia d'alcuni beni nel territorio di Cassago deto il Caregio de Comini pertiche 5 più altre L. 200 per altra vendita fatta d'altri Beni con pato di gratia, delli quali sudeti beni stato investito et paga ogni anno L. 30:12:6.
Il sudeto Rovello deve di Conto Vecchio L. 109, deve ancho come sicurtà di Francesco Rovello suo Figlio come dal libro del anno 1649 a folio 103 si vede L. 298:18."
Un appunto che risale al 1680 circa ci ricorda tuttavia che Filippo aveva sì molte entrate, ma che si dimenticava alle volte di onorare i suoi debiti, o che comunque li procrastinava per anni. Conosciamo a questo proposito le lamentele che Gio: Nava "devotissimo Servitore delle Signorie Loro Illustrissime " rivolgeva agli eredi Pirovano, poiché "va creditore dell'heredità, et beni del fu Illustrissimo Signor Marchese Filippo Pirovano Triulzio della somma di lire tre mille imperiali per causa d'altre tanti imprestate, come per biglietto sottoscritto dal medesimo quondam signor Pirovano sotto li 28 ottobre 1669 a favore d'esso supplicante in una parte, et in altra parte va anco creditore della detta eredità della somma d'altre lire quattro mille sei cento per causa del prezzo d'una Casa da Nobile con giardino murato annesso al medesimo quondam signor Pirovano venduta dal sudeto suplicante sita nel luoco di Cassago Pieve di Missaglia ducato di Milano insieme con l'interessi decorsi come da scrittura del detto signor Pirovano sottoscritta a favore del supplicante si vede data adi 2 luglio 1666, che perciò fa ricorso alle Signorie Loro Illustrissime."
Il povero Nava conclude "Humilmente supplicandole restar servite dar li ordini oppur a che s'aspetta acciò il supplicante sij soddisfatto delle suddette partite."
La stessa richiesta venne reiterata anche in un'altra occasione, non sappiamo con quale fortuna.
Il 21 aprile 1663 da Roma proviene un dispaccio che ordina di non procedere contro il marchese Filippo Pirovano. Nell'occasione è detto Refferendissimo di Sua Santità: non conosciamo il contenuto del dispaccio né di che cosa fosse imputato Filippo.
Nel 1665 concede in prestito al nobile Alessandro Nava 336 lire imperiali per permettergli di pagare i Carichi Camerali.
Il patrimonio amministrato da Filippo Pirovano era piuttosto consistente, soprattutto dopo che ebbe l'appannaggio delle entrate dell'abbazia di Civate, acquisite probabilmente dopo la morte del fratello Francesco. Possediamo uno scarno ma significativo foglio delle sue entrate, non datato, ma scritto presumibilmente verso il 1670 che fotografa molto bene la sua situazione economica:
Di sopra la ferma del sale a quatro per cento L. 2i40
Sopra la Mercantia L. 5535
Di sopra il dacio Uniti de Pavia L. 944
Sopra la Città di Milano per li Prestini L. 4940
Sopra la Pieve d'Agliate di là dal Lambro L. 65
Sopra la Comunità di Annone L. 84:6
Monti di Roma et Casa L. 4000
Quatro case in Milano L. i900
Entrata in Cassago e Zoccolino L. 8000
Entrata di Pandino L. 3500
Entrata di Cassino con l'altro L. 25000
Censo del signor Daniele Capitano L. 1300
Sopra le Nottarie di Palazzo di Milano L. 1100
Aumento di Dote dal Minor Caspano L. 900
Abbatia di Chijvate L. 24000
Abbatia di Piona L. 2000 L. 85008:6
Piazza del Magistrato L. 7000
La spesa è L. 46350
Resta l'entrata in L. 45658:6
Nel 1673 mons. Filippo si trovava a Roma, nella sua casa in Platea Agonis dove ormai risiedeva da diversi anni. Le sue condizioni di salute erano piuttosto precarie e, per questo motivo, si decise a fare testamento. Una bella relazione, posteriore di qualche anno (Archivio Visconti di Modrone, fald. M-119, Eredità diverse, Eredità Pirovano, sec. XVII), ci racconta con insospettata freschezza la drammaticità di quanto accadde in quei giorni e la morte "in diretta" di mons. Filippo Pirovano: "Qualmente la verità fu, è che alli 25 Aprile 1673 giorno die S. Marco ritrovandosi infermo Monsignore Pirouano di buona memoria, fu persuaso dalli suoi Amici e famigliari a voler far testamento e riconoscere la sua Famiglia e particolarmente provedere all'indennità del signor Capitano Adriano Frigerio sopra certi Beni posseduti dal medesimo Mons. Pirouano in virtù di vendita fattagli dal medesimo signor Capitano, onde il medesimo Monsignore ad effectu di fare tale testamento, ordinò che si chiamasse il Notaro, il quale così chiamato, venne col suo Giovane, fu introdotto nella Camera, dove giaceva l'infermo circa le 24 hore del medesimo giorno, et all'hora per ordine fatto dall'istesso Monsignore ad effetto di preparare la minuta del detto testamento, furono mandati via gli astanti rimanendo solamente nella medesima camera l'Illustrissimo e reverendo Monsignore Federico Visconte Auditore della Sacra Rota, il Reverendo Prete Silverio dell'ordine di S. Francesco riformato, il signor Gio:Batta Bossio, il detto Notaro che fu il signor Cicelli Notaro della Sacra Rota, et il suo Giovane, e doppo la sudetta esclusione degl'Astanti, fu incominciata la minuta, nella quale scrisse il detto Giovane del Notaro, dettando, e facendo dettare rispettivamente il medesimo Monsignore alcuni Pij legati e profani, anche in favore alla famiglia, e particolarmente in favore della moglie e de' figlioli del detto Capitano, e doppo essere stati scritti detti legati essendo stato interrogato il detto Monsignore Pirouano, chi volesse far erede, rispose voler differire sino al giorno seguente, e così fu tralasciato di tirare avanti la sudetta minuta ad un hora di notte in circa dell'isteso giorno, nel qual tempo si partì il Notaro col suo Giovane dalla detta Camera, e ortò seco la sudetta minuta, le quali cose tutto sanno li Testimonij, per essersi trovati presenti, et hauer veduto, et inteso, e per altre ragioni che si esprimeranno.
Item qualmente dopo essersi tralasciata la detta minuta e partito il Notaro, il detto Monsignore procede a diversi atti estranei dal testamento, per spatio di due hore, e più, e tra gli altri parlò col Medico in ordine alla sua salute et all'infermità rispettivamente, e gli furono somministrati medicamenti e ristori, con altri remedij ancora fattili dal Chirurgo, parlò anco col signor Gio:Batta Bossio insinuato che stava in pericolo di passare d'hora in hora all'altra vita, onde li dispose a chiedere l'estrema untione la quale gli fu somministrata dal Paroco e successivamente essendo già le tre hore di notte, e di vantaggio vedendo quelli della famiglia, che il male s'accresceva con pericolo prossimo della vita, gli suggerirono se voleva finire il Testamento et all'hora l'infermo di nuovo comandò che si chiamasse il Notaro ad effetto di finire il detto Testamento, il quale avvisato, ritornò, et entrò nella Camera inseme con detto suo Giovane, e con lui entrò anco tutta la moltitudine della gente che era nell'Anticamera. Il che sanno i Testimonij per che furono presenti, lo videro et intesero, e non potrebbe essere altrimenti, e per altre ragioni da esprimersi da essi.
Item qualmente subito che detto Monsignore vidde il Notaro esser ritornato, gl'impose che si rogasse del legato o dichiaratione fatta a favore del detto Signor Capitano o della sua moglie, ma avendo all'hora detto il signor Gio:Batta Bossio, che la minuta del Testamento, dove era scritta detta dichiaratione, o legato, rimaneva imperfetta per non esservi scritta l'institutione dell'herede all'hora disse il detto Monsignore Pirouano, che s'aggiunge et interrogato dal detto signor Bossio chi volesse che fosse erede, disse che voleva far erede la sua nipote figlia della Signora Marchesa sua sorella, e perché non aveva espresso il proprio nome della medesima Signora nipote, fu richiesto dal Notaro il nome di detta Signora e fu detto che si chiamava Teresa, e così il Notaro continuando la minuta già incominciata e nel medemo foglio immediatamente doppo li detti legati e dichiaratione scrisse questa nominatione di erede, e mentre stava ancora scrivendo e prima che incominciasse a scrivere i nomi de Testimonij, e molto meno a richiederli che fussero testimonij, spirò e morì monsignore, alli testimonij all'hora presenti, ne che fossero rogati ad essere testimonij, ne fatto rogito di sorte alcuna, onde tutti quelli della famiglia, e gl'Astanti rimasero turbati, il che sanno li testimonij, per che furono presenti, videro, et intesero e per altre cause che essi specificheranno.
Item qualmente se bene molti circostanti intesero la nominatione dell'herede nel modo suddetto tutta volta niuno in quel tempo udi li legati, ne la dichiaratione come di sopra, per che non fu letta la minuta, nemmeno furono repetiti dall'Infermo li medemi legati, e dichiaratione, la qual minuta continente li sudati legati, e l'Institutione dell'herede e quella istessa che li mostra alli Testimonij nell'atto dell'essame, e gli si legge del tenore infrascritto ..."
Segue a questo punto il testo del testamento vero e proprio raccolto dal giovane aiutante del notaio romano Cicelli nella drammatica notte che precede la tragica morte di mons. Pirovano. E' una scrittura semplice ma nel contempo ricca di notizie. Filippo, cosciente dell'avvicinarsi della morte, predispone il necessario, indicando che vuol essere sepolto nella chiesa di S. Andrea in Valle, dove era stato inumato lo zio, e lascia mille scudi per il funerale. Provvede alla sua anima con due legati, di cui uno è per la chiesa di sant'Agostino a Roma. Forse Filippo era memore della festa patronale che si svolgeva a Cassago dal 1631, quando il santo Dottore della Chiesa Cattolica fu invocato Patrono del paese per averlo salvato dalla peste. Fra l'altro scopriamo che aveva un proprio segretario personale, il capitano Adriano Frigerio, e una numerosa servitù sia a Roma che a Milano. Filippo infine assegna in eredità tutti i suoi beni alla nipote Teresa, figlia della sorella Giovanna e del marchese Antonio Modroni: "In Nome di Dio e della medesima Vergine Maria io Filippo Pirouano figlio del quondam Marchese Questore Giovanni Milanese referendario, e votante dell'un e l'altra segnatura sano di mente, ancorché alquanto gravato di corpo, deliberando provedere cautamente alla salute dell'Anima mia, e disporre delli miei beni ho deliberato di fare la presente disposizione ultima qual voglio che valga per testimonio e confirmatione della mia ultima volontà che si dice sine scriptis, la quale se non valesse per ragione di testamento, voglio che valga per ragione di codicillo, o d'ogni altra mia ultima volontà, o donatione causa mortis, o dispisitione.
In primis casso ogn'altro testamento, codicillo, donatione et ogn'altra mia ultima volontà, e disposizione fatta sin al presente giorno tanto in Roma, quanto in Milano o in qualsiasi altro luogo rogato da qualsiasi Notaro con qualsiasi clausola derogatoria, e derogatoria della derogatoria delle quali fosse anco necessario qui farsene special mentione.
Volendo che questa prevalga ad ogn'altra, et habbi il suo total effetto. Et incominciando dall'Anima come più nobil del Corpo e di tutte le cose humane quella raccomando all'Omnipotente Iddio et alla Gloriosissima Vergine Madre Maria, et a tutta la Corte Celestiale, e quando succederà il caso della mia morte voglio che il Mio corpo fatto che sarà cadavere sia portato e sepolto nella chiesa di S. Andrea della Valle a canto alla sepoltura della salma di monsignor Filippo Pirouano, quondam Decano della Sacra Rota Romana mio zio positivamente et che si facci fare una lapide con l'inscrittione che l'Essecutore miei infrascritti trovarono per le mie scritture già distese.
Item per ragione di legato et in ogn'altro miglior modo lascio alla detta Chiesa scudi cento per una sol volta cioè alla loro Sacristia.
Item far il Deposito come sopra ordino che si spendi scudi cinquecento.
Item lascio scudi mille moneta, de quali si dovrà far la spesa del funerale, et il resto convertirsi nella celebratione di messe et Offitij da Morto ad arbitrio de miei Essecutori Testamentarij.
Item lascio alla mia servitù e famiglie che si troua all'attual mio servizio tanto in Roma quanto in Milano scudi venti cinque per ciascheduno alla famiglia bassa, et alli altri cioè Camerieri e Persone, che vestono di nero, scudi cento parimente per ciascheduno per una sol volta tanto.
Item per ragione di legato lascio a ciascheduno de Curati delle Chiese Parrochiali, nelle quali Io ho Case et habitationi nello Stato di Milano scudi cento per ciascheduno per una sol volta.
Item lego alla moglie del Capitano Adriano Frigerio Mio Segretario, e doppo di lei alli suoi figli sostituendo l'uno all'altro tutti li beni a me da detto Adriano dati in pagamento e come consta da In strumento rogato per l'atti di Gioachino Lainati Notaro di Milano, sotto li undeci Maggio milleseicentosessant'otto overo più altro vero tempo.
Item lascio alla Chiesa di S. Francesco in Ripa scudi cento per una sol volta da convertirsi nella celebratione di tante Messe per l'Anima mia.
Item lascio alla Chiesa di S. Agostino di Roma scudi cento per una sol volta da convertirsi nella celebratione di tante Messe come sopra, e li presenti due legati s'intendino oltre li sudetti scudi mille legati come sopra.
In tutti e singoli altri miei beni mobili immobili presenti e future ragioni, et attieni, et ogn'altra cosa esistenti tanto in Roma quanto nello stato di Milano et ogn'altro luogo istituisco e nomino di mia propria bocca l'Illustrissima Signora Teresa Modrono Mia nipote e filia del quondam Signor Marchese Antonio Modrone e suoi figli legittimi e naturali e discendenti in infinitum per fideicomissum.
Esecutori Testamentari della presente mia ultima volontà l'Eminentissimo e Reverendissimo signor cardinal Homodeo Protettore della Chiesa di S. Carlo al Corso e mons. Illustrissimo Federico Visconti Auditore della Sacra Rota e l'Illustrissimi Signori deputati della detta Chiesa di S. Carlo e Procuratore di detta mia Nipote il Molto Illustrissimo Gio: Battista Bossio.
Actum Romae in Palatio solitae residentiae et Habitationis suprascripti Illustrissimi er Reverendissimi Domini testatoris et in Cubicolo in quo dictus Reverendus Dominus testator in lecto iacet existens in Platea Agonis."
Poiché il testatore era morto prima della lettura della minuta, poteva sorgere l'eccezione giuridica della validità del testamento, il che creava una situazione piuttosto sconveniente ai fini della definizione dell'asse ereditario. Per questo motivo il notaio, scrupolosissimo, sottopone la minuta alla lettura dei testimoni: "qual minuta vista e intesa, dicono, et riconoscono essere quella medema che fu fatta come sopra, e riconoscono ancora, che sino all'institutione dell'herede exclusive fu fatta nella prima sessione dell'hora 24 sino ad un hora di notte circa in circa et il rimanente, cioè dall'institutione dell'herede inclusive in giù fu scritto nella seconda sessione dopo la detta digressione ad atti diversi, et estranei dal testamento, come si è detto sopra, cioe doppo le tre hore di notte in circa il che sanno i Testimonij per essersi trovati presenti, haverlo visto, et inteso, e per altre ragioni ch'essi dichiareranno." L'asse ereditario della famiglia era salvo.
E' interessante notare la presenza fra gli esecutori testamentari di mons. Federico Visconti, a quell'epoca Auditore della Sacra Rota. Federico, dopo una intensa attività diplomatica svolta durante il pontificato di Innocenzo X, nel 1681 sarebbe diventato cardinale con destinazione la diocesi milanese, di cui fu arcivescovo fino al 1693, quando morì. In questa città promosse notevoli attività edilizie, facendo sistemare anche la piazza del Duomo. Attento alla organizzazione della liturgia – curò una edizione del Rituale Sacramentorum – e alla attività culturale nei seminari, si dimostrò particolarmente rigoroso verso i monasteri femminili, imponendo l'esame delle vocazioni secondo le norme del Concilio di Trento. Sostenitore delle autorità politiche nella guerra contro i turchi, limitò il diritto di asilo che vigeva all'interno degli edifici ecclesiastici e si impegnò inoltre a sconfessare alcuni astrologi che diffondevano il panico predicendo gravi sciagure. Federico Visconti, da arcivescovo, visitò Cassago nel giugno 1686 e certamente si sarà ricordato in quella occasione dell'amico Filippo che aveva assistito a Roma. Il legame fra le due famiglie Pirovano e Visconti si era infatti rafforzato due anni prima, nel 1684, quando erano state celebrate le nozze fra Teresa, la figlia di Giovanna, la nipote citata nel testamento di Filippo, e Nicolò Visconti, nipote dell'arcivescovo. Nella relazione che descrisse la visita c'è in effetti un accenno a Filippo Pirovano e al conte Nicolò, quando si parla del legato di Melchiorre de Sapis fondato sui beni di san Salvatore: "... missae septem singulis annis celebrandae in Ecclesia Parochiali, atque staria quatuor panis triticei distribuendi pauperibus eiusdem loci Cassagi, ad quae onera remanent obbligata Bona appellata di San salvatore, sita in dicto loco Treoncini, ex legato quondam Melchioris Sappae nocque legatum nunc adimplet Illustrissimus D. Comes Nicolaus Maria Vicecomes, ut haeres quondam Domini Abbatis Philippi Pirovani ..."
I legati che mons. Filippo aveva predisposto nel suo testamento furono puntualmente assolti dalla nipote, la contessa Donna Teresa Modrona, come si evince da una nota del 1731 che fa il punto della situazione. Morto lo zio nel 1673, la nipote già il 16 aprile di quell'anno aveva predisposto il pagamento di L. 1508 al signor Lelio Parravicino perché li mandasse a Roma per convertirli in 200 scudi romani da pagare a metà alla chiesa di Sant'Agostino e metà alla chiesa di San Francesco di Ripa per far celebrare le messe a suffragio dell'anima del defunto monsignore. Il 3 luglio lo stesso signor Parravicino mandò ancora a Roma altri 743:10 lire da convertire in 100 scudi romani da consegnare alla Sacrestia dei Padri di sant'Andrea della Valle per soddisfare le intenzioni del testatore. Nel 1688, il 22 giugno, il Parravicino inviò a Roma altre 3839:10 lire a monsignor Ercole Visconti perché pagasse la lapide che era stata posta sopra il sepolcro di mons. Filippo.
Il 13 settembre furono liquidate 6107 lire al signor Gaspare Alfieri in qualità di erede della Signora Vittoria Battaglia come saldo delle 4000 lire più gli interessi che le erano state promesse da mons. Filippo a causa di alcuni censi decorsi sopra le proprietà di Cassino che erano stati costituiti da Gio:Giacomo Triulzio e che le spettavano in quanto erede di Vincenzo Gavotto.
La validità del testamento di mons. Filippo fu oggetto, come sopra riportato, di una annosa disputa, che alla fine diede ragione alla discendenza in linea femminile. Fra le varie carte che furono prodotte, interessantissima è quella che conserva le testimonianze raccolte a Roma dal notaio di curia il rev. Romolo Saracenus il 6 maggio 1673 alla presenza di un procuratore che rappresentava gli interessi di Donna Teresa Modroni, dei Padri Agostiniani, dei Francescani ad ripam, dei parroci di Cassino, Cassago e Pandino. Si tratta delle deposizioni rese da 16 testimoni che furono presenti al momento del trapasso di mons. Filippo o che, facendo servizio nella Casa di Roma, erano a conoscenza di quanto era accaduto solo 11 giorni prima durante la notte di martedì 25 aprile. Il primo è un certo Giovanni Bisciotto, milanese di 45 anni, che aveva la mansione di staffiere. Dichiara di avere servito a lungo monsignore di cui portava ancora la livrea e di aver visto arrivare molte persone quella notte fra cui il padre Silverio frate zoccolante suo confessore e il signor Santinelli suo medico personale. Il secondo testimone è Francesco Rovelli figlio di Gio:Bapta: era nativo di Cassago ed aveva 27 anni. Anche lui aveva la mansione di staffiere. Segue la terza deposizione di Carlo Bernardo Mantegazza nativo di Rescaldina, di 24 anni, che era al servizio di monsignore in qualità di Servitore di cui portava ancora la livrea. Quarto testimone è Domenico Valmaggino di Pandino d'anni 22: era un architetto che lavorava per la Casa di mons. Filippo. Segue Giacomo Filippo Villa nativo di Cremella, aveva 26 anni ed era al servizio di mons. Filippo da sette anni. Sesto testimone citato è il trentenne Giovan Battista Peduni milanese, che era in servizio da diversi anni come staffiere e credenziere. Viene ascoltato poi Giovanni Maggi milanese di 31 anni in servizio da ben dieci anni. Quindi è la volta di Giuseppe Sanzone romano nascita di 33 anni: conosceva mons. Filippo da due anni e lo aveva dapprima servito "nell'occasione che gli serviva nella spezieria del S. Pietro " e quindi, per undici mesi, come aiutante di camera fino alla morte.
Il notaio sentì ancora il milanese Ambrogio Resecatus di 44 anni circa che conosceva mons. Filippo da 25 anni. Il testimone dichiara di avere vegliato il suo padrone tutta la notte della sua morte e per tutti i giorni che rimase in Casa prima di venire portato in Chiesa. Il decimo testimone che viene citato è un certo Giuseppe Banfi de Rubera milanese di 24 anni che esercitava nella Casa di mons. Filippo l'attività di barbiere. Banfi, che si dichiara onorato di aver servito mons. Filippo, ammette di aver lavorato per lui già a Milano e di essere stato al suo servizio fino alla sua morte. Si ricorda molto bene tutti i presenti la notte del 25 aprile: si tratta di un lungo elenco che incomincia con mons. Federico Visconti, seguono il rev. Gio:Batta Bossi, il Capitano Adriano, il notaio con il suo aiutante, il padre Confessore dei francescani a ripa, il signor Domenico Valmaggini, il barbiere Pietro Paolo a Coronari, il medico Santinelli, il signor Giuseppe Santone, Bartolomeo Grassi, Filippo Villa, il signor Fabiano Frigerio e gli staffieri di mons. Filippo, oltre ad altri della cosiddetta "famiglia bassa."
L'undicesimo teste sentito fu il capitano Adriano Frigerio, milanese di 40 anni, che era segretario personale di mons. Filippo ed era al suo servizio da 19 anni. Seguì la deposizione del suo medico personale, il romano Bartolomeo Sanctinellus di 28 anni che era stipendiato di anno in anno dall'epoca della morte di Papa Clemente IX. E' quindi la volta di Bartolomeo Grassi, anch'egli milanese, di 34 anni che era agli ordini del Maestro di Casa da circa quattro anni.
Quattordicesimo teste è Pietro Paolo Vanditio di professione barbiere, di 22 anni, che fu al suo servizio a Roma negli ultimi tre anni della sua vita. Viene sentito successivamente padre Silverio Tuminea di 68 anni confessore di mons. Filippo Pirovano che dichiara di conoscerlo da tre anni quando si recò al convento per confessarsi. Toccò a lui confessarlo, cosa che poi fece con regolarità.
L'ultimo testimone fu Giovan Battista Bossi milanese di 29 anni il cui compito era quello di attendere alla cura e ai negozi della Chiesa milanese che gli erano stati affidati dal cardinal Litta arcivescovo di Milano. Aveva conosciuto mons. Filippo ed era diventato suo cancelliere e Prelato: il Pirovano si era molto compiaciuto dei suoi servizi diventando suo confidente.
Le attestazioni dei testimoni confermarono le disposizioni che mons. Filippo aveva disposto nel suo testamento a favore della nipote.