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Stemma dei Pirovano
FILIPPO MARIA PIROVANO detto IL VECCHIO (1568 ca. - 1643)
di Luigi Beretta
Filippo è il secondogenito di Giovanni Francesco alias Gaspare Triultio II°: di lui conosciamo un curioso certificato rilasciato il 27 maggio 1588 di scolarità che ne attesta la frequenza all'Università di Pavia.
Come ogni studente, anche lui, già allora, aveva i suoi problemi per mantenersi agli studi e grazie al certificato poteva godere di privilegi scolastici e soprattutto di esenzione dai dazi. Gli studi pavesi gli consentono di ottenere la laurea in diritto come il bisnonno Bartolomeo, un titolo di studio che gli aprirà le porte del successo sociale. La ottiene nel mese di luglio del 1591.
Ne fa fede una dichiarazione della commissione che lo ha giudicato: " Noi infrascritti tutti facciamo Indubitata fede come Filippo Pirovano ha studiato nella Cita di Pavia per cinque anni continui et finalmente Dottoratosi nella istessa Cita il mese di Lulio del Presente Anno 1591
et in fede firmata la presente da tutti noi
Ego Melchior Alciatus affermo ut supra
Io Paolo Chiesa faccio fede come di sopra
Jo Gio:Batta Piatti faccio fede come sopra
Jo Branda Castiglione faccio fede come sopra
Jo Pietro Antonio Gadio affermo quanto di sopra si contiene
Jo Gio:Giacomo Bossi affermo quanto di sopra si contiene
Jo Gio:Battista Caizo affermo quanto di sopra si contiene
Jo Giulio Aresi faccio fede come di sopra."
Fattosi sacerdote, diventerà ben presto monsignore e si trasferirà, prima del 1622, a Roma dove diventa Auditore della Sacra Rota, carica che rivestirà per ben 34 anni. Il 28 dicembre 1623 viene accolto nell'Ordine domenicano dal Maestro generale dei predicatori domenicani di Pavia frate Serafino Siccus. L'ammissione viene fatta a Roma nel convento dell'Ordine di Santa Maria sopra Minerva. A Roma morirà nel 1640.
Le sue conoscenze in diritto ne fanno una personalità ricercata e ascoltata dai familiari e dai conoscenti. A lui fece ricorso il cognato Giovanni Borromeo nel 1602 in una causa contro l'arcivescovo di Milano, sempre a lui fanno ricorso i fratelli Delfinoni a proposito di una controversia interna alla famiglia che riguarda un pascolo detto "il Dosso."
Un pro memoria datato 28 marzo 1603 descrive la questione: "Essendo controversia tra Nicolo, Cesare, Marc'Antonio et li Signori figlioli dil quondam Hieronimo tutti fratelli Delfinoni per causa de una pezza di terra alias Pascolo detto il Dosso, posta nel territorio di Cassagho plebe di Missaglia per che detti Cesare, Marc'Antonio et figlioli di Hieronimo pretendono volere et doverseli tutta detta pezza di terra et il contrario pretende detto Nicolao cioè coler spettare a lui essa pezza di terra per cui per evitare ogni lite et terminar questa differenza amicabilmente detti fratelli et nipoti fioli di Hieronimo et cadaun d'essi per la presente rimettono detta differenza all'arbitrio et dichiaratione dell'Illustrissimo Filippo Pirouano Dottore di Collegio et loro comune confidente et in lui fanno un amplo et generale compromesso et rimessa per rispetto d'ogni differenza ..."
La fiducia in Filippo è totale, perché nel dispositivo finale tutti dichiarano di accettare la sua decisione qualunque essa sia, senza frapporre ricorsi. Filippo abitava a Milano in parrocchia di san Vittore al Teatro. Nelle divisioni dell'eredità di famiglia del 1595 gli toccarono i possedimenti di Pandino. I suoi interessi tuttavia si rivolsero anche a Cassago. Grazie ai buoni rapporti con i Delfinoni, Filippo nel 1607 acquistò da Nicola Delfinone un pezzo di terra a ronco vicino alla abitazione di famiglia a Cassago.
L'atto di compravendita è importante perché per la prima volta viene chiaramente citata la casa da nobile e il giardino dei Pirovano: Filippo acquista una pezza di terra "de tanta parte ex petia terre Ronchi sita in territorio dicti loci de Cassagho ubi dicitur alle Rippe quantum capsit sedimen a nobili et Viridarium prefati emptoris siti in eodem loco Cassagli discendendo per rectam lineam usque ad accessium sive stratam quot perticatus III est et cui petie ut supra vendite coheret a duabus partibus prefati emptoris ab alia strata sine accessium, ab alia prefatorum venditorum in parte eundo per rectam lineam a dicta strata usque ad angulum parietis Viridarij Gabriellis Nave et in parte Viridarium prefati Gabriellis Nave."
La transazione fu fatta al prezzo di 300 libbre imperiali. L'appezzamento fu quindi concesso in affitto al Delfinoni per 15 lire imperiali ogni anno, con la clausola di redimere, cioè concedendo al venditore la facoltà di riacquistare il bene venduto.
Un documento del 1608 in cui sono confermate le divisioni del 1595 offre un interessante squarcio sui gusti e sullo stile di vita dell'epoca nonché sugli stretti rapporti con la Spagna economici e culturali. E' un breve elenco delle mobilia personale di Filippo: possedeva una tappezzeria di Fiandra con 235 quadretti, un altro pezzo con 12 quadretti gli serviva per coprire il camino, aveva anche due "portere di panno verde fodrate di tela verde con franza a torno", sette pezzi "de corami d'oro di Milano", altri "pezzi de corami de corio di Spagna de Corduba", altre due "portere de pelle de Corame dorate fodrate di tela rossa", un tappeto "de Cardenza", una tavola "de coramo dorato", un paramento di panno rosso con frangia in seta con "coperta e tornaletto", un paio di "brandenali grandi da sala con lettone a figrine e i suoi fuochi sull'istesso."
In casa aveva inoltre tre grandi quadri incorniciati in noce che raffiguravano la Madonna, il re di Spagna Filippo secondo e il re Filippo terzo. Per la luce notturna disponeva di due candelieri d'argento del peso di 60 once. Mons. Filippo fu investito della Badia di Cenati che nel 1635 venne traslata al nipote Carlo Francesco, figlio del questore Gio: Battista. Quello stesso anno, l'11 ottobre, monsignor Filippo "il vecchio" riceve una lettera dalla Corte di Madrid che gli annuncia la promozione alla carica di Avvocato Fiscale di Milano. Al 15 aprile 1637 risale una lettera che Francesco Masnaga, un nobile cassaghese, gli invia per giustificarsi delle sue pretese nei confronti di Simone Brambilla, che probabilmente era un servitore o un bracciante di mons. Filippo.
Eccone il testo: "Illustrissimo Signore Colendissimo Hé vero che io fui a casa di Simon Brambila pretendendo li ducatoni cento hautogli in occasione di mia protesta reputandomi di quegli non esserne debitore ma dicendomi il R. M. signor Marco Antonio origo che tali dinari furono pagati solo in consideratione delle spese fategli da deto brambila et così aggiustate dal Illustrissimo signor Bartolomeo suo fratello di felice memoria che Dio l'habbia in cielo et così protetto a Vostra Signoria illustrissima che mai fu mio pensiero di mancare in minimo punto in cosa tratata dal Illustrissimo signor suo fratello ratificando di novo qualsivoglia promessa fatta sì da me come dal Signor mio Padre in questo particolare rimetendomi di più a quello che deto signor Origo dirà a Vostra Signoria Illustrissima in cuore assicurandolo che non offenderò più detto Brambila spiacendomi che lei n'habbia hauto principio minimo di desgusto profesandomi di vivergli obbligatissimo servitore sin alla morte di tuta la sua casa sia alla morte ravissificandomi di continuo scolpiti nel cuore gli favori inesplicabili da illustrissima casa sua riceputomegli restandogli obbligatissimo servitore di tutto core adi 15 aprile Anno i637. Obbligatissimo Servitore Francesco Masnaga."
La lettera non specifica purtroppo il motivo del contendere. Ci conferma o ci dice però diverse notizie: innanzittutto ricorda che Bartolomeo Pirovano nel 1637 era già morto, ci informa poi che l'amministratore di Casa Pirovano a Cassago era probabilmente il nobile Marco Antonio Origo, infine sembra indicarci che Filippo in quegli anni stava eseguendo o aveva concluso dei lavori nella casa da nobile già avviati anni prima da suo fratello e che questi lavori erano stati compiuti da Simone Brambilla probabilmente in contraddittorio con i nobili Masnaga che avevano proprietà confinanti con i Pirovano.
I Masnaga abitavano a Cassago da diversi anni: un certo Alexandro Masnaga, padre di Francesco, è noto in quegli anni e partecipa attivamente alla gestione della Scuola del SS.mo Sacramento. Sottopriore, nel gennaio 1623 Alexandro viene eletto priore in sostituzione di Hieronimo Camesasca che era morto, carica che ricopre fino a tutto 1624. Nel 1627 viene rieletto priore "alla presenza del Curato et della maggior parte del popolo ", carica che ricopre anche nell'anno 1629. La fondazione della Scuola del SS. Sacramento risale all'età di san Carlo.
Nella festa del Corpus Domini dell'anno 1583 san Carlo fondava nel Duomo di Milano la Compagnia generale del SS. mo sacramento in cui raccoglieva tutte le confraternite del SS. mo Sacramento già esistenti - erano 556 - e ne ordinava l'erezione in tutte le parrocchie della diocesi. Scopo della istituzione era di onorare la presenza reale di Gesù Cristo nostro Signore nella SS.ma Eucaristia. I confratelli e le consorelle del SS.mo Sacramento si preoccuperanno innanzittutto di onorare e di rispettare con ogni santa diligenza il Ss.mo Sacramento; di contribuire alle spese del culto eucaristico, in modo particolare alle spese necessarie per mantenere con onore il Santissimo Sacramento sull'altare maggiore delle chiese; di accompagnare il SS.mo Sacramento quando viene portato come viatico agli infermi; di partecipare alla messa solenne della terza domenica del mese ed alla relativa processione eucaristica prima della messa; di partecipare alla processione della festa del Corpus Domini e dell'ottava; di visitare i confratelli infermi, procurando che a tempo debito ricevano i santi sacramenti; di correggere i confratelli spiritualmente infermi perché vivono in qualche peccato o vizio; infine di accompagnare alla sepoltura i confratelli defunti e di pregare a loro suffragio.
I responsabili del governo e dell'amministrazione della Compagnia generale del SS.mo Sacramento venivano eletti dall'arcivescovo; invece gli officiali ed i ministri delle compagnie particolari erano eletti nelle singole parrocchie dai loro confratelli abitanti nella medesima parrocchia. Scopo di questa istituzione era anche quello di sostituire devote manifestazioni di culto pubblico alle feste chiassose e mondane, cui era abituato il popolo milanese. Si poteva ottenere anche lo scopo di dare uno sfogo per così dire sacro o almeno nell'ambito della vita della Chiesa, al bisogno di feste e di pompe del popolo, desideroso di rompere ogni tanto il grigiore della fatica quotidiana nelle botteghe, nelle officine e nei campi. Alessandro Masnaga era sicuramente un uomo pio e religioso e lo dimostrò soprattutto negli anni a venire dopo il 1640.
In quell'anno infatti si incominciò a costruire il santuario della Madonna del Bosco ad Imbersago e verso la fine del 1644 era ormai praticamente concluso. Nel 1646 il prevosto di Brivio l'aveva benedetto: è a questo punto che "Alessandro Masnaga, gentiluomo milanese d'anni presso ai 60, abitante a Cassago, pieve di Missaglia, deliberato di finire i suoi giorni in servigio della nuova chiesa di S. Maria del Bosco, domandò ed ottenne dall'arcivescovo Monti di qui vivere a modo di eremita; egli diè principio a spianare coll'aiuto di gente divota, quel boscoso dorso di monte dissodando il terreno, allivellando un ampio viale e formando un bell'orto. Era un curioso spettacolo vedere costui che, vestito di bianco con veste lunga e mantello e cingolo rosso e con sessant'anni sulle spalle adoperava zappa e vanga in quei lavori e col suo esempio animava i villani a proseguirli alacremente." (Giovanni Dozio, Notizie di Brivio e sua Pieve, Milano 1858, 111-112).
Lo stesso Alessandro Masnaga aveva fatto la richiesta agli inizi del Seicento di costruire un sepolcro nella chiesa parrocchiale di Cassago per uso della propria famiglia. Nell'aprile del 1617 ci fu un sopralluogo del Vicario Foraneo Mario Antonino che poco dopo rilasciò una relazione favorevole alla richiesta in cui si indicava il luogo dove costruire il sepolcro. Avrebbe dovuto sorgere nello spazio fra la cappella maggiore e quella della Beata Vergine, sul lato del Vangelo: dalla relazione della visita pastorale del card. Pozzobonelli del 1756 sappiamo che tale sepolcro fu veramente realizzato (G. Battista Maderna, Per l'architettura religiosa di Milano dopo S. Carlo, il Catalogo del Fondo Spedizioni Diverse, 76, in Arte Lombarda, n. 70/71).
Francesco Masnaga era Dottore, probabilmente in diritto, ed era sposato con Aurelia Fabba che lasciò nel 1650 un legato alla chiesa di Cassago. Fra i loro figli probabilmente c'era un certo Marcellino, sposato con Maddalena Albana, che avrà una figlia nel 1685, Lanza Maria Francesca, al cui battesimo, celebrato dal parroco Annibale Nava, sarà presente il conte Francesco Sozi della città di Bergamo. Di una Clara Masnaga moglie di Alessandro Caccia parla una lapide del 1608 conservata nella chiesa milanese di Santa Maria della Passione (CLARAE MASNAGAE CARISSIMAE UXORI ALEXANDER CACIA ET SIBI ET POSTERIS POSUIT ANNO DOMINI MDCVIII), fra le cappelle di S. Anna e del S. Cuore, dove si scopre anche lo stemma gentilizio di famiglia: tre bande nere uniformi su fondo bianco all'interno di un ovale.
Gli stessi attori della lettera di Francesco Masnaga si riscoprono in una autografa, questa volta a firma di Marco Antonio Origo, inviata da Torricella il 16 aprile 1637 a mons. Filippo Pirovano. Origo si professa suo servitore e apre uno squarcio sulla vita quotidiana di quegli anni, sugli affari, sulle incombenze agricole, sui rapporti con i vicini e con le suore dei monasteri vicini a Cassago. C'è anche un interessante accenno a dei lavori da eseguire alla costruzione di una grande cantina (la canepa) e alle fondamenta della Torre della Casa da nobile:
"Illustrissimo mio Signor Padrone Eccellentissimo
Mi spiace del travaglio suo per la vendita del mio formento e sono più che sicuro della memoria che ne hauerò, ho sollecitato per hauere li sachi, et hieri far dal Zoppo Spriafico il quale mi rispose non hauere niuno ordine ne sachi, et esso viene hoggi a Milano e m'ha promesso eum da Vostra Signoria et è bene intendersi.
La fabbrica del canevino si tira avanti ma non è possibile tenere più di due cazole per con il pocho stretto, dè quali non potrà fare più de qualche braza la setemana, dico braza 4, vederemo se sarà bene fare la volta prima del fondamento della Torre come lei raccomanda, et tanto si farà li maestri lavorano bene et sicuramente, li massari vorebero vendere una vacha del suo socio io non ho voluto deliberare V. S. Fin a quando e discore alla Madre Masnagha per Simone il quale resta qui, et assicurare il messere facci scrivere l'obbligata Madre, certo ha benevolmente posto et può fare del bene assai se si saprà governare, ma il mastro non è in casa, l'avisar del desgusto riceputo da signori Cugini suoi nel particolare della femmina, et come essa hauerà raccontato tutto me l'imbroglio né seppe tirarmi fuori, habbiamo fatto la carità di avisarli, et lui procuri di ben governarsi, et lei procuri stare sotto ne più lasciarsi oppressare la vita godendo estremamente della robusta sanità sua, hò rengratiato le madri di Cremella, ma quelle di brugora, lambruco et bernaga ancora le quali non hanno fatto manco di quelle di Cremella. Domani parto a Bessana, Cesana e Chivat e voglio andare di campagna a M. P. Fedele, et vederemo li biage di quelle parti, mentre provederem facendoli hauer riscossi. Obligatisimo Signore Marco Antonio Origo."
Di quel 1637 possediamo una terza lettera, questa volta scritta di pugno da mons. Filippo Pirovano. La scrive da Roma il 4 luglio e la indirizza al fratello Giovanni. Sono confidenze fra fratelli ma anche comunicazioni venali relative ad affari, crediti e debiti. Non manca qualche pettegolezzo e una nota di colore: il gran caldo e l'afa di quei giorni non potevano essere sopportati nemmeno ritirandosi al fresco delle cantine:
" Illustrissimo Signore
Già siamo esenti dalle fatiche del Tribunale la quale esenzione durerà per tutto ottobre et se vostra signoria avesse una simile, me assicurano che goderebbe la villa de Cassago più di quello l'è lecito di presente et le cose domestiche sarebbero più favorite. Possa signoria vostra pagare al Marchino li quattrocento novanta ducatoni a credito del signor Arigo Arigone et manderami la quietanza con la quale io saldarò il termine dovuto al principe Borghese non bisognoso di questa puntualità, sapendo che sono fresco, ma de altri crediti restateli con Cardinali che ascendono li diecimila non ha tanta Confidenza fieri de note cascò la parte avuti della Casa à Monsignore Motomano nostro Auditore de Ruota senza peso nocumento de esso ne di sua famiglia oppresse peso li ravisa otto persone che abitavano nelle botteghe sotto la casa sono accidenti prodigiosi per tutti li rispetti, se il caldo crescerà a proporzione non basterà il retirarse nelle Cantine. Vostra Signoria se conservi.
Roma 4 lulio i637 Fratello Filippo Pirovano."
Conosciamo ancora un'altra lettera di mons. Filippo al fratello Giovanni Battista: è datata 17 settembre 1639 e ci ragguaglia su molte questioni che stava trattando con l'aiuto del fratello. Si parla di vendita di grani, della casa che i Nava volevano vendere, di orti, giardini e ancora di una casa dei Delfinoni: tutti beni confinanti in qualche modo con le proprietà di famiglia, che i due Pirovano vogliono acquisire per ampliare e rendere indipendente la loro Possessione della Torre. Mons. Filippo si mostra molto prodigo di consigli e alquanto attento a suggerire i futuri possibili vantaggi di nuove acquisizioni.
C'è anche un accenno alla situazione politica che si è venuta a creare in Valtellina dopo la guerra contro i Grigioni e soprattutto c'è la preoccupazione per il destino del priorato di Piona che possedeva in commenda, secondo un uso che durava dal 1480 con papa Sisto IV e si protrarrà fino al 1798, quando il Direttorio della Repubblica cisalpina soppresse le abbazie e i priorati.
Infine c'è posto anche per una lamentela sulla lentezza del servizio postale: anche allora !
"Signore mio fratello Anderò godendo de l'aquistato mentre con l'autorità sua lo potrò esigere et lei se ne potrà servire et tratenere li grani et lo feci, perché tra quello che maturerà de' redditi in questo anno et per il trimestre del seguente se si riscoteranno, basteranno per l'equivalente delle pensioni et il principe Borghese se bisognerà pigliarà la quarta et quinta parte per lulio prossimo senza suo incomodo et in tanto venerà tempo che li grani sarano ricercati et non si perderà nella mercantia et ... acquistare li pagamenti con la riscossione sarà la merce con li mercanti di qua; crederò che li Mercanti di Gera, Gravedona, quali si farano per concessione che come si scrive giaceranno ancora per li beni et frati del priorato, atteso la concordiate risoni per li giorni che potranno levare per loro bisogni, et tutto il Monte di brianza, il Prali storcerà tutto il grano per quelle parti, che li eredi del signor Gabrio Maria vogliono vendere la casa et beni che hanno in Casago al Origo, adverti che per la habitatione de Casago non deve lasciare l'aquisto del Giardino di detta Casa al quale si passa per il ponticello sopra la strada essendo parte incorporata nelle Rippe de nostra Casa, et l'Origo o altri che vorano comprare quella Casa non doverano negarlo, perché l'Origo non ha bisogno di quella casa se non per hauer d'altri beni in Cassago et per giardino ha tutto il sito che vuole avanti la casa, essendo padrone de beni comprati del Delfinone, et se altri concorrano non se lasci d'intendere di volere comprarla per se et credo che le convenerà meliorarsi, che poi sij necessario tal acquisto vostra signoria lo admetterà essendo quel puoco giardino parte delle Rippe et leuato il ponticello che posto sopra la strada il tutto resta unito a noi, et separato dalli altri abitanti con la strada per tutte le parti, et di più vostra signoria doverà comperare ancora la Casa che fu de Nicolao Delfinone per chiudere quella portione nella quale un giorno si potrano fabbricare le stalle et fienili, et habitationi de servitori con nova strada per ascendere alla Torre, il che sarà sempre impedito da quella pezza di giardino ch'entra nelle Rippe et volendola poi fare non sarà così facile ottenerla come hoggi il rimanente di quelle Case non fa per signoria vostra, essendo separate con la strada, et neanco li beni di detti eredi non essendo congiunti con quella di vostra signoria, vederò volentieri li Capitoli concertati con grisoni perché non intendo come habino da rientrare padroni et possessori della Valtellina vendendo della concordia de Manzone, crederò che vostra signoria hauerà fatto amicizia con qualche uno de quelli cappi per servirsene a benefitio del priorato de Pina et se ne bisogno se resterano padroni.
L'Abbate Braciolino serà già partito de Milano sono sicuro che fermerà alla Corte per mesi, et mesi, et in suo tempo se ne valeremo, temo che il mio dispacio che vedo di qua non sij non intendendone avviso del arrivo, quale doverebbe essere gionto atteso il tempo che fu inviato nel quale molti altri si sono hauti, il quale però indi con le lettere del nostro delle poste et con il plicco del Ambasciatore, per D. Tobia altro ad soggiongo dovendo aspettare la congregatione della penitenziaria quale sarà la seguente. Si conservi.
Roma i7 settembre i639
Filippo Pirovano."
Nel 1639 mons. Filippo risiedeva a Roma e assieme a lui, nella stessa città, abitava anche suo nipote Francesco, il figlio del questore Giovanni Battista. Una sua lettera dell'8 ottobre inviata al padre lo ragguaglia di alcune indiscrezioni che potevano interessare la famiglia e nello stesso tempo esprime una certa nostalgia per "quelle delizie in un aria perfetta " che il padre, con la madre, si godeva a Cassago.
Filippo Maria istituì suo erede il fratello minore il marchese Jo: Battista e quindi lo sostituì con il nipote Filippo, figlio di Jo:Batta, con l'onere di fideicommisso.
Nella sua opera "Antiquario della Diocesi di Milano", l'arciprete oblato Francesco Bombognini ricorda la figura di Filippo Maria Pirovano. Nella seconda edizione curata con correzioni e aggiunte di Carlo Redaelli, pubblicata a Milano nel 1828, troviamo a pag. 293-294: "Il pontefice Gregorio XIV (Nicolò Sfondrati) fu commendatario del monastero [di Civate]. Lo stesso dieci anni prima d'essere assunto al pontificato ottenne un breve da Gregorio XIII di poter rinunciare quell'abbazia a Paolo Emilio Sfondrati di lui nipote, il che ebbe formalmente luogo nel 1583 (Istromento 28 aprile 1538 rogato da Luigi Ghisolfi). L'anno poi 1633 ebbe quell'abbazia il cardinale Scipione Borghesi illustre cittadino romano. A questi successe Filippo Pirovano oriondo della Brianza, e propriamente della terra di Cassago. Per il di lui sapere fu promosso dalla Santa Sede a varie cariche (V. Argellatus, Script. med. pag. 1090, u. 1300). Nel 1648 rassegnò l'abbazia al di lui nipote Francesco fìglio del marchese Questore Giovanni Pirovano di lui fratello, come consta dal testamento fatto in quell'anno, rogato da Clearco Busco notaro di Roma. Fu indi in possesso dell'abbazia di Civate altro cospicuo romano prelato morto nel 1693."
Altre notizie relative a mons. Filippo Pirovano il seniore si trovano nell'opera di Filippo Argelati "Bibliotheca Scriptorum mediolanensis" del 1745: "Joannes Franciscus Pirovanus, ac Margarita Brasca nobiles conjuges Philippum insignem ac doctrina, ac dignitate Virum in hac Urbe genuere. Post minora studiorum curricula, quae vix pueritiam egressus diligenter perfecit, ad Leges addiscendas attentissime se contulit, in queis Doctor renunciatus anno MDXCII. Collegio J. PP. Mediolanensium adscribi meruit, atque in eiusdem cooptatione Raphael Fagnanus elegantem habuit Orationem. Tanti habitus est à Collegis suis Jurisconsultis, ut nondum inter Clericos recensitus, Paulo V Summo Pontifici invitus, atque inscius oblatus fuerit ad Auditoris Sacrae Romanae Rotae munus exercendum.
Admissus igitur in Rotadie VIII mensis Februarij, anno post partum Virigneum MDCX in tam praeclaro officio annos XXXIII summam cum integritatis commendatione claruit, Pontificibus, atque Curiae universae acceptissimus. In eadem alma Urbe Apostolicam rexit Poenitentiariam tam benè, atque prudenter, ut à Cantalmajo in Syllabo Auditorum, Vir clarissimus, summaque virtute, ac ingenuitate ornatus appelletur. Inter ipsum ac laudatissimum Cardinalem Archiepiscopum Fridericum Borromaeum magna intercessit amicitiae necessitudo, quam testantur Epistolae inferius enunciandae. Tandem cum anno MDCXLIII exitum vitae sibi instaret sentiret, Scripta sua Ambrossianae Bibliothecae legavit supremis voluntatis suae tabulis. Qua de re haec habemus apud Boscam lib. V operis sui de Origine ac Statu eiusdem Bibliothecae.
Inter haec (anno scilicet MDCXLIII) decedit Romae Philippus Pirovanus, Vir cum genere amplissimus, tum doctrina; reliquit Testamento multiplex autographum Bibliothecae, quo contenitur Jurisprudentiae Oracula, ac Scita, cum ille antecederet muneris antiquitate caeteros Auditores Romae, nam annos tres supra triginta eum judicandi honorem gesserat. paruit extremae Fratris voluntati Marchio Joannes Pirovanus Eques S. Jacobi, ac Regii Magistratus Quaestor, intulitque in Ambrosianam Bibliothecam ad Patriae commodum.
Scita illa nondum Typographos convenerunt, indicamus autem exteris veluti Oracula judicantis Astreae hactenus Bosca. Praeter laudatum Joannem, alium habuit Philippus fratrem Julium Dominicum inter Equites S. Jo. Hierosolymitani anno MDLXXXIX recensitum.
Scripsit igitur Philippus noster:
I. Decisionum Sacrae Romanae Rotae in causis spatio annorum XXXIII à se propositis, et propria manu conscriptarum, incipientium à die I Martii, anno MDCX ad XXVII Juniii MDCXLIII. Tom. IV ingentis molis, in fol. servantur in Biblioth. Ambrosiana et etiam in Archivio eiusdem S. Rotae.
II. B. Gregorii X Pontificis Placentini Vitae, Virtutum ac Miraculorum relatio ad effectum canonizationis eiusdem. MS. in fol. sign. num. 120 apud Monachos Cistercienses S. Ambrosii Mediolani.
III. relatio facta Urbano VIII. P. Max. super sanctitate Vitae, heroicis Virtutibus, ac Miraculis B. Philippi Benitii Florentini ord. Servorum B. M. V. MS. in fol. sign. num. 129 ibid.
IV. Epostolae plures ad Federicum Cardinalem Borromaeum anni MDXCV ac MDCI extant in saepe Laudata Collectione ejusdem card. in Biblioth. Ambrosiana.
Annibalis Guaschi ad eum Epistolae duae Italicae leguntur inter Epistolas Guaschi editas Mediolani, apud Pontium Piccaleam 1601.
Praeter citatos Auctores, ejus mentio est apud amicissimum atque Cl. JC. Sitonum in Chron. JC. C. pag 175 art. 717 ac Picinellum in Athenaeo pag. 194.