Percorso : HOME > Monachesimo agostiniano > Conventualismo > Monasteri > Italia  > Fivizzano

CONVENTI agostinianI: Fivizzano

Farnese Hours, in Latin Illuminated by Giulio Clovio (1498–1578) Adoration of the Magi and Solomon Adored by the Queen of Sheba Italy, Rome, dated 1546, 6 3/4 x 4 3/8 inches (173 x 110 mm) Purchased by Pierpont Morgan, 1903, MS M.69, fols. 38v–39

Farnese Hours, in Latin Illuminated

di Giulio Clovio (1498–1578)

Adorazione dei Magi

e Salomone riceve la Regina di Saba

 

 

 

IL TRITTICO E LA MINIATURA DI FINE CINQUECENTO

 

 

 

Alla miniatura del Cinquecento è stato per molto tempo attribuito il ruolo di arte minore, semplice replica di più elevati modelli pittorici. Le ragioni sono da ricercarsi nella schiacciante concorrenza dell'illustrazione a stampa. Tuttavia un'analisi più attenta della produzione di miniature nell'arco del XVI secolo ci mostra una realtà ben differente. Così J. Alexander, riassume la situazione della miniatura tra la fine del XV e l'inizio del XVI "But although manuscript illumination is now particularly associated with the Middle Age, it continued to be a vital and creative form of art in Italy in the fifteenh and sixteenth centuries. Its eventual decline can be attributed more to the invention of printing and the attendant chenge in the production of books especially, of course, in mechanical methods of illustration by woodcut, than to any other single cause". [1]

L'arte della stampa a caratteri mobili, nata a Magonza intorno al 1455, si diffuse seguendo le grandi vie commerciali tedesche, che all'epoca, erano costituite principalmente dal corso del Reno. Gli artigiani si muovevano in cerca del guadagno e soprattutto le autorità ecclesiastiche li incoraggiavano volentieri, per la possibilità che la stampa offriva di diffondere opere sacre e edificanti. La capacità persuasiva delle immagini, costituiva uno strumento pedagogico di notevole portata, e la Chiesa volle utilizzarlo. Spesso erano i monasteri ad accogliere i tipografi, migranti da una città all'altra, ne ospitavano le "aziende" e talvolta le finanziavano.

La stampa si diffondeva spontaneamente per iniziativa degli artigiani e dei piccoli e grandi mecenati: massimo sostenitore dell'arte nuova era la Chiesa con la sua potente e articolata organizzazione. Probabilmente la stampa giunse in Italia, proprio grazie a committenze ecclesiastiche. Un frammento di un'operetta in volgare sulla Passione di Cristo, sembra sia stato impresso attorno al 1463 nei pressi di Ferrara. Da documenti d'archivio risulta che a Roma, già dal 1467, era attiva una società tipografica, tra la cui produzione, figurano i classici latini, Cicerone, Lattanzio ed anche sant'Agostino. Si tratta di testi scritti in latino volgare, in cui il carattere gotico delle stamperie d'oltralpe, viene sostituito dalla lettera antiqua degli umanisti. [2]

In Italia, oltre alla Chiesa, furono proprio gli ambienti umanistici a dare maggiore sostegno all'utilizzo e alla diffusione della stampa. I loro programmi editoriali sono tracciati da personalità del mondo degli studi, che mirano a porre la nuova tecnica della "scrittura artificiale", al servizio del proprio disegno culturale e politico. In Italia, il mondo della stampa, muove dunque i suoi primi passi entro due poli principali: il mondo ecclesiastico, e i dotti circoli umanistici. Qualcosa nella società di allora era cambiato; il bisogno di lettura per scopi pratici o professionali era cresciuto, grazie soprattutto alle migliorate condizioni di vita. Le principali attività economiche, a cominciare dal commercio, richiedevano una serie di registrazioni scritte, i rapporti tra lo stato ed il cittadino si svolgevano sempre più di frequente tramite documenti scritti e la capacità di saper leggere e scrivere appariva sempre più un mezzo di promozione sociale. Cresceva dunque il numero di potenziali acquirenti del libro a stampa, reso ancor più invitante dalla presenza delle illustrazioni. Oltre a rendere il libro più appetibile e a facilitare la comprensione del contenuto, l'illustrazione fungeva anche da strumento di propaganda.

In particolare, le scene sacre che accompagnavano i libri religiosi rafforzavano, con l'efficacia del mezzo visivo, il messaggio del testo e proprio per questo la Chiesa fece largo uso della stampa, non solo nei libri religiosi di più alta qualità, ma anche in quelli destinati a lettori meno esigenti. L'invenzione della stampa e la conseguente possibilità di avere a disposizione illustrazioni realizzate con costi e tempi molto inferiori, rispetto a quelli richiesti dalla decorazione manuale costituì, a lungo andare, una brusca battuta d'arresto per la produzione di miniature. Assieme alla stampa, fiorì anche l'illustrazione libraria. Dapprima, si continuò a decorare il libro a mano, ma ben presto alla miniatura, si affiancarono altre tecniche quali l'incisione su legno e una particolare forma intermedia, la silominiatura. Inventata a Venezia, per soddisfare la crescente domanda di libri ornati, questa tecnica prevedeva l'incisione di una matrice in legno con fregi e motivi ornamentali, che venivano poi impressi sulla pagina che il miniatore provvedeva, in un secondo momento, a colorire manuale. [3]

Diretta conseguenza di questa trasformazione fu la meccanizzazione sia della scrittura che dell'illustrazione che portò alla nascita di una "nuova produzione di massa", grazie alla quale venivano realizzate illustrazioni notevolmente più economiche. In questo periodo la miniatura è relegata a genere di lusso, destinato alla produzione di codici di livello artistico molto elevato, commissionati principalmente dalle più alte sfere ecclesiastiche. Così, J. Alexander, inquadra questa particolare fase della miniatura: "Only in exceptional circumstances for particolar patrons were de luxe illuminated manuscripts still produced...The Popes and Cardinals continued into the XVII century to order handwritten and hand-decorated copies of liturgical service books". [4] La rivoluzionaria innovazione tecnica della stampa, ha dunque un impatto fortissimo sulla produzione miniata. La quantità di testi prodotti subisce un'impennata mai vista prima, tanto che anche i libri stampati in quantità limitate, superano di gran lunga le possibilità di ogni scriptorium. [5]

Venuta meno la necessità oggettiva con il diffondersi delle stampe, la scelta del codice miniato, risulta essere il frutto di una precisa volontà di distinguere il manufatto come prodotto di lusso, commissionato come in passato, ad una ristretta elite. Alla dilagante diffusione delle opere a stampa, è contrapposto un manufatto che fa della preziosità, il principale elemento distintivo. Si constata, in questa fase, una sorta di dipendenza della miniatura nei confronti di modelli che non nascono più al suo interno, ma che dipendono dalle tendenze della pittura monumentale, conosciuta soprattutto tramite le stampe, dato che, nella seconda metà del XV secolo, prevalse notevolmente l'uso della silografia sulla decorazione manuale dei testi. [6]

In questo periodo infatti è documentata un'ampia circolazione di incisioni che permettono la diffusione di un'incredibile ricchezza di modelli. La diffusione di questi temi determina la nascita di uno stile che possiamo definire internazionale. La circolazione in tutta Europa delle stampe di artisti del calibro di Durer, Raffaello, Michelangelo, Parmigianino e Giulio Romano determina infatti la nascita di un linguaggio comune, quasi una koinè, nata proprio dall'analisi e dalla rielaborazione di questi grandi modelli di riferimento. Nell'epoca della Controriforma, venne dato particolare rilievo proprio alla decorazione dei corredi liturgici per i quali il Concilio tridentino emanò dei decreti in cui si faceva riferimento particolare al rispetto del decoro e dell'ortodossia iconografica delle immagini [7].

Il periodo preso in esame non rientra fra quelli ampiamente studiati dagli storici della miniatura, tant'è che per molto tempo l'unico nome che godeva di un certo prestigio fra i miniatori del XVI secolo, era quello del croato Giulio Clovio, la cui fama è soprattutto dovuta alle lodi del Vasari. Ecco cosa dice il Vasari iniziando la biografia del Clovio: "Non è mai stato, né sarà per aventura in molti secoli, né il più raro, né il più eccellente miniatore, o vogliamo dire dipintore di cose piccole, di don Giulio Clovio, poiché ha di gran lunga superati quanti altri mai si sono in questa maniera di pitture esercitati." [8]

La grande ammirazione che il Vasari nutre per questo artista compare in altri passi famosi della sua biografia: "... è cosa stupenda a vedere, che sì minuta cosa si possa condur perfetta con una punta di pennello, che è delle gran cose che possa fare una mano e vedere un occhio mortale ... " ed ancora "... onde possiàn dire che don Giulio abbia, come si disse a principio, superato in questo gl'antichi e moderni, e che sia stato a tempi nostri un piccolo e nuovo Michelangelo." [9]

L'iter formativo seguito dal Clovio può essere assunto come esempio di quella che doveva essere l'esperienza comune a molti degli artisti che all'epoca si trovavano a gravitare attorno a quel grande cantiere artistico che era la Roma del XVI secolo. Dopo aver lavorato all'estero e in vari centri minori d'Italia, Clovio giunse nella Città Eterna, anche lui probabilmente attirato dalla grande ricchezza di commissioni, principalmente frutto di incarichi commissionati da personaggi delle più alte sfere ecclesiastiche. [10]

Come per la maggior parte degli artisti coevi, il bagaglio formativo del Clovio faceva riferimento ad alcuni modelli fondamentali che non potevano certo essere ignorati, quali innanzi tutto Michelangelo, Raffaello e la sua cerchia, Parmigianino, El Greco, Salviati, e le stampe di Dürer. Roma durante il Cinquecento fu il principale polo di attrazione per miniatori non solo italiani ma anche francesi e fiamminghi. Alla bottega del Clovio apparteneva infatti un grande miniatore, Vincent Raymond al quale papa Leone X aveva affidato l'incarico di decorare i corali della cappella pontificia e della sacrestia del Palazzo Apostolico. L'importanza di questo dato non è assolutamente da sottovalutare se si tiene conto del fatto che a distanza di pochi anni, sotto il pontificato di Gregorio XIII, proprio Agostino Molari, committente del trittico di Fivizzano venne insignito della carica di Sacrista dei Sacri Palazzi, entrando così a diretto contatto con le opere realizzate negli anni precedenti. [11]

Si può dunque ipotizzare che il Molari abbia visto non solo le opere prodotte da Giulio Clovio e da Vincent Raymond, ma anche quelle di un allievo del Raymond, Apollonio Bonfratelli, la cui produzione artistica si concentra proprio a Roma sotto il pontificato di papa Pio V, l'immediato predecessore sul soglio di Pietro di papa Gregorio XIII. Questa è un'epoca nella quale la miniatura assume ormai un ruolo del tutto autonomo dal testo scritto, ci troviamo infatti davanti ad opere che hanno l'aspetto di veri e propri quadri, di ridotte dimensioni. Nel XVI secolo ha inizio la fortuna di una nuova forma artistica, quello del ritratto in miniatura come genere autonomo, elemento che conferma ulteriormente il fatto che la miniatura del tardo Cinquecento tendeva sempre più a trasformarsi in una vera e propria pittura su pergamena.

Per meglio comprendere quali fossero i modelli che Agostino Molari aveva potuto vedere durante il suo lungo soggiorno romano, possiamo analizzare un po' più nello specifico, alcuni esempi di produzione miniata che con ogni probabilità non gli dovevano essere del tutto sconosciuti. Una delle opere da cui far partire questa analisi sono i famosi messali miniati del cardinale Juan Alvarez de Toledo. Si è fronte ad un repertorio iconografico ricco di particolari che, come nel caso del trittico fivizzanese, mostra di seguire le indicazioni ribadite dal Concilio di Trento in merito al decoro e al rispetto dell'ortodossia iconografica. Questi codici, oggi conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, sono facilmente databili grazie alla documentata presenza a Roma del cardinale Alvarez che va dai primi anni quaranta del Cinquecento sino alla sua morte avvenuta nel 1557. L'Alvarez era infatti stato inviato a Roma dallo stesso imperatore Carlo V che voleva servirsi di lui per seguire da vicino le mosse di papa Paolo III: Anche sulla committenza non ci sono dubbi, in quanto lo stemma dell'Alvarez compare più volte nelle miniature. [12]

La sostanziale omogeneità compositiva, che risulta anche da un'analisi dei dettagli anatomici ha reso possibile l'attribuzione dell'opera ad un'unica bottega attiva a Roma. La maestria con la quale sono realizzate queste miniature ha fatto concentrare la ricerca su quella che all'epoca era senz'altro la più fiorente bottega di miniatori attiva a Roma, quella al servizio della corte papale. Questo nutrito gruppo di miniatori, che a buon diritto possono essere considerati gli ultimi esponenti di questa tecnica, veniva impiegato soprattutto nella realizzazione dei corali destinati alla cappella Sistina ed alla Sagrestia del Palazzo Apostolico. [13] Le loro produzioni finivano quindi direttamente nelle mani del pontefice, dei cardinali e di tutti gli alti prelati che celebravano la messa nella cappella papale. [14] Anche Vincent Raymond dev'essere annoverato tra i membri di questo gruppo di miniatori. Attivo già al tempo del pontificato di papa Leone X, il suo nome compare nei registri dei pagamenti della Tesoreria segreta durante il pontificato di papa Paolo III [15], dove viene menzionato come "Vincentio miniatore". Proprio papa Farnese, nel 1549, riconobbe i meriti artistici di questo miniatore, nominando il Raymond "miniatorem nostrum Capelle et sacristie ad eius vitam" [16] e riconoscendoli quindi una posizione eminente all'interno dello scriptorium pontificio. Al fine di una corretta ricostruzione del clima culturale nel quale operò l'autore delle miniature del trittico di Fivizzano, è importante notare che nel 1546, in occasione di un pagamento per un'opera del Raymond, la stima di questo lavoro venne effettuata da Perin del Vaga assieme a Sebastiano del Piombo. [17]

La cosa potrebbe apparire di secondaria importanza se non tenessimo in considerazione un fatto molto rilevante e cioè che una delle miniature del reliquiario di Fivizzano e per la precisione quella raffigurante la Flagellazione del Cristo, sembra essere una diretta citazione dell'affresco raffigurante lo stesso soggetto, più sopra citato. Tornando all'analisi del contesto culturale che è alla base dell'opera fivizzanese, possiamo analizzare la più importante produzione realizzata dal Raymond per papa Paolo III, ossia i corali della cappella Sistina, lavoro che impegnò l'artista per molti anni, dal 1549 sino ad un solo anno prima della sua morte, il 1556. [18] Ma in questa imponente opera il miniatore francese non lavorò da solo, venne infatti affiancato da uno dei suoi allievi più abili, Apollonio Bonfratelli che dal 1564 al 1573 ricoprì la carica di "Capellae et Sacristiae Apostolicae miniator." [19] In una nota di un mandato camerale del 1554, il Bonfratelli viene citato come "coadiutore nell'ufficio del miniatore". [20]

L'apprendistato svolto presso il Raymond, si rivelerà fondamentale per Apollonio, in quanto, dopo la morte del maestro, avvenuta nel 1557, prese il suo posto, divenendo il principale miniatore della corte pontificia. Anche i messali di Juan Alvarez de Toledo sono dunque il frutto del lavoro del Raymond al quale poi successe l'allievo Bonfratelli il cui stile si ispirò direttamente a Michelangelo, Raffaello e alla pittura toscana del primo Cinquecento.

Il suo stile sarà però condizionato dalle indicazioni del concilio tridentino il tutto. Il fervore e la drammaticità dei modelli, appare volutamente modificato per produrre un'immagine più piatta ed un effetto patetico e devozionale che fa del Bonfratelli un artista di minor rilevo rispetto al maestro. Un'opera cronologicamente ancora più vicina al trittico di Fivizzano, sono i Corali commissionati da papa Pio V per il convento di Bosco Marengo e realizzati sul finire del sesto decennio del XVI secolo. Fortunatamente le informazioni documentarie sull'opera sono numerose ed è così possibile ricostruire a ritroso la storia di quest'opera. Così ricorda Padre Della Valle nella sua Istoria, " I libri del coro ... sono stati mandati da S. Pio V per l'officiatura ... Vi sono sparse in detti libri figure bellissime in miniatura e molto stimate. " [21]

Questo testo è veramente molto importante per la comprensione di quest'opera in quanto oltre a darci indicazioni sull'aspetto artistico, include anche un diretto riferimento all'ambito nel quale è stata prodotta. Il Della Valle così afferma: "Libri Corali in Pergamena scritti in Roma dal P. Don Benedetto vallombrosano ... e spediti al Bosco." [22] Quindi visto che la scrittura era avvenuta in Roma, è facilmente possibile che anche la decorazione sia stata effettuata nella stessa città. Nel 1935, l'allora ispettore presso la R. Soprintendenza all'arte medioevale e moderna per il Piemonte e la Liguria Molajoli, studiando l'opera, oggi conservata presso la Biblioteca Civica di Alessandria, affermava: "manca intorno all'autore o agli autori di esse (giacchè in talune si può riconoscere l'intervento di altra mano) qualsiasi notizia ... Si tratta di lavoro uscito probabilmente da qualche monastero benedettino della Toscana ... nella miniatura una vacua ricerca di grandiosità del colore ... brillante e accuratamente distribuito, così da accrescere il pregio di una modellatura generalmente fine, minuziosa e garbata, cui non sono estranei ricordi della maniera fiamminga, della quale il pittore sembra aver veduti e apprezzati non lontani esempi". [23]

Analizzando le miniature a posteriori, è possibile concordare con il Molajoli in merito all'individuazione di echi cloviani, soprattutto per il fatto che le miniature dei Corali di Pio V, rientrano a pieno titolo nella produzione per la corte papale, tanto familiare al miniatore croato. Tale ambiente culturale all'epoca della realizzazione di queste miniature, costituiva un'inesauribile serbatoio di artisti formatisi proprio in quel contesto farnesiano che aveva dato lavoro al Clovio ed ai suoi allievi. Sappiamo infatti che dopo un'operazione agli occhi avvenuta nel 1558, Clovio ridusse la propria attività per avvalersi in maniera più consistente di collaboratori. L'ipotesi che le miniature in questione abbiano come riferimento l'opera del Clovio è avvalorata tra l'altro dal fatto che proprio il committente dei corali, papa Pio V amava l'arte dell'artista croato e sappiamo che tra i suoi oggetti preziosi annoverava una "scattola d'ebano et argento con due teste cioè, di Cristo et della Madonna di mano di don Giulio." [24]

Non del tutto privo di significato è il fatto che lo stesso oggetto risulti ancora conservato da papa Gregorio XIII, proprio il pontefice sotto il quale Agostino Molari commisionerà il trittico di Fivizzano. Tenendo presente che all'epoca della realizzazione dei Corali di Pio V il principale polo di attrazione era proprio la bottega del Clovio, non dobbiamo stupirci di trovare in queste miniature degli elementi tipicamente cloviani quali la minuzia dell'esecuzione, il patetismo degli atteggiamenti e l'interesse ritrattistico. Altro elemento caratteristico è la dilatazione delle forme, che riprende una tipologia vicina al tardo michelangiolismo, in contrasto una resa dei volti minuta. L'accentuazione dei movimenti delle mani, l'instabilità delle posture e l'appiattimento delle superfici, si rifanno invece ad uno stile differente, più vicino a quello del Salviati.

L'ipotesi di una produzione romana delle miniature è inoltre avvalorata dalla presenza nelle immagini di paesaggi tipicamente romani, dove grandi mura e marmi ricchi di storia si alternano a vedute boschive ed agresti. Infine gli elementi fiamminghi ai quali faceva riferimento il Malaojli, sono facilmente spiegabili con il fatto che in tutti i cantieri pittorici dell'epoca erano presenti artisti provenienti dalle Fiandre. In conclusione i Corali di Pio V possono essere considerati il frutto di vari artisti attivi all'interno della bottega di Clovio, comunque caratterizzati da un gusto tutto sommato arcaizzante, rispetto allo stile sviluppato dal Clovio nella piena maturità artistica. [25] Basti infatti vedere quanto è lontana la tipologia di incorniciatura delle miniature, dalla monumentalità tipica di Clovio. Nel caso delle miniature di Pio V, ci troviamo di fronte a cornici del tutto prive di senso architettonico, più vicine alla decorazione di piccoli oggetti come paci, reliquiari ed altaroli. Lo stesso uso ornamentale, lo troviamo nella decorazione vegetale, del trittico di Fivizzano. Anche qui infatti, predomina il gusto per una decorazione vegetale che costituisce la cornice delle scene miniate. I Corali di Pio V, sono una fonte importante per l'identificazione di modelli iconografici che possono essere stati utilizzati dal miniatore del trittico di Fivizzano.

Si nota subito che il contesto culturale nel quale le due opere sono venute alla luce, è molto simile. I soggetti iconografici si ripetono in maniera quasi speculare. Particolarmente vicini all'iconografia del trittico fivizzanese, appaiono i Corali VI, con la rappresentazione della Pentecoste ed il Corale XXX, nella quale viene rappresentata una teoria di Santi. Per quanto riguarda il primo soggetto vi sono vari elementi che ritornano, tra cui, la presenza di una pavimentazione prospettica in primo piano che sembra voler attirare lo spettatore all'interno della scena e la colomba dello Spirito Santo guardata con animo estatico dalla Vergine. Nel Corale XXX è invece rappresentata la Vergine con accanto Pietro e Paolo, con alle spalle un grandissimo numero di santi e martiri. Si può subito constatare un'effettiva somiglianza dei tratti somatici tra i due Apostoli qui raffigurati e l'analogo soggetto del trittico di Fivizzano. Di natura analoga è poi il messaggio veicolato da una miniatura come questa, dato che queste immagini sono interpretabili come la materializzazione dei decreti del Concilio di Trento che tanta importanza avevano assegnato al culto dei Santi. In conclusione, si può riflettere su come la letteratura artistica abbia dedicato alla produzione miniata della seconda metà del XVI secolo, solo un'attenzione sporadica e marginale, concentrandosi esclusivamente su alcune grandi figure quali per appunto Giulio Clovio e Apollonio Bonfratelli, causando così serie difficoltà per una ricostruzione oggettiva della storia della miniatura del XVI secolo.

La causa di quest'atteggiamento è probabilmente da ricercare nelle mutate caratteristiche della miniatura di fine Cinquecento e quindi nel fatto che essa smetta di ricoprire quell'importante ruolo di veicolo di innovative proposte artistiche, in continuo dialogo con la pittura, e nella sua evoluzione verso un ambito artistico subalterno, ormai marginale rispetto ad un dibattito artistico che nasce e si sviluppa altrove. [26]

 

 

 

Note

 

(1) - J. J. Alexander, Italian Renaissance Illuminations, Chatto and Windus, London 1977, pp. 9

(2) - Si veda al riguardo, quanto detto da Marino Zorzi, La libreria di San Marco:libri, lettori, società nella Venezia dei Dogi, Milano, Mondatori, 1987

(3) - M. Zorzi e S. Marcon, Aldo Manuzio e l'ambiente veneziano, 1494-1515, Venezia, il cardo, 1994, cit. p. 62, p 56.

(4) - J. J. G. Alexander, The painted page: Renaissance Book Illumination: 1450-1550, Catalogo della mostra (London, Royal Accademy of Arts, 27 ottobre 1994 – 22 gennaio 1995; New York, Prestel, 1994, p. 23.

(5) - R. Hirsch, Stampa e lettura fra il 1450 e il 1550, in AA.VV., Libri, editori e pubblico nell'Europa moderna, a cura di A. Petrucci, Bari, 1977, p. 5.

(6) - A. E. Talamo, I messali miniati del cardinale Juan Alvarez de Toledo, in Storia dell'Arte, fascicolo n° 66, Firenze, 1989, pp. 159-169.

(7) - H. Jedin, Riforma cattolica o controriforma?, Tentativo di chiarimento dei concetti con riflessioni sul concilio di Trento, Morcellina, Brescia, 1995

(8) - G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti. Introduzione di Maurizio Marini, Edizione integrale Roma, Newton, Terza Edizione, 1997, cit. pag. 45.

(9) - G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti. Introduzione di Maurizio Marini, Edizione integrale Roma, Newton, Terza Edizione, 1997, cit. pag. 45.

(10) - Si veda in proposito quanto riferito da M. Cionini Visani, Giorgio Giulio Clovio, Miniaturist of the Renaissance, New York, 1980.

(11) - P. Tedeschi, Memorie di un convento, Opere d'arte dal convento agostiniano alla biblioteca comunale, Tipocart Conti di Fivizzano, 1996.

(12) - Si veda al riguardo, l'approfondito studio di E. A. Talamo, I messali miniati del cardinale Juan Alvarez de Toledo,. Cit. p. 63.

(13) - J. M. Llorens, Cappellae Sixstinae Cidices, Città del Vaticano, 1960.

(14) - P. Salmon, Les manuscrits liturgiques latins de la Bibliothèque Vaticane, Città del Vaticano, 1969

(15) - A. Bertolotti, Speserie segrete e pubbliche di Paolo III, Atti e memorie delle RR. Deputazioni di Storia Patria per le province dell'Emilia, III, 1878, pp. 183-185, 193, 198-199.

(16) - L. Dorez, Psautier de Paul III, Paris, 1909 pp. 39-40.

(17) - A. Bertolotti, Artisti francesi in Roma, Mondovì, 1886 p. 29

(18) - N. Vian, Disavventure e morte di Vincent Raymond miniatore papale, La Bibliofila, LX, 1958, pp. 356-360

(19) - L'ultima menzione dell'artista è del 1575, come attestava una lapide, oggi non più esistente, posta nel pavimento della chiesa romana di S. Caterina della Rota: "D.O.M./ Alexandrae Querciae/Praten/Apollomius de Confratelli/ A. Caprinica/ S.D.N.PP./ Miniator/ Be. Me. Et. Sibi. Suisque Pos/An.Iobil. M.D.LXXV". Il testo dell'iscrizione è riportato da V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma, Roma, 1874, IV, p. 270.

(20) - J. M. Llorens Cisterò, Miniaturas de Vincent Raymond en los manuscritos musicales de la Capilla Sixstina, in AA.VV. Miscelànea Homenaje a Mons. Higinio Anglès, Barcellona, 1958, I, p. 480.

(21) - Si veda al riguardo quanto affermato da Della Valle, Istoria, 1783, Biblioteca Civica di Alessandria, pag. 157, in Silvana Pettenti, Grandi pittori per piccole immagini nella corte pontificia del 500: i corali miniati di san Pio V, Alessandria, U. Boccassi, 1998, pag. 171

(22) - A. E. Talamo, I messali miniati del cardinale Juan Alvarez de Toledo, cit. pag. 63, pp. 159-169.

(23) - Pratica conservata presso SBAS, Alessandria, restauro Codici Biblioteca Civica, prot. 44, 1935.

(24) - AS Roma, Inventarium originale rerum et bonorum in cubiculis fe. Re. Pii PapaeV, Notai R. C. A., vol. 1223, f. 190 v.

(25) - C. Spantigati, G. Romano, Il Museo e la Pinacoteca di Alessandria, Torino, 1986, pp. 117-118.

(26) - E. A. Talamo, I messali miniati del cardinale Juan Alvarez de Toledo, cit. pag. 63.