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Trittico reliquario di fine XVI secolo (Biblioteca Civica di Fivizzano)
IL DIBATTITO CRITICO SULLE ARTI MINORI
E' proprio a partire dal Cinquecento, negli anni in cui viene realizzata l'opera del trittico di Fivizzano che si sviluppa il dibattito secondo cui per identificare prodotti di oreficeria, arazzi, avori, argenti, ceramiche, smalti, tappeti, vetri, tessuti e molte altre produzioni simili, viene adottato il termine di arti minori. Tale definizione ha il preciso intento di distinguerle dalla pittura, dalla scultura e dall'architettura, le cosiddette arti "maggiori". Precedentemente questo termine era già stato usato in età medioevale, per differenziare l'importanza attribuita alle diverse corporazioni delle Arti e dei Mestieri. Significativo è che già da quest'epoca risulti una discriminazione tra chi eseguiva mestieri considerati più nobili, come ad esempio i pittori che erano inclusi all'interno di coloro che praticavano le arti maggiori, e coloro che lavoravano il legno ed i metalli.
A questo proposito è significativo il fatto che già il Vasari fa precedere le sue Vite, da una Introduzione alle tre arti del Disegno, che sono proprio l'architettura, la pittura e la scultura. Si delinea così in modo chiaro l'esistenza di una netta separazione tra le varie forme d'arte. In età moderna, questa suddivisione assumerà la funzione di creare una netta separazione tra le categorie d'arte con la a maiuscola e l'artigianato, distinzione che si era venuta delineando già durante il Rinascimento. Il fenomeno ha origine dall'interpretare il fatto artistico come fenomeno intellettuale, che comporta una conseguente valorizzazione delle pratiche manuali e meccaniche. La connotazione negativa del concetto di mestiere non è però da attribuire al mondo antico, che anzi, spesso valorizzava le capacità tecniche, tanto che coloro che erano ritenuti gli inventori dei mestieri venivano innalzati fra gli dei. [1]
A tal proposito è significativo l'esempio della figura del dio Vulcano, signore dei metalli, produttore di tutte le armi e le corazze degli dei. L'elemento magico, attribuito alla conoscenza dei misteri legati alla lavorazione e trasformazione delle materie prime, come per l'appunto i metalli, era percepito anche al di fuori dei confini della civiltà classica. Infatti, nella mitologia nordica, l'arte di lavorare i metalli, era assegnata ai nani, figure semimitologiche che avevano il dominio assoluto del sottosuolo e dei suoi elementi. [2]
L'inizio di questa sorta di discriminazione è dunque il frutto di una trasformazione sociale, nata in un periodo successivo. Per tutto il Medioevo, non s'incontrano casi di reali distinzioni tra scultori, orafi, pittori, miniatori e simili. Il primo tentativo di svincolare le arti figurative dall'antico pregiudizio che ne facevano operazioni di basso livello, in base al loro rapporto con un lavoro strettamente manuale, si ha proprio con il Rinascimento. Infatti, con la prima metà del XV secolo si delinea chiaramente la volontà di rivendicare all'arte una nuova dignità che scaturisce nella creazione delle cosiddette arti liberali, fondate su norme razionali e non più unicamente sulla pratica manuale. Le fonti della discriminazione sono probabilmente da ricercarsi proprio in questo primo tentativo di differenziazione tra una pratica principalmente intellettuale, quale l'arte, ed altre come i mestieri, ancora strettamente legati alla manualità. In particolare quando prende avvio il dibattito della discriminazione tra le arti, sembra legittimo sostenere che per quanto riguarda le arti figurative, espressione sicuramente di forte integrazione tra quello che è il momento mentale e quello manuale, questa loro integrità inizia ad incrinarsi. Si viene dunque a compromettere lo stretto rapporto tra il momento "intellettivo" e quello "manuale" della produzione, si arriva così ad attribuire un criterio di classificazione gerarchica al sistema delle arti tutte. Le prime tracce di questa trasformazione si possono cogliere direttamente dalle parole di alcuni grandi artisti del Rinascimento. Così in particolare afferma l'Alberti: "... piacemi il pictore sia dotto in quanto e' possa in tutte l'arti liberali; ma in prima desidero sappi geometria. Piacemi la sententia di Panfilo antiquo et mobilissimo pictore ... niuno pictore potere ben dipingere, se non sopra molta geometria". [3]
Ancor più preciso è il riferimento di Leonardo in merito alla capacità della matematica di nobilitare la pittura, grazie alla prospettiva, "... intra le cose grandi delle matematiche la certezza della dimostrazione inalza più preclaramente l'ingiegni dell'investiganti; la prospettiva adunque à da essere preposta a tutte le trattazioni e discipline umane". [4]
E' possibile comprendere che l'intenzione di questi artisti fosse di liberare le arti figurative dalla meccanicità, per ricercare la dignità di scienze autonome. Resta in sé però la contraddizione di delegare l'emancipazione di un'arte estetica ad una scienza puramente speculativa come la matematica. Contraddizione che emergerà solo molto tardi, consentendo all'equazione arti figurative-matematica di escludere la pericolosa scissione all'interno di ciascun'arte figurativa, tra quello che è il momento ideale assoluto e primario tale da rendere liberi da quello che è il momento meccanico, inteso come accessorio e contingente che condanna alla sottomissione. Quindi l'assunto all'origine di questa visione è preso solo ai fini pratici e strumentali. E' da rilevare comunque che fin dalle sue origini la teoria umanistica sulle liberalità delle arti si pone non nei termini classistici, come era stato durante l'Antichità ed il Medioevo e quindi sulla condizione sociale d'uomo libero rispetto a quella di servo, quanto piuttosto in termini etici. In tal senso è il pensiero di Coluccio Salutati, fedele discepolo dell'agostinismo del Petrarca, rispetto al quale le arti sono "liberali", in quanto capaci di liberare la mente dalla servitù della carne. [5]
Infatti secondo il pensiero di S. Agostino, la pura bellezza esiste solo in Dio; d'altro canto non c' è però cosa, nella natura creata, che non conservi un'impronta di questa bellezza, perfino le cose brutte non fanno eccezione. Così l'arte figurativa ha la funzione di esprimere con maggiore forza ed evidenza, per mezzo dell'imitatio degli oggetti naturali, tali tracce di bellezza [6] E' la corrente filosofica del neoplatonismo rinascimentale che interpreta in modo originale la lunga tradizione della centralità dell'uomo che aveva avuto appunto origine oltre dieci secoli. In particolare l'interpretazione di Marsilio Ficino delle idee neoplatoniche della corrente, si inserisce nel contesto della tradizione metafisica del platonismo contribuendo ad innovare il pensiero filosofico in modo fondamentale. Quello che anima il Ficino è il pensiero centrale della mistica cristiana [7]: L'anima è il grado mediano della realtà e raccoglie in unità tutti i gradi dell' essere, sia quelli superiori che quelli inferiori, mentre essa ascende ai vertici superiori e discende ai vertici inferiori dell' essere. [8]
In questa prima fase dunque gli umanisti considerano liberali le arti, non come prodotto di élite, ma piuttosto perché capaci di rendere l'uomo libero. Si tratta pertanto di una rivendicazione di dignità per tutte le arti, sino allora considerate meccaniche, e non quindi un tentativo di porre un elemento discriminante all'interno del sistema rispetto al quale si afferma l'affrancamento. In un famoso passo del De re aedificatoria, Leon Battista Alberti pone tutte le arti su un unico piano, rispetto ad un fine generale, rivendicandone per ognuna un'uguale dignità: "Benché tutte a gara dimostrino di perseguire lo stesso fine, di giovare quanto più possibile all'umanità, non di meno risulta esservi in ciascuna di esse una caratteristica intrinseca e naturale, tale da indicare come propria una finalità particolare e diversa dalle altre. Talune arti infatti sono coltivate per la loro necessità; altre si raccomandano per i vantaggi che presentano, altre ancora si apprezzano perché riguardano argomenti meritevoli di esser conosciuti". [9]
Così anche nel De statua, riconosce pari dignità a maestri di stucco, scultori e argentieri, contribuendo così a delineare un sistema delle arti non ancora strutturato gerarchicamente. [10]
I suoi testi come massima espressione dell'argomentazione teorica del tempo, sono stati oggetto d'attente analisi ed in alcuni casi hanno dato origine ad approfonditi dibattiti. In particolare alcuni passi del De pictura, hanno attirato l'attenzione degli studiosi che li hanno intesi come particolarmente ambigui sul tema del primato della pittura: "... sed hoc in primis honore a maioribus honestata pictura est, ut cum caeteri ferme omnes artifices fabri nuncuparent, solus in fabrorum numero pictor non esset habitus". [11] In realtà dall'analisi del testo si desume che non si tratta di un'affermazione del primato della pittura sulle altre arti, ma più semplicemente di un richiamo al pensiero antico. Infatti poco dopo l' autore precisa "... Et chi dubita qui appresso la pictura essere maestra o certo piccolo ornamento a tutte le cose? ... Né forse troverai arte alcuna non vivissima, la quale non riguardi la pittura, tale che qualunque trovi bellezza nelle cose, quella puoi dire nata dalla pictura ". [12]
Al fine di non generare equivoci, va precisato che in questo passo l'Alberti utilizza il termine "pictura" con il valore di disegno, progetto, fase iniziale in cui tutte le arti convergono. Infatti l'artista insiste in modo particolare a porre il disegno come un'operazione propria del pittore, senza mai intenderlo come un atto puramente mentale. Questa precisazione permette quindi di escludere, almeno sino ad ora, la volontà di costruire una gerarchia fra "arti liberali", ed il resto delle pratiche produttive, relegate nel novero delle "arti meccaniche". Bisogna attendere il 1548 per trovare nel Dialogo di Paolo Pino le prime tracce di questa discriminazione. Questi si fa portavoce della teoria del primato della pittura sulle altre arti, ritenendola "... la più alta invenzione che s'opri tra gli uomini e tutte l'arti mecaniche". [13]
A supporto di tale interpretazione, il Pino arriva ad una esplicita sostituzione del termine disegno là dove l'Alberti aveva scritto pittura. Questa teoria si è dimostrata molto fortunata, tanto che poco dopo Ludovico Dolce riprende le teorie del Pino e afferma in merito al pittore: "... da lui hanno origine e forma le arti manuali, perché architetti, muratori, intagliatori, orefici, ricamatori, legnaiuoli, et infino i fabbri, tutti ricorrono al disegno, proprio, come s'è detto, del pittore". [14]
La forzatura di attribuire all'Alberti la concezione d' una indiscriminata superiorità della pittura sull' architettura, come anche su tutte le arti presunte minori, è provata da un altro significativo passaggio del De re aedificatoria: "Tra l'opera grafica del pittore e quella dell' architetto c' è questa differenza: quello si sforza di far risaltare sulla tavola oggetti in rilievo mediante ombreggiature e il raccorciamento di linee ed angoli; l' architetto invece, evitando le ombreggiature, raffigura i rilievi mediante il disegno della pianta, e rappresenta in altri disegni la forma e l' estensione di ciascuna facciata e di ciascun lato servendosi di angoli reali e di linee non variabili: come chi vuole che l' opera sua non sia giudicata in base a illusorie parvenze, bensì valutata esattamente in base a grandezze controllabili. [15]
Questa nuova posizione risulta quindi capovolgere la posizione in Della pittura e in Della statua dove il primato dell'arte sembrava assegnato in modo esclusivo alla natura del pittore, mentre in quest'ultima opera è trasferito all'architetto, il cui disegno, rispetto a quello del pittore, ha il vantaggio di rappresentare cose reali nelle grandezze reali. Ecco che tutta l'analisi si basa sulla preminenza della verità oggettiva e quindi sul fatto che il progetto deve corrispondere alla realtà effettuale. Da qui emerge l'esplicita impronta sperimentale dell'approccio dell'Alberti, come teorico appunto della mediocritas principio di vita e insieme metro di bellezza nella ricostruzione figurata ed unitaria del mondo. Infatti per l' Alberti non è mai da intendersi che questa o quell'arte si ponga come preminente in assoluto rispetto all' altra, ma piuttosto la preminenza è da intendersi come principio integratore all' interno del sistema [16]
Per quanto riguarda in particolare la presunta discriminazione fra i singoli generi dell' arte, l'Alberti ammette in Della pittura che gli artisti, come certi antichi pittori di cui i testi ricordano le diverse specialità, possono essere identificati in ciascun particolare genere, ma afferma senza equivoci che questo attiene solo alle disposizioni naturali di ciascuno. Così afferma: Ad ciascuno fu non equali facoltà, et diede la natura ad ciascuno ingegnio sue proprie dote, delle quali però intanto dobbiamo essere contenti, che per negligentia lassiamo di tentare, quanto ancor più oltre con nostro stdio et exercitio et così di dì in dì farle maggiori; et conviensi per nostra negligentia nulla pretermettere. [17]
In tal senso la critica contemporanea ha dato un'interpretazione forzata del pensiero dell'Alberti che porta ad attribuirgli la concezione di una discriminazione fra singoli generi dell'arte. [18] Viceversa Roberto Longhi afferma come sia assolutamente arbitraria tale interpretazione per cui far questioni di nobiltà di genere è una forzatura, in quanto è solo questione di uno specifico orientamento di gusto e di una corretta esperienza artistica. [19]
La concezione organica a cui sottiene il pensiero dell' Alberti coincide con il pensiero tipicamente umanistico, affermato in figura fin dai tempi di Masaccio, secondo cui tutta l'arte è storia nel senso di ricostruzione positiva della realtà. Forse ancor più dell' Alberti è Leonardo ad affermare che non esiste una differenza fondamentale tra l'arte e la scienza. L'arte e soprattutto la pittura servono alla conoscenza del mondo non meno della scienza. Secondo Leonardo non c' è una differenza fondamentale tra l' arte e la scienza: "L'occhio, che si dice finestra dell'anima, è la principale via donde il comune senso può più copiosa e magnificamente considerare le infinite opere di natura; e l'orecchio è il secondo, il quale si fa nobile per le cose racconte, le quali ha veduto l'occhio." [20]
Leonardo affermava che l'arte arrivava anche a superare la scienza, in quanto poteva comprendere non soltanto i fenomeni quantitativi, ma anche quelli qualitativi. Movendo dalle considerazioni di Leonardo si potrebbe quindi dire che l'obiettivo dell'arte è la conoscenza del mondo visibile. Egli infatti riteneva che l'origine delle ombre, dei colori e delle luci fosse un fenomeno naturale analogo ai fenomeni geologici, alla formazione delle montagne, e all'erosione delle valli, o ai fenomeni atmosferici, tutti soggetti alle leggi della natura. [21] Se il declassamento delle arti minori è tradizionalmente fatto risalire all'epoca rinascimentale tuttavia ancora per tutto il XV e XVI secolo il ruolo della bottega ha una grande importanza, che non viene meno nemmeno durante le epoche successive, quando ormai la loro considerazione è notevolmente diminuita. [22]
Infatti è fondamentale considerare la centralità della lavorazione della terracotta per un artista come Luca della Robbia, l'abilità nell'uso del niello e dell'oreficeria in Pollaiolo e Verrocchio, ed ancora l'abbondante produzione di tarsie lignee che arricchiscono un vastissimo numero di chiese e studioli privati. Così ricordiamo l'importanza dell'arte della medaglia che, ricollegandosi ai modelli classici, ha consentito le celebrazioni dei potenti signori delle corti, come anche gli arazzi, per i quali lo stesso Raffaello ha realizzato dei cartoni, e allo stesso modo molte altre arti ancora. Lo stesso Vasari, nella Introduzione alle tre arti del disegno, che costituisce la premessa delle Vite, illustra l'arte delle medaglie, dei conii, dei cammei, la scultura in legno e in cera, gli schizzi, i disegni, la pittura su pietra, il cesello la xilografia e molte altre arti. Non c'è alcuna distinzione di qualità o di gerarchia, si sofferma inoltre sulla scelta dei materiali e sui passaggi procedurali delle varie tecniche.[23]
Tuttavia, in quegli anni ormai la polemica sul primato delle arti è ormai avviata, tanto che lo stesso Michelangelo si esprime in merito e si fa promotore della sostanziale parità tra la pittura e la scultura: "Se maggiore giudizio e dificultà, impedimento e fatica non fa maggiore nobiltà, la pittura e la scultura è una medesima cosa, e perché la fussi tenuta così, non dovrebbe ogni pittore far manco di scultura che di pittura, è simile lo scultore di pittura che di scultura ... Basta che, venendo l'una e l'altra da una medesima intelligenza, cioè la scultura e la pittura, si può far fare loro una buona pace insieme e lasciar tante dispute, perché vi va più tempo che a far le figure". [24]
Ma il vero punto di non ritorno sulla questione del primato dell'arte sulle arti minori, giunge a piena maturazione solo negli ultimi decenni del Cinquecento. Julius von Schlosser, ha così inquadrato il problema: " ... nel tardo manierismo si scavò l'abisso che separa l'arte da ciò che più tardi fu chiamato il mestiere artistico". [25]
Nel 1567, Vincenzo Danti si fa portavoce della corrente aristotelica che vede l'arte non più basata sulla proporzione e quindi sulle misure di quantità tipiche della tradizione quattrocentesca, bensì su di un nuovo ordine universale di chiara matrice aristotelica. Secondo la sua teoria, il "disegno" la pittura, la scultura e l'architettura, erano in grado di imitare le cose naturali e artificiali, con la giustificazione che "L'arte del disegno merita, non solamente per essere sopra tutte l'altre artifiziosissima, di essere nobile tenuta; ma ancora perché sono gli effetti suoi più che quelli di tutte le altre arti, stabili e permanenti". [26]
Questa è dunque a tutti gli effetti, la prima volta in cui è delineato con precisione un sistema ideale che, se da un lato riconosce l'appartenenza delle tre arti dell'architettura, pittura e scultura ad una triade virtuosa, basata sul comune uso del "disegno", dall'altro discrimina tutte le restanti arti in quanto legate alla necessità. Si profila quindi una sempre più netta opposizione tra le due macro categorie di nobiltà e necessità, che ha come diretta conseguenza il crescente allontanamento tra la figura dell'artista e quello dell'artigiano. La grande arte, con ai vertici Raffaello e Michelangelo, viene quindi assunta come modello di perfezione e come tale trasportata in una dimensione ideale. Anche l'importanza delle regole matematiche, base della prospettiva quattrocentesca, è ridimensionata, per lasciare maggiore libertà all'ispirazione artistica. Il divario tra arti maggiori e minori, è notevolmente accresciuto con la nascita delle Accademie del Disegno, di cui la prima, viene fondata a Firenze nel 1562, dal Vasari. Scopo principale di tali istituzioni è quello di formare ed associare in un corpo solidale gli artisti più degni. E' lo stesso Vasari che ci informa di come nella sua Accademia fossero confluiti "... tutti i più nobili ed eccellenti artefici dell'arte del disegno" con l'intento di agevolare lo studio di queste nobili arti. [27]
L'unità delle arti si è ormai infranta senza rimedio, a danno delle arti "minori". Questa rottura, deriva dunque dal principio secondo il quale l'opera d'arte è il frutto di un lavoro spirituale e non materiale, oltre che dal rifiuto del momento artigianale dell'attività artistica, per sua natura legato funzionalmente all'intervento sulle materie. Si delinea sempre più chiaramente il concetto di una "nobiltà dell'arte", che trova la sua espressione in opere come L'idea del tempio della pittura di Giovan Paolo Lomazzo, uscito a Milano nel 1590, ed anche nell'Idea de' scultori, pittori e architetti, scritta da Federico Zuccari, nel 1607.
In questi scritti compare per la prima volta il concetto di "disegno interno"inteso come momento iniziale, dal carattere puramente spirituale e la concezione dell'opera, dove l'operare artistico è identificato come fenomeno principalmente spirituale. [28]
Il progetto intellettuale dell'opera è quindi riconosciuto come l'atto di maggior rilievo effettuato dall'artista, mentre il disegno materiale, è degradato ad una dignità nettamente inferiore. Questo principio basato sul primato dell'ideazione, comporta un declassamento delle tecniche in quanto tali, che gradualmente scompaiono dai trattati dei nuovi scrittori d'arte, nei quali lo studio e la descrizione dei procedimenti tecnici, non trovano più collocazione. Qui si ritrovano le premesse delle future posizioni estetiche assunte dall'idealismo ottocentesco e delle teorie intellettualistiche che ne deriveranno. Il rifiuto del momento tecnico dell'arte ha come diretta conseguenza la svalutazione dell'utilizzo pratica del prodotto artistico. Anche i trattati dell'epoca riconoscono all'artista una maggiore nobiltà quando si dedica maggiormente al proprio arricchimento spirituale. In questo periodo si ha inoltre una svalutazione delle corporazioni che sino allora avevano avuto lo scopo di salvaguardare le tradizioni tecniche. La polemica con queste istituzioni nasce dalla volontà di sottrarre il pittore alla soggezione delle norme corporative, al fine di differenziarlo sempre più dagli artigiani.
Si erano quindi venute a creare due realtà ben distinte: da un lato gli artigiani, respinti nella semplice manualità che li rendeva meri esecutori materiali, e dall'altro gli artisti, che in virtù della loro capacità di produrre opere di significato ideale, trovavano nell'aristocrazia e nell'alto clero, i destinatari delle proprie opere. Va inoltre segnalato che questo primato degli artisti permette loro, non solo di conquistare un lustro sociale mai goduto prima, ma anche d'avere accesso a retribuzioni e privilegi ingenti. Per gli artigiani dunque alla disparità "sociale" si unisce dunque anche una discriminazione economica che li relega nel ceto servile, costringendoli ad accontentarsi di compensi irrisori. A questo proposito anche la lettura artistica dell'epoca non manca di riferimenti in merito. Risultano infatti significative le parole di Giovan Paolo Lomazzo, quando volendo rivendicare la superiorità dell'arte nobile, afferma a proposito di coloro che mancano delle formazione adeguata: "Si conosce quanto biasimo meritino i pittori di questi nostri infelici tempi, che hanno ardire di esercitar quest'arte non solamente senza cognizione delle scienze, ma anche senza saper pure né leggere né scrivere; e stimolati dalla povertà, con quello solo scopo di guadagnarsi il vitto, altro non fanno ch'empiastrare tutto il giorno le mura, i tempii e le tavole, con vituperio di così nobil arte e con sdegno degli uomini intendenti che simili pitture vedono e considerano". [29]
Molti altri teorici dell'arte di questo periodo hanno espresso all'interno delle loro opere, pareri molto simili, testimoniando in tal modo l'atteggiamento classista del processo illustrativo. [30]
Tale posizione trae origine dal profondo rivolgimento socio-economico che ha caratterizzato l'intera Europa cattolica durante la seconda metà del Cinquecento. E' il momento in cui in Europa si riversa una grande quantità di metalli preziosi la cui conseguenza economica principale è da un lato l'inflazione e dall'altro la rivalutazione della proprietà fondiaria. E' la fase della cosiddetta rivoluzione dei prezzi del ‘500 dove la connessione tra potere economico e potere politico si fa molto stretta. Infatti da una parte le grandi compagnie mercantili ottenevano dagli stati il controllo dei traffici internazionali e misure protezionistiche per la tutela della loro attività, dall'altra gli stati nazionali di recente formazione sviluppavano una costosa politica estera di espansione che aveva obiettivi di accrescimento del potere e delle ricchezze nazionali. E' questo il periodo storico da cui prende il nome la corrente economica del Mercantilismo secondo cui in particolare il commercio estero rappresenta la principale fonte di entrate per lo stato capace di incrementarne la ricchezza.
Si assiste ad una forte riaffermazione dell'aristocrazia italiana, nelle cui mani si accentra la maggior parte dei beni immobili e dei latifondi. Gli ideali dell'aristocrazia, rigidamente gerarchica, tornano ad influenzare la società, contribuendo alla svalutazione del principio del lavoro, inteso come elemento in grado di conferire dignità, in quanto capace di riscattare a livello sociale l'uomo. Sull'onda di queste trasformazioni sociali, gli artisti cominciano a discriminarsi classisticamente, e si fanno sempre più frequenti le discussioni sulla nobiltà e sulla gerarchia dei diversi generi artistici. Proprio alla fine del Cinquecento, quando vengono gettate le basi del movimento accademico, le arti minori conoscono un periodo di grande fioritura, con la produzione di splendide opere di cristallo, pietre dure, porcellana, ricamo, oreficeria, sino ad arrivare ad un rinnovato interesse per i giardini in cui fanno comparsa per la prima volta, bizzarri automatismi idraulici. Così il movimento barocco, per tutto l'arco del suo sviluppo è anch'esso incredibilmente ricco d'apparati, arredi e suppellettili decorative. L'opera di Guarino Guarini, L'architettura civile, contiene al suo interno già alcuni elementi da cui deriveranno argomenti centrali nel dibattito illuminista. Primo tra tutti i temi quello della funzionalità che è premessa all'estetica, in quanto "... l'architettura prima d'ogni altra cosa riguarda la comodità." [31]
I primi tentativi di infrangere l'ormai consolidata gerarchia delle arti. si hanno con il XVIII secolo, quando ha inizio la battaglia anti-feudale dell'illuminismo. E' la prima riscoperta critica della parità delle arti in merito all'aspetto tecnico e funzionale. Sulla base delle nuove idee illuministiche si profila una netta inversione rispetto al secolo precedente. Infatti la nuova borghesia rivaluta in pieno il lavoro produttivo, considerato fonte di felicità e progresso per una società dinamica e in lotta contro l'autoritarismo del vecchio regime aristocratico. Si arriva in tal modo ad una piena rivalutazione della meccanicità e della funzionalità dei prodotti, portando così ad una graduale riqualificazione delle "arti minori". In questa fase di trasformazione si dimostra fondamentale la rivendicazione dell'irrinunciabile valore sociale del lavoro umano, sulla base del rifiuto della separazione fra pensiero e tecnica, formulata nell'Encyclopédie. Ristabilito in tal modo l'antico legame tra il supporto intellettuale e l'applicazione pratica, si torna a guardare con interesse all'attività degli artigiani. Da qui prende le mosse l'indagine e l'esplorazione metodica dei loro criteri di lavorazione, la documentazione dei loro strumenti e delle loro macchine, ritratte ed analizzate in apposite tavole illustrative. Diderot giudica con queste parole la subordinazione delle arti meccaniche a quelle liberali: "... un pregiudizio, che tendeva a riempire le città di orgogliosi ragionatori e di contemplatori inutili, e le campagne di piccoli tiranni ignoranti, oziosi e sprezzanti". [32]
E' quindi solo lungo il corso del Settecento che, sotto la spinta di un convinto processo di condanna dei vecchi pregiudizi, si attua una piena rivalutazione di questi valori.
Nasce così una nuova conoscenza critica sulle arti minori. Anche alcuni eventi come gli scavi archeologici d'Ercolano e quelli eseguiti da Winckelmann, contribuiscono al processo di rivalutazione delle arti minori, e sull'onda dei preziosi ritrovamenti, si sviluppa un notevole collezionismo di gemme, monete e medaglie antiche. Si fa sempre più viva la convinzione secondo la quale la bellezza estetica non sia inconciliabile con la funzione pratica, né con l'origine meccanica degli oggetti. I nuovi ritrovamenti archeologici permettono il recupero della coscienza estetica dei prodotti, il cui stile è ripreso dall'artigianato dell'epoca. Si ha così un notevole incremento in termini di produzione ed una razionalizzazione dell'artigianato stesso che adotta il nuovo repertorio di forme classicheggianti. Durante la fase finale del XVIII secolo, si assiste al rifiorire e alla progressiva valorizzazione delle stesse istanze funzionali che caratterizzano la prima metà del secolo, con la riconsiderazione del momento operativo nell'arte e dell'importanza delle arti applicate. Significativo a tal proposito, risulta quanto scritto da Francesco Milizia nell'opera i Principii di architettura civile in cui si dice: "Non bisogna far cosa di cui non si possano rendere buone ragioni"e più avanti "... A tutti è noto, che tutte le arti e le scienze si concatenano e si intrecciano fra loro, e concorrono tutte al bene dell'umanità. [33]
Si viene quindi delineando un quadro, prettamente italiano, secondo cui il bello non trova più giustificazione senza il necessario, né la progettazione sta senza la cura dell'esecuzione, l'ideazione non sta senza la realizzazione, secondo un principio d'integrazione delle arti e delle scienze nel fine comune del bene della società. Sulla scia di questi progressi, nasce a Genova nel 1788, una "Società per promuovere le arti e l'artigianato" con lo scopo di promuovere le manifatture nazionali e fornire agli artisti delle linee guida, sulle quali impostare la propria produzione.
L'apprezzamento estetico e la conseguente valorizzazione funzionale delle arti decorative sviluppatasi in quegli anni in Italia, costituisce il trait d'union con la nascente rivoluzione industriale inglese, che di lì a poco, ha rivoluzionato, non soltanto i metodi ma, anche i rapporti di produzione. Il mondo artigianale delle botteghe, che ancora emerge dalle pagine dell'Encyclopédie, è destinato ad essere soppiantato dalla separazione operativa, dentro una medesima fabbrica, delle singole fasi di produzione. Durante gli anni di passaggio verso la nuova età industriale, la suddivisione del lavoro è intesa ancora come una forma di cooperazione che conservava intatta una sua dimensione umana. In questa fase, infatti, l'incremento quantitativo della produzione, lasciava ancora uno spazio ampio all'iniziativa del singolo e la gara all'emulazione tra gli operai, era percepita come una fonte di perfezionamento individuale. Profondamente diverso risulta l'atteggiamento di Adam Fergusson e Adam Smith, che lontani dalla Francia di Diderot, sperimentarono direttamente le trasformazioni che si stavano verificando in Inghilterra, che avrebbero causato una degenerazione del sistema produttivo, portando ad un vero e proprio sfruttamento della forza lavoro.
Nei loro scritti si avverte la viva preoccupazione per l'alienazione causata da un lavoro ripetitivo che annullava le capacità intellettive degli artigiani tanto che "persino il contadino generalmente considerato come un modello di ottusità e d'ignoranza si trova ad essere al di sopra dell'artigiano che vive in città, sul piano delle capacità intellettuali". [34]
La realtà lavorativa era profondamente cambiata, la necessità economica di aumentare la produzione entro tempistiche ristrette, aveva portato all'introduzione di forme di lavorazione del tutto nuove, basate su una forte suddivisione delle fasi produttive e ad una forte specializzazione delle maestranze, fattori che nei secoli precedenti si erano verificati solo in maniera generica. Divise così le fasi di lavoro e intensificato il processo produttivo, la figura dell'artigiano capace di eseguire tutte le lavorazioni necessarie alla realizzazione dei prodotti, si trova costretta alla ripetizione della medesima operazione, rimanendo così esclusa da tutte le altre fasi lavorative. E' in questo contesto che fa la sua prima comparsa il designer, una figura assolutamente nuova, che identifica colui che, senza prender parte direttamente al processo produttivo degli oggetti, realizza il progetto della forma e delle caratteristiche decorative da conferire agli oggetti stessi. Nella storia dell'arte, questa figura di progettista non era del tutto nuova, dato che si era già verificata la circostanza per cui alcuni prodotti, venivano realizzati da mani differenti da quelle dell'ideatore, come ad esempio nel caso degli avori medioevali, delle antiche vetrate, dei ricami, degli arazzi e delle stampe. [35]
La differenza sostanziale tra le due figure di progettisti, consiste nel fatto che il "designer" antico, aveva sempre mantenuto un rapporto ravvicinato con gli artigiani, mentre durante la rivoluzione industriale, il progettista venne a trovarsi distaccato del tutto dagli operai e dai processi lavorativi.
Così a distanza di un secolo, lo sconvolgimento sociale provocato dall'industrializzazione dei nuovi rapporti di produzione, porta alla riaffermazione della discriminazione gerarchica tra l'artista ideatore, il designer, e l'esecutore meccanico, l'operaio, ma con l'aggravante che mentre nella fine del XVI secolo, la discriminazione era nell'ordine di una svalutazione dell'artigianato entro il contesto della gerarchia sociale, senza negargli definitivamente la possibilità di un'affermazione sociale, adesso i nuovi rapporti di produzione finiscono con l'escludere l'artigiano, ormai ridotto a semplice operaio dalla società. Rifiutata la dottrina illuministica, che aveva considerato intrinseca all'Arte con l'a maiuscola la lavorazione funzionale delle materie prime, l'artista torna dunque ad arroccarsi su pretese di superiorità spirituale. Questo ripresentarsi di posizioni simili a quelle riscontate in Italia, a fine Cinquecento, preparavano la strada alla concezione romantica dell'autonomia spirituale dell'arte, che sarebbe sfociata in Inghilterra, nell'estetica del sublime e nell'esaltazione dei nuovi grandi geni artistici, come nel caso di artisti del calibro di Fussli e Blake. Intorno al 1790, Immanuel Kant, nella sua Critica del giudizio, si fece promotore di un messaggio che avrebbe lasciato un forte segno sulla riflessione estetica. Egli riconosceva alla pittura una sorta di primato, dovuta alla sua capacità di rappresentare "l'apparenza sensibile congiunta per via dell'arte con le idee", ed inoltre sosteneva che " l'anima dell'artista dà un'espressione materiale, mediante le sue figure, a ciò che ha pensato, e al modo in cui l'ha pensato." [36] In tal modo Kant contribuiva ad accelerare il processo che stava riportando al privilegio del momento ideativi dell'arte. Anche l'età napoleonica ha dato spazio ad un tipo di arte che ristabiliva le gerarchie tra artisti ideali e semplici tecnici. Significativo è apprendere che un artista come Antonio Canova, mentre proclama la necessità di un'esecuzione sublime, fa eseguire le sue statue, quasi internamente dai cosiddetti tecnici del marmo. [37]
La posizione dell'artista si arroccava quindi nella pura dimensione dell'idea intesa come progetto, e di conseguenza, si determinava una rivalutazione della dignità e del valore sociale della tecnica. Nel 1806, sorgeva per volere di Napoleone, l'Ecole des Beaux-Arts, favorendo ulteriormente l'isolamento delle arti dalla vita comune ed un ritorno agli ideali di una bellezza ideale di matrice neo-classica. La successiva evoluzione romantica, non determinò un cambiamento sostanziale per quanto riguarda l'atteggiamento verso le arti minori. Infatti, non si perviene all'elaborazione di una diversa concezione, ma si ripropone sostanzialmente l'indipendenza del momento progettuale da quello esecutivo, con l'implicita condanna delle arti applicate. In tal senso il romanticismo si ricollega alle posizioni del neo-classicismo, dato che entrambi si basavano su una teoria idealistica dell'arte. Anche l'estetica hegeliana, che si sviluppa proprio in questo periodo, propone una sostanziale svalutazione delle arti applicate, in quanto principio formativo, subordinato al momento progettuale, qualitativamente superiore. In Italia, Leopoldo Cicognara, nella sua Storia della scultura italiana, portò nuovamente l'attenzione sulla questione delle arti minori. Proponendosi di continuare l'opera del Winckelmann, egli si fa promotore di una sostanziale rivalutazione della scultura medioevale, con un' attenzione particolare su quelli che chiama, "oggetti minori delle arti". Viene meno così l'atteggiamento sdegnoso in voga sino ad allora nei confronti di tali produzioni.
Nell'Inghilterra di questo periodo emerge contestualmente il problema della moralità degli operai, sorto in seguito alla radicale trasformazione del lavoro nelle fabbriche. Fondamentale a tal proposito, resta quanto scritto da Robert Owen nel 1813, in merito alla corruzione fisica e morale dei lavoratori dovuta alla cieca applicazione del sistema di fabbrica: "To the superintendents of manufactories, and to those individuals generally, who, by giving employment to an aggregated population, may easilly adopt the means to form the sentiments and manners of such a population." [38] E' proprio in questa fase che si colloca il Gothic Revival proposto da Augustus Pugin, nell'Inghilterra della prima rivoluzione industriale. La sua opera di progettazione e messa in opera degli aspetti decorativi del Palazzo del Parlamento di Londra contribuisce notevolmente alla nascita di un nuovo modo d'intendere l'artigianato, che avrebbe aperto la via ai successivi studi di Ruskin e Morris. Nella sua opera, Pugin denunciava aspramente non solo la decadenza del gusto della propria epoca, ma anche un vero e proprio declino etico, arrivando alla conclusione che le opere prodotte nella propria epoca, fossero brutte in quanto frutto di una società corrotta. Ad esse contrapponeva la bellezza delle opere medievali, a loro volta creazione della società dell'epoca, considerata positivamente. [39] La scelta dell'arte medioevale effettuata da Pugin, era dovuta ad un'adesione profonda agli ideali che essa incarna, e non ad una semplice questione di gusto.
Infatti egli pensa di poter rigenerare la società, mediante il ripristino degli ideali dell'età medioevale. Egli riprende inoltre il nesso, squisitamente settecentesco, in base al quale l'arte era condizionata dall'etica della società di cui era espressione. L'arte medioevale, non è dunque riproposta nel senso romantico di fuga dal presente, ma in quanto portatrice di sani principi sui quali improntare la riorganizzazione della società contemporanea. Pugin si fa anche portavoce di una sostanziale parificazione tra le varie forme d'arte, in quanto l'esperienza giovanile di decoratore presso il Parlamento, lo aveva portato a formulare il principio secondo il quale alla realizzazione di un edificio, dovessero partecipare in maniera paritaria tutte le tecniche, senza alcuna differenziazione gerarchica. Importanti contributi per una riforma delle arti applicate, vengono anche da parte di Henry Cole, Owen Jones e Richard Redgrave, che promuovono la prima reale indagine storica sull'argomento, dopo la fase settecentesca, con il superamento di una visione gerarchica delle arti. Le premesse si trovano nella teoria dell'economista Robert Peel. Nel discorso tenuto nel 1832 alla Camera dei Comuni, egli sostenne la necessità di promuovere sia le belle arti che le manifatture, per cercare di arrivare alla produzione di oggetti resi altamente competitivi grazie allo studio degli elementi decorativi. Egli dunque vedeva la produzione artistica come il frutto di esigenze di mercato, e sosteneva l'uguaglianza tra le varie forme d'arte, rifiutando il distacco dell'artista dalla società, così strenuamente difeso dalle teorie romantiche. Dall'incontro tra queste posizioni e quelle del Pugin, presero le mosse gli studi sulle arti applicate di Henry Cole e Owen Jones, incentrati sulla funzionalità degli oggetti e sull'educazione alla vista come base per il momento progettuale. Una seconda fase del processo rivalutativo delle "arti minori" si ha con Ruskin e Morris.
Nella sua opera, The Stones of Venice, il critico d'arte Ruskin, propone una delle più alte rievocazioni ottocentesche della civiltà medioevale e dei suoi ideali. Per lui, l'ornamento è uno strumento utile per soddisfare un'esigenza dello spirito e dell'immaginazione. In difesa della libertà dell'artista, egli propone un totale rifiuto della servitù alla macchina, rivendicando l'elevata virtù sociale insita nel lavoro umano. Egli afferma che "l'ornamento ha due sorgenti di piacere: l'una nella bellezza astratta delle sue forme, l'altra nel senso del lavoro umano e dell'attenzione che è stata spesa nel fabbricarlo". [40]
Su tali principi egli arriva a riconoscere una dignità altissima alla parte esecutiva dell'opera d'arte, intesa come momento specifico del linguaggio artistico e metro essa stessa del livello di capacità dell'artista. Ruskin non cede all'idea romantica della lotta alla macchina, dato che non propone un totale rifiuto di essa, quanto piuttosto mira alla pretesa di un'armonica fusione tra il lavoro manuale e la macchina. Egli prende posizioni molto determinate in merito alle condizioni del lavoratore nel sistema di fabbrica. Così afferma in loro difesa: " …questa degradazione dell'operaio a macchina, conduce le masse ad una lotta per la libertà…perché sentono che il genere di lavoro al quale sono condannati è veramente degradante". [41]
Queste condizioni di libertà dell'immaginazione e di umanità del lavoro, per Ruskin sono pienamente realizzate nel Medioevo, perché la società medievale, a differenza di quella attuale era fondata proprio su quei valori di libertà e di umanità che soli garantiscono l'integrità della figura dell'uomo. Ciò che manca dalla sua analisi è però una rivalutazione specifica per le "arti minori", dato che il suo interesse per l'aspetto artigianale, rimane sempre circoscritto alle opere della cosiddetta "arte maggiore", per attribuire a quest'attività il valore sociologico del riscatto del lavoro umano. La piena riaffermazione della dignità delle arti minori, sarà portata a compimento, subito dopo da William Morris, che scese nel terreno applicativo nel tentativo di restaurare anche a livello pratico l'artigianato. L'adesione alle dottrina marxiane ed il contatto diretto con le esigenze della classe operaia inglese, lo portano alla formulazione del cosiddetto "materialismo storico", secondo il quale "l'arte di ogni tempo è necessariamente l'espressione della sua vita sociale". [42]
Egli si fa dunque promotore di un'arte del popolo per il popolo, sulla base di una profonda fede nell'uguaglianza sociale, riconoscendo all'attività artigianale una validità esemplare. L'ispirazione artistica, non viene più considerata un momento privilegiato, dato che essa è in grado di prendere forma, solo tramite l'esercizio pratico, e non è più quindi possibile, una separazione tra l'ideazione e l'esecuzione, unificandosi di fatto i due momenti nel processo lavorativo. Non solo viene meno così il valore puramente estetico dell'opera d'arte che ora è valorizzata principalmente per la dimensione sociale della sua destinazione, ma anche la discriminazione qualitativa tra le singole classi di prodotti artistici. Anche Morris si accosta all'arte medioevale, per cercare in essa quei principi di solidarietà sociale, particolarmente presente all'interno della bottega artigianale. Particolarmente significative sono le sue affermazioni in merito all'unità delle arti "Ritengo che sia solo per convenienza che si separino la pittura e la scultura dall'arte applicata….la vera unità dell'arte, è un edificio con tutti i suoi ornamenti e accessori". [43]
Morris arriva così ad una piena rivalutazione delle arti minori, come parte di un processo più ampio volto all'inversione dell'assetto gerarchico della società, giunto a maturazione proprio in seguito al risveglio della coscienza sociale causato dall'avvento del capitalismo industriale. Le arti minori che durante il XVII secolo sono state discriminate dall'affermazione dei concetti aristocratici di un'arte basata sull'idea e sulla nobiltà, sono poi state rivalutate dall'ideologia progressista dell'arte come funzione pubblica portata avanti dall'illuminismo.
Hanno quindi visto una nuova svalutazione durante l'idealismo romantico, ed era quasi naturale che conoscessero una nuova rivalutazione da parte della classe lavoratrice ottocentesca I principi portati avanti da Morris riconfermano l'irriducibilità della saldatura tra ideazione ed esecuzione, senza pensare ad un'abolizione integrale della macchina, ma semplicemente invertendo il processo allora in corso, portando l'uomo ad esser padrone della macchina e non viceversa. Le sue ricerche trovano ampio successo nel successivo movimento del positivismo, che propone un nuovo ricongiungimento tra l'indagine scientifica e l'attività produttiva. E' questo il periodo nel quale sorgono i primi grandi musei di arte industriale e le ricerche sulla storia delle tecniche conoscono un notevole sviluppo, grazie alla ripresa dell'idea settecentesca della funzionalità, portata avanti tra gli altri da Gottfried Semper. I suoi studi lo portano addirittura ad affermare, la priorità delle arti minori sulle cosiddette arti maggiori, in base alla teoria secondo la quale la formazione delle arti "superiori" presuppone il codice di regole estetiche elaborate attraverso il processo di produzione delle forme più semplici e più tipicamente utilitarie delle arti applicate. Si giunge dunque ad un sostanziale rovesciamento del tradizionale rapporto fra arti "minori" e "maggiori". Nella seconda metà dell'Ottocento dunque l'Europa conosce una considerevole mole di studi volti al recupero delle arti minori, dai quali prendono le mosse, alcuni dei principali protagonisti del dibattito novecentesco sulle arti minori. Un contributo di grande rilevanza alla rivalutazione dello studio delle arti minori è rappresentato dalla cosiddetta "Scuola di Vienna" i cui principali esponenti sono Franz Wickhoff, Alois Riegl, Max Dvorak e Julius von Schlosser. Con il termine "Weiner Schule", coniato da Julius von Schlosser, uno dei principali allievi di Riegl e Wichoff, viene oggi utilizzato per identificare un gruppo di studiosi che, in aperta rottura con le posizioni precedenti, hanno ideato una nuovo modo di concepire la produzione artistica. Questi sono quindi promotori dell'approccio alla storia dell'arte descritto, secondo cui lo studio dei manufatti non deve avvenire in base alle gerarchie passate, ma essi devono essere visti tutti in modo equiparato, in quanto tutte le forme d'arte sono espressione delle varie civiltà. La prima cattedra di Storia dell'arte all'Università di Vienna viene creata nel 1852 ed è assegnata a Rudolf Eitelberger, al quale si deve la fondazione del Museo austriaco per l'arte e l'industria, che si proponeva di conservare a fini didattici, gli esempi e gli oggetti delle più svariate forme di arte applicata e di analizzarli storicamente, al pari dei fenomeni considerati maggiori. Già dai suoi studi, si avvia un nuovo processo di trasformazione della tradizionale storia dell'arte che comincia ad essere interpretata non più come ricostruzione dell'attività artistica legata alle singole individualità, ma come analisi specifica delle fonti documentarie e delle opere viste come oggetti materiali.
Elemento basilare e comune ai membri della Scuola di Vienna è il contatto diretto con gli oggetti, reso possibile dall'esperienza museale, che consente loro di concentrare la propria ricerca sui caratteri tecnici, iconografici e stilistici dei manufatti, trascurando invece il loro aspetto estetizzante, che aveva dominato tutta la critica tardo romantica. Altro rilevante fattore, reso possibile proprio dall'esperienza museale nei settori delle arti applicate, è la nascita di una concezione paritaria di ogni forma artistica e l'eliminazione della gerarchia tra generi di arte. Il successore di Eitelberger sulla cattedra viennese, Moritz Thausing, è il promotore della collocazione della storia dell'arte tra le discipline scientifiche e autonome. Egli prevede un'impostazione rigorosamente storica dell'analisi delle forme artistiche, fondata sulla particolarità del vedere artistico che differenzia questa indagine da quelle a carattere politico, economico, archeologico ed estetico. Per i membri della Scuola di Vienna, riveste un ruolo fondamentale anche l'assimilazione della filosofia herbartiana, alla quale si ricollega la teoria della pura visibilità elaborata da Konrad Fiedler. Secondo questa teoria, l'uomo percepisce la realtà che lo circonda grazie alle sensazioni, che suscitano nell'individuo un processo di rielaborazione psicologica del mondo esterno. L'artista, tramite la vista, prende coscienza della realtà esterna, e crea l'opera con un processo di rielaborazione mentale di questa stessa realtà. Le basi per un corretto giudizio estetico vengono tracciate da Adolf von Hildebrand, nel saggio del 1893, intitolato "Il problema della forma". Il modo di rappresentazione della forma si fonda, secondo lui, sulla visione degli oggetti, che può essere ravvicinata o a distanza. La prima forma è di carattere tattile in quanto la vicinanza dell'oggetto costringe l'occhio ad effettuare movimenti, del tutto simili, a quelli eseguiti dalla mano, ma mancano di unità, perché l'occhio deve compiere spesso aggiustamenti focali, per ricostruire correttamente la forma nella sua interezza.
La seconda visione è invece di carattere ottico, in quanto avviene a distanza, ed ha carattere di unità, dato che l'occhio la percepisce subito nella sua interezza. Wickhoff, può essere considerato uno dei fondatori della scuola viennese. Egli dimostra un interesse per ogni forma d'arte e i suoi studi si concentrano principalmente su temi quali l'arte classica, l'arte medievale con un particolare approfondimento sulla miniatura, il Rinascimento italiano e l'arte contemporanea. Suo merito è quello di operare una rottura radicale con la concezione evoluzionistica dell'arte antica, all'epoca particolarmente forte, e di aver respinto la netta divisione tra le fasi artistiche dell'antichità, del medioevo e dell'età moderna. In contrapposizione con la linea guida della critica dell'epoca, Wickhoff, ribadisce l'importanza di studiare ogni fase dell'arte nelle varie forme della sua espressione, e sottolinea la necessità di considerare la continuità dei nessi artistici che legano il mondo antico al moderno. Riprendendo la filosofia hebertiana, egli popone un approccio scientifico nello studio dell'arte, rimarcando la rilevanza del dato oggettivo e formale dell'opera d'arte. L'interesse per le forme artistiche allora considerate minore, porta la sua attenzione allo studio della miniatura, tanto che dopo la pubblicazione di un primo saggio sull'argomento, inserito all'interno della sua opera più famosa, la Genesi di Vienna, Wickhoff, idea l'ambizioso progetto di catalogazione globale dei codici miniati conservati in territorio artistico. "La rivalutazione del momento tecnico ed esecutivo nelle arti, trova nel mondo viennese dell'ultimo Ottocento le sue ragioni storiche nel fenomeno delle Esposizioni universali, nella conseguente fondazione e costituzione di musei d'arte industriale e infine nel movimento culturale coevo delle Secessioni." [44]
La prima Esposizione universale si tiene a Londra nel 1851 e poi a Vienna nel 1873, testimoniando il crescente interesse per le tecniche e per gli aspetti manuali ed artigianali della produzione artistica, che trova riscontro anche nella numerosa letteratura che analizza questo nuovo fenomeno. Negli stessi anni il movimento della Secessione si fa portavoce della necessità di rinnovamento della vita dell'uomo, da realizzarsi anche attraverso la valorizzazione delle sue varie forme creative, tecniche comprese, che vengono intese come patrimonio collettivo. Wickhoff si dimostra debitore del Thausing, non solo per il concetto di storia dell'arte come scienza autonoma, ma anche per l'adesione al cosiddetto metodo morelliano, elaborato dal medico italiano Giovanni Morelli, secondo il quale le attribuzioni delle opere ai vari artisti dovevano basarsi sui caratteri formali costitutivi della grafia dell'artista. A differenza degli altri esponenti della Scuola di Vienna Wickhoff si dimostra interessato anche ai fatti figurativi contemporanei, tanto che resta famosa la sua difesa degli affreschi eseguiti da Klimt nell'Aula magna dell'Università di Vienna, dagli attacchi della critica contemporanea. Un contributo particolare allo studio delle arti minori è sicuramente dato da Alois Riegl, considerato a lungo come il loro vero reintegratore nella storia dell'arte. Questi in una delle sue opere più significative, l'Industria artistica tardoromana, sostiene il nuovo concetto unitario di Kunstwollen che afferma l' abolizione della divisione tra le varie forme d'arte. Secondo questa teoria, tanto un modesto ornamento, quanto un'opera monumentale, sono il frutto del "volere artistico" di una data epoca e quindi sono degni di pari dignità. [45]
Dunque secondo Riegl non vi sono periodi di decadenza e di grandezza nella storia dell'arte, ma solo ininterrotti processi di trasformazione dello stile che è il frutto della "volontà d'arte" dell'epoca. E' il momento storico infatti, che lascia la propria impronta su tutte le opere d'arte, siano esse appartenenti alle arti maggiori o minori. Nel 1893, Riegl termina le Stilfragen, opera che rispecchia pienamente la caratteristica della scuola viennese di storia dell'arte, per cui lo studio comparato di livello universitario è unificato ad un contatto diretto con le opere che deve essere sviluppato per lo più grazie all'esperienza museale. Sappiamo infatti che Riegl, dopo le dimissioni di Wickoff, prende il suo posto nella direzione dell'Oesterreichisches Museum di Vienna, ed è proprio da questo contatto diretto con le ricchissime raccolte imperiali che matura la riflessione da cui nascerà lo studio sui "problemi di stile". Questi approfondimenti specialistici sulla storia dell'ornato nel mondo antico, nascono dalla convinzione secondo la quale ogni opera è espressione della storia e per tanto merita di essere studiata.
Secondo lo studioso viennese, infatti, la piena comprensione delle opere può avvenire solo ed esclusivamente considerando il loro rapporto con la storia. In particolare poiché gli oggetti devono essere analizzati nel loro contesto storico è indispensabile partire da una riflessione sul tempo in cui essi sono stati creati. Uno dei principali contributi alla critica artistica moderna dagli studi di Riegl è proprio la piena affermazione dell'uguaglianza del valore estetico di tutte le manifestazioni d'arte rispetto alla precedente teoria che le distingueva in arti maggiori e minori. A soli due anni dalla pubblicazione del Riegl, esce la Weiner Genesis del Wickhoff, destinata poi ad essere la principale fonte per la storiografia sull'arte romana. Entrambi gli studiosi basano le proprie ricerche su una visione complessiva della civiltà umana, rispetto alla quale viene reimpostata la problematica storiografica di periodi in precedenza esclusi dal dibattito. Questa netta inversione di tendenza, rispetto alla maggioranza degli studi contemporanei, incentrati sui cosiddetti periodi classici dell'arte, si può comprendere avvicinandosi all'impostazione storiografica di Burckhardt. Egli delinea nelle sue opere, tutte antecedenti all'uscita dei saggi degli storici di Vienna, una concezione universale della storia, che gli permette di dedicare particolare attenzione a ciascuna fase come non era stato fatto in precedenza, come ad esempio per l'età costantiniana. Allo stesso modo Riegl, si dedica all'analisi di un ambito culturale mai analizzato prima. In particolare, lo fa in un periodo in cui le scoperte archeologiche di Winckelmann e Schliemann avevano posto l'accento sullo studio dei monumenti principali, ma senza cercare di ricostruirne quelle che erano le caratteristiche essenziali delle differenti civiltà alle quali appartenevano. Riegl sosteneva che fin a quel momento, ciò che era mancato era un'analisi delle arti minori su cui ricostruire una storia culturale delle varie epoche. Egli parte dall'analisi di alcuni elementi decorativi presenti nell'arte greca e rintracciati anche in quella romana, per elaborare la teoria di uno sviluppo continuo dell'arte in relazione ai nessi culturali tra le varie civiltà. "
Il processo storico dell'arte è un fluire continuo dell'attività artistica, le cui fasi, sviluppate l'una dall'altra, ma insieme dotate di autonomia ed originalità di valore e significato, non sono mai negatività, o mancanza di significato e di valore". [46]
Le sue posizioni dunque non lasciano spazio alle precedenti teorie che vedevano le civiltà antiche caratterizzate fasi alterne di grandezza e decadenza, né tanto meno ad un'organizzazione gerarchica delle arti, così diffusa nell'Ottocento. Movendo da questa impostazione Riegl realizza un'opera come la Spatromische Kunstindustrie, uscita nel 1901, nella quale rivaluta l'arte romana, letta non come imitazione della più illustre arte greca, quanto piuttosto come sua evoluzione. Se a Wickhoff va il merito di aver intuito ed individuato l'illusionismo dell'arte dell'epoca dei Severi, con Riegl ha inizio un'indagine approfondita sul periodo della tarda antichità fin ad ora mai esplorato che rivaluta il predominante espressionismo dell'epoca. [47]
Concependo la storia dell'arte come un processo di sviluppo continuo, egli si pone in stretto collegamento con la dottrina hegeliana della storia, eccezion fatta per la considerazione metafisica che viene invece radicalmente rifiutata. In netta opposizione alla teoria meccanica del Semper, secondo la quale l'opera d'arte era il frutto della combinazione di tre fattori quali l'uso cui era destinata, la materia di cui era composta e la tecnica utilizzata per la sua realizzazione, Riegl si fa promotore di una nuova concezione che vede l'opera come il risultato un Kunstwollen inteso come tendenza formale che orienta la produzione artistica delle varie epoche. [48] Questo concetto non è mai stato definito con chiarezza dal Riegl, ma appare chiaro che si tratta del vero e basilare fattore genetico dal quale viene generata l'opera d'arte. Attribuendo alle arti decorative una potenzialità equivalente alle cosiddette arti maggiori, lo storico si pone in stretto parallelo con alcuni ideali espressi dallo Jugenstil viennese, soprattutto per quanto riguarda l'importanza assegnata all'astrazione geometrica e alla svalutazione dei contenuti narrativi. In piena opposizione alla poetica di fine Ottocento e inizi Novecento, che avevano focalizzato l'attenzione sull'opera d'arte intesa come forma, egli concentra la sua analisi sul ruolo svolto dallo spettatore nella percezione dell'oggetto, mostrando ancora una volta uno stretto collegamento all'estetica hegeliana.
La portata del suo pensiero, sebbene non venga recepita immediatamente dai critici a lui contemporanei, segna un notevole rinnovamento della critica d'arte in Italia e all'estero. Anche nella Francia di fine secolo si riscontra l'interesse per lo studio delle arti minori, come è testimoniato dai testi di Emile Male, L'art religieux en France e di Emile Molinier autore di un'importante Histoire générale des arts appliqués à l'industrie. Il concetto rieghelliano dell'indagine artistica come forma di analisi storica, viene ripreso da Max Dvorak, studioso di origine boema che può essere inclusi tra i membri della Scuola di Vienna. L'elemento innovativo della sua ricerca consiste nel modo di intendere la storia e il suo sviluppo, che rifiutando un approccio scientifico-positivista, rilancia un'interpretazione della storia come processo spirituale e indivisibile. La storia dell'arte è intesa come continuo sviluppo di forme che sono il risultato della continua evoluzione della civiltà umana. Ricollegandosi alla concezione riegliana della storia, intesa come sviluppo initerrotto, Dvorak identifica nella Weltanschauung dell'epoca, l'elemento determinante per chiarire la storia delle forme artistiche. Suo merito è anche l'aver elaborato il concetto di bene culturale, inteso come testimonianza di una determinata cultura, e l'aver posto sempre in prima linea la difesa e la conservazione del patrimonio culturale. Di posizione simile è anche Hans Tietze, che considera la storia dell'arte come scienza autonoma, in piena autonomia dalla altre discipline confinanti, estetica compresa.
Rispetto alle idee del Riegl, questo suo allievo introduce però un tema estraneo al pensiero del maestro, la centralità dell'artista, elemento che conferisce all'opera d'arte un significato spiritualista. Questa importanza assegnata all'apporto individuale nella produzione artistica risente del pensiero crociano che si stava diffondendo negli ambienti tedeschi, e che di li a poco, avrebbe trovato un seguace in Julius von Schlosser. Celebre per il suo spirito enciclopedico, egli considera tutte le forme di produzione come ramo dello scibile. Tra le varie indagini realizzate, merita una citazione l'approfondimento da lui realizzato in merito alla cosiddetta arte di corte, termine creato da Schlosser per identificare l'arte internazionale che fiorisce nelle corti europee tra la fine del Trecento e l'inizio del secolo successivo. Questo studio dimostra l'interesse, tipico dei membri della Scuola di Vienna, per i momenti artistici meno studiati e pone in evidenza la considerazione dell'opera d'arte non più intesa come fatto isolato e puramente formale, quanto frutto di fattori molteplici. Il concetto di arte come forma articolata in linguaggio viene espresso da Schlosser nella sua opera più poderosa, la Kunstliteratutr pubblicata nel 1924.
Particolarmente rilevante risulta il ruolo attribuito dallo studioso alle testimonianze letterarie sull'arte intese come elementi complementari per la ricostruzione storico-artistica. Schlosser si dimostra debitore di Benedetto Croce dal quale ricava il concetto di una ricostruzione storiografica basata sulle singole personalità. La Kunstliteratur è infatti una storia di scrittori, artisti, letterati italiani e stranieri e riflette l'impostazione crociana di una storia artistica intesa come storia dell'espressione linguistica e stilistica e come unità di storia e di critica. La distinzione tra un momento spirituale e uno materiale, negata apertamente dal Riegl, sarebbe però ricomparsa, con la teoria idealistica formulata da Benedetto Croce. Questi concepiva l'arte come intuizione, arrivando ad attribuire una realtà puramente spirituale all'opera concreta, affermandone al contempo l'autonoma natura ideale. Il rovescio della medaglia, consisteva però nella più totale negazione di ogni dignità estetica ai processi di realizzazione, visti come elementi esterni e semplicemente accessori. Nella sua opera più famosa, l'Estetica, egli afferma che "l'espressione non ha mezzi perché non ha fine"arrivando a concepire le tecniche come semplici elementi in grado di aiutare la memoria e pertanto distinte dal fatto artistico che si trova già pienamente compiuto nella sua dimensione ideale. [49]
Da queste sue posizioni, deriva la convinzione secondo cui l'aspetto prettamente spirituale dell'atto artistico, impedisce una classificazione delle arti sia sulla base di teorie tecniche, sia estetiche. Infatti, esse si eguagliano in base all'indeterminazione dell'idea. E' quindi respinta la possibilità di creare una gerarchia delle arti. Con l'opera e l'attività di Adolfo Venturi, inizia anche in Italia la critica d'arte in senso moderno. Nei suoi studi, principalmente concentrati sull'arte italiana dal Medioevo al Cinquecento, viene fatto riferimento alle arti minori. L'esigenza di presentare un panorama il più complesso possibile delle varie arti, unita alla finalità di contribuire alla coscienza dell'unità nazionale, fa si che nella sua Storia dell'arte italiana, pubblicata fra il 1901 ed il 1940, egli inserisce anche il dibattito sulle arti applicate. Altro contributo fondamentale viene da Toesca, allievo del Venturi, che nelle sua Storia dell'arte medioevale, afferma: "... le arti minori, si connettono variamente con la pittura e la scultura ... perciò non si dovrebbero distinguere dalla storia di quelle arti". [50]
Le arti minori restano dunque tali, dato che sono viste come un semplice riflesso delle maggiori. Ad esse però vengono riconosciute delle qualità stilistiche che le salvano comunque da una netta condanna. Agli inizi del XX secolo, la riconciliazione tra arti minori e maggiori, non è ancora avvenuta. Con l'affermazione dell'Art Noveau si ha finalmente il ricongiungimento tra arti e artigianato, che vede nell'ornamento, l'indice della libertà creativa e propone un'applicazione della bellezza alla produzione industriale. Altro fondamentale passaggio è la nascita della Bauhaus, movimento che si scaglia apertamente contro la barriera di classe tra artista e artigiano. Nel manifesto firmato da Gropius nel 1919 in occasione dell'istituzione della Bauhaus, si afferma che "Architetti, scultori, pittori, dobbiamo tornare tutti al mestiere!... Non v'è alcuna differenza qualitativa fra artista e artigiano... La piena padronanza di un mestiere è indispensabile ad un cero artista". [51]
Questo nuovo movimento si ripropone dunque l'obiettivo di ottenere la riunificazione didattica di tutte le discipline artistiche, con stretti rapporti con le industrie. Questo rappresenta il frutto del più ampio mutamento spirituale e sociale che interessa la società dell'epoca. Tra i vari giudizi sul principio della riunificazione delle arti sulla base dei processi esecutivi propri dell'attività artigianale merita di essere citata l'analisi fatta dal Franciscono, nella quale nel tracciare un profilo della società tedesca dell'epoca l'artigianato è descritto come uno dei punti di forza, tanto che nei numerosi programmi di riforma dell'insegnamento artistico, erano davvero pochi quelli per i quali non era proposta la riunione delle varie branchie dell'arte sulla base delle arti applicate e sulle caratteristiche artigianali. Egli riteneva inoltre che il programma della Bauhaus, fosse principalmente il prodotto del più vasto ideale di un ordine sociale più egualitario. [52]
Per Gropius, l'artigianato non è un elemento fine a se stesso, né tanto meno, può essere considerato come un semplice elemento dell'evoluzione verso l'industria. Era invece inteso come una funzione sperimentale comune a tutte le arti, in cui si materializza l'unione tra i processi esecutivi e l'ideazione. Il richiamo all'importanza basilare del momento esecutivo, rende possibile l'eliminazione della barriera fra artigiano e artista, mettendoli sullo stesso piano in una società di eguali, che proprio nel lavoro collettivo, permette la realizzazione della dignità e del valore storico di ciascuno. Dunque Gropius porta un duro attacco all'individualismo dell'artista, al quale contrappone la cooperazione di più maestranze, ricreando così l'unità delle arti. L'invito alla collaborazione di più mani per la realizzazione dei prodotti artistici, l'anti-individualismo, e l'affermazione nel voler realizzare una società di eguali, trovano notevoli punti di contatto con quanto formulato da Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista, con l'invito rivolto alla classe operaia: "proletari di tutti i paesi unitevi".
Entrambi i movimenti nascono infatti, da un comune desiderio di rinnovamento, come reazione alle conseguenze del primo conflitto mondiale, in cui aveva avuto un ruolo determinante il nuovo spirito prammatico e comunitario affermatosi sotto la spinta dei movimenti socialisti sia russi che tedeschi. La Bauhaus riprende alcune idee che erano già state formulate dal Morris, tra le quali il rifiuto dell'arte per l'arte, la convinzione che nell'esercizio pratico dell'arte e quindi nel mestiere, risiede la fonte stessa della creatività, e che perciò l'ideazione e l'esecuzione non possono essere separate, eliminando quindi il secolare privilegio a favore dell'artista e la barriera che lo separava dall'artigiano. Debitrice delle idee di Morris è anche la teoria, pienamente accolta dal Gropius, secondo cui l'unità di tutte le arti è simile all'unità di un edificio al cui compimento concorrono da uguali, nel comune lavoro, gli artisti di ogni categoria. Le sue idee si ridimensionano in seguito alle condizioni sociali dell'epoca. Costretto dal crescente legame con l'industria a prendere atto dell'impossibilità di mutare il sistema, egli pone sempre più da parte l'ideale ricongiungimento tra ideazione ed esecuzione, rielaborandolo in una più semplice questione di atteggiamento personale dato che " la soluzione non dipende da miglioramenti nelle condizioni esterne di vita, ma da un diverso atteggiamento del singolo verso la propria opera". [53]
Abbandonata così l'idea di un lavoro artistico in comune, basato sull'unione fisica delle arti, torna alla concezione della determinazione a priori della forma, riportando la Bauhaus su posizioni vicine alla borghesia che si interessò in maniera crescente alle ricerche del movimento artistico. Il risultato è il ritorno alla separazione delle singole arti tra loro e alla divisione dell''ideazione, dall'esecuzione. Il punto limite di questa nuova tendenza si ha nel 1922, quando Moholy-Nagy espone ad una mostra di Berlino, alcuni dipinti realizzati dal capo operaio d'un laboratorio d'insegne sotto le sue indicazioni, fornite telefonicamente. Il distacco tra l'ideazione e l'esecuzione non può essere maggiore, si avvera così la definitiva separazione tra il lavoro artistico identificato col puro pensiero, e la riproduzione passiva e materiale. In Germania, questo processo degenera con l'avvento al potere di Hitler, che si fa promotore della netta separazione dei laboratori artigiani dalle scuole delle arti maggiori, restaurando, di fatto, le accademie. L'ultimo significativo contributo sul dibattito tra le arti maggiori e quelle minori, lo si trova nell'importante saggio scritto da Walter Benjamin nel 1936. Prendendo le mosse da un'opera di Eduard Fuchs sulla ceramica cinese, Benjamin arriva direttamente al cuore della questione, secondo cui l'arte di massa è il momento di valorizzazione di fenomeni artistici, generalmente relegati tra i generi minori dell'arte, sulla base del principio secondo il quale "l'aspetto tecnico è uno dei più importanti delle arti". [54]
Da questo sguardo d'insieme sull'atteggiamento tenuto nei confronti delle arti minori, si può dunque concludere che le trasformazioni sociali, hanno sempre avuto un ruolo primario in questo dibattito. Nei momenti in cui si è affermata una suddivisione gerarchica e una discriminazione sociale, si è sempre acuita la separazione della fase ideativa ed il momento esecutivo, nonché la preferenza della prima, rispetto ai fattori tecnici e funzionali. Là dove invece ha preso campo la coscienza critica dell'ingiustizia sociale e si è avvertita l'esigenza di un cambiamento radicale, si è verificata una rivalutazione della fase materiale della lavorazione e un riavvicinamento della fase produttiva a quella ideale. Oggi, dopo le esperienze della Bahaus e l'affermazione del design nella realizzazione degli oggetti di vita quotidiana, il dibattito sulla gerarchia delle arti appare superato. Un'opera come il trittico di Fivizzano, frutto dell'applicazione di più tecniche, quali la miniatura, l'intaglio del legno e dell'oreficeria è stato a lungo dimenticato anche se si tratta di un oggetto di grande interesse e pregio. La dispersione che ha interessato buona parte dell'arredo liturgico dell'ex convento agostiniano di Fivizzano, in seguito alla sua soppressione, ha risparmiato ben poche cose, tra le quali fortunatamente il reliquiario. Il fatto che il trittico sia pervenuto indenne sino a noi, trova spiegazione nel valore, non solo estetico ma anche religioso attribuito a questo oggetto.
L'inizio del periodo di silenzio che interessa il trittico potrebbe risalire proprio alla fine del XVIII secolo, quando, dopo la soppressione del convento, voluta dal programma riformatore del Gran Duca Pietro Leopoldo di Lorena, il centro religioso di Fivizzano inizia una lenta, ma progressiva fase di declino. Nel 1815 viene chiuso anche il Conservatorio che era sorto nei locali dell'ex convento, decretando la chiusura della struttura per diversi anni. In una fase come questa, quando imperavano i principi idealistici del Romanticismo, un'opera come il trittico di Fivizzano, potrebbe essere stata considerata come una produzione minore, di modesta importanza. Ad oggi purtroppo la considerazione per quest'oggetto non è ancora mutata, dato che resta quasi sempre non visibile ai più, chiuso in un armadio della Biblioteca civica.
Poiché, fortunatamente, gli sviluppi della critica d'arte, hanno portato ad una graduale rivalutazione di tutte le forme d'arte, non trova più giustificazione la mancanza di una sua esposizione permanente, in grado di far apprezzare il valore estetico e al contempo documentaristico di quest'opera, di cui questo studio si vuol far promotore.
Note
(1) - Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri (1751-1772); selezione degli articoli più significativi, scelti e presentati da A. Pons, Milano 1966, Vol. II, p. 440
(2) - G. Chiesa Isnardi, I miti nordici, Milano 1991 p. 331-337.
(3) - L. B. Alberti, Della pittura, libro III, edizione critica a cura di L. Mallé, Firenze 1950, p. 103-4.
(4) - J. P. Richter, The Literary Works of Leonardo da Vinci, Londra 1939, p. 78.
(5) - E. H. Gombrich, Symbolic Image. Studies in the art of the Renaissance, Vol. II, Londra 1972. p. 86
(6) - S. Agostino, De pulcro et Apto in A.Riegl, Arte tardo romana, trad. notizia critica e note di L. Collobi Raghianti, Firenze 1959 p. 256.
(7) - E. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del rinascimento, .Firenze 1935, pp. 211-212
(8) - M. Ficino, Teologia platonica, vol. II, Bologna 1965, pp. 25-27.
(9) - L. B. Alberti, De re aedificatoria, Prologo, in L'Architettura, Testo latino e traduzione a cura di G. Orlandi, introduzione P. Portoghesi, Milano 1989, p. 87.
(10) - L. B. Alberti, De statua, in De Statua, a cura di M. Collareta, Livorno 1998, p. 68.
(11) - L. B. Alberti, Della pittura, cit. pag. 134, p. 77.
(12) - L. B. Alberti, Della pittura, cit. pag. 134, p. 77.
(13) - P. Pino, Dialogo di pittura, Venezia 1548, in Trattati d'arte del Cinquecento fra Manierismo e Controriforma a cura di P. Barocchi, Bari 1960, Vol. I, p. 106.
(14) - L. Dolce, Dialogo della Pittura intitolato all'Aretino, Venezia 1557, in Trattati d'arte Vol. I, p. 162 vedi op. cit. nota sopra.
(15) - L. B. Alberti, De re aedificatoria, libro II cit. pp. 98-99
(16) - L. B. Alberti, Della pittura, cit. pag. 134, cit. p. 111.
(17) - L. B. Alberti, Della pittura, cit. pag. 134, cit. p. 111
(18) - L. Venturi, La critica d' arte in Italia. Roma 1942, p. 103
(19) - R. Longhi, Il Maestro di Pratovecchio, in Paragone, n. 35, nov. 1952. pp. 15-16.
(20) - L. da Vinci, Scritti scelti, a cura di A. M. Brizio, Torino 1952, p. 23.
(21) - W.Tatarkiewicz, Storia dell'estetica, III, Torino 1980, pp. 172-173.
(22) - L. Olschki, Geschichte der neusprachlichen wissenschaftlichen Literatur, Vol. II, Bildung und Wissenschfat in Zeitaler Renaissance in Italien, Lipsia-Roma, 1922, p. 92.
(23) - Si veda al riguardo G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, edizione critica a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, Vol. I, tomo I, Firenze 1966, pp. 31-172.
(24) - Michelangelo Buonarroti, Lettera a Benedetto Varchi, in B. Varchi, Della Maggioranza delle Arti, in Due lezioni di M. Benedetto Varchi, Firenze 1549, in Trattati d' arte del Cinquecento Vol. I, p. 18 op. cit . p. 154
(25) - J. Von Schlosser, Die Kunstliterarur, Vienna 1924; trad. ital. La letteratura artistica, II ed. Aggiornata, Firenze 1956, pp. 98, 434.
(26) - V. Danti, Il primo libro del trattato delle perfette proporzioni, Firenze 1567; riedito in Trattati d'arte del Cinquecento Vol. I, pp. 207-210. op. cit. p. 154
(27) - G. Vasari. Le Vite, cit.p. 45, pp.499-500.
(28) - E. Panofsky, Idea. Ein Beitrag zurBegriffsgeschichte der alteren Kunsttheorie, Lipsia-Berlino 1924; trad. ital. Idea. Contributo alla storia dell'Estetica, a cura di E. Cione, Firenze 1952, p. 43.
(29) - G. P. Lomazzo, Idea del tempio della pittura, edizione commentata e traduzione di Robert Klein, Firenze 1974.
(30) - Si veda a tal proposito quanto riferito dal G.A.Giglio Degli errori dei pittori circa le storie, Camerino 1564, in Trattati d' Arte del Cinquecento, cit. in Trattati d'arte del Cinquecento Vol. I, pp. 207-210, pp. 11-12.
(31) - D. Bernardi Ferrero, Disegni d'architettura civile et ecclesiastica di Guarino Guarini e l'arte del maestro, Torino 1966, pag. 55
(32) - Si veda in merito La matière et l'homme dans l'Encyclopédie: actes du colloque de Joinville (10-12 Juillet 1995), textes recueillis par Sylvanne Albertan Coppola er Anne-Marie Chouillet, Paris 1998.
(33) - F. Milizia, Dell'arte di vedee nelle belle arti del disegno: secondo i principi di Sulzer e di Mengs, a cura di G. Natali, II ed., Roma 1944.
(34) - A. Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, in A. De Palma, Le machine e l'industria da Smith a Marx, Torino 1971, pp. 11-23.
(35) - Si veda in merito quanto afferma F. Bologna, Dalle arti minori all'industrial design, Storia di una ideologia, Bari 1972, p. 164.
(36) - I. Kant, Kritik der Urtheilskraft, Berlino 1790, trad. Ital., Crritica del Giudizio, VI ediz., Bari 1967, p. 62.
(37) - G. C. Argan, L'arte moderna, Firenze 1970, pp. 19-20.
(38) - R. Owen, A New View of Society, Londra 1813, trad. Ital. Per una nuova concezione della Società e altri scritti, Bari 1971, p. 11
(39) - A. C. Pugin, Pugin's gothic ornament: the classic sourcebook of decorative motifs, New York 1987, p. 8.
(40) - J. Ruskin, Le sette lampade dell'architettura, con una presentazione a cura di R. Di Stefano, Milano 1993, pag. 166.
(41) - J. Ruskin, Le sette lampade dell'architettura, cit. pag. 151, p. 196.
(42) - .W. Morris, The Making of the English Working Class, trad. ital. Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, Milano 1969
(43) - W. Morris, The Arts and Crafts of Today, 1889, trad. ital. In Architettura e Socialismo, a cura di M. Manieri-Elia, Bari 1963, pp.128-150.
(44) - G. C. Sciolla, La critica d'arte del Novecento,V° Ristampa, Torino 2003, p. 11.
(45) - O. Kurz, Appendice a A. Riegl, Industria artistica tardo romana, Firenze 1953, pp. 383-386.
(46) - A. Riegl, Arte tardoromana, Traduzione, notizia critica e note di L. Collobi Raggianti, Firenze 1959, p. 23.
(47) - Il tema viene approfondito in A. Riegl, Industri artistica tardoromana,Introduzione a cura di S. Bettini, Firenze 1953, p. 31.
(48) - Si veda a tal proposito quanto scritto da A. C. Quintavalle, in Alois Riegl, Problemi di stile, Milano 1963, p. 18.
(49) - B. Croce, Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale, 1902, qui citata nella V ed., Bari 1922, pp. 464-466.
(50) - P. Toesca, Storia dell'arte medioevale, I, Il Medioevo, Torino 1927, p. .
(51) - W. Gropius, Manifesto della Staaliches Bauhaus in Weimar, Weimar 1919, in F. Bologna, Dalle arti minori all'industrial design, Storia di una ideologia, cit. pag. 13, p. 282.
(52) - Si veda in merito quanto riportato da M. Franciscono, Walter Gropius and the creation of the Bauhaus in Weimar: the Ideals and Artistic Theories of its Founding Years, Londra 1971, che contiene la migliore e più documentata discussione delle teorie artistiche tedesche connesse alla fase weimariana di Gropius e della Bauhaus.
(53) - G. C. Argan, Walter Gropius e la Bauhaus, Torino 1951, p. 21.
(54) - W. Benjamin, Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico, in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, Torino 1966, pp. 79-123.