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CONVENTI agostinianI: Fivizzano

Trittico reliquario di fine XVI secolo conservato presso la Biblioteca Civica di Fivizzano (MS)

Trittico reliquario di fine XVI secolo (Biblioteca Civica di Fivizzano)

 

 

IL CULTO DELLE IMMAGINI

 

 

 

Il mondo cristiano presenta sin dalle origini un atteggiamento complesso ed articolato nei confronti delle immagini. "Non ti fare scultura né immagine alcuna di cosa che sia lassù in cielo o quaggiù in terra ovvero nell'acqua sotterra" [1] e inoltre "Or poiché non avete veduto veruno figura il giorno che il Signore vi ha parlato all'Horeb di mezzo al fuoco, state bene in guardia, per le vite vostre, che non vi guastiate e non vi facciate qualche idolo ... [2], in questi ammonimenti del Vecchio Testamento è possibile identificare il germe di tutta la diatriba che divise la Chiesa per secoli tra iconoclasti e iconoduli. Questo divieto non aveva comunque impedito che all'interno stesso del giudaismo si sviluppassero forme di rappresentazione iconica. Recenti scoperte archeologiche hanno infatti dimostrato che già in antichissimi luoghi di culto ebraici come le sinagoghe di Cafarnao e Dura Europos, erano presenti dipinti e raffigurazioni di esseri umani, sia pure con significato simbolico. [3]

L'osservanza del divieto era avvenuta dunque con discontinuità, e si era rafforzata soprattutto nei periodi in cui più forte appariva il pericolo di caduta nell'idolatria. Per quanto riguarda la nostra era, però, la tesi secondo cui i cristiani delle origini avevano ereditato dal mondo giudaico un totale aniconismo, non appare oggi più sostenibile, [4] anche se, come ricorda il Menozzi, l'opposizione manifestata nei primi tre secoli dai cristiani contro l'utilizzo delle immagini a scopo di culto è " almeno nei testi letterari che ci sono pervenuti, come la Didascalia siriaca o quella egiziana, l'Octavius di Minucio Felice e il De idolatria di Tertulliano". [5] Questa ostilità era dovuta oltre al riferimento ai moniti giudaici, anche e soprattutto alla volontà di marcare una netta differenza tra la nuova religione e quella pagana, caratterizzata da un forte ricorso a pratiche idolatriche. [6]

Tuttavia non si assiste ad un rifiuto totale delle immagini tant'è che nel Pedagogo, scritto verso la fine del II secolo, Clemente Alessandrino, elenca le figure che i cristiani potevano utilizzare per contraddistinguere i propri sigilli. Tra questi figurano la colomba, il pesce, la lira, la nave, l'ancora e molto spesso il pescatore. [7] Con il IV secolo, compaiono i primi segni di un mutamento radicale nei confronti delle immagini. Eusebio, in una lettera all'imperatrice Costanza tra il 313 e il 324 d.c., esprime una netta condanna della tendenza, ormai radicata, a produrre delle immagini antropomorfiche di Cristo volte a rappresentare non un simbolo, ma un'effettiva rassomiglianza. Questo processo di diffusione delle raffigurazioni non conosce soste, e sfocia nel culto delle immagini, divenuto nel VII secolo parte integrante della stessa liturgia. [8]

Lo sviluppo del culto delle immagini appare strettamente legato alla venerazione delle reliquie dei santi davanti alle quali si praticava la preghiera intercessoria. Infatti, ai resti del santo si inizia presto ad unire il culto della loro rappresentazione ritenuta in grado di veicolare le stesse proprietà taumaturgiche delle reliquie. Vengono creati i primi palladia, le pubbliche insegne usate a scopo apotropaico in momenti difficili della vita collettiva, e i cosiddetti acheiropoietai, immagini credute di mano diversa da quella umana, che proprio in virtù di questa loro origine divina, erano portatrici di poteri miracolosi. [9]

Alcuni testi scritti nel VI secolo incentivarono la realizzazione delle immagini con la narrazione dell'esistenza di ritratti di Gesù e di Maria. Si assiste così ad un progressivo mutamento da parte della Chiesa nei confronti della raffigurazione delle immagini di culto, dovuta in gran parte alla conversione al cristianesimo da parte dell'imperatore che consentì alla Chiesa di tollerare la prassi ampiamente diffusa nella popolazione di invocare aiuto e protezione. Alla riproduzione della persona dell'imperatore era necessario quindi veicolare, attraverso personaggi divini, quegli stessi sentimenti che venivano indirizzati all'immagine imperiale, dando origine così a forme di vera e propria venerazione. Ma l'elemento che maggiormente influenzò la diffusione delle immagini all'interno della Chiesa fu la scoperta" del loro ruolo pedagogico. [10] Nel IV secolo, con Prudenzio in Occidente e Gregorio di Nissa in Oriente e poi nel VI secolo con l'arcivescovo di Efeso Ipazio, il parallelo tra immagine e testo diventa sempre più costante. [11]

Si comprende quale fondamentale ruolo potesse avere l'immagine nella diffusione dei contenuti biblici, soprattutto nei confronti dei più semplici, intendendo con questo termine non solo gli analfabeti, ma soprattutto i deboli di spirito che, grazie alle immagini potevano ora essere iniziati alla comprensione spirituale della divinità sfruttando non l'intelletto ma il senso della vista. Grande sostenitore del ruolo didattico delle raffigurazioni fu anche Gregorio Magno secondo il quale la pittura, in un periodo di forte e diffusa anafalbetizzazione, istruiva gli illetterati su ciò che la Scrittura insegnava ai letterati, affermando così una sostanziale equivalenza tra il linguaggio figurativo e il linguaggio scritto. [12]

Ma proprio mentre in Occidente si andava ormai definendo il lungo processo di legittimazione didattica dell'immagine, in Oriente si stava per concretizzare un nuovo e decisivo sviluppo che avrebbe portato l'immagine di culto a divenire icona. Alla rappresentazione sacra non viene più riconosciuto il semplice potere di mediare i poteri miracolosi delle reliquie, ma si afferma la convinzione che il soggetto rappresentato sia in qualche modo presente nella sua immagine. Il problema dell'identificazione dell'icona con il prototipo rappresentato emerge chiaramente solo con lo svilupparsi della crisi iconoclasta. Il punto di svolta si verifica nel VII secolo, in occasione del concilio Trullano, tenutosi a Costantinopoli nel 692. Nel canone 82 di questo concilio "... si ordina la sostituzione nelle chiese della rappresentazione simbolica di Cristo sotto forma di agnello con la sua raffigurazione in forma umana". [13]

Esso si poneva in radicale frattura con le teorie diffuse nel IV secolo da Eusebio, sostenendo il concetto che poiché Dio si era reso visibile sotto forma umana, egli potesse essere rappresentato sotto tali sembianze. Questo decreto si rivela di importanza considerevole, per il fatto che con esso si chiude il periodo apertosi nella Chiesa precostantiniana con la di diffusione delle immagini-segno. L'VIII secolo vede un avvicendarsi di scontri tra le tendenze iconoclaste e quelle a favore delle immagini. Le posizioni iconoclaste si reggevano sul concetto del divieto sancito nel Vecchio Testamento di riprodurre forme antropomorfe di Dio, mentre le teorie di segno opposto vertevano sul principio secondo il quale era la stessa Scrittura a mostrare come Dio avesse assunto in Gesù una forma umana e pertanto essa poteva essere riprodotta. [14]

Giovanni Damasceno, un forte oppositore del movimento iconoclastico vissuto nel VIII secolo, arrivava a sostenere che negare la possibilità di riprodurre l'immagine di Cristo, sarebbe equivalso ad affermare che non fosse realmente avvenuta l'incarnazione. Quindi giustificava il culto delle icone sia perché erano portatrici di santità, che già in base alla convinzione secondo la quale l'onore reso all'immagine passasse al prototipo. [15] Un'ennesima frattura tra il mondo occidentale e l'Oriente, si verificò in occasione del concilio Niceno II indetto dall'imperatrice Irene nel 787 con l'intento di sostenere il culto delle immagini. [16] La reazione dell'Occidente non fu positiva, tant'è che i teologi della corte di Carlo Magno risposero con i cosiddetti "libri carolini" all'interno dei quali veniva respinta l'adorazione delle immagini, in quanto esse venivano considerate soltanto elementi finalizzati alla memoria dei fatti storici e all'ornamento delle chiese, e nagavano la teoria neoplatonica del passaggio dell'onore dalla rappresentazione al prototipo. [17]

Questo lungo conflitto tra sentimenti iconoclasti e posizioni a favore delle immagini, si chiuse solo nell'880 con il concilio tenutosi a Costantinopoli, nel quale la Chiesa cattolica riconobbe i valori espressi dal Niceno II affermando così la legittimità del culto delle immagini. [18] Da questo momento la venerazione delle immagini non conobbe più ostacoli sino al periodo protestante. Il IX e X secolo segnano il momento di massima fioritura dell'arte bizantina e la produzione delle icone, ritenute in grado di consentire al fedele l'accesso al mondo celeste, crebbe considerevolmente. In Occidente le icone arrivarono soprattutto grazie alle crociate, ma qui si sviluppò un diverso tipo di rapporto con l'immagine. Ben presto nel Medioevo europeo si svilupparono tendenze originali che portarono al definitivo superamento delle posizioni espresse nei "libri carolini". L'interesse verso forme di rappresentazione antropomorfa portò al superamento dei precedenti modelli ed anche nei reliquiari si affermano i primi esempi di statue-reliquiari cui si attribuiscono miracoli che diventano oggetto di venerazione. [19]

Il frazionamento del potere feudale sviluppatosi nel corso del XII-XIII secolo, ha come diretta conseguenza l'affermazione di una pluralità di centri di potere, dalle città alle confraternite e alle famiglie che ricorrono proprio alle immagini venerate dai fedeli per farne il simbolo della propria identità sociale. L'immagine devozionale si arricchisce così non solo di nuovi valori didattici e cultuali, ma anche psicologici, abbandonando una localizzazione concentrata esclusivamente negli edifici ecclesiastici ed aprendosi alle case private, alla fruizione clericale, monastica ed anche laica. L'incentivo a questa trasformazione venne in primo luogo proprio dall'autorità ecclesiastica. Nel 1216, il pontefice Innocenzo III concesse l'indulgenza di dieci giorni a chi avesse pregato davanti alla veronica di S. Pietro, conservata nell'omonima chiesa, dando inizio in tal modo alla prima indulgenza per il culto di un'immagine. [20] Le critiche verso queste forme di devozione non mancarono ed ebbero origine da più fronti. In particolar modo è possibile ricordare gli ambienti ebraici, che rimasero più legati al divieto veterotestamentario, i movimenti ereticali, e le rimostranze nate all'interno della Chiesa stessa.

Resta significativo il dibattito a distanza che si svolse tra San Bernardo e Suger di Saint Denis, [21] per l'emergere di due mondi a confronto, da una parte il sostenitore della riforma cistercense dell'ordine benedettino polemizzava con le chiese affollate di immagini in grado di distogliere dalla contemplazione e dalla preghiera, dall'altro lato Suger, legato alla teologia neoplatonica dello Pseudo-Dionigi, affermava che la bellezza materiale altro non era che un'agevolazione per rendere più semplice agli incolti la percezione della grandezza divina. [22] A distanza di pochi anni l'uno dall'altro, anche San Bonaventura e San Tommaso espressero il loro consenso al culto delle immagini, basandosi sull'ormai consolidato concetto che riconosceva alle rappresentazioni un efficace strumento per portare i semplici verso la devozione. [23]

Una dura condanna di queste posizioni venne da J. Wycliff che si scagliò contro il pericolo di una mondanizzazione del cristianesimo, che in quel tempo appariva più probabile, a causa dell'abbandono del divieto veterotestamentario sull'idolatria. Le critiche non vennero però solo dai movimenti ereticali. J. Gerson, nel Tractatus pro devotis simplicibus, manifesta il timore generato dalle rappresentazioni lascive, capaci di generare pensieri impuri e desideri carnali e costituisce una delle prime espressioni di un'esigenza di controllo ecclesiastico sul contenuto delle immagini. [24] E' proprio da questi fattori che nasce il timore della Chiesa per il contenuto deviante delle rappresentazioni. In Occidente, si veniva delineando così il cruciale problema del rapporto tra libertà d'espressione per l'artista e l'esigenza della Chiesa di renderla funzionale ai propri obiettivi. A questo proposito, è significativo l'atteggiamento del domenicano Savonarola che a Firenze, culla della nuova pittura rinascimentale, sferra un duro attacco alle immagini da lui ritenute disoneste e si fa portavoce della necessità di tornare a raffigurazioni più austere e semplici. [25]

Questa sua posizione, seppur esasperata, rifletteva il profondo disagio interno al mondo cristiano di fronte all'atteggiamento della Chiesa nei confronti delle raffigurazioni. La Riforma protestante raccolse le tensioni e le contraddizioni in merito alle immagini, che si erano venute a creare all'interno della Chiesa durante tutto il corso del Medioevo.

Diversi furono gli atteggiamenti del mondo protestante nei confronti delle raffigurazioni. Carlostadio con il suo opuscolo "Sulla abolizione delle immagini" si era fatto promotore per la cittadina Wittemberg di una drastica volontà di riforma in senso strettamente iconoclasta. [26] Dal canto suo Lutero, seppur condannava nelle sue prediche il culto tributato alle immagini e la loro massiccia presenza all'interno delle chiese, non sostenne quasi mai teorie iconoclaste, se non in casi di evidente pericolo di idolatria. Lutero infatti riconosceva alle immagini un chiaro scopo pedagogico e le utilizzò per diffondere, grazie alla stampa, il suo attacco alle superstizioni romane. [27]

Molto più rigoroso era invece l'atteggiamento di un altro grande riformatore, Zwingli. Ricollegandosi alle teorie iconoclaste di Carlostadio, egli vedeva nelle immagini un ostacolo in quanto per lui, la Parola era di natura prettamente spirituale, mentre gli oggetti materiali inducevano l'uomo all'idolatria. Le stesse posizioni furono riprese da Calvino nell'"Istituzione della religione cristiana" edito nel 1536, in cui si arriva a formulare l'esigenza di rimuovere e distruggere tutte le immagini presenti negli edifici ecclesiastici, per restituire al culto cristiano la purezza originaria. La risposta della Chiesa fu duplice: la Riforma cattolica, ossia il tentativo di trasformazione in senso più evangelico della vita cristiana e la Controriforma, affermazione del controllo ecclesiastico sulla vita sociale. Questo approfondimento si rivela fondamentale per evitare di cadere nell'errore di un'interpretazione della Controriforma come fenomeno di puro "... combattimento, di lotta cieca contro il Protestantesimo, arrivando alla generale conclusione che "... la consigne à la quella obéit l'art catholique de la Contre-Réforme est d'affirmer tout ce que nient les Protestants, de glorifier tout ce qu'ils abaissent". [28] Determinanti per la corretta comprensione del fenomeno si rivelano i contributi di Hubert Jedin che così precisa "... la riforma cattolica è la riflessione su di sé attuata dalla Chiesa in ordine all'ideale di vita cattolica raggiungibile mediante un rinnovamento interno; la Controriforma è l'autoaffermazione della Chiesa nella lotta contro il protestantesimo". [29]

Proprio il protestantesimo aveva spezzato quella logica di risalita a Dio attraverso il visibile, e quindi le immagini, che si ricollegava ad un'ininterrotta tradizione risalente alle parole di S. Paolo: " ... mentre ciò che di Dio si può conoscere è ad essi manifesto, avendolo Dio ad essi manifestato. Fin dalla creazione del mondo infatti, gli attributi invisibili di Dio, tanto la sua eterna potenza, come la sua divinità, con la riflessione della mente sulle cose create si ravvisano. [30] Il mondo cattolico cercò al contrario di ristabilire il principio della bontà della natura e della possibilità di risalire a Dio attraverso essa, basandosi su un'altra celebre frase dell'apostolo: "Egli è l'immagine dell'invisibile Dio, generato prima di ogni creatura; poiché in lui tutto è stato creato, e nei cieli e sulla terra, le cose visibili e le cose invisibili, e i Troni e le Dominazioni, e i Principati e le Potestà. Per lui create, a lui son volte tutte le cose; egli va innanzi a tutte, e tutte sussistono in lui. [31]

Dunque le immagini, facendo parte del creato, hanno origine da Dio. Proprio l'immagine di Cristo costituisce il punto nodale del passaggio dal visibile all'invisibile, in primo luogo perché l'umanità del Cristo è il punto di maggior perfezione della natura, ma anche perché in Lui la natura umana e quella divina sono unite indissolubilmente. Il tema dell'adorazione dell'umanità di Cristo, materializzata in modo particolare nell'Eucarestia ma anche nelle rappresentazioni, costituisce un tema centrale della letteratura sulle immagini. Esse condividono quindi con questo sacramento il privilegio di offrirsi come strumenti di ascesa dal visibile e terreno all'invisibile e spirituale. La presenza divina nelle immagini deriva dalla loro consacrazione, grazie alla quale Dio viene ad abitare nella chiesa e nelle immagini e, attraverso esse, effettua miracoli. Chi si fosse rifiutato di avvicinarsi a loro, avrebbe rifiutato Dio, rinunciando alle sue grazie. [32]

D'altronde le immagini erano ormai parte integrante del cerimoniale, pienamente inserite nel processo di ascesa dell'uomo verso la divinità. L'arte stessa svolgeva una funzione propiziatoria e apotropaica in grado di allontanare il demonio poiché tramite l'arte, Dio agisce sugli uomini e li attira a sé, invitandoli alla contemplazione. In realtà il rinnovamento dell'arte sacra non fu immediato dato che prima della fine del Cinquecento, la Chiesa si era dimostrata troppo attenta nella difesa dei propri dogmi, per poter prestare una seria attenzione all'operato degli artisti. Durante il periodo del Concilio tridentino però il papato, riorganizzata la propria struttura, riacquistò il ruolo di protettore delle arti, utilizzandole come strumento di difesa dei propri principi, favorendone ampiamente la diffusione. [33] Dopo che la pubblicistica cattolica aveva attaccato le teorie calviniste, avvalorando la legittimità delle immagini, unitamente alla necessità urgente di eliminare quelle indecorose e immorali, "il concilio di Trento si concentrò sul tema della venerazione delle reliquie e delle immagini nel 1562 a seguito della richiesta del cardinale di Guisa che preoccupato dell'iconoclasmo ugonotto, desiderava un solenne pronunciamento sull'argomento". [34]

Nel 1563, il Concilio di Trento approvò un testo che ricalcava una sentenza precedentemente elaborata dai teologi della Sorbona, dove si ribadivano espressamente le tesi del Niceno II sul fatto che le immagini dovessero essere accompagnate da una predicazione che ne chiarisse la funzione e ne evitasse gli abusi, allontanando il popolo da ogni forma di superstizione legata all'attribuzione di qualità magiche alle stesse. Contrariamente a quanto voluto dai protestanti, il documento attribuiva ai vescovi e non al potere politico, il controllo sulle immagini poste nelle chiese. [35]

Conseguenza del decreto, fu l'eliminazione delle immagini lascive e dottrinalmente erronee, contestualmente al moltiplicarsi nelle chiese di pitture che riproducevano temi in aperta opposizione al protestantesimo quali Maria, i santi, le reliquie, il papato, i sacramenti e le buone opere. Apprendiamo così che "le immagini di Cristo e della Vergine madre di Dio e degli altri santi devono essere conservate soprattutto nelle chiese; ad esse si deve attribuire il dovuto onore e la venerazione, non certo perché si crede che vi sia in esse qualche divinità o potere che giustifichi questo culto o perché si debba chiedere qualche cosa a queste immagini o riporre fiducia in loro, come un tempo facevano i pagani che riponevano la loro speranza negli idoli, ma perché l'onore attribuito loro si riferisce ai prototipi che esse rappresentano. Dunque attraverso le immagini che noi baciamo e dinanzi alle quali ci scopriamo e ci prostriamo, noi adoriamo Cristo e veneriamo i santi, di cui esse mostrano l'immagine". [36]

Per Federico Zeri anche se questo decreto ebbe un carattere piuttosto generico e fu forse privo dell'efficacia diretta che generalmente gli si attribuisce, esso costituì il punto nodale di un processo di irrigidimento normativo che "... dapprima vagamente e sporadicamente, poi man mano con un rigore sempre più implacabile avrebbe circondato la libertà creatrice dell'artista con una gigantesca congerie di regole, tradizioni, dogmi." [37] Le stesse disposizioni comparvero pochi anni più tardi nelle "Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae," scritte dal cardinale Carlo Borromeo nel 1577, in cui un'attenzione particolare veniva rivolta agli oggetti sacri affinché fossero tenuti sotto la stretta vigilanza dei vescovi per evitare contatti con il mondo profano. Il Borromeo si rivelò un solerte esecutore delle disposizioni conciliari, tanto che già nel primo concilio provinciale del 1565, commentando il decreto tridentino proibiva, tra le altre cose, di dipingere leggende popolari che non fossero state approvate dalla Chiesa, andando in tal modo, oltre le stesse disposizioni tridentine. Chiedeva ai vescovi di convocare gli artisti delle loro rispettive diocesi, per indicar loro le cose che dovevano essere evitate nel raffigurare le sacre immagini e li sollecitava affinché si astenessero dal produrre opere a carattere religioso all'insaputa dei parroci locali. [38]

Caratteristica dell'arte post conciliare è l'adesione fedele dell'opera artistica alla verità storica e teologica, con una presentazione del testo biblico sempre semplice sia nella concezione che nella composizione formale, più facilmente comprensibili per il popolo, grazie all'eliminazione di simbolismi e interpretazioni allegoriche. Il Borromeo si attiene con grande zelo al messaggio tridentino ed arriva a dare precise indicazioni in merito al rapporto con le immagini sacre. L'attenzione è volta soprattutto ad evitare che in chiesa si rappresentino immagini sacre estranee alla dottrina cattolica o che possano condurre in errore la gente semplice, perché non pienamente corrispondenti alla verità della sacra Scrittura. 

Molto significativo per capire il sostrato culturale dal quale emerse il trittico oggetto di questa ricerca, è anche l'opera profondamente riformista del Paleotti. Arcivescovo di Bologna, egli dimostra di essere, assieme al Borromeo, uno dei personaggi che raccolsero con maggior zelo il messaggio tridentino. Nel 1581 esce il suo "Discorso intorno alle immagini sacre e profane" in cui vengono esposti i principi per un controllo delle immagini da parte della Chiesa. Secondo il Paleotti, il ruolo delle immagini era di contribuire alla riforma della vita cristiana: egli infatti vedeva nella pittura uno strumento capace di esprimere concetti e sentimenti, in modo molto più rapido della scrittura. Il grande vantaggio della pittura consisteva nella possibilità di utilizzare un linguaggio comune a tutta l'umanità, in grado di esprimere anche i contenuti più complessi ma in modo semplice e diretto. [39] Il Paleotti associa dunque la tradizionale concezione cristiana perché l'arte è un mezzo d'istruzione per gli illetterati, al concetto di arte inteso come linguaggio ampiamente diffuso nel Cinquecento, che vuole uno stretto collegamento tra il creato e la rappresentazione artistica che ne è imitazione. [40]

Accorgendosi che continuavano gli abusi nelle immagini, nonostante le disposizioni conciliari, l'arcivescovo bolognese arriva ad assumere posizioni più rigide, chiedendo l'intervento dell'autorità pontificia per creare, al fianco del già esistente Indice dei libri proibiti, un'analoga lista per le immagini proibite. Questo atteggiamento così radicale dimostra come la Chiesa di questo periodo si fosse ormai orientata su posizioni più rigide che toglievano alle chiese locali autonomia in materia di elaborazione dei soggetti e dei temi delle decorazioni, per concentrarlo unicamente nelle mani della curia romana. [41]

Il Paleotti inoltre riprende il tradizionale paragone tra l'arte sacra e la predicazione. Seguendo questo principio, arriva a formulare il pensiero secondo il quale il pittore cristiano, così come un buon oratore, deve "dilettare, insegnare, et muovere" in quanto proprio il piacere spirituale rende possibile la penetrazione delle immagini anche negli spiriti degli indotti, in modo più rapido e semplice delle parole. [42] Nel prelato, rimane dominante la preoccupazione che la pittura sacra sia popolare, adatta cioè a penetrare nell'animo di tutte le categorie di persone: "Pareria a noi, che la pittura, la quale ha da servire ad huomini, donne, nobili, ignobili, ricchi, poveri, dotti, indotti, et ad ogn'uno, in qualche parte, essendo ella il libro popolare, dovesse ancor essere formata in modo che proportionamente potesse satiare il gusto di tutti, et in questo riputiamo risposta l'eccellenza dell'artefice, et a ciò tende la difficoltà che hora habbiamo alle mani, la quale invero è grandissima." [43]

Il Paleotti dà quindi voce a quella diffusa esigenza di ritorno ad una spiritualità semplice e chiara, accessibile alle masse, lontana da concetti astratti ed ispirata alla Scrittura e più vicina all'uomo. Ma la realtà dei fatti non corrispondeva ai desideri dell'arcivescovo. Egli stesso viveva in una Bologna in cui i precetti tridentini non venivano rispettati e il suo atteggiamento dimostra un disincanto, se non un pessimismo, nei confronti di una piena attuabilità dei decreti espressi a Trento.

Il tramonto del progetto di Riforma del mondo cristiano era ormai vicino, poiché il rinnovo delle strutture ecclesiastiche non aveva assicurato la nascita di una nuova società cristiana. Alla fine del Cinquecento, l'estinguersi dell'ultima generazione di vescovi tridentini faceva affievolire le speranze del Paleotti per un rinnovo del mondo cristiano e questa amara constatazione lo portava su posizioni sempre più rigide ed intransigenti, nell'ultimo disperato tentativo di realizzare con la forza quella profonda riforma, così fortemente voluta dai Padri del Concilio di Trento, ma che in realtà non si era mai realizzata e che ormai appariva ai contemporanei come un qualcosa di sempre più estraneo. [44]

E' in una realtà così complessa che si colloca un'opera come il trittico di Fivizzano, nel quale sono presenti proprio quegli aspetti tanto discussi e attaccati dalle teorie protestanti, quanto fortemente difesi dalla Chiesa. Accanto al gran numero di reliquie, compaiono infatti proprio quei temi figurativi che erano stati il bersaglio principale delle loro critiche. Il Trittico sembra seguire attentamente le disposizioni in materia di immagini formulate dal Borromeo e dal Paleotti. Tra le scene riprodotte nelle miniature non v'è infatti traccia di elementi discordanti dall'iconografia cristiana stabilita a Trento. Le raccomandazioni volte ad eliminare elementi apocrifi, lascivi o comunque lontani dalla verità della Sacra Scrittura, trovano qui un ascolto totale. Dalle parole del Borromeo in merito alle sacre immagini, ci si rende conto di come il trittico tenga conto di questo sostrato culturale: "Tutta l'espressione delle sacre immagini deve corrispondere alla maestà e dignità del prototipo sia nell'abbigliamento che nella positura della persona" e ancora "i simboli che si dipingono con le sacre immagini devono essere rispondenti alla consuetudine ecclesiastica: tali sono la corona .... attorno alle teste dei Santi, le palme in mano ai Martiri, la mitra e il pastorale per i Vescovi ed altre simili cose che siano distintivi caratteristici di ciascun santo... e più avanti ... Non è fuor di luogo che, data la moltitudine delle immagini dipinte nelle chiese, si apponga il nome dei Santi specialmente meno conosciuti". [45]

Le immagini del trittico di Fivizzano appaiono così perfettamente corrispondenti ai concetti formulati nel tridentino, da non lasciare alcuno spazio ad elementi innovativi in grado di distogliere e sviare il fedele. Di lì a qualche anno però le cose si sarebbero evolute diversamente."Mentre lo splendore dell'arte barocca sembra far risplendere una nuova epoca di espressione religiosa nell'arte, l'arte sacra si cristallizza in formule convenzionali e rigide, si sclerotizza. Alla base dell'opera dei pittori devoti stanno ora manuali iconografici, rassegne di immagini che aiutano l'artista ad orientarsi in un labirinto sempre più intricato di simboli e di allegorie, senza più alcuno sforzo di approfondimento della storia sacra e della scrittura." [46]

E' quindi possibile concludere questa breve analisi dell'evoluzione del culto dell'immagine religiosa nel mondo cristiano, constatando come, in seguito al fallimento degli obbiettivi della Controriforma, l'arte sacra finisca per assoggettarsi ad un meccanicismo devozionale, dovuto alla mancanza di una vera ispirazione, che costringe gli artisti al rispetto di schemi iconografici molto più ferrei.

 

 

 

Note

 

(1) - Es. 20, 4

(2) - " ... In figura di qualche forma, come effigie di maschio o di femmina, effigie di qualche animale terrestre, effigie di qualunque uccello alato che vola per il cielo, effigie di qualunque essere che striscia sul suolo, effigie di qualunque pesce che si trova nelle acque sottostanti alla terra; e non avvenga, che, alzando i tuoi occhi al cielo e vedendo il sole, la luna e le stelle, tutto insomma l'assetto dei cieli, tu ti lasci trascinare a render loro adorazione e culto." Dt. 4, 15-18

(3) - K. Weitzmann and H. L. Kessler, The frescoes of the Dura Synagogue and christian art, Washigton 1990.

(4) - E. E. Urbach, The Rabbinical Laws of Idolatry in the Second and Third Centuries in the Light of Archeological and Historical Facts, in Israel Exploration Journal 9, 1959, pp. 149-155 e 229-245.

(5) - Daniele Menozzi, La Chiesa e le Immagini. I testi fondamentali sulle arti figurative dalle origini ai nostri giorni. cit. pag. 75, p12.

(6) - V. Fazzo, La giustificazione delle immagini religiose, I: La tarda antichità, Napoli, 1977

(7) - A. Grabar, Le premier art Chrétien, Paris 1967

(8) - Si veda in meriro quanto affermato in E. Kitzinger, Il culto delle immagini: L'arte bizantina dal cristianesimo delle origini all'iconoclastia, Scandicci 192

(9) - D. Menozzi, Daniele Menozzi, La Chiesa e le Immagini. I testi fondamentali sulle arti figurative dalle origini ai nostri giorni, cit. pag. 75, p. 14.

(10) - H. Belting, Il culto delle immagini, Storia dell'icona dall'età imperiale al tardo Medioevo, Roma 2001, p. 560

(11) - Daniele Menozzi, La Chiesa e le Immagini. I testi fondamentali sulle arti figurative dalle origini ai nostri giorni. cit. pag. 75, p 16.

(12) - Si veda in merito quanto riportato da P. A. Mariaux, L'image selon Grégoire le Grand et l aquestion de l'art missionarie, in Cristianesimo nella storia 14, 1993.

(13) - Daniele Menozzi, La Chiesa e le Immagini. I testi fondamentali sulle arti figurative dalle origini ai nostri giorni. cit. pag. 75, p 20.

(14) - Si veda in merito, H. Belting, Image et culte: Une histoire de l'image avant l'epoque de l'art, Paris 1998.

(15) - Daniele Menozzi, La Chiesa e le Immagini. I testi fondamentali sulle arti figurative dalle origini ai nostri giorni. cit. pag. 75, p 22.

(16) - Si veda a tal proposito quanto scritto da G. Dumeige in Nicée II, Paris, 1978.

(17) - Si osservi quanto dice in merito S. Gero, The Libri Carolini and the Image Controversy, in Greek Orthodox Theological Revieuw 18, 1973.

(18) - Si veda al riguardo E. Lodi, Il credo niceno-costantinopolitano nella liturgia romana, Genova 1995.

(19) - Si veda a tal proposito quanto riportato dal Menozzi nel vol. cit. pag. 1, p. 30, sul culto tributato alla statua di Santa Fede a Conques, alla quale secondo le parole di Berardo d'Angers, venivano riconosciuti poteri taumaturgici e capacità intercessoria.

(20) - Daniele Menozzi, La Chiesa e le Immagini. I testi fondamentali sulle arti figurative dalle origini ai nostri giorni. cit. pag. 75, p 31.

(21) - Si veda quanto scritto da E. Panofsky, Abbot Suger and St. Denis, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 50, 1987.

(22) - P. Lieber Gerson, Abbot Suger and Saint-Denis: a symposium, New York 1987

(23) - A tal proposito si può leggere quanto sostenuto da Daniele Menozzi, La Chiesa e le Immagini. I testi fondamentali sulle arti figurative dalle origini ai nostri giorni, cit. pag. 75, p. 33.

(24) - G. Scavizzi, Arte e architettura sacra, Roma, 1982, pag. 15.

(25) - R. M. Steinberg, Fra Girolamo Savonarola, Fiorentine Art and Renaissance Historiography, Ohio, 1977.

(26) - G. Scavizzi, Arte e architettura sacra, cit. pag 91, p. 48.

(27) - J. Cottin, Luther théologien de l'image, in Etudes théologiques et religieuses 67, 1992, pag. 561-567.

(28) - L. Réau, Iconographie de l'art chretién, cit, p. 7, p. 86.

(29) - H. Jedin, Riforma cattolica o Controriforma, Brescia, Morcellina, 1995, pag. 52.

(30) - Col.1, 19-20.

(31) - Col. 1, 15-17 " ... quia in ipso condita sunt universa in caelis et in terra visibilia et invisibilia sive troni sive dominationes sive principatus sive potestas. Omnia per ipsum et in ipso creata sunt, et ipse set ante omnes et omnia in ipso constant."

(32) - G. Scavizzi, Arte e architettura sacra, cit. pag 91, p. 246

(33) - E. Male, L'art religieux de la fin du XVI, du XVII siècle et du XVIII siècle. Etude sur l'iconographie après le concile de Trente, 2 ed. Paris, 1951, pag. 22

(34) - Daniele Menozzi, La Chiesa e le Immagini. I testi fondamentali sulle arti figurative dalle origini ai nostri giorni. cit. pag. 75, pp. 205-206

(35) - H. Jedin, Genesi e portata del decreto tridentino sulla venerazione delle immagini, in Id., Chiesa della fede, Chiesa della storia, Brescia 1972, pp. 340-390

(36) - Daniele Menozzi, La Chiesa e le Immagini. I testi fondamentali sulle arti figurative dalle origini ai nostri giorni, cit. pag. 75 pp. 205-206.

(37) - F. Zeri, Pittura e Controriforma, L'arte senza tempo di Scipione da Gaeta, Torino, 1957, pag. 23

(38) - A. Ratti, Acta Ecclesiae Mediolanensis, II, pag. 36-37, in Milano, 1890-1899.

(39) - G. Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane, libro I, capitolo XXI, Bologna 1582, Ristampa anastatica con premessa di Paolo Prodi, Bologna 1990.

(40) - E. Gilson, Peinture et réalité, Paris, 1958, capp. IV e V

(41) - Daniele Menozzi, La Chiesa e le Immagini. I testi fondamentali sulle arti figurative dalle origini ai nostri giorni, cit. pag. 75, pp. 44-45.

(42) - G. Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane, libro I, capp. XXII-XXIV.

(43) - G. Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane, libro II, cit. pag. 97.

(44) - P. Prodi, Ricerca sulla teoria delle arti figurative nella riforma cattolica, cit. pag 99, p. 84-85.

(45) - C. Borromeo, Instructiones Fsbricae et Supellectilis ecclesisticae (1577), Cap, XVII: Sacre immagini e pitture, in Daniele Menozzi, La Chiesa e le Immagini. I testi fondamentali sulle arti figurative dalle origini ai nostri giorni, cit. pag. 75, pp. 209-210.

(46) - K. Kunstle, Ikonographie der christlichen Kunst, in P.Prodi, Ricerca sulla teoria delle arti figurative nella riforma cattolica, cit. pag. 100, p. 8.