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CONVENTI agostinianI: Fivizzano

Trittico reliquario di fine XVI secolo conservato presso la Biblioteca Civica di Fivizzano (MS)

Trittico reliquario di fine XVI secolo (Biblioteca Civica di Fivizzano)

 

 

CONCLUSIONI

 

 

 

Il trittico si presenta come un chiaro tentativo d'imitazione dei reliquiari medioevali, realizzati con l'utilizzo di pietre e metalli preziosi. I riferimenti alla produzione orafa sono evidenti e la ricerca ha permesso di individuare alcuni importanti prototipi di reliquiari realizzati nel XIII secolo che presentano un'analoga struttura con sportelli laterali ed un uso delle pietre preziose molto simile a quello che si ritrova nell'opera conservata a Fivizzano. Anche se la tipologia dell'oggetto è prettamente medioevale, l'uso della miniatura rispetto ai più tradizionali smalti che ritroviamo in numerosissimi altaroli medioevali, colloca il trittico nell'ambito della produzione posteriore. In particolare, è proprio quest'uso così libero della miniatura che consente di attribuire una più sicura datazione dell'oggetto proprio alla fine del XVI secolo.

A partire da tale data si riscontra un utilizzo della miniatura come elemento a sé stante, ormai totalmente svincolato dal testo scritto. Ci troviamo quindi di fronte ad un'opera che pur volendosi ricollegare ad una produzione artistica consolidata nei secoli, porta in sé i germi di una nuova forma d'arte e la sua particolarità consiste proprio nell'essere un "trait d'union" tra una tradizione antica ed un linguaggio moderno. La principale difficoltà incontrata nello studio di quest'opera è stata la quasi totale mancanza di precedenti ricerche, la cui assenza ha reso questo studio un'analisi inedita. La conoscenza del trittico è avvenuta in maniera graduale e si è avvalsa soprattutto di due elementi, tenuti tra loro in dialogo costante: lo studio dei documenti e l'analisi iconografica. Seguendo questi due filoni di ricerca, si è arrivati ad ipotizzare la produzione romana del trittico. Tale ipotesi è avvalorata da quanto riferisce uno studioso della storia locale della Lunigiana, Pier Carlo Vasoli, medico di professione che ci ha lasciato un manoscritto del 1732, oggi conservato nell'archivio parrocchiale di Fivizzano. L'autore fa un preciso riferimento al documento d'autentica delle reliquie raccolte da Agostino Molari per la chiesa di San Giovanni Battista. Il manoscritto oltre a fornire una data certa entro la quale le reliquie erano state autenticate, il 1584, ci informa del fatto che le reliquie provenivano dalla chiesa di Santa Maria Traspontina in Roma. Questo documento trasmette dunque due dati fondamentali per la conoscenza del trittico.

Infatti attraverso di esso apprendiamo la data in cui le reliquie, poi inserite nel trittico, furono autenticate, permettendone quindi la venerazione e giustificandone al contempo l'inserimento nell'opera stessa, veniamo inoltre a conoscenza della provenienza romana delle reliquie. Quest'ultimo elemento non può essere sottovalutato in questa sede, dato che il fine di questo studio vuole essere proprio quello di attribuire la realizzazione del trittico ad una bottega artistica attiva a Roma verso la fine del XVI secolo. Fortunatamente, ad avvalorare questa supposizione non c'è solo il documento del Vasoli, ma rilevanti sono anche le stesse miniature che ricoprono un ruolo di primo piano nella visione complessiva del trittico. L'analisi iconografica dei soggetti ha infatti consentito di individuare alcune opere che possono aver svolto la funzione di modelli per il miniatore che ha realizzato le immagini inserite nell'opera. Innanzi tutto, la presenza di Pietro e Paolo, patroni di Roma, potrebbe essere identificata come un richiamo ai fondatori della soglia pontificia. La miniatura dell'Ultima Cena che nel trittico riveste un'importante posizione e quindi una valenza simbolica è una diretta imitazione di un'opera realizzata da Raffaello, circolata nella duplice versione a stampa, eseguita da Marcantonio Raimondi e dal suo allievo Marco Dente.

L'impostazione della scena riprodotta in maniera quasi speculare, non lascia dubbi sull'origine del modello. Le fonti ci rivelano quanto fossero importanti le committenze romane del celebre maestro. Già nel 1509 Raffaello si trovava a Roma per dare inizio al lungo lavoro che lo porterà ad eseguire uno dei massimi capolavori della pittura italiana, le cosiddette Stanze del Vaticano, che lo impegnarono insieme alla sua bottega sino al 1520. Ecco dunque il primo indizio che avvalora la teoria della provenienza romana del trittico. L'aver trovato un solo modello di provenienza romana non può però conferire certezza a questa ipotesi, ed è per questo che la ricerca è proseguita andando a ricercare altri possibili modelli. L'attenzione è ricaduta su una delle miniature del corpo centrale, dove è riprodotta la Flagellazione di Cristo. Anche in questo caso la ricerca ha consentito l'individuazione di un preciso modello iconografico, ancora una volta proveniente dall'ambito romano.

In questo caso si tratta di un affresco realizzato da Sebastiano del Piombo nella cappella Borgherini, all'interno della chiesa di S. Pietro in Montorio a Roma. I punti di contatto con la miniatura del trittico di Fivizzano sono così rilevanti da rendere possibile la sovrapposizione di alcuni elementi della scena e, in primo luogo, la figura del Cristo. Infatti nella miniatura sono ripresi particolari evidentemente derivati dal modello a fresco, tra i quali i principali sono la torsione del busto del Cristo e il capo reclinato. Del tutto analogo appare anche la resa della gamba destra del Cristo che si stringe alla colonna sino quasi a nascondere il piede. Questo soggetto, tra l'altro riprodotto una seconda volta dallo stesso Sebastiano del Piombo in un olio su tavola, oggi conservato al Museo Civico di Viterbo, deriva da un precedente disegno di Michelangelo che, secondo Vasari, sarebbe stato donato dallo stesso Michelangelo a Sebastiano del Piombo, per la decorazione della chiesa romana. Ecco quindi un secondo indizio che contribuisce ad avvalorare l'ipotesi di un'origine romana del trittico. Ma la ricerca è proseguita ed ha permesso di rintracciare un ulteriore modello d'origine romana. Questa volta l'attenzione è ricaduta su una delle due miniature del corpo centrale del trittico che riproducono santi appartenenti all'Ordine agostiniano, ed in particolare sull'episodio dell'estasi di Ostia, che vide protagonisti Sant'Agostino fondatore dell'Ordine medesimo e la madre Monica.

La miniatura mostra un chiaro riferimento all'affresco realizzato da Giovan Battista Ricci verso il primo decennio della seconda metà del XVI secolo, nella Cappella di Santa Monica, presso la Chiesa romana di Sant'Agostino in Campo Marzio, nel quale sono raffigurati Agostino e Monica in estasi con accanto alcuni monaci. Anche in questo caso il miniatore ha riprodotto il prototipo con una fedeltà pressoché assoluta, identica è infatti non solo la postura dei personaggi che nella miniatura sono ridotti a due per ovvi motivi di spazio, ma anche la balaustra dietro la quale si intravede un paesaggio costiero presente in entrambe le opere. Confrontando quindi i dati provenienti dalle fonti d'archivio e l'analisi iconografica e stilistica del trittico è stato possibile individuare prove consistenti della provenienza romana del trittico commissionato da Agostino Molari, uno dei personaggi più influenti formatisi all'interno del convento agostiniano di Fivizzano ad un artista il cui nome al momento resta ancora sconosciuto.

Il fatto che questo illustre agostiniano, per tre volte Vicario Generale dell'Ordine, fosse a Roma in qualità di Sacrista dei Sacri Palazzi nel momento in cui commissionò il trittico, costituisce un'ulteriore prova della provenienza romana dell'opera. Il trittico di Fivizzano si è rivelato una preziosa fonte per comprendere il contesto culturale in cui si trovava l'Ordine Agostiniano. Negli anni immediatamente precedenti la realizzazione dell'opera, alcuni membri dell'Ordine avevano ricevuto diversi richiami da parte della Santa Sede a causa di comportamenti ritenuti fuorvianti nei confronti dell'ortodossia cattolica. Infatti a poca distanza dalla conclusione del Concilio di Trento, alcuni monaci formatisi nel convento di Fivizzano avevano persino ricevuto accuse d'eresia. In quel periodo dunque l'Ordine stava affrontando notevoli difficoltà nei rapporti con la Santa Sante e certo non poteva passare in secondo piano che lo stesso Lutero era un agostiniano.

La presenza delle due miniature con soggetti agostiniani, in un contesto iconografico di più ampio respiro dedicato ai temi rilanciati dalla Chiesa della Controriforma in reazione alle accuse del mondo protestante, può essere letto come un tentativo di riconciliazione tra l'Ordine agostiniano e l'ortodossia cattolica.