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CONVENTI agostinianI: Fivizzano

Natività, Particolare dell'anconetta di Bosco Marengo

Natività, Particolare dell'anconetta di Bosco Marengo

 

 

IL TRITTICO DI FIVIZZANO VISTO COME OPERA DI RICONCILIAZIONE TRA GLI AGOSTINIANI DEL CONVENTO LUNIGIANESE E L'ORTODOSSIA CATTOLICA

 

 

 

Uno studio approfondito del trittico di Fivizzano non può prescindere dall'analisi dell'oggetto all'interno del contesto politico e religioso nel quale il convento agostiniano gravitava. Oltre ai più evidenti aspetti artistici l'opera è da interpretare anche come un messaggio di natura "politica". Quelli nei quali il trittico viene realizzato, sono anni particolarmente turbolenti per la Chiesa di Roma e le conseguenze si riflettono ovunque, anche nelle remote mura del convento fivizzanese. La fine del Cinquecento è caratterizzata infatti da una lotta acerrima condotta in difesa dell'ortodossia cattolica, minacciata in Italia dal dilagare delle eresie: "Da un punto di vista italiano generale - osserva il Cantimori - si può dire che il movimento di simpatia e di partecipazione per le idee che avevano avuto tanto effetto ebbe larga diffusione e penetrò in tutti gli strati sociali, dal contadino al principe, dall'artigiano al grande giurista. Esso godette del favore di molti prelati e di alcuni principi, e della benevola tolleranza di altri, anche dopo che l'opera di repressione ecclesiastica era cominciata." [1]

In Italia la prima diffusione dei testi di Lutero e Melantone avviene nel 1519 ad opera di un libraio di Pavia, Francesco Calvi. Nello stesso anno, presso la Curia di Roma, si leggono i libri scritti sotto pseudonimo da Melantone. Sono soprattutto i maggiori centri di traffico commerciale quali Pavia, Milano, Venezia e Bologna a svolgere la funzione di vie di diffusione delle idee d'oltralpe e, dal momento che è Lutero il personaggio di cui maggiormente si discute, per molti anni tutte le correnti ereticali saranno chiamate con il titolo di "luterane". Ciò che maggiormente preoccupava la Chiesa di Roma era la sconvolgente portata innovativa delle tesi di Lutero, nelle quali si riconosceva ai fedeli una libertà spirituale di cui essi non avevano mai goduto prima. Il concetto più pericoloso portato avanti da Lutero era la cosiddetta "giustificazione per fede". Il monaco agostiniano aveva attinto soprattutto dai testi di San Paolo, traendo da essi delle idee capaci di minare dall'interno le stesse fondamenta della Chiesa. Nell'Epistola di San Paolo ai Romani aveva letto "... Arbitramur justificari hominem per fidem, sine operibus legis." [2]

Da questa frase Lutero aveva sviluppato l'idea che per la salvezza dell'uomo fosse necessaria esclusivamente la fede. Nel 1520 aveva inviato una lettera al pontefice Leone X dal titolo emblematico, "Libertà del cristiano". Con questo scritto egli affermava l'inutilità delle cosiddette opere meritorie, quali digiuni, pellegrinaggi e pratiche religiose, sostenendo che "... il cristiano dovrà cercare essenzialmente di abbandonarsi a Dio con salda fede e confidare in lui vigorosamente ... per un cristiano basta la fede ed egli non ha bisogno di nessuna opera per essere giustificato." [3] Questo concetto di libertà insita in ogni uomo che a sua volta Lutero aveva dedotto dalla lettura di San Paolo preoccupava la Chiesa. Alcune frasi di San Paolo tra le quali anche la seguente, "un cristiano è libero signore sopra tutte le cose e non soggetto a nessuno", [4] colpirono profondamente Lutero e lo spinsero a dedicare studi profondi sul pensiero dell'Apostolo. Sviluppando il pensiero paolino Lutero scriveva "... il cristiano signore della propria coscienza, diviene di fronte a sé prete di se stesso, in comunione diretta con il Dio del Vangelo ... ed ancora ... L'uomo interiore e spirituale non è soggetto a nessuna potenza del mondo; non dipende che dalla parola divina e dal Vangelo." [5]

E' facile capire come un messaggio di questa portata non potesse essere sottovalutato, esso infatti metteva in discussione il secolare insegnamento della Chiesa in base al quale "... il credente deve contribuire alla propria salvazione con opere meritorie". Stando così le cose, il rapporto tra il credente e Dio si trasformava, dato che queste premesse sconvolgevano l'apparato legalitario, la funzione mediatrice e pedagogica della Chiesa, il dogma, il rito e la liturgia. Quasi parallelamente al pericolo della libera diffusione delle idee, iniziano i primi processi. Tra condanne ed esecuzioni, prevalgono le notizie di lamentele da parte delle autorità ecclesiastiche per un eccesso di clemenza e liberalità esercitato dalle autorità civili. Ma la benevola tolleranza dei principi e dei senati repubblicani avrebbe avuto vita breve. In questi anni infatti, il prevalere sullo scenario politico italiano della Spagna e la creazione di una forte alleanza con la Santa Sede, costrinse i piccoli centri di potere italiani a rispettare linee di condotta più vicine all'ortodossia cattolica, nel timore della ferocia della repressione. [6]

Eppure, nonostante il controllo si facesse più serrato, le idee riformiste continuarono a dilagare. I predicatori di queste teorie innovative provengono per la maggior parte dagli ordini dei francescani, dei carmelitani, dei benedettini e degli agostiniani e si muovono da città a città. Con tali accorgimenti, riescono spesso ad evitare le condanne e ad eludere i controlli, approfittando del fatto che le repressioni erano ancora affidate direttamente al controllo dei vescovi su tutto il territorio della diocesi. All'interno della Curia stessa, poi, non mancavano uomini favorevoli ad una riforma della Chiesa Cattolica.

Molti infatti erano perfettamente consapevoli degli abusi esercitati dalla amministrazione ecclesiastica e godevano di un tale prestigio morale e di protezioni talmente potenti, da essere in grado di guardare senza pregiudizi alle idee innovatrici che giungevano d'oltralpe. Questo movimento di rinnovamento della vita religiosa cattolica tradizionale veniva definito "evangelismo", a causa del manifesto desiderio di un ritorno allo spirito autentico che aveva ispirato i Vangeli e le lettere degli apostoli. Come afferma ancora il Cantimori, "... per la posizione teologica di mediazione che molti di questi uomini cercheranno di assumere nella questione della giustificazione per la fede e in altre questioni dogmatiche fondamentali, infine per le persecuzioni delle quali alcuni di loro furono in seguito fatti oggetto come favorevoli all'eresia, si è formata attorno a loro una specie di leggenda storica, come di uomini che volessero una riforma, cattolica, ma vera riorganizzazione della Chiesa e della dottrina, non solo per spirito di pietà e moralità, o per corrispondere alle vaste lamentele delle popolazioni abbandonate o indignate, o per fare, senza scisma e senza eresia, quello che altrove si faceva a quel costo, ma anche per rinnovare la Chiesa, fornendola di organismi adatti alla nuova società e alla nuova scena politica europea che si andava delineando. Si è parlato di questi uomini quasi di "liberali"... in realtà la loro tendenza, in quanto alla questione della riforma della Chiesa, era di carattere retrospettivo: si voleva restaurare il buon tempo antico, eliminando gli abusi e la decadenza e la corruzione che in qualche modo giustificavano i protestanti di fronte all'opinione pubblica." [7]

Adorazione della Vergine, Anconetta di Bosco Marengo

Adorazione della Vergine,

Anconetta di Bosco Marengo

Molti di questi intelletti innovatori appartenevano all'Ordine Agostiniano, quasi si potrebbe dire per eredità genetiche. Nessuno dimenticava che proprio dall'Ordine fondato dal grande Padre della Chiesa Agostino, era appartenuto il teologo Lutero. Non a caso gli agostiniani, tra tutti gli altri Ordini, quelli maggiormente coinvolti nelle campagne di accuse di eresia. Alcune idee di Agostino erano sempre state giudicate al margine estremo dell'ortodossia e pericolosamente vicine alle teorie protestanti. Principi quali la "giustificazione per fede" o del libero arbitrio erano riecheggiate pericolosamente in molti testi letti e scritti dai membri dell'Ordine. [8] Queste idee innovative trovarono numerosi discepoli pronti a raccoglierle ed a farle proprie. Quasi inevitabile ormai era dunque il pericolo che le accuse di eresia colpissero direttamente l'Ordine Agostiniano.

Tra i casi più significativi è possibile ricordarne alcuni che rendono l'idea di come tali accuse riguardassero l'Ordine sin nelle sue più alte sfere nonché le aree più periferiche. Nel 1540 l'allora generale dell'Ordine Gerolamo Seripando prese un duro provvedimento nei confronti di Nicolò di Fivizzano, monaco agostiniano formatosi nel convento lunigianese che dal 1539 esercitava la carica di priore della provincia di Pisa, privandolo dei gradi e condannandolo all'esilio. Il motivo di questa dura reazione del Seripando, va probabilmente ricercato nel suo tentativo di eliminare dall'Ordine ogni traccia di luteranesimo dato che frate Nicolò possedeva, e quindi aveva letto, un buon numero di libri luterani. [9] Nel 1541 venne imprigionato l'agostiniano Giulio Della Rovere con l'accusa di aver diffuso teorie valdesiane durante le sue predicazioni in alcune città italiane. Il processo si concluse solo un anno dopo con l'abiura e l'espatrio dell'agostiniano. [10]

Poco dopo, papa Clemente VII vietava la predicazione su testi esclusivamente paolini, colpendo così nuovamente proprio gli agostiniani nelle cui biblioteche quei libri erano particolarmente numerosi. Le accuse di eresia colpirono l'Ordine senza neppure risparmiare i suoi più alti vertici. Come ricorda ancora Cantimori, Girolamo Seripando, generale degli agostiniani, venne accusato di essere un seguace delle teorie valdesi: "In questi anni il giovane e già valente Seripando è fra gli amici del Valdès e segue la dottrina di Platone "porta a Paolo"... più tardi sarà protettore di molti accusati di eresia del suo ordine e fuori del suo ordine, per i quali otterrà pene leggere o remissioni di pena ... ed ancora "Ma in conseguenza delle lotte sostenute e delle proprie esperienze…nel 1550 ordina di non discutere le dottrine controverse tra eretici e cattolici e se, nel caso, discuterne con tanta chiarezza da togliere ogni scrupolo che si possa essere a favore dell'eresia." [11]

Se tale era dunque la delicata situazione in cui si trovava l'intero Ordine Agostiniano, neppure i monaci di Fivizzano potevano sentirsi al riparo delle accuse o, quanto meno, dalle insidie dei sospetti. Alcuni dei più influenti e colti personaggi formatisi all'interno del convento lunigianese, oltre al già ricordato frate Nicolò, vennero infatti coinvolti di persona finendo per essere accusati di simpatizzare per le idee luterane. E' il caso di Agostino da Fivizzano, teologo che godeva di grande considerazione all'interno dell'Ordine e del suo allievo Alessio Casani. Nel caso di Agostino, morto nel 1543, il generale dell'Ordine si limitò ad invitarlo a "... non dire eresie luterane" [12] mentre frate Alessio dovette affrontare accuse ben più gravi.

Sappiamo infatti che pochi anni prima della commissione del trittico di Fivizzano ad opera di Agostino Molari, Alessio Casani, aveva attraversato non pochi guai proprio a causa di alcune accuse di eresia. La presenza dell'eresia di Lutero in Lunigiana, è documentata già dal 1548, quando il gesuita Silvestro Landini predica per ben tre giorni contro queste idee tanto pericolose. Da una sua lettera sappiamo dell'esistenza nella zona di molti luterani, tanto che egli afferma "per grazia di nostro Signore, adesso non osano apparire in pubblico in questa terra, sebbene corra fama di averne molti e di grande importanza e uno di essi ha composto un sommario". [13] Secondo la succitata fonte, a Fivizzano vi erano molti eretici, tra i quali molti appartenevano alle sfere più alte della società. Va inoltre ricordato che nel convento di Fivizzano si era formato Agostino da Fivizzano, persona di grande intelligenza, nominato dottore all'Università teologica di Parigi, che negli anni aveva accumulato nella biblioteca del convento un numero enorme di libri luterani. [14] Ma le idee d'oltralpe infiltratesi nel territorio lunigianese, non interessavano solo i ceti più abbienti, tant'è che a Lucca nel 1550, vennero processati per eresia due legnaioli di Fivizzano. [15]

Dalla vicina Lucca, centro nel quale all'epoca è documentata la presenza di molti eretici, [16] le innovative idee d'oltralpe giunsero probabilmente in Garfagnana e da qui in Lunigiana. La teoria che vede il convento di S.Agostino di Fivizzano come un centro di irradiazione delle idee riformiste è presumibilmente molto vicina alla realtà dei fatti. Sappiamo fra l'altro che un membro del convento, frate Nicola da Fivizzano, era stato amico di Giuliano da Milano, che nel 1540 aveva tradotto le parafrasi di Erasmo, su probabile commissione di alcuni riformati lucchesi. [17]

Un'ulteriore conferma degli stretti scambi tra Fivizzano e Lucca si ha da una lettera scritta nel 1548 da un certo Raffaello Augustini, al Preposito Generale dei gesuiti, nella quale parlando di un gesuita che operava in Lunigiana afferma che"... ha riformato ogni cosa e indotto ogni buon costume e va così seguitando per tutta la diocesi di Luni e Sarzana, nella quale, per esser vicina a Lucca, capo di quella maledetta e viperina setta luterana, ci è qualche seme di detta peste". [18] L'accusa di eresia diretta contro il priore del convento diventa, di conseguenza, assai plausibile. Sappiamo che le prediche tenute da Alessio Casani a Vezzano Ligure, insospettirono alcuni dei presenti che non esitarono a denunciarlo all'inquisitore di Genova per eresia. [19]

Ma i guai per lui non erano finiti qui. Nominato priore del convento di Santo Spirito a Firenze dall'allora Generale dell'Ordine, Seripando che a sua volta aveva dovuto difendersi da un'accusa di eresia, nel 1549 il Casani fu colpito da una seconda denuncia e questa volta da parte dei monaci del suo stesso convento. E' lo stesso Casani nel suo memoriale ad affermare che nel testo della denuncia, indirizzata direttamente al Duca Cosimo I, gli accusatori, sostenevano che "…io facevo pane e mi nutrivo e nutrivo altri delle farine dell'Egitto, per lo che il Duca mandò la lettera al sig. Inquisitore, il quale ordinò che io fossi preso dal Bargello". [20]

Probabilmente fu soltanto grazie alla benevolenza del Duca e ad alcune amicizie influenti, che il Casani, riuscì ad evitare la condanna. Ma nel 1551, un nuovo pericolo sopravveniva a minacciare l'agostiniano. Mentre si trovava a Napoli, l'Inquisizione tornò ad occuparsi di lui a causa di alcuni libri luterani che il priore aveva fatto ricopiare molti anni prima. Fu per lui una fortuna che riuscisse a trarsi fuori dai guai, con la dimostrazione di aver ricevuto l'incarico dal generale dell'Ordine, Seripando. A dichiarare innocente il Casani fu l'inquisitore Michele Ghislieri, divenuto più tardi pontefice sotto il nome di Pio V. [21] A lui va ricondotta un'opera per alcuni aspetti molto simile al trittico di Fivizzano, l'anconetta reliquiario di Bosco Marengo. Il fatto che il Ghislieri conoscesse l'immediato predecessore del committente del trittico fivizzanese, unita alla vicinanza temporale e stilistica delle due opere, conferma la validità della teoria di una affinità di progetto tra le due opere devozionali.

Ma una ulteriore accusa di eresia nel 1555 [22] costrinse al silenzio l'ormai anziano frate "... per non dar materia alli invidiosi di tante fatiche in scrivere e deporre il falso". [23]

In realtà il Casani, così come molti altri membri dell'Ordine non erano dei veri e propri luterani, ma facevano parte del già movimento dell'"evangelismo"in base al quale le vie per un rinnovamento e per una riforma della Chiesa erano da ricercarsi nella Chiesa delle origini. A partire dal 1540, con l'adesione al protestantesimo di alcuni di essi e la sconfitta del movimento al Concilio di Trento, molti monaci che si ispiravano all'esempio di Agostino e a San Paolo, furono oggetto di gravi persecuzioni. [24] Ma ritenere che le accuse di eresia rivolte al Casani fossero pure invenzioni di menti invidiose o voci infondate, riesce di estrema difficoltà. Era stato infatti amico di molti personaggi che avevano finito per aderire alla Riforma, [25] senza contare che apparteneva ad un Ordine, quello degli agostiniani, all'interno del quale notoriamente circolavano teorie eterodosse.

E' dunque alla luce di tutti questi elementi che caratterizzano il contesto nel quale si muove il committente del Trittico, che riesce più agevole una comprensione dell'opera. Sappiamo che il committente fu Agostino Molari, monaco che come il Casani, e si era formato all'interno del convento di Fivizzano. E' probabile, data la vicinanza cronologica tra i due, che il Molari non fosse del tutto estraneo alle vicende che avevano coinvolto il Casani. Datato nel 1584, il trittico risente della difficile situazione che si era venuta creando all'interno dell'Ordine agostiniano nei decenni precedenti. Il Molari, apparteneva ad un ordine fortemente interessato dalle accuse di eresia, e doveva la sua formazione ad un convento dal quale era uscito un personaggio come il Casani, inquisito per ben quattro volte. In un certo senso, il Molari si trovava nella necessità di dimostrare il riavvicinamento del proprio ordine all'ortodossia cattolica, per allontanare così definitivamente quei pregiudizi tanto pericolosi che nei decenni precedenti avevano gettato più di un'ombra sugli agostiniani.

Il trittico di Fivizzano può dunque in questa ottica venire letto come gesto di definitiva sottomissione dell'Ordine agostiniano ai principi della cattolicità, dopo i decenni dei dubbi e dei sospetti. Nel trittico infatti i riferimenti all'ortodossia cattolica riempiono ogni spazio. Chiaro è il messaggio affidato alla presenza nell'opera di due miniature che riproducono i patroni della Chiesa di Roma, Pietro e Paolo che non a caso sono proprio i protettori di quella Chiesa romana con la quale in passato gli agostiniani avevano avuto rapporti molto contrastati. Ma è tutto il linguaggio dell'opera ad essere stato modellato sulla base dei valori iconografici e religiosi propri della più ferrea ortodossia. La presenza del gran numero di reliquie, delle miniature con scene della Passione e di gruppi di santi e martiri sono, infatti, perfettamente rispondenti alle direttive sancite dal Concilio di Trento in merito alle opere d'arte a soggetto religioso. In questo contesto, ciò che maggiormente stupisce è però la presenza delle due immagini legate all'Ordine agostiniano. I soggetti non sono stati scelti a caso, ma risultano come il frutto di un progetto generale volto al riposizionamento dell'Ordine all'interno della Chiesa cattolica. Siamo infatti di fronte ai maggiori personaggi dell'Ordine: Agostino è dipinto con la madre Monica, affiancato da San Nicola da Tolentino, particolarmente venerato dagli agostiniani. L'accostamento tra i più significativi personaggi del mondo cattolico e il vertice della gerarchia dell'Ordine agostiniano è un chiaro messaggio rivolto alla volontà di fusione tra i due mondi.

Il trittico può essere infatti letto come la concretizzazione sul piano iconografico di questa volontà di riavvicinamento tra due realtà, da una parte quella della più fedele ortodossia propria della Chiesa romana e dall'altra quella sinora più eterodossa legata alla lettura dei testi paolini, portata avanti da Agostino. Il trittico che con molta probabilità venne realizzato a Roma, fu commissionato dal Molari proprio negli anni in cui questo ricopriva la carica Sacrista dei Palazzi Apostolici, responsabilità che certamente richiedeva una "dichiarazione di fedeltà" nei confronti della Chiesa. Suggestiva, ma altrettanto razionalmente accettabile, è dunque la teoria che una delle possibili chiavi di lettura dell'opera è quella che presenta il trittico di Fivizzano come uno strumento per riaffermare l'adesione dell'intero Ordine agostiniano all'ortodossia cattolica. Dopo secoli di contrasti, sospetti e inquisizioni, l'Ordine agostiniano esprimeva finalmente, attraverso il proprio Vicario generale, il desiderio di sancire in maniera chiara a definitiva la propria appartenenza alla Chiesa riformata uscita dal concilio tridentino.

 

 

 

Note

 

(1) - D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento,Cap. L'Italia e il Papato, Giulio Einaudi editore s.p.a., 1992 Torino, p. 518

(2) - San Paolo, Epistula ai Romani, III, 28

(3) - M.Lutero, Libertà del cristiano, Lettera a Leone X, trad. Di G. Miegge, Claudiana, Torino, 1970, p. 87.

(4) - San Paolo, I Cor. IX, 19.

(5) - Lutero, Libertà del cristiano , cit. p. 108, pag. 74.

(6) - A. Renuadet, L'età della Riforma, Einaudi, Torino, 1957, p. 30

(7) - Cantomiri, Eretici italiani del Cinquecento, Cap. L'Italia e il Papato, Giulio Einaudi editore s.p.a., 1992, Torino cit. pag. 107, p. 524.

(8) - H. Hauser e A. Renuadet, L'età del Risorgimento e della Riforma, Einaudi, Torino, 1957, p. 227.

(9) - S. Bondi, L'agostiniano Alessio Casani di Fivizzano (1491-1570) e le sue memorie inedite, cit. p. 31.

(10) - Cantomiri, Eretici italiani del Cinquecento, cit. pag. 107, p. 526

(11) - Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, cit. pag. 107, p. 534

(12) - U. Rozzo, Incontri di Giulio da Milano: Ortensio Lando, in "Bollettino Società studi valdesi", 1976, n° 140, p. 98

(13) - S. Caponetto, Infiltrazioni Protestanti in Garfagnana e Lunigiana orientale, Barga Medicea, Firenze, 1986, p. 196

(14) - Bondi, L'agostiniano Alessio Casani di Fivizzano (1491-1570) e le sue memorie inedite, cit. pag. 31, p. 70

(15) - F. Tocchini, Note sulla Riforma a Lucca dal 1540 al 1565, Bollettino storico lucchese, IV, 1932, p. 113

(16) - Cfr. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, Cap. L'Italia e il Papato, Giulio Einaudi editore s.p.a., 1992, Torino cit. pag. 107, p. 530.

(17) - M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Einuadi, 1965, p. 449

(18) - P. Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, II, 2, Roma, 1951, pp. 291-292.

(19) - S. Bondi, L'agostiniano Alessio Casani di Fivizzano (1491-1570) e le sue memorie inedite, cit. pag. 31, p. 20.

(20) - S. Bondi, L'agostiniano Alessio Casani di Fivizzano (1491-1570) e le sue memorie inedite, cit. pag. 31, p. 21.

(21) - S. Bondi, L'agostiniano Alessio Casani di Fivizzano (1491-1570) e le sue memorie inedite, cit. pag. 31, p. 27

(22) - Biblioteca Universitaria di Genova, ms. E. VIII 15. f.38

(23) - S. Bondi, L'agostiniano Alessio Casani di Fivizzano (1491-1570) e le sue memorie inedite. cit. pag. 31, p. 28

(24) - S. Saponetto, Dell'Agostiniano Ambrogio Bolognesi e del suo processo d'eresia a Palermo, Biblioteque d'Humanisme et Renaissance, XX, 1950

(25) - S. Bondi, L'agostiniano Alessio Casani di Fivizzano (1491-1570) e le sue memorie inedit,. cit. pag. 31, p. 111