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CONVENTI agostinianI: Fivizzano

Particolare con Cristo in Trono, Altare di Sant’Ambrogio, Milano, Chiesa di Sant’Ambrogio

Particolare con Cristo in Trono,

Altare di Sant'Ambrogio, Milano,

Chiesa di Sant'Ambrogio

 

 

LE GEMME

 

 

 

La consuetudine di impiegare la pasta vitrea in sostituzione delle gemme preziose, risale già all'epoca romana, quando veniva utilizzata per la realizzazione di piccoli oggetti ornamentali quali vaghi di collane, orecchini e finte pietre preziose da incastonare negli anelli. [30] L'arte cristiana fece largo uso delle pietre preziose e delle paste vitree, poiché questi materiali si prestavano particolarmente alla realizzazione di oggetti preziosi, la cui bellezza doveva innalzarli dal piano materiale e terreno. Anche all'interno della Bibbia si trovano dei riferimenti alle qualità dei cristalli e delle pietre preziose in genere, che venivano accostate all'acqua e all'oro, [31] e un frequente richiamo sulle qualità più significative di questi materiali: la trasparenza, la luminosità, la preziosità. [32]

Dalla lettura del libro dei libri, si coglieva la tendenza intrinseca delle lucenti pietre preziose a costituire un elemento di forza nel definirsi della visione di Dio, che è, propriamente, una visione dell'invisibile. I richiami alle qualità delle pietre preziose nella Bibbia sono molteplici, e tra questi è possibile ricordare: Ezechiele che parla del carro di Jahvè che avanza sotto un cielo in cui splende "similitudo ... firmamenti, quasi aspectus cristalli horribilis," [33] San Giovanni, che nell'Apocalisse scorge la Gerusalemme celeste ed il suo "lumen ... sicut crystallum," il "lumen aquae vitae, splendidum tamquam crystallum" e dinanzi al trono Dio e l'Agnello, il "mare vitreum, simile cristallo". [34] Anche in epoca altomedievale la produzione di gemme è ben documentata, soprattutto grazie all'usanza di porre nelle tombe il corredo personale posseduto in vita dal defunto. [35]  

L'Europa conobbe, grazie alle invasioni barbariche, un nuovo stile di realizzare gioielli e monili, basato su forti timbri cromatici e su montature innovative. La mancanza di una tecnica raffinata, per valorizzare le doti intrinseche delle pietre, permetteva, infatti, di avere anche una maggiore disinvoltura nella costruzione delle montature. La loro forma dipendeva principalmente dal significato che si voleva conferire loro, in un rapporto organico con la pietra, dal suo colore e dalla posizione all'interno dell'oggetto. La montatura non sempre era la protagonista, spesso infatti, era la pietra ad affermare la sua funzione in base al colore. In quest'epoca, la disposizione delle pietre veniva praticata in funzione del significato che il gioiello doveva assumere, e non in virtù alla sua bellezza. Le gemme in vetro erano inoltre utilizzate per la realizzazione di oggetti di culto quali rosari, reliquiari, mitre e molti altri ancora.

Nel corso del Medioevo, spesso le pietre veicolavano messaggi simbolici. Il problema del significato, conferito alle pietre in base al colore e alla posizione entro l'oggetto, ha una trattazione antica, tanto che già Marbodo [36] e Alberto Magno[37] ritengono che il potere delle pietre sia aumentato se montate in oro, argento. Quanto da loro affermato, lascia supporre il fatto che le montature non semplicemente per fermare le gemme, ma per accrescerne il valore simbolico ed il significato. Molto significativo a tal proposito è il caso dell'altare di Sant'Ambrogio a Milano, uno dei capolavori dell'arte carolingia, che è una vera miniera di gemme e montature di diversa tipologia che sottolineano, non certo casualmente, colore e ruolo. In esso vi è uno straordinario uso di "... filigrana, non tanto come riempitivo di campiture, come era tipico della produzione barbarica., quanto per definire i contorni e per nascondere le irregolarità inevitabili degli sbalzi delle cornicette, con una funzione non solo pratica e strutturale, ma anche decorativa". [38]

La produzione della pasta vitrea in sostituzione delle pietre preziose era un'attività concentrata principalmente a Venezia. Molte opere che venivano prodotte in serie da orafi e vetrai veneziani possono essere considerate imitazioni e sostituzioni di prototipi bizantini. Proprio a Venezia, punto nodale nelle vie commerciali, ci fu soprattutto in età medioevale una produzione mirata a scalzare la concorrenza greca e bizantina. Spesso l'uso di pasta vitrea era associato alla decorazione pittorica con la finalità di impreziosire i dipinti. Un esempio è senz'altro la "Maestà" dipinta da Simone Martini nel 1315 all'interno del Palazzo Pubblico di Siena. [39] Ulteriori testimonianze dell'uso delle gemme di vetro si trovano negli inventari del Tesoro della Santa Sede. In un inventario redatto sotto il pontificato di Bonifacio VIII compare la descrizione di numerosi oggetti preziosi nei quali l'ornamentazione è realizzata grazie all'inserimento di pietre preziose alternate a gemme in pasta vitrea.. Vengono citati molti oggetti quali guanti, medaglioni, ampolle decorate con pietre preziose "et aliis vitris diversorum colorum". [40]

Tra le varie tecniche utilizzate per realizzare questi oggetti si possono ricordare la lavorazione a nucleo friabile o a verga, la colatura in stampi aperti o chiusi e la soffiatura in stampi e forme di vario tipo. [41]

La lavorazione a nucleo appare nell'Età del bronzo, in Mesopotamia. [42] Questa tecnica prevedeva la modellazione di un'anima con la forma dell'oggetto desiderato attorno ad una verga metallica. L'anima, che generalmente consisteva in una combinazione di argilla e sabbia, veniva ricoperta con un vetro caldo, sia per immersione in un crogiolo, sia mediante ripetuti avvolgimenti di un filo di vetro. Dopo che l'oggetto era stato ricotto, si estraeva la verga metallica e si raschiava l'anima. La colatura a stampo ha origine anch'essa nell'Età del bronzo e prevede vari e molteplici metodi impiegati per la produzione di una vasta gamma di oggetti che vanno dal vasellame ai gioielli. Questi metodi si ispiravano agli antichi sistemi di lavorazione dei metalli e delle terrecotte.

Particolare dell'Altare di Sant'Ambrogio, con pietra incastonata

Particolare dell'Altare di Sant'Ambrogio,

con pietra incastonata

La forma più semplice di colatura, prevede l'utilizzo di uno stampo aperto, mentre procedimenti più complessi, prevedevano l'uso di più stampi, collegati fra loro, utilizzando la tecnica della cera persa o, più semplicemente, riempiendo lo spazio fra lo stampo esterno e quello interno con del vetro fuso. La soffiatura libera è stata, probabilmente, inventata nella seconda metà del I secolo a.C. nella zona dell'attuale Palestina. Tale tecnica, utilizzata ancora oggi, conobbe una notevole diffusione sotto gli imperatori della dinastia giulio-claudia. L'artigiano raccoglieva del vetro fuso all'estremità di un tubo di metallo cavo, chiamato canna da soffio, e soffiando creava una bolla o bolo. Il vetro era manipolato con spatole di legno e pinze o tagliato con appositi strumenti. In una fase successiva questa tecnica venne perfezionata con la soffiatura del bolo in appositi stampi. [43]

Le gemme sino al XVIII secolo venivano incastonate "a notte", vale a dire con la parte inferiore dell'alveolo, in cui erano accolte, chiuso dalla lamina metallica. Questo impediva alla luce di filtrare e di valorizzare le qualità di luminosità e di colore dei cristalli. Il fatto che la produzione di gemme fosse un'attività fortemente radicata nelle botteghe vetrarie è testimoniato da numerose fonti. Il problema legato alla falsificazione delle pietre preziose era molto sentito anche nel corso del Medioevo, tanto che a Venezia nel "Capitulare de Aurifex" stabilito nel 1233, si ordinava all'orefice "nullam duplam audeat mittere per se vel aliquem alium in auro" [44] proprio al fine di evitare ogni pericolo di confusione con una vera pietra preziosa. Ad esempio in un antico statuto dei cristallai di Murano, datato 06 maggio 1326, si sentì il bisogno di reprimere le falsificazioni "fermando et ordenando fo che da mo innavanti negun christaller né algun'altra persona, cittadin o forester, osa ni presuma per alcun modo o inzegno far o lavorar o fa far lavorar, ni vender ni far vender dople tutte de vetro." [45]

E i moniti severi contro la falsificazione ricompaiono nel capitolare dei cristallai del 1334 in cui si prescive "che da mò avanti algun osa, ni presuma far alguna Ancona o Cofanetto de vetro blanco pento d'oro qual confacesse ad Christallo … e ancora .. che da mo avanti i Verieri da Muran no possa far alguna dura de Vero che sia Corporal, ni atto a Corporal, sotto pena de soldi diese per cadaun Corporal, per loro fatto". [46] Va però precisato che nonostante tutti questi richiami ed intimidazioni la falsificazione delle gemme non si arrestò, tanto che ancora, nel 1445 il Senato della Repubblica di Venezia disponeva un'ordinanza specifica: "Consosia che si chome per experientia se vede el sia moltiplicade, et ogni dì moltiplichi in questa Città nostra assaie zoie false ..., s'andarà parte che da mo avanti alguna persona sì Terriera, come Forastiera, ... che conzerà o farà conzar alguna Pieracontrafacta al diamante, né algun vero rosso, .. né per simele ligarà alguna de le perdite, o farà ligar, chaza a pena per cadaun, et cadauna fiada che i sarà trovadi, de star anni do in una delle Prexon de sotto, et pagar lire mille". [47]

La produzione delle finte pietre preziose non conobbe sosta e dimostrazione ne è proprio il trittico di Fivizzano realizzato nel 1584, nel quale si fa un uso abbondante di gemme vitree, proprio con la volontà di imitare i più preziosi oggetti in oro decorati con pietre dure. Assieme al legno, il vetro è il materiale maggiormente utilizzato nella realizzazione di questo reliquiario, dove viene impiegato come protezione per le miniature e per le reliquie, con risultati di grande effetto, peraltro l'alternanza di piccoli globi in vetro per reliquie e di brillanti tessere di vetro colorato incastonate sulla superficie dorata conferiscono all'opera una grande ricchezza visiva. Tra tutti gli arredi sacri, nella realizzazione dei reliquiari, il lusso e la ricchezza sono sempre stati due elementi molto rilevanti, dato che si trattava di oggetti destinati a contenere quanto più di prezioso si trovava sulla Terra, i resti dei Santi, coloro cioè che erano entrati in contatto diretto con Dio.

Particolare tratto dalla trascrizione del 1732 da P.C. Vasoli, del certificato di autentica delle reliquie inserite nel trittico di Fivizzano

Particolare tratto dalla trascrizione del 1732 da P.C. Vasoli, del certificato di autentica

delle reliquie inserite nel trittico di Fivizzano

Proprio nei reliquiari del XVI secolo si assiste ad un progressivo cambiamento delle forme architettoniche che avevano caratterizzato tali oggetti nei secoli precedenti e che lasciano ora il posto a forme ed ornamentazioni più varie, comunque dominate da un gusto sensibile ai modi classicheggianti. Il trittico di Fivizzano si richiama però a modelli più vicini all'oreficeria medioevale, testimoniando la predilezione del committente per le tipologie più antiche ed ormai ben radicate nella tradizione. Questo non deve sorprendere ma, considerata la refrattarietà ai cambiamenti tipica degli oggetti rituali, è possibile considerare il trittico di Fivizzano come il risultato dell'accostamento di due elementi differenti: da un lato l'uso tipicamente medioevale di un reliquiario a fondo oro con l'inserzione dei vetri colorati che richiama le ben più preziose opere di oreficeria dell'Alto Medioevo, quali le ricche coperte degli evangeliari; dall'altro, l'inserzione di miniature.

Ed è proprio lo stile con cui sono realizzate le miniature a costituire il vero trait d'union con il XVI secolo. Ma a consentire una collocazione dell'opera entro limiti ben definiti dell'epoca in cui fu realizzata, è proprio l'uso tipico del periodo della miniatura svincolata dal suo precedente legame con il testo scritto. Prima di allora, infatti, testo ed immagine non avevano viaggiato mai separatamente.

 

 

Note

 

(30) - A tal proposito si legga quanto riportato in M. Mendera, Archeologia e storia della produzione del vetro preindustriale, Firenze, All'insegna del Giglio, 1991

(31) - Apocalisse 4, 6; 21, 18; 21, 21; Giobbe 28, 17

(32) - Ecclesiastico 43, 22; Salmi 147, 17.

(33) - Ezechiele 1, 22

(34) - Apocalisse 21, 11; 22, 1; 4, 6

(35) - D. Stiaffini, Il vetro nel Medioevo, Roma, Palombi 1999, p. 130

(36) - Marbodus Episcopus Redonensi, Liber Lapidum, in J. P. Migne, Patrologiae, Cursus Completus, CLXXI, Paris,1893, pp. 1762-63, in B. Zanetti, Cristalli e Gemme, Realtà Fisica e Immaginario, Simbologia Tecniche e Arte, Venezia 2003, p. 323

(37) - Alberto Magno, De la Virtù de le herbe e animali et pietre preciose, Venezia, 1537, in in B. Zanettin, Cristalli e Gemme, Realtà Fisica e Immaginario, Simbologia Tecniche e Arte, cit. p. 19, p. 323

(38) - S. Bandiera, L'altare di Sant'Ambrogio: indagine storico artistica, in L'altare di Sant'Ambrogio, a cura di C. Capponi, Milano 1996, p. 98.

(39) - Si veda a proposito quanto affermato da A. Cairola, Simone Martini e Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena, Firenze 1979.

(40) - L. Zecchin, Vetri e vetrai di Murano, Venezia, 1990, p. 67.

(41) - D. Stiaffini, Il vetro nel Medioevo , cit. p. 21, p. 130.

(42) - M. Bussagli, Ate del vetro, Roma, Editalia, 1991.

(43) - P. Marandel, U. Krempel, R. Lightbown, Vetri, gioielli, smalti, Milano 1982.

(44) - Stiaffini, Il vetro nel Medioevo, cit. p.21, pag 8.

(45) - B. Cellini, Trattati dell'oreficeria e della scultura, in Zecchin, Vetri e vetrai di Murano, pag. 316-317, op. cit. pag 8, Per capire cosa fossero queste "dople" o doppie, basta leggere il Trattato d'Oreficeria di Benvenuto Cellini, al cap. VI, dove egli ricorda di "avere veduo dei rubini e degli smeraldi fatti doppi, si come si usa far di cristallo dè rubini e degli smeraldi, e si attaccano insieme avendo fatto la pietra di due pezzi: le quali pietre false si fanno in Milano e si legano in argento". Questa produzione dunque era finalizzata alla creazione di monili dal costo accessibile capaci di soddisfare i desideri anche dei " poveri contadini e certa poveraglia della città". Ma se questo era l'aspetto positivo di questa produzione artigianale, ve ne era un altro molto meno nobile; Cellini critica quanti sfruttavano la propria maestria nella lavorazione del vetro, per falsificare gioielli ed oggetti di lusso: "... e questo è si che gli hanno preso una scaglietta di quei rubini indiani e acconciati con bellissima forma, e quel resto che va nascosto nella cassa dell'anello, cioè nel castone, questi l'anno fatto di cristallo; di poi gli hanno tinti et appiccati insieme, et appresso gli hanno fatti legare in oro con artifiziose e bellissime legature; e di poi hanno vendute le dette pietre per buone e per belle".

(46) - Stiaffini, Il vetro nel Medioevo, cit. p. 21 pag. 318.

(47) - Stiaffini, Il vetro nel Medioevo, cit. p. 21 pag. 318.