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FOCA ACCETTA: LA CONGREGAZIONE DEGLI ZUMPANI E LA PROVINCIA DI CALABRIA

Il monastero agostiniano di Paola

Monastero di Paola

 

 

IL TERREMOTO DEL 1873

di Foca Accetta

 

da ANALECTA AUGUSTINIANA, LXVII (2004)

 

 

 

All'indomani del terremoto del 1783, la distruzione materiale dei centri abitati, gli sconvolgimenti del territorio, le condizioni psicologiche e materiali delle popolazioni calabre furono per il governo borbonico l'occasione per assumere provvedimenti radicali e per alcuni versi innovativi, in linea con la politica anticlericale, avviata ormai da qualche decennio, e le idee illuministe portate avanti dagli intellettuali napoletani (A. PLACANICA, L'Iliade funesta. Storia del terremoto calabro messinese del 1783, Roma 1982; IDEM, Il filosofo e la catastrofe, Torino 1985; I. PRINCIPE, Città nuove in Calabria nel tardo settecento, Chiaravalle Centrale 1976).

Tra le disposizioni invocate e adottate, infatti, fu la decisione di abolire le case religiose, d'incamerare le rendite per "convertirle in sollievo di tanti miserabili venuti allo stato dell'ultima desolazione", e di sospendere la riedificazione "de' ricchi e superbi conventi, ed altre pie fondazioni, che i terremoti han rovinato". La descrizione delle strutture conventuali, inserita nei volumi delle Liste di Carico, conservati nell'archivio di Stato di Catanzaro, evidenzia come ai danni provocati dal sisma si aggiunsero quelli scaturiti per l'incuria e la sistematica spoliazione. Il convento e la chiesa di S. Maria del Soccorso d'Acquaro (ASCZ, Liste di Carico, vol. VII, f. 164) "restarono l'uno e l'altra intieramente diroccati, cosicché oggi non si osservano che mucchi di pietre". Mentre il convento di Catanzaro (ASCZ, Liste di Carico, vol. IX, f. 779) "è quasi intieramente diruto; per la parte superiore vi esiste però un braccio, [...] ma per rendersi abitabile ha bisogno di molto riattamento; sotto di esso vi sono poche camere, che sarebbero abitabili, ma si come il convento è fuori l'abitato, così non è agevole che fossero abitati.

La chiesa è destinata per parrocchia". Meno gravi, nonostante i segni dell'abbandono, sembrano le condizioni statico-funzionali dei due insediamenti di Monteleone (ASCZ, Liste di Carico, vol. XXIII, f. 420): S. Agostino (1423) e S. Maria della Pietà degli agostiniani scalzi (1614). "La chiesa è tutta in buon essere a riserba di una lesione che si trova verso il portico, e specialmente sotto l'antico campanile, quale avendo patito molto per li tremuoti, per conseguenza l'angolo della chiesa che stà attaccato al medesimo patì pure. La stessa è officiata dal priore Tripodi, prima agostiniano ed ora sacerdote secolare. Contiene sette altari, uno maggiore e l'altri minori. Gli stessi sono arcati di pilastri, e colonne di stucco, e quadri in mezzo. Sopra la porta esiste il coro de' monaci colla parata di legname in buon essere. Evvi il pulpito fatto parimenti di legname. L'intempiata della stessa chiesa, come pure quella dei presbiterio e delle cappelle, sono in buon essere. Il convento però patì molto per causa de' tremuoti.

Lo stesso è stato assegnato per Casa di Corte, e ultimamente si fece perizia per i risacrimenti che vi bisognano. La sagristia è sana, e contiene un solo armadio da un lato colle sue credenze per uso de' sagri arredi. [...]. La chiesa ed il convento dei pp. agostiniani scalzi restarono molto lesionati per causa de' tremuoti, ma essendosi poi tolta la copertura dell'una e dell'altro, le mura maggiormente vennero a patire coll'introduzione delle acque piovane, onde al presente si veggono ruinose. Sopra la chiesa solamente esisteno poche tegole, e quantunque vi è altresì poco legname lo stesso è tutto infracidito.