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Percorso : HOME > Iconografia > Cicli > Seicento > Miguel de SantiagoCICLo AGOSTINIANo di Miguel de Santiago a QUITO

Le tentazioni di Agostino
MIGUEL DE SANTIAGO
1656
Monastero agostiniano di Quito
Le tentazioni di Agostino
La scena si svolge in un ambiente macabro illuminato solamente da una luce che scende dall'alto a sinistra. Il fascio luminoso colpisce un Agostino seminudo che si sta flagellando e contrasta nettamente con il panorama circostante dominato da tonalità scure e tenebrose. Il santo ha un aspetto giovanile con una folta barba e con l'aureola in testa. Con la mano destra impugna un flagello con cui frusta la sua spalla sinistra. Il braccio sinistro disteso regge con la mano un cranio.
Alle spalle di Agostino si intravede nella penombra la figura minacciosa del demonio con un volto beluino e doppie corna, con ali nere che gli spuntano dalle spalle e zampe d'animale. Ai suoi piedi si aggira un animale pericoloso, una specie di drago con le ali e una lunga coda serpentiforme.
Sullo sfondo un cielo cupo e scuro nasconde fra le nuvole la luna, generando un ambiente tenebroso dove risaltano monti lontani, un ponte, alcune piante e dei recinti di giardini.
La scena sembra richiamare il periodo in cui Agostino è ancora soggetto ai desideri della carne e della gloria terrena, senza affidarsi ancora all'aiuto divino.
Nelle Confessioni scrive (8, 11, 26): "A trattenermi erano le più vacue frivolezze e vanità di vanità, mie vecchie amiche, che mi tiravano per la veste di carne e sussurravano di sotto in su: "Non vorrai lasciarci ?" e "D'ora in poi non staremo più con te, mai più!"
"D'ora in poi non potrai più fare questo e quello, mai più!" E che insinuazioni sotto ciò che ho chiamato "questo e quello", che insinuazioni, mio Dio! La tua pietà le rimuova dall'anima del tuo servo. Che cose sordide, laide ! Ma io le udivo ormai a metà o molto meno: non mi venivano incontro con le loro obiezioni a viso aperto, ma bisbigliavano dietro le spalle come stuzzicandomi furtivamente, perché mi voltassi a guardare mentre fuggivo. Per colpa loro però mi attardavo, ed esitavo a strapparmele, a scuotermele di dosso e a volare in un salto là dove ero chiamato, mentre l'abitudine con tutta la sua forza insisteva: "E pensi di poterne fare a meno?"
Nello stesso tempo si fa avanti il desiderio della Continenza, a cui Agostino affida il proprio destino, come leggiamo in un passo successivo delle Confessioni (8, 12, 27) : "Ma ormai parlava senza più calore. Ormai da quella parte a cui guardavo e fremevo di passare qualcuno mi si stava rivelando: era la sobria distinzione della Continenza, con il suo sorriso luminoso e discreto, e il cenno carezzevole e il contegno con cui pareva invitarmi a venire da lei senza esitare più.
E protendeva verso me devote mani, quasi a ricevermi e abbracciarmi, piene di buoni esempi, a grappoli. Tanti bambini e bambine, e poi ragazzi e giovani e gente d'ogni età, e vedove posate e antiche vergini: e in tutti questi la continenza non era affatto sterile, ma generava figli di gioia da te, Signore, loro sposo. E il suo sorriso era insieme di invito e d'ironia, quasi dicesse: "Non avresti il potere che hanno questi ragazzi, queste donne? E loro lo trovano in se stessi, e non nel loro Dio e Signore? Il loro Dio e Signore me li ha dati. Perché ti tieni a te stesso, e non ti contieni? Gettati in lui, senza paura: non si ritirerà perché tu cada! Gettati senza angoscia, ti accoglierà e tu sarai guarito".
E la vergogna mi faceva paonazzo, perché intanto continuavo a udire il sussurro di quelle fantasticherie, ed ero ancora esitante, sospeso. E lei di nuovo pareva riprendere a parlare: "Fatti sordo alla voce impura del tuo corpo sopra la terra, per mortificarlo. Ti parlano del piacere, ma non conforme alla legge del tuo Dio e Signore." Questa controversia era tutta nel mio cuore, c'ero soltanto io contro me stesso. Alipio, immobile al mio fianco, attendeva in silenzio l'esito della mia inusitata agitazione."