Contenuto
Percorso : HOME > Monachesimo agostiniano > Storia dell'Ordine > Magna Unio > Studi storici > Balbino RanoBalbino rano: LA STRUTTURA DELL'ORDINE AGOSTINIANO
Agostino teologo: frontespizio di Giansenio
LA STRUTTURA DELL'ORDINE AGOSTINIANO
di Balbino Rano
Nel breve Prae ceteris (2 luglio 1512) Giulio II indicava che l'Ordine agostiniano si componeva di "quattro gradi, ossia: dei Frati, delle Monache, dei Mantellati e di quelli cinti della sola cinghia" (L. da Empoli, Bullarium, p. 214). Nella terminologia abituale, si direbbe che questi quattro gradi erano costituiti dai Frati che pronunciano i voti solenni, quelli di cui si tratta in maniera particolare in questo articolo; dalle monache Agostiniane; dal Terz'ordine agostiniano e dalla Società di sant'Agostino o Cinturati. Il loro complesso costituisce la famiglia agostiniana. L'Ordine è stato annoverato dal 1256 tra i Mendicanti, dove occupa il terzo posto.
Lo dichiara la bolla di unione Licet Ecclesiae catholicae (9.4.1256), in cui si esprime la richiesta degli interessati: "che con la grazia dell'unione e di tale conformità venisse loro concessa, secondo il desiderato voto di povertà, una spontanea e perpetua abdicazione dai beni terreni". Questa povertà collettiva dell'Ordine come mendicante non esigeva che tali fossero le singole case.
Di fronte alla protesta di alcuni che ritenevano che la clausola pontificia comportasse un obbligo di povertà per tutte le case dell'Ordine, la questione venne discussa nel capitolo generale di Roma (1257) e si concluse con la risposta negativa. Non era stata quella l'intenzione di Alessandro IV, benché non l'avesse indicato espressamente nella bolla di unione, e neppure di coloro che avevano partecipato al capitolo del 1256. Il motivo principale che venne addotto fu che vi erano case site lontane da luoghi abitati, le quali avrebbero ben difficilmente potuto difendersi se non avessero avuto proprietà. Il cardinale Riccardo degli Annibaldi approvò questa interpretazione, che venne confermata da papa Alessandro IV con la bolla Iis quae (13.6.1257).
La concessione veniva fatta a quei conventi o quelle case che desiderassero possedere, "affinché coloro che desideravano proprietà, onde non essere costretti per il sostentamento del corpo e la cura delle cose necessarie a girare con l'affanno di Marta per ogni dove, potessero possedere lecitamente le cose che già avevano e acquistare in modo ragionevole e giusto quelle non ancora possedute; oppure potessero desiderare di osservare il voto di spontanea povertà e restarsene contenti nel proprio voto, come non avessero nulla e possedessero tutto" (AnalAug 3 [1909-10] p. 30).
Tale privilegio fu molto vantaggioso per mantenere l'Ordine in una maggiore tranquillità, evitando un buon numero di discussioni inutili: l'Ordine continuava a essere mendicante, come indica Clemente IV nella bolla Ad consequendam gloriam, (12 novembre 1265), con cui concedeva ai Francescani il privilegio delle 300 canne, che cioè nessun altro Ordine mendicante potesse costruire una casa che fosse più vicina a essi della distanza suddetta. Il Papa avverte espressamente che viene considerato mendicante pure l'Ordine nel quale alcuni membri (case) possiedano e altri no (BullRomTaur 3 [1858] 759-60). Con una bolla del medesimo titolo Bonifacio VIII estendeva tale privilegio, ridotto però già a 140 canne, all'Ordine agostiniano (19 febbraio 1295), rinnovando la medesima dottrina (L. da Empoli, Bullarium, p. 48s). Poiché esso viene classificato al terzo posto tra gli Ordini mendicanti, dopo i Domenicani e i Francescani, nel 1326 il padre generale Guglielmo da Cremona dichiara che l'Ordine agostiniano "è la terza colonna nell'edificio di Dio" (AnalAug 4 [1911-12] p. 29). In questo medesimo posto lo classificò Pio V nella bolla Romanus Pontifex (3 ottobre 1567), determinando e stabilendo la precedenza degli Ordini mendicanti (cfr. BullRomTaur 7 [1862] 614-17). Non mancarono tuttavia alcune tensioni nell'Ordine a motivo del problema della povertà.
Già nel sec. XIII si osserva che vi era la tendenza a evitare l'uso del privilegio di Alessandro IV, desiderando che tutte le case fossero di fatto mendicanti, non avendo proprietà che andassero al di là dei muri che limitavano i terreni attorno al convento. Il capitolo generale di Ratisbona (1290) dispose che venisse venduta qualsiasi altra proprietà, affinché tutti i conventi avessero "come fondamento la povertà". Tale disposizione passò, convenientemente adattata nella sua redazione, nelle costituzioni approvate nel medesimo capitolo. Se ne propongono i motivi dicendo che è necessario mantenersi liberi dalle preoccupazioni del secolo, per servire con assiduità e umiltà Dio "mediante le Messe, le preghiere, la predicazione e la lettura della Sacra Scrittura" (c. XLIV, ed. I. Aràmburu, n 467, p. 146). In realtà tale disposizione non divenne mai effettiva in tutto l'Ordine.
Nel corso dei tempi si ebbero diversi ferventi sostenitori della povertà generale dell'Ordine: Giordano da Sassonia se ne dimostra assolutamente appassionato nel suo Vitasfratrum. In realtà vi era una causa molto influente contro la rinuncia totale: il fatto che sant'Agostino non lo aveva prescritto né insegnato. L'Ordine è uno di quelli esenti fin dal sec. XIII. L'esenzione venne ottenuta a poco a poco, seguendo le orme dei Domenicani e dei Francescani. Già tramite la bolla Religiosam vitam eligentibus (26.4.1244), vennero concesse diverse cose, come abbiamo visto parlando dell'origine dell'Ordine. Però neppure la bolla Oblata Nobis di Alessandro IV (20 aprile 1257) costituisce una pietra miliare sulla via della esenzione. Bisogna attendere il pontificato di Niccolò IV per ottenere una esenzione sufficientemente considerevole. Il 23 agosto 1289, con la bolla Religiosam vitam suscipientibus, Niccolò IV concede l'esenzione al priore generale e ai frati dell'Ordine, alle case, sia quelle nelle quali abitano che le altre acquistate in qualsiasi modo, alle persone che in tali case servono come pure agli oblati, dovendo questi ricevere sepoltura nell'Ordine. Celestino V arricchì l'esenzione con la bolla Dum sollicitae (12 novembre 1294), in cui conferma tutte le grazie già concesse dai papi precedenti e ne perfeziona il contenuto, dichiarando che per nessun motivo o delitto possano venire citati avanti a un giudice ecclesiastico o secolare, ma che in casi simili gli interessati possono fare ricorso alla Santa Sede. Fino ad allora, non si era parlato in nessuna bolla della esenzione nella predicazione e nelle confessioni: lo fa il medesimo Celestino con un'altra bolla che porta la stessa data, intitolata Ad fructus uberes.
Il Papa concede che il p. generale da solo o i provinciali con i loro definitori riuniti in capitoli selezionino o destinino alla predicazione o alle confessioni i religiosi eruditi in Sacra Scrittura che essi ritengano adatti, senza che nessuno possa impedire a questi la predicazione o le confessioni, poiché l'esercizio di tale attività è da considerare come affidato loro per autorità apostolica. Quanto fece Celestino V, venne ripetuto quasi con le stesse parole da Bonifacio VIII. Con la bolla Sacer Ordo vester (21 gennaio 1299), concede loro e ripete quanto aveva concesso Celestino V con la Dum sollicitae. Non contiene tuttavia la clausola che proibisce la citazione dinanzi a qualsiasi giudice che non sia la Santa Sede, per qualsiasi delitto. Ricorda che, in precedenza, ha decretato di volere che l'Ordine "si mantenga in uno stato fermo, solido e stabile": con queste parole si riferisce alla soppressione, fatta nel marzo 1298 nella costituzione del II Concilio di Lione, Religionum diversitatem, pubblicata da Gregorio X, della clausola che lasciava gli Ordini degli Agostiniani e dei Carmelitani nel loro stato, finché la Santa Sede non avesse determinato altrimenti. La soddisfazione nell'Ordine fu grande quando tale decisione venne comunicata con la bolla Tenorem cuiusdam constitutionis (5 maggio 1298); veniva a cessare così quell'incubo che sempre pesava su di esso a riguardo del futuro. Finalmente, con la bolla Inter sollicitudines nostras (16 gennaio 1303), concede nuovamente la esenzione nella predicazione e nelle confessioni, con la medesima forma di selezione dei religiosi che era stata determinata da Celestino V.
Aggiunge pure un terzo elemento: il privilegio di poter dare sepoltura nei propri conventi e nelle proprie chiese, salvo restando l'obbligo di versare la quarta portio funeraria, che il Papa aveva disposto nella Super cathedram (1300). E così con tutte queste concessioni, l'esenzione era praticamente completa. Mancava un dettaglio, per il quale gli Agostiniani ricorreranno a Clemente VI. Bonifacio VIII non parlava nella sua bolla della proibizione di venire citati dinanzi ad altri giudici che non fossero la S. Sede. Clemente VI, facendo menzione del privilegio di Bonifacio VIII, lo conferma e colma questa lacuna con la sua bolla Ad fructus uberes (19 luglio 1347). Per la concessione delle grazie e dei privilegi che abbiamo ricordato, Bonifacio VIII venne considerato dall'Ordine il Papa maggiormente benefico. In quanto mendicante, l'Ordine viene enumerato tra gli Ordini clericali. Questo tuttavia non avviene perché il sacerdozio o il clcricato siano ritenuti qualcosa di essenziale a esso, ma piuttosto perché si cerca che il maggior numero dei suoi membri, pur con libertà di opzione di ciascuno, divengano sacerdoti, in vista di un servizio più diretto nel ministero pastorale. Il governo interno supremo dell'Ordine è costituito dai capitoli generali. All'infuori dei capitoli generali è tale il p. generale con o senza il consiglio generalizio, a seconda dei casi. I capitoli generali sono stati celebrati in circostanze ordinarie ben diverse nel corso dei secoli. Dalla fondazione dell'Ordine fino al 1281 erano celebrati ogni anno. Venne omesso, per circostanze indipendenti dalla volontà, quello del 1280, che pure secondo la disposizione del capitolo del 1279, celebrato a Perugia, avrebbe dovuto essere adunato in quell'anno a Padova.
E appunto a Padova venne celebrato nel 1281. In esso si determinò che d'allora in poi il capitolo sarebbe stato celebrato ogni tre anni, procurando di celebrarlo nelle diverse regioni, "per l'onore dell'Ordine". Come motivo di questa modifica, si sostiene che la prassi anteriore causava molte spese alle province e che si impediva spesso il bene spirituale. I capitoli triennali si chiamavano "generalissimi" e in essi veniva fatta l'elezione del p. generale. Gli altri capitoli celebrati nei due anni intermedi, venivano chiamati "generali". Dopo questa determinazione, tutti i capitoli che si celebrano vengono chiamati semplicemente capitoli generali. Tale era l'importanza che si dava loro ancora nel sec. XV, che Andrea Biglia, nel discorso pronunciato nel capitolo di Bologna (1525), si lamentava delle circostanze che non avevano consentito in quei tempi di celebrarlo con la dovuta frequenza, poiché "in nessun modo era lecito, eccetto per gravissima necessità, far passare più di un triennio" (De disciplina Ordinis). La data di celebrazione solitamente era quella di Pentecoste. La norma del triennio venne a cadere con la celebrazione del capitolo di Montpellier (1430). In questa data, si stabilì che lo si celebrasse ogni quattro anni. Nel capitolo di Roma (1575) si determinò che, d'allora in poi, si sarebbe celebrato ogni sei anni per evitare spese e insieme per risparmiare incomodi agli oltramontani. Si stabiliva inoltre che, nel corso dei sei anni, se ve n'era necessità, si celebrassero talune "congregazioni" o riunioni dei priori provinciali e dei priori dei conventi generalizi. In realtà, non si celebrò mai alcuna congregazione o riunione. Nel capitolo di Bologna (1745) si affrontò la questione e si approvò la decisione della carica vitalizia del padre generale; per questo, si decise pure che i capitoli si sarebbero celebrati solo alla morte del p. generale o se questi venisse a mancare per altro motivo. Soppresso, nel capitolo di Roma (1786), il generalato vitalizio, si ritornò alla prassi dei sei anni. Nel 1968 venne celebrato il capitolo generale speciale per lo studio e l'approvazione delle nuove costituzioni, le quali prescrivono che si tenga un capitolo ogni tre anni, anche se l'elezione del priore generale avverrà soltanto ogni sei anni.
I capitoli generali si celebrarono quasi sempre in Italia. Il primo che si sappia tenuto fuori d'Italia è quello di Ratisbona (1290). Tutti quelli precedenti sembra siano stati celebrati in Italia. Quelli non elettivi anteriori al 1281 lo furono quasi sicuramente, dal momento che vi assistevano unicamente gli italiani (AnalAug 2 [1907-08] p. 225). Nonostante che il capitolo di Padova (1281) avesse deciso che i capitoli successivi venissero celebrati in diverse regioni "per l'onore dell'Ordine", prima di quello di Ratisbona non se ne celebrarono altri fuori d'Italia. Il successivo, celebrato fuori d'Italia, fu quello di Montpellier (1324). Dopo questo, fino a quello di Ferrara (1406), vennero celebrati alternativamente in Italia e fuori d'Italia. Dal 1470 fino al 1965 vennero celebrati tutti in Italia, anzi dal 1582 quasi tutti a Roma. I superiori generali dapprima vennero eletti ogni tre anni, con la possibilità di essere confermati nei trienni successivi. In un primo tempo il priore generale doveva essere confermato dalla S. Sede prima di cominciare a governare. Date le difficoltà di ricorrere con prontezza alla Santa Sede per ottenere la conferma, l'Ordine ottenne da Alessandro IV, con la bolla Solet annuere (17 luglio 1255), che il padre generale potesse amministrare l'Ordine, una volta eletto, sempre che non si fosse trattato di alienare beni, anche prima di ricevere la conferma del Papa o, in sua vece, del cardinale Riccardo degli Annibaldi. Se, quando si celebrava il capitolo, la Sede Apostolica era vacante, il p. generale restava ancora in carica sino alla creazione del nuovo Papa. Così prescrive il testo delle Costituzioni del 1284. La rinuncia alla carica di padre generale in ogni capitolo doveva essere accettata in nome del Papa dalla persona o dalle persone che il Papa avesse delegate. Il capitolo generale di Ratisbona chiese di procurare di ottenere il permesso che il padre generale potesse cedere l'ufficio nelle mani del capitolo. Bonifacio VIII lo concedeva con la bolla Sacrae religionis merita (8 aprile 1298). Anche la necessità che il Papa dovesse confermare il padre generale eletto, era fonte di non poche difficoltà e rischi.
Per questo Clemente V concesse, con la bolla In Ordine vestro (18 giugno 1308), che il padre generale venisse considerato approvato con autorità apostolica nel momento in cui l'eletto avesse accettato l'elezione; gli ordinava unicamente di presentarsi al Papa entro il primo anno di superiorato. Tale grazia venne rinnovata da Sisto IV con la bolla Dum fructus uberes (7.2.1475), ma senza l'obbligo della visita. Il padre generale veniva aiutato da alcuni membri dell'Ordine denominati "soci" del p. generale. Presso la Curia romana si trovava sempre il procuratore generale dell'Ordine per trattare le questioni dinanzi alla S. Sede. Mutata la frequenza di celebrazione dei capitoli, cambiò pure la durata del mandato dei padri generali, quantunque potessero venire rieletti senza limitazione di tempo sino al 1587. In tale anno Sisto V, non contento, a quanto pare, del fatto che nell'Ordine il padre generale venisse eletto per sei anni senza alcun obbligo di convocare capitoli in questo periodo intermedio, ove non sorgesse qualche questione grave, ordinò che, d'allora in poi, nessuno potesse venire rieletto. Nel 1745 venne stabilito che il p. generale fosse eletto a vita, senza alcun obbligo di convocare capitoli durante tale suo mandato. Ve ne furono due soltanto. Stanchi del lungo periodo del secondo, padre Francesco Saverio Vàzquez, generale dal 1753 al 1785, considerato soprattutto che era il terzo non italiano dall'inizio dell'Ordine, il generalato venne ridotto nel 1786 alla durata di sei anni. Nel 1859 il Papa dispose che i padri generali venissero eletti d'allora in poi per 12 anni; come motivazione veniva addotta la convinzione che sei anni erano troppo pochi per poter compiere ciò che era di competenza di un superiore generale.
Vi era tuttavia un capitolo o congregazione intermedia per rinnovare gli altri incarichi della curia generalizia e trattare i problemi dell'Ordine. La durata del generalato rimase così fissata fino al 1907, quando si determinò che essa fosse di sei anni, con la possibilità di rielezione. Quanto al governo centrale dell'Ordine, si ebbe un mutamento considerevole nel 1592. Il capitolo generale, secondo la disposizione di Clemente VIII, elesse due assistenti del p. generale, uno italiano e uno spagnolo, che d'allora in poi avrebbero formato il suo consiglio. Fino ad allora le decisioni erano dipese dal solo p. generale; d'allora in poi, per diverse cose, avrebbe dovuto consultare i suoi due consiglieri o assistenti. Quando questi due erano d'accordo, allora il p. generale era tenuto a seguirne l'opinione, salvo sempre il suo diritto di ricorrere alla S. Sede. Clemente VIII concretò i particolari di questo nuovo ordinamento nelle bolle De prospero (5 luglio 1593), e Quae a Nobis alias (27 aprile 1598). Nel corso del tempo si è andata perfezionando la loro funzione e ne è pure cresciuto il numero. Attualmente, essi possiedono l'incarico di essere ciascuno rappresentante di una attività dell'Ordine e allo stesso tempo di rappresentare una regione o una serie di province dinanzi alla curia generalizia, oltre a far parte del consiglio dell'Ordine. Fino al 1898 quasi tutti i generali furono italiani. Dopo tale data, il generalato acquista una nota ben marcata di internazionalità. Il primo generale non italiano fu il padre Tommaso da Strasburgo, eletto nel 1345. Vi fu un francese, Guido da Belregard o di Tolosa, eletto nel 1371.
Il successivo generale non italiano fu il peruviano Francesco Saverio Vàzquez, in carica dal 1753 al 1758. Nel 1800 il Papa nominò lo spagnolo padre Giorgio Rey; pure spagnolo fu il padre Venanzio Villalonga, nominato dal Papa nel 1829, secondo l'alternativa posta nel generalato di diversi Ordini tra la Spagna e le altre nazioni in virtù della bolla Inter graviores di Pio VII (15 maggio 1804). L'ultimo non italiano, prima del 1898, fu il maltese padre Paolo Micallef (1759-1865), che divenne in seguito arcivescovo di Pisa. Sotto l'alta direzione del governo centrale, l'Ordine, almeno dal 1256, si suddivise in province secondo la forma moderna. Dico secondo la forma moderna, poiché sembra che, già prima del 1256, esistessero province, almeno due, che dovevano essere secondo lo stile di una visitazione di stile cistercense o premostratense. Infatti, i loro superiori immediati, per così dire, non erano priori provinciali, ma visitatori. Nella bolla Hiis quae (31 luglio 1255), che approva le riforme decise in un recente capitolo generale sul governo dell'Ordine, appaiono soltanto il priore generale, quello locale e i visitatori; non si cita affatto, come sarebbe stato richiesto dalle circostanze se egli ci fosse stato, il priore provinciale. Si diceva ordinariamente che, a motivo dell'unione del 1256, vennero create quattro province: una in Italia, un'altra in Spagna, un'altra in Francia e un'altra in Germania. In realtà, ci sono seri motivi per ritenere che ne siano state create diverse, almeno in Italia. Una determinazione del capitolo generale di Siena (1295) ci offre i nomi dei definitori e delle province che essi rappresentano: a quella data, vi erano già 16 province. Le province hanno sempre celebrato i propri capitoli, che sono la loro maggiore autorità interna.
E' variata la frequenza della loro celebrazione: all'inizio si celebravano tutti gli anni; poi in seguito, ogni due anni; posteriormente ogni tre o quattro anni; attualmente, ogni due anni. Prima l'elezione dei priori provinciali veniva fatta in ogni capitolo; oggi si fa ogni quattro anni. I provinciali sono sempre stati eletti dai membri delle province attraverso i loro rappresentanti. Soltanto dal 1969 viene ammessa la votazione diretta, mediante lettera, da parte di tutti i membri con voce attiva. Oltre alle province, nell'Ordine sono esistite le congregazioni. Queste sorsero "inizialmente" a partire dal 1387, e si sono raggruppate in congregazioni di Osservanza e congregazioni di Scalzi. Quelle di Osservanza sorsero con il fine primordiale e quasi esclusivo di restaurare la genuina osservanza dell'Ordine in pieno accordo con la regola e le costituzioni, osservanza che era molto decaduta. Facevano parte di tali congregazioni quei conventi che decidevano di osservare nella loro pienezza la regola e le costituzioni dell'Ordine: essi venivano di conseguenza sottratti all'autorità dei priori provinciali e sottoposti alla giurisdizione immediata del p. generale o di un suo vicario. I vicari del p. generale esercitavano ordinariamente l'autorità dei provinciali, e le congregazioni passarono a essere considerate nella loro struttura giuridica come le province. Viene considerata come prima congregazione di Osservanza quella "iniziata" nel 1387 a Lecceto (Siena), dove si formò un centro di spiritualità di grande fama. Fu lì che santa Caterina da Siena incontrò diversi dei suoi migliori discepoli e maestri, tra i quali merita un ricordo speciale l'agostiniano inglese Guglielmo Flete, che fu uno di coloro che più influirono sulla spiritualità della Santa.
Le congregazioni di Scalzi nacquero verso la fine del sec. XVI nel clima spirituale creatosi in Spagna, soprattutto durante il regno di Filippo II, che spinse i membri di diversi Ordini a ricercare una vita più austera e penitente di quanto fosse richiesto dalla regola e dalle costituzioni. E in questo non mancò di esercitare un certo influsso e stimolo la riforma carmelitana scalza, benché questa fosse frutto di altre circostanze. Non si trattava, infatti, di una riforma che sollecitasse anzitutto un ritorno necessario all'osservanza sostanziale delle leggi, ma piuttosto si desiderava dare loro un migliore e più esatto compimento in purezza e precisione. Neppure si trattava, per principio, di costituire nuove congregazioni dell'Ordine, ma di dedicare alcuni conventi già esistenti o di fondarne altri nuovi, nei quali si potessero ritirare coloro che desideravano vivere questa maggiore austerità e questa vita più penitente e raccolta, eminentemente contemplativa. Talvolta però si appartarono dall'orientamento genuino dell'Ordine. Le nuove congregazioni seguirono la figura giuridica delle congregazioni di Osservanza. L'Ordine favoriva tali movimenti, purché essi non attentassero alla sua unità e si mostrassero espressione di un autentico pluralismo nell'unità, così conforme allo stile dell'Ordine. Già nel capitolo generale di Roma (1575) era stata emanata una determinazione che li favoriva e che passò nelle costituzioni, pubblicate a Roma nel 1581. L'unità era condizione pienamente essenziale di sussistenza. Tuttavia esse lasciarono molto a desiderare in questo come pure, conseguenza che ne derivava, nell'obbedienza al padre generale. Anzi, la prima esperienza di questa vita mutò molto presto il suo autentico sentimento di vita fondazionale. La prima congregazione di Scalzi nell'Ordine fu quella degli Scalzi o Recolletti di Spagna e Indie. Gli statuti speciali o "Forma de vivir" furono redatti da persone veramente eminenti, come fra Luigi de Leòn, e vennero approvati (20 settembre 1589) dal padre provinciale e dai definitori, uno dei quali era lo stesso fra Luigi de Leòn. Il 19 ottobre la "recollezione" agostiniana venne avviata nel già veterano convento di Talavera de la Reina. Di fronte all'insuccesso di questo primo tentativo, la provincia di Castiglia cercò di dar vita, nel 1598, a un secondo che rispondesse alla stessa missione per la quale era stato avviato il primo.
Esso continuò senza dubbio a far parte dell'Ordine e continuò ad esserlo per diversi secoli; solo nel 1912 questa congregazione si separò dall'Ordine in maniera un poco misteriosa e confusa, costituendosi nell'Ordine degli Agostiniani Recolletti. E stato ripetuto insistentemente che fu questa congregazione a dare origine alla congregazione degli Scalzi d'Italia e si sono creati non pochi luoghi comuni circa i suoi primi anni. In realtà, tale congregazione non ha niente a che vedere per la sua fondazione con quella della Spagna. La congregazione degli Scalzi d'Italia nasce dalla congregazione degli Eremiti di Sicilia o Centorbi. La sua fondazione ufficiale venne decretata dal padre generale dell'Ordine il 16 novembre 1593; suo fondatore fu il padre Ambrogio Staibanò e non il padre Andrea Diez. La congregazione si separò di fatto dall'Ordine agostiniano nel 193. La congregazione degli Eremiti di Sicilia o di Centorbi nacque il 22 maggio 1585, quando presero l'abito a Catania e cominciarono il noviziato a Centorbi il fondatore padre Andrea del Guasto e altri 12 compagni eremiti, tra i quali il padre Andrea Diez. Il l novembre 1586 emisero la professione solenne. Andrea del Guasto si era ritirato molto tempo prima a condurre vita eremitica su un monte di Giudica, dove si trovavano molti eremiti, seguendo l'esempio di Filippo Ducetti, che si era ritirato al tempo di Leone X sul monte di Scarpelli. Di lì gli eremiti, che lo avevano seguito, si erano propagati su altri monti e in altri luoghi isolati. Dopo 20 anni, Andrea decise di farsi religioso con voti solenni. A lui si unirono altri che avevano la stessa intenzione e decisero di affrontare la questione con il padre generale degli Agostiniani per fondare una congregazione che doveva far parte del suo Ordine. Il 2 febbraio 1579, il padre generale confermava le trattative di unione. Le difficoltà tuttavia non consentirono che ciò divenisse realtà fino al 1585. Il fondatore morì il 7 settembre 1617, a 83 anni di età. La congregazione continuò fino al 1828, quando venne unita alla provincia di Sicilia in seguito a un decreto emanato l'anno precedente.
Il 13 aprile 1592 entrarono a far parte dell'Ordine alcuni eremiti di Colorito (Morano, Cosenza). Il fondatore, il sacerdote Bernardo da Rogliano, emette la propria professione nelle mani del padre vicario generale dell'Ordine, Agostino da Fivizzano, e si prescrive che gli altri la faranno nelle mani di Bernardo e dei suoi successori. Bernardo era nato a Rogliano nel 1519. Il 14 maggio 1545 si ritirò a Colorito per vivervi da eremita. Ben presto gli si unirono altri e in questo modo si formò il gruppo sopra ricordato. Egli morì nel 1602. La congregazione continuò fino al 1751, quando venne unita alle province vicine. Qualche tempo prima (1555), era stata unita all'Ordine anche un'altra congregazione fondata da poco tempo con il nome di Eremiti di S. Paolo primo eremita. Poiché essa lasciava molto a desiderare nel suo comportamento, dopo aver avuto molta comprensione e benevolenza da parte dei superiori dell'Ordine, venne soppressa nel 1567. Il 15.7.1614 Paolo V univa all'Ordine un'altra congregazione con lo stesso titolo di Eremiti di S. Paolo primo eremita, di origine francese, fondata nel 1595 da Guglielmo Caller. Ad essi il padre generale Fulgenzio Gallucci ordinò il 20 luglio 1620 di accorciare un po' la parte posteriore inferiore del cappuccio, perché era troppo somigliante a quello degli Scalzi. Le due ultime congregazione esistenti nell'Ordine furono quelle di S. Giovanni di Carbonara (Napoli), fondata nel 1421 e unita alla provincia di Napoli nel 1947, e quella di S. Maria del Bosco in Sicilia, fondata l'11 agosto 1821 e unita alla provincia di Sicilia nel 1949. Benché in misura minore delle province, le congregazioni raggiunsero anch'esse, sommandosi le une alle altre, un buon numero. Quantunque, come abbiamo ricordato, giuridicamente giungessero a governarsi sullo stile delle province, eleggendo il vicario del p. generale nei loro capitoli, restava una grande differenza: mentre le province possedevano una propria divisione territoriale, senza doversi adattare ai confini delle province o regioni civili e geografiche, come dichiarò Giovanni XXII nella bolla Cum sitis (8 luglio 1330), esse non potevano invece coesistere le une nei territori delle altre. Ciò era richiesto dalla loro funzione di facilitare un migliore governo al padre generale, poiché il padre provinciale era a più diretto contatto con il proprio ambiente e poiché con queste suddivisioni l'Ordine poteva meglio adattarsi alle circostanze di luogo proprie di ogni regione. Le congregazioni, invece, dato che il loro scopo era di promuovere talune osservanze, potevano estendersi senza alcun limite di luogo. Si diede perfino il caso di congregazioni, come quelle degli Scalzi di Spagna e Italia, che possedevano diverse province all'interno della congregazione.
Anche nel secolo XIX si è cominciato ad ammettere province che, senza appartenere ad alcuna congregazione, non hanno limiti territoriali. Ciò fu dovuto soprattutto alle circostanze che indussero a creare nuove province in Spagna. L'esperienza è stata poco vantaggiosa, poiché si è limitata l'espansione territoriale dell'Ordine, concentrando le case di diverse province in luoghi ritenuti maggiormente adatti alla vita. Le cellule delle comunità più universali sono sempre state le comunità locali. Anche in esse è stata sempre attribuita un'importanza straordinaria al governo collegiale di fraternità e di dialogo. I superiori, chiamati sempre ufficialmente "priori", sono soggetti, oltre che ai superiori maggiori, in molte cose alle determinazioni dei capitoli locali. All'inizio, almeno fino al 1287, essi venivano eletti dalla propria comunità per un anno; in seguito, si proponevano tre nomi al capitolo provinciale, che ne sceglieva uno; più tardi, si è deciso di lasciare la libertà al p. provinciale e al suo consiglio di eleggere quelli che essi ritengono più convenienti. È da rilevare che ai capitoli delle case parteciparono sempre, con la stessa misura di diritti, fino al sec. XVI, sia i fratelli sacerdoti che quelli non sacerdoti. L'unica differenza era che, a motivo della giurisdizione, i fratelli non sacerdoti non potevano venire eletti priori o vicepriori né essere scelti come delegati per il capitolo provinciale. L'abito era lo stesso sia per gli uni che per gli altri. Prima di concludere questo paragrafo, conviene spendere alcune parole sul cardinale protettore. Si può dire che l'Ordine ebbe il proprio cardinale protettore fin dal momento della sua origine; anzi, che venne creato sotto la presidenza del cardinale protettore. Con la bolla Praesentium Nobis (16 dicembre 1243), Innocenzo IV nominava il cardinale Riccardo degli Annibaldi "correttore e provvisore", il che in pratica equivaleva a protettore. Dopo il Papa, era lui la maggiore autorità per l'Ordine. Sotto la sua presidenza si realizzò pure l'unione del 1256. Il 29 marzo 1257 Alessandro IV lo nomina già espressamente Protettore dell'Ordine, con la bolla Inter alias sollicitudines, affidandogli la guida, la disposizione e il governo dell'Ordine unito con la medesima autorità che sui Francescani possiede il rispettivo cardinale protettore. Il Papa gli ricorda il posto che egli ha avuto dal tempo di Innocenzo IV nello sviluppo dell'Ordine, con la conseguenza che "da allora i fratelli ti hanno considerato come loro padre benevolo e tu li hai abbracciati con sincera carità nel Signore". Dopo il Papa, egli doveva essere la più alta autorità sopra di loro. Il cardinale Riccardo compì il proprio incarico con vero impegno: a lui si deve in gran parte il trionfo dell'Ordine; la sua attività è avvertibile continuamente.
Morì nel 1276 e venne sepolto nella basilica del Laterano, dove si conserva il suo sarcofago, mentre una parte dei pezzi che componevano il suo primitivo mausoleo vengono conservati in ottimo stato nel chiostro della basilica. Alla morte di Riccardo, sembra che non gli succedette alcun cardinale protettore: pare supporlo la bolla Immensi molem di Niccolò IV (30 giugno 1288). Forse fu una decisione personale dello stesso Pontefice quella di nominare in tale data un nuovo cardinale protettore nella persona di Bernardo Laquissel, vescovo di Porto. Il motivo che viene addotto è che il Papa non può portare da solo tutto il peso del pontificato. Morto Bernardo nel 1294, la carica rimase nuovamente vacante e sembra che trascorresse molto tempo senza che venisse creato un altro cardinale protettore. Nel capitolo generale di Firenze (1326) si determinò di fare richiesta alla Santa Sede di un nuovo cardinale protettore; ma questa determinazione non venne soddisfatta e nel successivo capitolo generale, celebrato a Parigi (1329), venne ritirata. Si deve giungere fino al cardinale Pietro Roger (dal 1370 Gregorio XI) per poter conoscere un nuovo cardinale protettore. Dal secolo XV si ebbe una successione quasi continua.
Dal secolo XVII cominciano a essere poco più che semplici protettori nel significato immediato del termine, presiedendo ai capitoli generali. L'ultimo protettore fu il cardinale Amleto Cicognani († 1973), nominato da Giovanni XXIII nel 1962.