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Balbino rano: LA GRANDE UNIONE DEL 1256

Raffigurazione di Innocenzo III

Immagine di Innocenzo III

 

 

LA GRANDE UNIONE DEL 1256

di Balbino Rano

 

 

 

Era in corso lo sviluppo dell'Ordine sotto la larga protezione della Santa Sede, quando il 15 luglio 1255, Alessandro IV diresse congiuntamente ad essi e ai Guglielmiti una bolla dal titolo Cum quaedam salubria. Ordinava loro di inviare alla presenza del Papa nel luogo e nel tempo che sarebbero stati designati dal già noto cardinale Riccardo, diacono di S. Angelo, che continuava a essere il "correttore e provvisore", due delegati da ogni convento, dotati di ogni potere per accettare la volontà del Papa. Questi voleva, dice la bolla, "trattare alcune cose salutari ... che si riferivano a una comunione di carità e una conformità di osservanza regolare" tra tutti loro. Non per questo il Pontefice cessò dal continuare a favorire l'Ordine con l'invio di nuove bolle. Concesse altre grazie o confermò quelle passate, come se nulla fosse successo e nulla dovesse loro succedere nella trasformazione di vita fissata dal Papa.

Abbiamo già indicato talune di queste bolle. Ve ne sono molte altre. Il 17 luglio 1255 ordina ai vescovi di pubblicare e fare osservare le scomuniche che il generale dell'Ordine lancia contro i suoi membri (cfr. Cum contingat). Lo stesso giorno concede che il padre generale, una volta eletto, cosa che avveniva ogni tre anni, possa amministrare liberamente l'Ordine, anche prima di avere chiesto e ottenuto la conferma pontificia, sempre che non si tratti di alienare beni ecclesiastici (cfr. Solet annuere). Il 22 dello stesso mese conferma taluni cambiamenti nella forma e nel colore dell'abito, determinati dal card. Riccardo (cfr. Pia desideria). E il 31 approva gli atti di un capitolo generale - approva specificamente diverse decisioni - le cui conclusioni precisano vari punti del governo dell'Ordine per il futuro (cfr. Hiis quae). Ancora il 13 agosto concede loro, per evitare frodi, di non considerarsi citati da lettere della Sede Apostolica che ove si faccia menzione espressa dell'Ordine (cfr. Pacis vestrae).

 

Membri convocati e uniti

E' stato detto generalmente, senza sottoporre l'affermazione ad alcuna discussione, che la bolla Cum quaedam salubria convocò tutti coloro che realizzarono l'unione, coloro che vengono nominati dalle bolle di approvazione e dalle altre che a essa fanno riferimento: gli eremiti degli Ordini di san Guglielmo e di sant'Agostino, quelli di Fra Giovanni Bono, quelli di Montefavale e quelli di Brettino. Quantunque i cinque Ordini formassero effettivamente l'unione, non è possibile provare che anche i tre ultimi siano stati convocati con la bolla Cum quaedam salubria: questa era diretta "a tutti i diletti figli priori degli eremiti degli Ordini dei santi Agostino e Guglielmo". Se con "eremiti dell'Ordine di sant'Agostino" si volessero intendere pure in questo caso gli eremiti di Fra Giovanni Bono e quelli di Brettino, bisognerebbe provarlo con una documentazione che per ora non si conosce. Tale denominazione si andava formando esclusivamente per l'Ordine sorto in Tuscia nel 1244. La bolla di approvazione dell'unione e altre varie distinguono con chiarezza tra l'Ordine degli eremiti dell'Ordine di s. Agostino e gli Ordini degli eremiti di Fra Giovanni Bono e di Brettino, che possedevano anch'essi la Regola di s. Agostino.

Non vi sono motivi per respingere la possibilità che gli ultimi tre Ordini indicati venissero inclusi e convocati in un secondo tempo, come effetto di una decisione posteriore. In tal caso, la prima idea sarebbe stata di unire semplicemente gli eremiti degli Ordini di s. Agostino e di s. Guglielmo; in tal modo, la S. Sede sarebbe ritornata sulla propria decisione, per includere in un solo Ordine, formato principalmente da elementi della Tuscia, gli eremiti dell'Ordine di s. Guglielmo, gli unici eremiti di Tuscia espressamente esclusi dall'unione del 1244. Si sa anche che furono uniti altri Ordini, più piccoli, dei quali non viene dato il nome né nella bolla Licet Ecclesiae catholicae, né nel documento con il quale il cardinale Riccardo degli Annibaldi determina, il 25 maggio 1256, l'unione della provincia di Lombardia dei Poveri Cattolici all'Ordine agostiniano, dove si parla espressamente di questi Ordini. I delegati di ogni casa si riunirono a Roma sotto la direzione del card. Riccardo, che assunse la presidenza in nome del Papa. Si trattò di un capitolo celebre, secondo la stessa espressione del Pontefice. La riunione ebbe luogo nella casa di Santa Maria del Popolo, che era passata agli eremiti dell'Ordine di s. Agostino circa sei anni prima, quando l'avevano lasciata i Francescani. Non conosciamo con esattezza la data di una riunione tanto memorabile. Si ritiene come quasi certa quella del marzo 1256. In ogni caso fu senza dubbio prima del 9 aprile, data della bolla pontificia di approvazione.

Pare pure posteriore ai giorni 22-25 febbraio, date nelle quali il Papa, senza fare alcuna allusione all'unione - allusione che farà invece il 24 giugno in una bolla del medesimo tenore (cfr. Recordamur liquido) -, comanda ai vescovi italiani di far osservare agli eremiti di Brettino quanto aveva ordinato circa il loro abito Innocenzo IV, affinché si distinguessero dai Francescani: tale determinazione non si accorda con quanto ordinò il Papa nella bolla di approvazione dell'unione (cfr. Recordamur liquido e Cum venerabilibus).

 

Motivi e scopi dell'unione

La fonte informativa migliore e principale sull'unione e la rispettiva riunione di Roma rimane sempre la bolla di approvazione spedita dal Laterano il 9 aprile 1256. S'intitola: Licet Ecclesiae catholicae. Due furono i motivi dell'unione: a) Evitare la confusione tra diverse parti della Chiesa; in questo caso, la confusione esistente tra gli stessi membri uniti e soprattutto quella di costoro con i Francescani. b) Fare "di vari battaglioni un solo esercito più forte per sconfiggere l'impeto nemico della malizia spirituale". Il Papa non cita espressamente la questione dei Francescani.

Essa è tuttavia sottintesa, poiché nello stesso febbraio 1256, aveva dovuto trattarne in modo particolare con l'Ordine degli eremiti di Brettino. La redazione riflette le circostanze dell'ultimo momento; per questo propone, come primo nella esecuzione, lo scopo, che forse fu l'ultimo nella intenzione. La prima parte della bolla ricalca la necessità che nella Chiesa esista una varietà così ben distinta nelle diverse parti, che possa contribuire al decoro della casa del Signore, affinché "non si abbia una confusione indiscreta, né la figura di una si confonda con quella di un'altra a causa di una somiglianza inopportuna ed eccessiva, ma anzi ognuna si conservi dentro i limiti del suo ordine". Poiché, "quantunque la diversità autentica dei membri sia parte integrante del Corpo della Chiesa cattolica - come affermano le prime parole della bolla - e quantunque il suo vestito si presenti decorato da una molteplice varietà, la contrapposizione delle parti non sta a indicare disordine alcuno in lei quando l'inestimabile concordia della carità nutre l'unanimità, e la conformità dello scopo e la semplicità della fede fomentano l'unità indivisibile". La bolla parla di un consenso unanime e concorde quanto alle decisioni prese.

Non bisogna dimenticare che una tale terminologia dipende in larga misura da formule usuali, che non vogliono indicare in generale più del consenso di una larga maggioranza. I Guglielmiti non sembra siano stati molto d'accordo. Infatti, pochi mesi più tardi, e precisamente il 22 agosto, essi ottennero dal Papa il permesso di abbandonare l'unione, impegnandosi in gran maggioranza alla restaurazione dell'Ordine di s. Guglielmo (cfr. Licet olim). Con tale unanimità e concordia i convocati diedero il proprio consenso, affinché i loro rispettivi Ordini si integrassero nell'unica osservanza di un solo ordine e in una formula uniforme di vita, e di tutti si facesse un solo ovile governato da un priore generale, "poiché l'unità del capo universale consumerà la nuova unità del gregge del Signore" (cfr. Licet Ecclesiae catholicae). Essi possedevano, a giudizio del Papa, molte cose uguali o veramente somiglianti: avevano tutti il nome di eremiti ed era veramente poco diversa la loro professione, mentre si differenziavano per i titoli e in alcuni casi per la forma del vestito; perfino i loro nomi si prestavano talvolta ad ambiguità tra la gente. Risulta chiara la tendenza del Papa a minimizzare le differenze esistenti. Non si può accettare che fosse veramente tanto scarsa la differenza di professione tra coloro che seguivano la Regola di s. Agostino e quelli che seguivano la Regola di s. Benedetto, come i Guglielmiti e gli eremiti di Montefavale. Vero è che essa veniva ridotta, dal loro modo di vivere da eremiti, in vita comunitaria. Tuttavia, le differenze erano maggiori di quanto allora il Papa supponesse.

Indubbiamente egli era meglio informato quando concesse la separazione ai Guglielmiti.

 

Prevale l'Ordine degli eremiti di S. Agostino

Un altro dei punti sui quali il Papa insiste, sempre con la medesima volontà conciliatrice, tanto nella bolla Licet Ecclesiae catholicae che in altre, è di far vedere che, almeno in via di principio, non si trattava di unire a un Ordine tutti quegli altri convocati, ma piuttosto di fare una unione mutua, una unione nella quale non avrebbe prevalso alcun membro. Alessandro IV usa le parole o espressioni latine "indifferenti concorporationis foedere", "counivit" (Licet Ecclesiae catholicae), "uniendis vobis ad invicem" (Hiis quae nostri, 13 giugno 1257). Si procedette veramente così? Si può ammettere nel senso che, all'inizio del capitolo, nessun gruppo doveva considerarsi superiore o dominatore degli altri: tutti entravano con gli stessi diritti a far parte dell'Ordine, quanto al suo futuro governo. Il priore generale sarebbe stato nominato liberamente dal card. Riccardo. Nessun gruppo poteva imporre nulla agli altri: tutto doveva essere accettato di comune accordo. E' da ritenere che il card. Riccardo mettesse innanzi con chiarezza il piano pontificio di unione. I capitolari, con il loro consenso, lo fecero proprio, accettando l'ordine papale di unirsi tutti "nella sola professione e osservanza regolare dell'Ordine di eremiti di s. Agostino" (Licet Ecclesiae catholicae). Quale era questo "Ordine di eremiti di sant'Agostino"? Era un titolo nuovo, al quale corrispondeva un Ordine nuovo, prodotto e risultato dell'unione? Senza dubbio il titolo non era nuovo: Alessandro IV lo aveva usato già il 31 luglio dell'anno precedente (1255), approvando, con la bolla Hiis quae pro, gli atti di un capitolo generale dell'Ordine che ebbe origine in Tuscia con l'unione del 1244. Quando vennero superati i confini della regione di Tuscia, si prese a dare a questo Ordine il titolo di "eremiti dell'Ordine di sant'Agostino" semplicemente, anche se non sempre; gli altri Ordini di eremiti che seguivano la Regola di sant'Agostino, invece, venivano specificati con parole diverse, anche se si aggiungeva l'espressione "dell'Ordine di sant'Agostino". Questo accadeva con gli Ordini degli eremiti di Fra Giovanni Bono e con quelli di Brettino. Si spiega facilmente il fatto che si cominciasse a chiamare "Ordine degli eremiti di sant'Agostino" l'Ordine sorto in Tuscia.

Non si poteva, almeno praticamente, fare a meno di designarlo come autentico Ordine, nel significato moderno del termine, divenuto sinonimo di corporazione o istituto religioso. Per fare ciò, era però necessario che la parola "Ordine" precedesse quella di "eremiti", il che veniva a suonare un'autentica cacofonia, senza che il popolo potesse giungere a comprendere il duplice significato della medesima parola usata nel titolo: Ordine di eremiti dell'Ordine di sant'Agostino. La semplificazione diveniva, pertanto, necessaria e inevitabile. Anche dopo l'unione, Alessandro IV usò almeno in tre occasioni l'espressione "Ordine di eremiti di sant'Agostino" applicandola all'Ordine sorto in Tuscia. Lo fece il 17 e 24 giugno 1256 nelle bolle Recordamur liquido, l'ultima delle quali venne trascritta in seguito nella Litteras Nostras del 15 ottobre del medesimo anno. La stessa cosa accadde nella trascrizione della bolla Licet Ecclesiae catholicae, fatta nel registro vaticano. In questo caso, ciò è dovuto all'omissione della parola Ordinum, che nell'originale viene dopo le parole Sancti Augustini, nell'enumerazione degli Ordini che presero parte all'unione. Né meno espressivo è il fatto che, dopo l'unione, si continui a usare con non poca frequenza, perfino nei documenti più solenni, quando non si anteponeva la parola Ordine, il titolo ordinario dell'Ordine sorto in Tuscia nel 1244: eremiti dell'Ordine di s. Agostino. Questo accade perfino in due bolle emanate lo stesso giorno della bolla Licet Ecclesiae catholicae: 9 aprile 1256. Una di esse, l'Apostolicae Sedis, si riferisce espressamente all'unione.

E mentre nella inscriptio contiene il titolo "Ordine di eremiti di s. Agostino", nella narratio dice espressamente che l'unione si fece "nella sola professione e regolare osservanza degli eremiti dell'Ordine di s. Agostino". L'altra bolla, la Ut eo fortius, contiene l'antico titolo appunto nella inscriptio. La stessa cosa avviene nelle costituzioni più antiche conservate dell'Ordine, e questo in parti veramente importanti, come nel titolo e nella formula della professione (cfr. c. XVIII). Si potrebbe avanzare l'obiezione che Alessandro IV, nelle bolle Recordamur liquido, in un paragrafo che le altre riproducono alla lettera da quella del 22 febbraio, considera compresi, sotto l'espressione "eremiti dell'Ordine di s. Agostino", anche gli altri eremiti che presero parte all'unione, e che pertanto non si può dire che un tale titolo si riferisca espressamente all'Ordine sorto nel 1244, quando viene usato dai documenti già citati. Tuttavia, la forza apparente di questa obiezione svanisce quando si prova che tale paragrafo non è quasi altro che una copia letterale di quello della bolla Dudum apparuit, emanata da Gregorio IX il 24 marzo 1240 in riferimento agli eremiti di Fra Giovanni Bono e di Brettino; ma esso venne redatto quando non era ancora stata elaborata una terminologia precisa, e accomodato nella bolla Recordamur liquido il 22 febbraio 1256, in funzione, a quanto sembra, della unione che si stava approssimando. Infatti, in questo paragrafo, la Dudum apparuit specificava che si trattava degli "eremiti di Fra Giovanni Bono dell'Ordine di s. Agostino". Anzi, lo scarso valore, la mancanza di precisione e il deficiente accomodamento di questo paragrafo nelle bolle Recordamur liquido, si avvertono chiaramente in quella del 24 giugno, che pure è posteriore all'unione, quando si constata che esso considera come parti di tali "eremiti dell'Ordine di s. Agostino", già prima dell'unione, gli eremiti di s. Guglielmo e di Montefavale, i quali non potevano considerarsi tali neppure in senso molto ampio, dal momento che non seguivano la Regola di s. Agostino. In conclusione, questi errori fanno sì che le bolle Recordamur liquido del 17 e 24 giugno confermano che l'unione consistette nell'accettazione, da parte di tutti i gruppi, della professione e delle osservanze dell'Ordine originario della Tuscia. Avendo infatti indicato i membri dei cinque Ordini con il titolo di "eremiti dell'Ordine di s. Agostino", con un'accezione più ampia di quella ordinaria a quel tempo, il Papa dovette specificare con un'altra espressione l'Ordine sorto in Tuscia - definito appunto nella espressione più ordinaria "eremiti dell'Ordine di sant'Agostino" - quando alcune righe più sotto enumerò il titolo di ciascuno di essi. Questa specificazione egli la fa identificandolo con l'Ordine degli "eremiti di s. Agostino" e dichiarando in seguito, con parole riprese quasi alla lettera dalla bolla Licet Ecclesiae catholicae, che il cardinale Riccardo "per suo ordine credette opportuno unirli per sempre nella sola professione e osservanza regolare dell'Ordine degli eremiti di s. Agostino". Dal fatto che, nelle bolle Recordamur liquido posteriori all'unione, quelli di Tuscia vengono chiamati Ordine degli "eremiti di s. Agostino" e dall'affermazione che tutti gli Ordini si unirono nella sola professione e osservanza regolare dell'"Ordine degli eremiti di s. Agostino", appare chiara l'identità dell'Ordine chiamato "eremiti dell'Ordine di s. Agostino" o "Ordine di eremiti di s. Agostino", e che fu esso che sopravvisse e continuò di fatto dopo la grande unione, vedendosi aumentato con i componenti degli altri quattro Ordini. In tal modo si spiega che solo alcuni membri, non tutti - come afferma Urbano IV nella bolla Desideriis vestris (9 dicembre 1261) - venissero dispensati "dalla professione e dalle osservanze alle quali si erano obbligati precedentemente nei suddetti e altri Ordini". E' evidente: i membri dell'Ordine degli eremiti di s. Agostino non avevano bisogno di tale dispensa, perché continuavano nella medesima professione e osservanza nello stesso Ordine.

Difficile sarebbe stato spiegare in altra maniera il comportamento del Papa di continuare ad approvare norme di governo e a concedere grazie e privilegi dopo la promulgazione della bolla convocatoria dell'unione e che miravano al futuro del governo dell'Ordine: essi non avrebbero avuto alcun senso, se l'Ordine avesse dovuto cessare con l'annunciata unione. In realtà, alcune di quelle grazie e di quei privilegi non avrebbero potuto essere attuati in un periodo di tempo inferiore a quello previsto per l'unione. Il fatto di aver affidato al cardinale Riccardo l'incarico di realizzare l'unione offre un motivo sufficiente per sospettare, senza fare alcun giudizio temerario, che sarebbe stato l'Ordine a lui affidato da Innocenzo IV che avrebbe dovuto avere la parte migliore nella riunione. Gli stessi punti specificamente approvati, oppure ordinati, nella bolla Licet Ecclesiae catholicae inducono alla stessa conclusione; si riducono a prescrivere o a rendere facoltative talune norme concrete, contrarie ai costumi o alle leggi che fino allora l'Ordine degli eremiti di s. Agostino aveva osservato: privilegio di non essere obbligati a possedere, forma dell'abito, soppressione dell'obbligo di portare bastoni. Del resto, cioè delle altre leggi o prescrizioni, non era necessario parlare, e neppure dell'osservanza della Regola di s. Agostino: si riteneva tutto contenuto nella professione e nell'osservanza regolare dell'Ordine degli eremiti di s. Agostino. Avevano ragione, pertanto, i primi storici, confermati dalla Nota sopra l'unione (cfr. AGA; L12, copertina) affermando unanimemente che Alessandro IV non aveva fatto altro che unire all'Ordine degli eremiti di s. Agostino gli Ordini degli eremiti di Fra Giovanni Bono, di Brettino, di san Guglielmo e di Montefavale: l'Anonimo Fiorentino, Nicola da Alessandria, nel 1332, Enrico di Friemar, Giordano di Sassonia.

L'Anonimo di Firenze aggiunge che il cardinale Riccardo aveva voluto nominare generale Filippo da Parrana, che lo era stato fino al momento della unione. Filippo però lo supplicò con le lacrime agli occhi che gli permettesse di restare libero e che nominasse un altro. Il cardinale nominò allora Lanfranco da Milano, che era già sperimentato in queste liti per aver governato alcuni anni, dal 1252 fino all'unione, l'Ordine degli eremiti di Fra Giovanni Bono; con la sua elezione, ebbe termine la divisione in due parti, ciascuna con un suo priore generale, che era sorta nell'Ordine di Giovanni Bono nel 1249, precisamente l'anno della morte del fondatore. La bolla di unione contiene alcuni altri particolari che è conveniente annotare. Il Papa accoglie nuovamente sotto la protezione propria e di s. Pietro tutte le case unite e ne libera i membri dai doveri imposti dalla professione emessa o dalle osservanze promesse in qualsiasi degli Ordini uniti. Determina con parole tassative e intima l'adesione incondizionata alla unione da parte di tutte le case degli Ordini uniti, che non avessero inviato delegati alla riunione o al capitolo: "E affinché questa santa unione, che vogliamo approfitti della tranquillità della pace perpetua, perseveri perfetta, stabile, nella integrità di tutte le sue parti, determiniamo - dichiara il Papa - che tutte le case degli Ordini suddetti, i cui Fratelli non vennero secondo il nostro mandato alla nostra presenza, aderiscano senza sotterfugi o eccezione alcuna alla detta unione, come membra al corpo, e siano coscienti di dovere osservare quanto è stato detto. In caso contrario, diamo per confermata la sentenza che tu, diletto figlio Priore Generale, e i tuoi successori lancerete secondo la legge contro i ribelli, sentenza che faremo osservare, con l'aiuto di Dio, fino alla debita soddisfazione, respinto qualsiasi appello". Le parole del Papa indicano che non tutte le case inviarono i propri delegati. Potevano avere i loro motivi: non sappiamo quali, né sappiamo se ne avessero. Quanti, inoltre, assistettero al capitolo? Considerando che ne dovevano essere inviati due di ogni casa dei vari Ordini, possiamo credere che si avvicinassero ai 360 membri.

 

Ciò che non fu l'unione del 1256

La grande unione del 1256 fu questo e niente più: un ampliamento dell'Ordine in numero ed estensione, e una crescita della serie di grazie e privilegi pontifici, in una misura che sarebbe stata difficilmente immaginabile. Il Papa si prodigò nel concedere grazie e privilegi come mezzi per il consolidamento dell'unione. Forse il privilegio principale fu di estendere e di rendere validi per tutto l'Ordine le grazie e i privilegi che erano stati concessi anteriormente alla unione a ciascuna delle case unite.

Ciò perpetuava nell'Ordine sia le concessioni per ogni Ordine in generale come 1e concessioni a ciascuna casa in particolare. Se si considera che alcune delle case dell'Ordine degli eremiti di s. Agostino possedevano, come Lecceto, concessioni fatte da epoca molto antica, si comprende l'importanza di un tale privilegio (cfr. Oblata Nobis, 20 aprile 1256). La grande unione non fu quindi l'unione di membri o congregazioni del medesimo Ordine. Si trattava di Ordini diversi, come afferma espressamente Alessandro IV in varie bolle (cfr. Cum sicut, 12 aprile 1256; Licet olim, 22 agosto 1256; Iustis petentium, 23 ottobre 1257; Dilecti Filii, 12.5.1258). Le fonti informative più chiare sono quelle primitive. I primi storici dell'Ordine espongono senza alcuna ambiguità, come abbiamo già riferito, che l'unione del 1256 fu l'unione di altri Ordini a quello agostiniano. Anzi, già nel 1332 Nicola da Alessandria ed Enrico da Friemar nel 1334, sostennero che l'unione venne fatta tra Ordini che erano in qualche modo eremiti (cfr. N. da Alessandria, p. 15; E. da Friemar, c. III, p. 103; c. IV, p. 110; cfr. pure Vfr. I, XIV, p. 47). Alcuni considerano il b. Giovanni Bono membro dell'Ordine. Questo non perché avessero fatto parte di esso i membri del suo Ordine prima del 1256, ma perché credevano che Giovanni Bono fosse morto posteriormente alla unione (cfr. Vfr. I, VIII, p. 28; XIV, p. 47).

Ancora nella prima metà del sec. XV (1430 ca), Andrea Biglia mantiene la medesima posizione (cfr. De Ordinis nostri forma et propagatione, in Anal. Aug 28 [1965] 204-207); egli considera anzi agostiniano il beato Giovanni Bono perché lo ritiene coetaneo del beato Agostino da Tarano e di san Nicola da Tolentino; commette pure altri errori, alcuni dei quali interamente farina del suo sacco. La stessa cosa avviene nell'Apologia dell'Ordine, pubblicata a Roma nel 1479 da Paolo Olmi da Bergamo (cfr. f. 14, 17-19, 35). L'entusiasta p. generale dell'Ordine Ambrogio Massari da Cori, non solo ammette come agostiniano il beato Giovanni Bono, ma pure san Guglielmo. E questo lo fa sia nel Defensorium dell'Ordine, scritto nel 1481, che nella Chronica, scritta nel 1482 (cfr. ed. 1481, f. 102v, 31v, 48, 49, 113). Tuttavia egli conserva la sentenza tradizionale che la grande unione non fu altro che l'unione di altri Ordini o Religioni all'Ordine degli eremiti di sant'Agostino (cfr. f. 13, 16v, 35, 38, 45v, 51v, 58, 103v). L'includere san Guglielmo tra i santi agostiniani sembra debba essere attribuito al fatto che Massari lo credeva un personaggio diverso dal ritenuto fondatore dei Guglielmiti uniti (cfr. f. 113), a meno che ritenesse la sua morte posteriore alla grande unione, ipotesi che sembra essere priva di qualsiasi fondamento. In ogni caso l'opera di Massari ebbe in seguito grande influsso sull'Ordine, sia per le sue esattezze che per i suoi errori. Il capitolo generale di Perugia (1482) ordinò che ciascuna casa e ciascun membro graduato dell'Ordine ne acquistassero un esemplare (cfr. Anal. Aug 7 [1917-18] 275, 277).

La grande tergiversazione, senza dubbio incosciente, fu opera del benemerito storico agostiniano Giacomo Filippo Foresti da Bergamo, l'anno successivo (1483), nel suo Supplementum Chronicarum: si tratta di una tergiversazione che divenne praticamente universale nell'Ordine intero e che sostanzialmente è durata nel pensiero della maggior parte degli storici fino ai nostri giorni. San Guglielmo, afferma Foresti, fu agostiniano e restauratore dell'Ordine in Francia; fiorì per attività taumaturgica intorno al 1157. Stimolato dal suo esempio, anche il beato Giovanni Bono divenne restauratore dell'Ordine in Italia; egli brillò per attività taumaturgica intorno al 1199 e morì nel 1222. L'unione venne iniziata da Innocenzo IV. Si trattava di una unione di membri dello stesso Ordine, cioè, di ridurre tutti sotto la giurisdizione di un priore generale. I diversi nomi con i quali venivano designati non erano altro che una denominazione secondaria, senza che con questo cessassero di essere agostiniani.

Foresti paragona tale fatto con le varie denominazioni che prendevano al suo tempo i diversi gruppi di Francescani, come Bernardini, Amadeiti, ecc., senza che il titolo aggiunto li escludesse dall'appartenenza all'Ordine francescano (cfr. ed. Venezia 1483, p. 51; ed. Venezia 1513, f. 162v-163r, 219v-220r, 225, 231v, 232v).