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lettera IX  a Filippo

Immagine di Petrarca in un ritratto di Altichiero del 1376 a Padova

Immagine di Petrarca in un ritratto di Altichiero del 1376 a Padova

 

 

LIBRO SESTO

LETTERA IX

A FILIPPO

PATRIARCA DI GERUSALEMME

 

Sicut ingentia

 

Lo ringrazia della cortese accoglienza fatta al suo libro De Vita solitaria.

[Pavia, 8 agosto 1366]

 

 

 

Come proprio de' superbi e degl'ingrati è il far piccolo conto dei grandi doni, così un animo riconoscente ed umile di ogni più vil regaluzzo magnifica il pregio. Nulla in se stesso ha di buono, siccome più volte io già dissi, quel mio libretto intorno alla vita solitaria, da questo in fuori che scritto ha in fronte il tuo nome: e quant'anche fosse cosa eccellente, a te dovevano renderlo inviso la indiscreta tardanza, le ripetute richieste, ed il fastidio della lunghissima aspettazione. Eppure di tante lodi, di tante grazie tu lo rimeriti, che, quantunque da lungo tempo, e per antica esperienza della tua umanità e dell'amor tuo io mi conosca, meravigliar pur mi debba di quella costante e sempre nuova benevolenza, onde tutte le cose con acutissimo sguardo lincèo esaminando, me e le cose mie sempre con occhi molto benigni riguardi.

Più grande ancora in me si fece la meraviglia udendo che il sommo Pontefice, e prossimo a lui per grado il Vescovo di Porto si degnarono parlare di quel mio libretto, e mostrarono desiderio di averlo: e che inoltre lo leggessero e degno lo reputassero di molta lode l'Arcivescovo d'Yverdon ed il Vescovo di Lisbona: de' quali il primo so pur io, come tu dici, esser uomo di altissimo ingegno, l'altro non conosco che di nome, e dalle lettere tue cui presto fede pienissima: uomini entrambi di preziosa dottrina, e di giudizio autorevole quant'altro mai. Che t'avrò dunque a dire?

Il tuo giudizio, ed il loro sarà cagione che anch'io cominci a tenere in qualche stima quell'operetta, di cui non feci che piccolo conto, e poiché d'essa si piacciono sì eletti ingegni, ne prenderò coraggio a proseguire i miei studi ed a scrivere qualche altra cosa.

Né tu vorrai fare le meraviglie se avvenga a me pure ciò che di se stesso nel libro delle Confessioni narra Agostino, il quale avendo mandato certo suo libro a Ierio oratore di Roma, mi pareva, dice, «gran cosa che di quel libro, e de' miei studi a lui giungesse notizia: perché se meritato questi avessero la sua approvazione, ne prendessi coraggio: se per lo contrario ei li avesse disapprovati, ne sentisse molestia questo cuore pieno di vanità, e vuoto di te, mio Dio, che solo puoi riempirlo.» Non io peraltro dalle lodi vostre mi lascio illudere a cotale segno che più non sappia qual veramente io mi sia, quali le forze mie, e quale il merito vero di quella opericciuola. Ben io conosco me stesso, e tutto quello che voi dite più che dal vostro giudizio, tengo dettato dall'amor vostro.

Qui dunque io non mi fermo, quasi che, come tu dici, qualche cosa di grande io ti abbia mandato; ma tuttavia volonteroso di offrirtene alcuna degna di te, vo meditando come pagarti il frutto dovuto per una sì lunga dilazione.

E statti sano.

Di Pavia, agli 8 di agosto.

 

 

 

NOTA Le date richiamate nella Nota alla lettera 5ª di questo medesimo libro dimostrano chiaramente doversi la lettera presente riferire all'anno 1366. Il De vita solitaria I due libri "della vita solitaria" furono iniziati a Valchiusa durante la Quaresima del 1346. La loro prima stesura fu probabilmente portata a termine in poco tempo. Il lavoro di correzione tuttavia si prolungò fino al 1356, anno in cui Petrarca lo diede per concluso. Egli attese poi altri dieci anni prima di mandarne copia a Filippo di Cabassoles, cui era dedicato, e che nel 1366 da vescovo di Cavaillon era diventato patriarca di Gerusalemme.