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lettera VI  a Marsili

Immagine di Petrarca in un ritratto di Altichiero del 1376 a Padova

Immagine di Petrarca in un ritratto di Altichiero del 1376 a Padova

 

 

LIBRO DECIMO QUINTO

LETTERA VI

AL PADRE LUDOVICO MARSILI

 

Magnam tui uberemque

 

Loda la sua virtù, lo conforta a grandi opere, e gli suggerisce di scrivere in confutazione di Averroe.

 

 

 

Grande e ricca materia tu porgi perché di te si rallegri, e speri ognuno assai bene, ed io sopra tutti, che forse primo di ogni altro in te più fisso tenni lo sguardo. Di nobile ingegno Iddio ti fu largo, e tali stimoli ad esso aggiunse di buon volere, che di mille svariate cose tu già ti procacciasti una scienza in codesta età tua più singolare che rara. Perocché sol egli e non altri è che a tutti dona, e non ne fa mai rimprovero: egli il solo a cui veramente si convenga quello che scherzando diceva Persio di un altro: Dottor d'ogni arte, e largitore d'ingegni. Né solamente l'intelletto a comprendere le cose, ma felicissima ancora tu sortisti la lingua ad esporle, della quale il difetto soventi volte tolse lo splendore a grandi ingegni, e li fece parere inferiori ad altri che meno valevano di loro.

Di cosiffatte doti fornito, e sostenuto dal favore del cielo e degli uomini, sul mattino della tua vita entrasti nel difficile ed alto cammino della religione, seguendo la scorta di tale, sulle orme di cui nessuno mai si smarrì che non volle: dico di Agostino, cui chi segue non può fallire alla gloria e al cielo. Tu eri ancora poco più che fanciullo quando quell'ottimo parente tuo ed amicissimo mio volle condurti da me, che fatta ragione dell'età tua troppo tenera, mal mi sentiva disposto ad accoglierti. Ma come appena t'ebbi veduto, di te concepii le più belle speranze, e contro il mio costume, quanto era possibile in tanta disuguaglianza di età, mi strinsi a te di amicizia. Poi come spesso tu tornavi a visitarmi, sempre maggiore io sentiva il piacere di rivederti, e meravigliando come in quegli anni tuoi tu potessi nutrire tanto affetto per me, soventi volte fra me medesimo e cogli amici parlando io ripeteva quelle parole del santo padre Ambrogio: questo fanciullo, se vive, sarà qualche cosa di grande.

Passarono intanto molti anni; ché nulla sì veloce e tacito passa siccome il tempo; e tornato tu alla patria io lungamente stetti senza vederti. Or ecco quel fanciullo a me torna, ma come Ovidio dice: Giovane ed uomo già fatto, e assai più bello, di quella bellezza cioè che non teme ingiurie né di età, né di malattie, né di morte. Non è più dunque speranza soltanto che mi venga da te, ma speranza insieme e letizia: perocché la letizia per il buon nome che già ti sei fatto, si congiunge alla speranza di quello che ti procaccerai nell'avvenire. Ti vedo per merito già fatto pari agli uomini grandi: non andrà guari che ti vedrò fra i grandissimi. Prosiegui animoso nella via in cui ti sei messo, raddoppia gli sforzi: quindi l'onore, e quindi ti sia di sprone la vergogna. Imprendesti sul mattino il viaggio: fa' che non ti colga sul mezzodì la pigrizia. Non imitare quegl'inerti viandanti che, vedendo alto il sole nel cielo, pensan che lungo è il giorno, e assisi all'ombra si riposano e si addormentano: poi troppo tardi vedono che annotta, e inutilmente si pentono del tempo perduto. Ben altro di te mi riprometto, e che tu non sia di quel numero abbastanza me lo dice l'ardor che spira dagli occhi tuoi, dal tuo volto, dalle tue parole.

Furono e son tuttavia ben molti coloro che in sul più bello di una onorata carriera si arrestarono a un tratto, confidandosi per vano errore di durar non so quanto la vita, della quale non è chi possa promettere durata alcuna, e fugge e corre e si dilegua, e, come dice Tullio, vola rapidissima. Ragion di scusa a questa inerzia può trovar la vecchiezza nelle forze affralite, e nella schiera de' morbi che per l'ordinario l'assale, ma sol che una scintilla in essa rimanga dell'antica virtù, e spenta al tutto non l'abbia il gelo degli anni, basta essa sola a sciogliere il torpore senile, e a ravvivare la fiamma che l'animo accende de' giovani, e li sospinge ad opere onorate. Rammenta Marco Porcio Catone, che già maturo degli anni dette opera alle lettere latine, e fatto già vecchio pose studio alle greche.

In quella età medesima Socrate dopo le lettere si applicava alla musica. Carneade intento alle filosofiche meditazioni, dimenticava di prender cibo. Platone viaggiato già quasi intero il mondo, nel giorno stesso della sua morte, secondo che dice Valerio, teneva i Mimi di Sofrone sotto il capezzale, o al dir di Cicerone moriva scrivendo; Simonide ad ottant'anni accettava una disfida a poetare; Crisippo ottuagenario pur esso, ed Isocrate e Sofocle toccati i cento anni pubblicarono opere sapientissime. Solone infine dopo aver dettato le leggi al suo popolo, ambiva l'onor de' poeti, e già vecchissimo coltivava le lettere, e in punto ancora di morte d'arder diceva per sete di più imparare. E qui potrei aggiungere mille esempi di altri che nella loro età cadente espertissimi si dimostrarono delle militari e delle civili dottrine. Ma gli studi di costoro nulla di comune hanno con i tuoi. Quanto peraltro questa costanza nelle onorate fatiche è nei vecchi ammirabile, e gloriosa, altrettanto vergognoso, inescusabile e pernicioso ne torna il difetto ai giovani, ai quali l'affaticarsi è dovere, ed il fuggir la fatica chiude ogni strada a bene sperare di loro. Imperocché di alcuni vizi accade che coll'andare degli armi scemano di forza, e vanno a perdersi: e d'altri il tempo che passa accresce il numero ed il vigore; e tra questi ultimi è la pigrizia. Come dunque potresti sperare da chi giovane fu poltrone, ed inerte che sia da vecchio generoso ed attivo?

A questo pertanto ponendo mente non ti lascerai trascorrere nell'ozio alcuna parte del tempo, né ti alletterà la fallace speranza di protrarre a lungo la vita, che di sua natura non so qual sia più fra breve e fugace. Noi la crediamo una gran cosa, e ci diamo tanto pensiero di lei; ed ella è un nulla, e questo medesimo nulla è tanto instabile che, mentre crediamo di stringerlo fra le mani, ci sfugge e si dilegua come fumo in aria. Non possono i giovani andare a rilento, ma sebbene si convengono affrettarsi a far quel che debbono finché son giovani, se vogliono vecchi goderne il frutto, venire in fama dopo morte, vivere oltre la tomba, e come dice Ennio: Sulle lingue volar de' sapienti.

Codesta, amico mio, è l'età per imparare quello che studiando essa raccoglie, la dotta vecchiezza più tardi distribuisce, ed il tesoro tolto da molti su' molti generosamente riversa. Folle è chi aspetta per procacciarlo da un'altra età, nella quale il conservarlo è malagevole. Io non voglio peraltro restringermi a quelli che precipua loro cura fecero lo studio delle lettere, e delle scienze. A questo veramente più acconcia di ogni altra è l'età tua vigorosa della mente e del corpo, e libera da ogni impedimento, se pure ella stessa non se ne procacci: come fanno pur molti, che dimentichi della virtù e del sapere ciecamente si mettono sulle vie della voluttà e de' piaceri, né si rimuovono da questi finché, avvedendosi di esser fatti cagione di vergogna e di dolore a chi li ama, di gioia ai nemici di quelli, e di ludibrio al volgo, si trovano già vecchi ed incapaci come ai nobili studi, così al turpe esercizio della loro concupiscenza.

E mi piace da un'altra schiera d'illustri personaggi trarre alcuni esempi, e porteli innanzi perché veda come a compire le generose imprese che s'erano proposte essi non vollero aspettare una età più matura, che non è la tua, né posero tempo in mezzo: ché se avessero tardato, conseguita non avrebbero la gloria a cui furono sortiti. Degli anni che hai tu o su quel torno, Achille stringeva Troja d'assedio, Alessandro trionfava nell'Indie, Scipione l'Africano vinto aveva nell'occidente, e stava vincendo nel mezzogiorno, Pompeo Magno, fatta già doma la Spagna, aveva purgato i mari dai corsali, e Druso Nerone di vittoria procedendo in vittoria per la Germania, era già pervenuto alle foci del Reno, dando del suo valore e della integrità de' suoi costumi così maestoso e splendido esempio, che veneranda anche ai posteri lasciò la fama del suo nome fra quelle barbare genti. Ed io, che fra loro già mi condussi, confermata la udii dal consentimento universale e dalla ingenua confessione del nuovo Imperatore e de' suoi magnati. E ben altri potrei, avvenga ché non più illustri, esempi schierarti d'innanzi.

Ma bastano questi perché a te sia dolce seguirne le tracce, e sulla loro condotta regolare la tua. Mai non ti venga detto: «son giovane; avrò tempo che mi basti.» Incerto è questo, e per lo contrario è certissimo che Passa il giorno, e che più mai non ritorna. Prendilo dunque a volo che non passi senza frutto per te, e come a molti, anzi alla più parte degli uomini, non trascorra inutile, e non ti sfugga come fra le dita onda corrente. Che se, per ventura negata a tutti, tu potessi esser certo di vivere lungo tempo, dovresti pure considerare che di quello come di ogni altra cosa allora si conviene usar parsimonia, quando in copia se ne possiede: perocché venuta meno, v'ha più bisogno di custodia.

Laonde ancora una volta, e poi un altra, io ti prego e ti esorto a far sì che mai non ti passi un giorno senza far nulla, ed ogni sera chiama te stesso a sindacato, come un provvido padre di famiglia ha per costume col suo ministro: questo oggi ho fatto, questo cominciato, questo imparato: son più dotto per questo, son per quest'altro più buono. Imperocché non meno all'acquisto della virtù che a quello della scienza io ti esorto, anzi più a quella ti sprono perché a procacciarsi è più facile, e a praticarsi più utile. Dicono che Pitagora avesse in uso quell'esame quotidiano. Sia vero o no, ti piaccia di adottarlo per tuo. Fa teco le tue ragioni, e vedi quel che hai fatto in ogni giorno. Se trovi che alcuno te ne fuggì inutilmente, fa' conto di non avere in quello vissuto. Amici, disse già Tito, ecco un giorno perduto.

E se di quel detto ebbe lode perché in quel giorno non aveva fatto bene ad alcuno, che dir dovrebbe chiunque si addasse a sera di non aver fatto alcun che di bene a se stesso? Non è possibile, lo so bene, star sempre sui libri né vivere sempre solitari, tranquilli, incolpabili. Torbido è il mondo, difficili le situazioni.

Ma ben possiamo volere che non passi alcun giorno senza che noi discendiamo a considerare lo stato dell'animo nostro. Come pretendere di provvedere ai bisogni altrui, se non sappiamo por monte ai nostri? O che tu sieda e stia fermo, o che ti muova e passeggi, e nelle adunanze e in mezzo alla folla, tu puoi raccogliere le forze della mente a meditar di te stesso: e sebbene a Cicerone ne sembri altrimenti, comeché più leggermente, lo puoi fare anche assiso ad un convito.

Non v'ha campo sì sterile, non animo così duro cui non renda fecondo una continuata e diligente cultura. Or che sperare io non debbo di te, cui la natura stessa dispose a produrre spontaneamente ottimi frutti? Come dunque presso Marco Tullio diceva Catone io dico a te: segui la tua natura qual se fosse ella Dio, o meglio ancora, segui Dio stesso della natura e di tutte le cose Signore sovrano, che non dal cielo soltanto, ma da quella croce ove coronato di spine e tutto nudo volle morire per noi ad alta voce te chiama, e tutti gli uomini da sé creati e redenti. Ma mentre tutti egli chiama: ahi! che son pochi quei che lo ascoltano. Deh! fa' che tu sia di quei pochi, ché altrimenti per te sarebbe meglio non esser nato.

Porgiti docile ed ossequente a lui che ti dette corpo ed anima ed ingegno, e la cui mercé tale addivenisti quale già sei e tale ti formerai quale ognuno ti brama e ti spera. Né di più lunghe parole hai tu bisogno a comprendere quale veramente riuscire tu debba, perché appagato sia pienamente il desiderio mio e di tutti quelli che ti amano. Pur di una cosa io non mi posso tenere che non ti avverta: ed è che tu non presti l'orecchio a coloro che, pretendendo la necessità di applicare tutta la mente agli studi teologici, vorrebbero al tutto distoglierti da quei delle lettere, dei quali se fossero stati digiuni (per tacer di altri molti) Lattanzio e Agostino, né quegli avrebbe tanto agevolmente combattuto le superstizioni de' pagani, né questi edificata l'eccelsa mole della Città di Dio. Si conviene al teologo una molteplice, e poco meno che universale scienza, senza la quale incapace è a respingere gli attacchi de' sapienti profani. Come uno solo è Iddio, dal quale tutte dipendono le cose, così alla scienza di Dio obbediscono e servono tutte le altre scienze.

E poiché di queste coll'usato suo magistero lo stesso Agostino ragiona nel secondo libro della Cristiana Dottrina, tu fa' di attenerti al suo consiglio, e tutto leggi, tutto studia, impara tutto che puoi, finché ti bastino ingegno e memoria, purché peraltro fisso abbi sempre lo sguardo alla mèta, e ti ricordi che teologo esser tu devi, non poeta o filosofo, se non in quanto vero filosofo è chi ama la vera sapienza; e sapienza vera è Gesù Cristo figlio di Dio. A questo aggiungo che a qualunque scienza tu voglia applicare la mente, cercar ne devi la parte ch'è vera e certa senza tener dietro alle astruserìe ed alle sottigliezze di quel ch'è dubbio ed incerto. Conciossiaché molti siano che pazzamente si danno vanto di una scienza, cui né comprendono essi medesimi, né gli altri. E son da dire frenetici e stolti: perocché come il vero costituisce l'obbietto dell'umano intendimento, così non d'altro esso si appaga che di cose chiare. Se poi brami conoscere breve e sicura la via, che alla virtù e alla santità ti conduca, segui il precetto di Socrate: «Fa' di esser tale quale tu brami che altri ti stimi.»

Avvi di molti che pessimi essendo vorrebbero esser tenuti ottimi, quasi che come altrui, così potessero ingannare se medesimi e Dio. E l'una e l'altra via fu da molti battuta: ma in ambedue preclarissimo esempio a te si porge il tuo Agostino, che in quella stessa età che ora è la tua, cogli errori e co' vizi sostenne generoso e magnanimo combattimento, e i vizi e gli errori di cui fu macchiata la prima parte della sua vita, estirpò e corresse nella seconda. Ai vizi dette bando l'esercizio della virtù; gli errori furono di sua mano distrutti con un dottissimo libro; per modo che non vi è strada cui seguire si possa con maggior sicurezza che la sua vita e la sua dottrina. E perché mai non ti fugga dalla memoria ciò che io bramo da te, lascia che qui sull'ultimo te lo rammenti. Non appena ti verrà fatto di giungere al segno cui miri, e ciò sarà presto, scrivi un trattato contro quel rabbioso cane ch'è Averroe, il quale agitato da infernale furore, con empi latrati, e con bestemmie da ogni parte raccolte, oltraggia e lacera il santo nome di Cristo e la cattolica fede. Io, come sai, vi posi mano: ma parte per le faccende mie cresciute a dismisura, parte per manco della necessaria scienza fui costretto a deporne il pensiero.

Or tu fa' dunque di applicare a tal opera tutte le forze dell'ingegno, sopperisci al vergognoso silenzio di tanti dotti, ed intitola a me l'opera tua, o vivo o morto ch'io sia; ché se a tutti sta bene, a me si conviene più che ad ogni altro preveder vicina la morte. Non dubitare di te medesimo: io ti sto pagatore che all'uopo non ti verrà meno l'ingegno né lo stile, di cui alcuno de' tuoi fratelli patì difetto. A te propizio darà soccorso Cristo, di cui propugni la causa, e che benevolo ti sorrise fin dal tuo nascere.

E statti sano.