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lettera VIII  al Priore

Immagine di Petrarca in un ritratto di Altichiero del 1376 a Padova

Immagine di Petrarca in un ritratto di Altichiero del 1376 a Padova

 

 

LIBRO DECIMO SESTO

LETTERA VIII

AL GRAN PRIORE DELLA CERTOSA

 

Ita ego te stupens

 

Si raccomanda alle sue orazioni.

[Milano, 25 aprile]

 

 

 

Pieno di ammirazione e di ossequio a te rivolgo le mie parole, come le volgerei a Cristo medesimo, che fuor di dubbio tu accogli in petto ospite beatifico: perocché l'anima dell'uomo giusto è sede di Dio. E dono singolare è di Dio che in mezzo a tanti peccatori di cui piena è la terra, angelo nei costumi e nella fama tu di nuova luce rischiari le dense tenebre che ci circondano, e dalla sublime specola della Certosa, come dalle vette de' colli d'oriente quasi nuovo lucifero al mondo risplendi. Or che dirti io potrei se non quello che spontaneo mi corre alle labbra? Ahi me misero e te felice! Conciossiaché per servirmi delle parole di Virgilio E per terra e per mar spinto e travolto senza posa io combatto coi procellosi flutti delle umane miserie: tu, come dice Terenzio, entrasti già colla tua nave nel porto.

Io fra le spine e fra i bronchi di questa vita stanco e spossato mi aggiro, tu tranquillo già siedi sulla soglia del cielo e sul vestibolo del paradiso: a me sempre paurosa sta di faccia la morte: tu innanzi gli occhi ti vedi la sicura caparra, e la speranza infallibile della vita beata. Di quello dunque primieramente pregando io ti richiedo che sopra tutte le cose desidero, e di cui sento massimamente il bisogno. Deh! ti piaccia intercedere a favor mio presso Cristo Signore, da cui confido tu possa agevolmente ottenere quello che vuoi. Se errando per la solitudine e per aridi luoghi mi avverrà di non trovare la strada, e tormentato dalla fame e dalla sete mi verrà meno lo spirito ed alzerò le mie grida al Signore, deh! Cristo si faccia a me guida, e mi conduca per la via diritta, sicché noverato fra i cittadini del cielo io possa giungere alla città ch'è da abitarsi.

O se per buona ventura vinta quella prima tentazione ch'è la ignoranza, dato mi sia di sfuggire alle altre tre, che dopo quella si trovano espresse nel testo del salmo, e sedendo nelle tenebre e fra le ombre della morte cattivo e mendico, umiliato negli affanni e rimasto senza forze alzerò le grida al Signore, deh! mi cavi egli dalle tenebre e dall'ombre di morte, e spezzate le porte di bronzo e rotti i catenacci di ferro mi sollevi dalla via dell'iniquità, e mi sciolga dai vincoli del peccato. Ebbe l'anima mia in avversione qualunque cibo, e per inedia dello spirito mi accostai sino alle porte della morte: alzando dunque di nuovo le grida al Signore, deh! mandi egli la sua parola, e trattala dalla perdizione la liberi dalle sue necessità. Se da ultimo solcando il mare colle navi e nelle grandi acque travagliandosi, o vedendo le opere del Signore e le meraviglie di lui nel profondo di quello, salii fino al cielo e scesi fin nell'abisso, e perciò l'anima mia si consumò negli affanni, e sbigottita si aggirò come un ubriaco, e tutta venne meno la sua prudenza, e come ad unico, vero, primo ed ultimo aiuto in tante pene alzai le grida al Signore, deh! piacciasi questi liberarmi dalle mie necessità, e cambi la procella in aura leggera perché si tacciano i flutti del mare, e lieto e sicuro alfine mi conduca al porto che bramo.

Sono queste le quattro tentazioni che il regio profeta dettato dal Santo Spirito profondamente guatando vide ed espose, delle quali la prima, come dice Agostino, è la tentazione dell'errore, la ignoranza del vero e la povertà della parola; la seconda è la difficoltà di bene operare e di vincere la concupiscenza; la terza opposta alla prima è tentazione di tedio e di fastidio; la quarta delle tempeste e dei pericoli che s'incontrano nel governo delle chiese. Sono le prime tre comuni a tutti: l'ultima è propria de' governanti, sebbene la tentazione del pilota non sia senza danno de' naviganti, né chi siede al timone di una piccola barca sia, non dico già meno occupato, ma meno esposto all'infuriare dell'onde che il capitano di un grande vascello. In mezzo a questo tempestare di venti e di flutti, e nel pericolo di così fatte contrarie tentazioni deh! non volermi tu negare il presidio delle tue orazioni. Quando convitato ti accosti alla mensa del comune nostro Signore, chiedi da lui che stanco ed errante mi sorregga sì che io non cada, e fecondando con salutare pioggia di lacrime l'anima mia isterilita, germogliare vi faccia l'amore di lui, il disprezzo del mondo, l'odio delle voluttà, l'affetto alla virtù, la vera pietà, la santa religione, la fede immobile, la lieta speranza, l'ardente carità, la solida castimonia, il culto devoto del santo suo nome, estirpando dalle radici le tentazioni della carne, le suggestioni del demonio, la facilità del consenso che presta ad esse l'anima indebolita, e le reliquie delle antiche passioni, e la pessima consuetudine che fiacco e impotente mi spinge a morte. Impetrami tu che sia nella sua grazia il mio terreno viaggio, che sulla strada della eterna salute ei diriga i miei passi, e comeché indegno io ne sia, piacciasi assistermi nel giorno estremo, e posta in oblio la iniquità della mia vita, propizio e placato nelle sue braccia riceva nell'ultima ora lo spirito che si partirà da questo misero corpo.

Fonte qual è di tutta misericordia, non voglia farsi giudice severo di questo benché contumace suo misero servo, e a me porgendosi benigno e indulgente copra col manto della sua pietà le mie colpe: né permetta che nel giorno novissimo quest'opera delle sue mani ch'è l'anima mia, venga in potere del superbo nemico, o sia fatta preda degli spiriti immondi, e miserando pasto e ludibrio de' cani affamati. Ecco io ti ho detto quel che tu debba chiedere per me; ma se ti piace cambiare il tenore della preghiera, e tu fallo. Meglio di me tu conosci i bisogni dell'anima mia. Io dal canto mio questo chiedo ogni giorno, ma desidero che le tue orazioni vengano in aiuto delle mie che deboli sono e poco efficaci a cagione de' miei peccati. Sarebbe in te crudeltà negare un soccorso che agevolmente e senza danno di alcuno prestare mi puoi. Son questi i doni più preziosi assai delle gemme e dell'oro che io povero e bisognoso attendo da te felice e ricchissimo in Gesù Cristo.

E come mai, dirà taluno per avventura, puoi tu riporre tanta fiducia in uomo cui mai non vedesti? Non da mio merito alcuno, ma solo dall'amore purissimo che io sento per te, venerato pastore, e per la santa tua greggia, a me provenne questa speranza, se pure a qualche merito ascrivere non mi si voglia questo devoto amore onde io ti amo in Cristo: e più ancora mi provenne dalla fama della tua santità, che a me ti promette benigno e indulgente. Né a quella nuoce che io mai non ti abbia veduto di persona. Molte sono le cose che amiamo più, perché mai non le vedemmo: e non senza ragione si trova scritto: non vogliate amare quel che vedete, ma sì quello che non vedete: ché le cose visibili son temporanee, e le invisibili eterne. E quantunque peccatore e tanto dissimile da te, bene io ti vedo in Colui che intimamente ci vede ambedue, e nel quale vedremo un giorno sua mercé tutte cose, e fin da ora vediamo tanti che al nascer nostro erano morti già da mille anni. Ti vedo nel fervore del mio spirito, che sebbene agghiadato in tutto il resto, alla memoria del nome tuo si riscalda.

Ma quantunque con occhi migliori che questi del corpo non sono, e con più sicura luce io ti veda, con questi pure desidero ardentemente vederti. Quantunque la pubblica voce, il rumore della fama che celebra i meriti tuoi, di te frequentemente mi parli, bramo sentir meramente il suono della voce tua. Quantunque coll'affetto dell'anima a te mi tenga continuamente abbracciato, gettar ti vorrei queste braccia al collo, e sentirti stretto al mio seno. Quantunque infine mai da te non mi divida il pensiero, e indissolubilmente a te mi tenga avvinto l'amore, io bramo, io spero che dato una volta mi sia di serrare veramente nella mia la mano di un tanto servo di Dio. Io ti conosco più assai che tu non credi: perocché sublime è il tuo grado, e ti si scorge da lungi; e a mille e mille cui tu non conosci, ti rende notissimo la tua virtù.

Arroge a tutto questo che alla tua custodia è affidato un oggetto a me prezioso e carissimo, voglio dire l'unico mio fratello germano che sotto gli auspici tuoi milita nelle schiere di Cristo. Questi che solo io m'ebbi senza speranza di un altro che succedesse in suo luogo, a me più caro d'ogni altro dono della natura o della fortuna, so che caro è a te pure, e che lo riguardi come amico e come figlio: ed io non solamente mi rassegnai a separarmene perché divenisse tuo e di Cristo, colla speranza della fraterna salute consolando il dolore della sua perdita, ma mi fu anzi cagione di gaudio e di gloria l'aver sortito tale un fratello, cui distaccato dal mondo tu di sceglierti in figlio, e Cristo reputò degno di eleggersi in servo.

Ecco le ragioni onde io prendo coraggio a porre somma fidanza nella tua bontà: e quali siano gli affetti del mio cuore verso te e verso i santi compagni dell'ordine tuo, ti sarà dato raccoglierlo dal Priore della Certosa di Milano che ti consegnerà questa lettera, e a viva voce ti esporrà i sentimenti dell'animo mio.

E sta' sano.

Dalla Certosa di Milano ove ora dimoro, al 25 di aprile.