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lettera I  a Sacromoro

Immagine di Petrarca in un ritratto di Altichiero del 1376 a Padova

Immagine di Petrarca in un ritratto di Altichiero del 1376 a Padova

 

 

LIBRO DECIMO

LETTERA I

A SACROMORO DE POMMIERS

 

Semper et vivis

 

Si rallegra perché fatto Cisterciense siasi dedicato interamente al servizio di Dio, e con molti argomenti lo conforta a perseverare nel santo proposto.

[Venezia, 18 marzo 1363]

 

 

 

Quanto a me sempre sia stato dolce il trattenermi con te o a viva voce o per lettere tu ben lo sai, o a me carissimo un dì nel mondo, ed ora in Cristo più caro amico. Senza parlare de' tanti colloqui che per molti anni furono tra noi quasi ogni giorno, tu devi ben rammentare come in quell'aspro e faticoso viaggio, in mezzo a tanti travagli e pericoli fatto a traverso di barbare regioni, unico e massimo conforto io trovassi nella tua compagnia e nella soavissima tua conversazione. Nulla però mi avvenne mai di sentire o di leggere detto da te o de' fatti tuoi che di tanta letizia mi fosse cagione, quanto quella che la sacrata tua mano si piacque or ora di scrivermi. Conciossiaché ansioso ed incerto io m'era rimasto sulla tua sorte, essendomi ben avvisto, come dice Agostino, che tu stavi sul punto di rinascere a vita nuova: e temendo gl'intoppi a me noti della vita tua precedente, affannosamente aspettava di sapere come ti fosse riuscito di liberarti da quelli, e saldamente [66] attenerti al tuo recente proposto.

Ed ecco che al mondo ti sei tu sottratto, e peregrino felice il breve viaggio di una dubbiosa vita conducendo a termine, innanzi sera in sicurissimo albergo ti riparasti. Quanti travagli abbia tu sostenuto, da quanti pericoli tu sia campato salvo, ed io lo so, e lo sanno tutti, e sopra tutti lo sai tu stesso, che riguardando cotesto mortale e caduco tuo corpo meraviglierai fra te stesso delle durate fatiche, e quasi non ti parrà vero di esserne uscito vivo. Affè che come talvolta è di tutti gli animali il più debole, così tal'altra l'uomo di tutti è il più forte. Sospinto alcuna fiata da leggerissimo urto cade, si abbatte, e quasi non fosse sua si lascia rapire la vita; perché di molti sappiamo che una improvvisa gioia, di altri che un repentino dolore o uno scoppio di riso or da grave ed ora da lieve cagione destato, o un acino d'uva passa per la gola attraversato li uccise: e di Fabio Senatore sta scritto che morì soffocato per un pelo trangugiato in un bicchiere di latte.

Qual mai potrebbe trovarsi più lieve causa di morte? Per lo contrario impassibile sotto le rovine, alle percosse, alle ferite sì fattamente talora l'uomo resiste, e la fuggente vita tenacemente trattenendo, così la richiama anche quando si pare da lui già partita, che tu diresti non essere tra i viventi chi più potentemente di lui tenga lontana la morte. Molti sono dei quali questo o vedemmo cogli occhi nostri, o leggemmo nelle storie, e tu certamente uno sei di quel numero. Piacciati di fermare per poco su tal pensiero la mente, e dopo il corso di una vita fortunatissima volgiti indietro a riguardare le vie che battesti, ripensa ai fatti occorsi, numera gli anni, rammenta le cure, raccogli i desideri, e ragguagliando alla tranquilla presente tua stanza gli aggiramenti delle scabrose strade, e al cheto lido ove posi il furiare dei procellosi flutti, alza un inno di lodi e di grazie a Lui che di mezzo agli scogli, alle Sirti, alle Sirene, tra Scilla e Cariddi salva condusse al porto della salute la tua navicella. E perché veramente utile a te riesca questo pensiero fa' di fermarlo non su quelli che dalle procelle della vita trovano uno scampo, ma su quei tanti che nel naufragio vanno sommersi, i quali si crede esser pochi solo perché scompaiono e più non si vedono.

Breve sarebbe, non che un giorno, la vita tutta a chi noverar volesse i casi funesti di cui furono vittime non solamente uomini volgari, ma personaggi celebrati e famosi. Toccherò di due a te per avventura ancora ignoti, l'uno in illustre, l'altro in persona plebea, entrambe da te e da me benissimo conosciute. Rammenti tu di quali e quante egregie doti fosse fornito quel Luchino da Verona, che tanto ci amava da non chiamarci per nome mai, ma sempre con quello a te di figlio, a me di fratello? Ebbene questo nostro fidatissimo amico, per valor militare già celebrato e famoso, pensando a congiungere colla caduca terrena gloria quella che ci è promessa eternamente nel cielo, volle prender parte ad una spedizione contro i Turchi, e in quella santa impresa lontano dalla patria, navigando pel mare Eusino mori di sua morte con danno (siccome io credo) gravissimo, e con pianto universale di tutta l'Italia. Ne furono trasportate le ossa a Costantinopoli perché di tanto prode guerriero non altro a noi rimanesse che il lutto, la memoria, e l'unico giovanetto figliuolo che di sé promette essere per riuscire nella virtù simile al padre. Quel Martino Tedesco famoso corriere, che spesso movendo di qui era mandato all'imperatore, in quelle selve di Lamagna che già traversammo in sua compagnia, e per le quali tu poi solo soletto tante volte viaggiando ti avventurasti, sopraffatto non so se da ladri o da nemici miseramente fu ucciso.

Or se tu pensi quanto sovente tu ne campasti salvo, pensar devi ad un tempo che potevi una volta o l'altra esservi rimasto morto. Riconosci la mano liberatrice di Cristo, che confitta sulla croce a pro di quelli che in lui si confidano, tante volte il mio capo ed il tuo sottrasse alla morte, non per farci immortali, ma perché ci venga sortito di morir meglio. Fa' di richiamare alla mente quel tempo in cui cinti da una schiera d'armigeri con gli archi tesi, e con in mano la spada percorremmo molte miglia tedesche in ogni giorno aggirandoci per quelle boscaglie, non punto sicuri delle nostre guide, e minacciati da mille altri pericoli, da cui, pietosamente nascondendoci agli occhi de' malandrini e de' ladroni, ci trasse in salvo Colui del quale è scritto: Nel giorno de' guai mi protesse raccogliendomi sotto il suo tabernacolo, ed altrove: Stendasi un velo sugli occhi loro perché non vedano, e sempre il dorso fa che curvino a terra. Ed eravamo allora in buon numero, il che se poco o nulla ad evitare il pericolo, giovava pure a dar coraggio e a confortare lo spirito.

Ma tu dappoi non da altri accompagnato che da' tuoi servi, in pessima stagione andando e tornando fra quegli orrori continuasti ad aggirarti: e so che poco sarebbe il chiamar quella per te fatica di ogni anno, perché so pure, e lo credo a stento, che in un anno solo tu sette volte facesti quel viaggio infernale. E di questo più specialmente io parlai, perché fu questo a te più frequente, non per tua libera elezione, ma per volontà del Signor tuo. Ma qual paese, qual regione d'oltremare ha l'oriente o l'occidente che non abbia tu visitato? Quante volte nella tua giovinezza ora per uno, ed ora per un altro mare non ti tragittasti? A quali barbare terre non approdasti, a quali pericoli non andasti incontro? Bada, io ti diceva, che a sì smodate fatiche tu verrai meno. Non è di ferro cotesto tuo corpo: ti vestì di pelle e di carne, ti compose d'ossa e di nervi il Creatore celeste. Ed ora che dovrò dire? Di ferro no, ma di bronzo, o d'altro che v'abbia più duro ti mostrasti alla prova: e questo non dal tuo naturale, ma riconoscer lo devi dalla sua grazia.

A sormontare ogni pericolo ti precinse d'adamantino invisibile usbergo Colui che t'ebbe tratto dal nulla, e stese su te la sua destra, ben ei sapendo per la imperscrutabile sua scienza del passato e del futuro quello che fare ei voleva di te; e fin dall'ora che balzavi nell'utero della madre tua a cotesta fine cui adesso sei giunto eletto ti aveva egli che prima del nascer tuo, e prima ancora che fossi concetto, perfettamente ti conosceva, e come per la tua, così per la salute di tutti scese dal cielo a nascondersi nel seno di una Vergine, e non rifuggì dal patibolo della croce. Egli volle che travagliata e laboriosa tanto tu menassi la vita, perché trovando finalmente il riposo e la calma, conoscessi a prova quanto corre dal servire Iddio all'esser servo anzi schiavo degli uomini: dolce quello, felice, sicuro, e questo amaro, pericoloso, miserando.

Fa dunque di rammentarti sempre il passato, ma solo a fine di non essere ingrato al tuo Signore, poiché grato e fedele ti porgesti a tanti che tuoi Signori non erano, e ti trattarono con ingratitudine. Del resto tenendo a vile lo splendore bugiardo, e le fuggitive e false dolcezze del mondo, dimentica coll'Apostolo i tempi passati, e tutte le forze dell'animo intendi all'avvenire ed al cielo. Sorgi, ché Dio ti stenderà la sua destra; solleva lo spirito, alza e tergi gli occhi velati dal sonno della carne, e dal fumo delle cose mondane; e vedendo onde uscisti, rimarrai stupefatto, e piangendo dirai: ecco, ora incomincio.» Mutamento è questo operato dalla mano dell'Altissimo: ché s'egli non veniva in mio soccorso, l'anima mia stava sul punto di cader nell'inferno. Di rado avviene che tanto chiara si manifesti quanto in te apparve l'assistenza di Cristo: e agevole ti sarà il persuadertene se volgendo indietro il pensiero al rapido corso del tempo ed alla fuga della brevissima vita, ti piaccia noverare i travagli, che fin dalla prima giovinezza hai patiti, ed i pericoli a cui per vanissime cagioni ti esponesti uscendone felicemente salvo ed incolume; ma ad un tempo ripensi quanti fossero coloro che per le medesime vie camminando caddero nel precipizio e nell'estrema rovina.

Imperocché solo per questo vediamo correre in folla i soldati sotto le bandiere, e gittarsi volonterosi tra i flutti i marinai; che nessun di loro pone mente a quelli che muoiono nelle battaglie o nei naufragi, ma tutti vagheggiano e si veggono innanzi degli occhi i premi de' vincitori, e i grassi guadagni che si riportano dalle navigazioni. Ma se, com'io diceva, tu conti quelli che sortirono funesta la fine, conoscerai come a buon dritto puoi dirti felice. Ricordati pure quali fossero coloro a cui sovente prestasti i tuoi servigi, e quanto abbi tu fatto per procacciarti l'amore degli uomini malagevole ad acquistarsi facile a perdersi, e spesso nocivo a chi l'ottenne: ed ora di buon grado fa qualche cosa per Colui, l'amor del quale colla sola pietà sicuramente si acquista, ed utilissimo di sua natura, si mantiene in eterno. Pensa quanto ti affaticasti a pro di genti che ingiustissime in far ragione dell'opera altrui ogni più gran merito impiccoliscono, o fingono di non conoscerlo e lo lasciano senza guiderdone, mentre ogni minima colpa ingigantiscono e castigano.

Fa dunque alcuna cosa per Colui che mai senza premio non lascia i buoni, e i cattivi che a lui ritornano paternamente riceve, e spesso ancora a delitti gravissimi perdona la pena. Se molti amasti che non ti amavano, ama Colui che t'amò prima ancora che tu nascessi, che amato riama sempre, ed ama pur chi non l'ama, costringendo ad amare coll'amare egli stesso, cui amare è virtù, e da cui essere amato è suprema felicità. Tu servisti ai superbi mortali, e vile è con essi un tal ministero: or comincia a servire all'immortale che è mansueto ed umile di cuore, e cui chi serve regna. Se il maggior premio sperato da un servo fedele è il divenir libero, che pensare della libertà congiunta col regno? Quanto hai tu fatto (per tacere di meno grandi Signori) in servigio di questo Cesare novello, e dell'impero Romano?

Quante volte perch'ei non fingesse d'ignorarlo, e perché durevole nelle mie lettere ne avesse il ricordo, a lui non scrissi ponendogli in vista le tue fatiche e i meriti tuoi? Ebbene: hai pur veduto qual frutto recassero le opere tue e le mie parole. Ponendo mente pertanto alla inutilità delle durate fatiche, abbandonati adesso ad un utile riposo. Paragonata alle fatiche del mondo ogni fatica che tu sostenga per Cristo, e sia pur grande quanto si voglia, altro non è che dolce e fruttifera quiete, laddove quelle e sterili sono, e dannose. Per aspra strada e scabrosa tu camminavi all'inferno; ora con felicissima mutazione per calle sicuro sei volto al cielo. Di servo che fosti degli uomini sei divenuto amico di Cristo: militavi pel mondo, ed ora militi per Iddio: stipendio da quello avevi la guerra, i travagli, lo strepito, la polvere, le ferite, la morte, e da ultimo l'inferno; da questo invece hai la pace, il riposo, il silenzio dell'eremo, la celeste dimora, la vita eterna.

Di quella mondana milizia era cura principale nutrire il corpo destinato a pasto de' vermi, e quasi vivanda da imbandirsi sulla mensa regale abbellirlo d'oro e di gemme e tutto ravvolgerlo in candidi pannolini, mentre frattanto all'anima, tempio di Dio non si volgeva nemmeno un pensiero. In questa milizia celeste tutto a vantaggio dell'anima ponsi lo studio, né al corpo si pensa per altro che per macerarlo, farlo soggetto e costretto a ferma legge d'obbedienza, tormentarlo con cilizi, o come nemico che assai ti nocque e ti minaccia di nuove offese tenerlo schiavo e legato da ceppi e da catene.

A quella addetto ora di sanguinoso usbergo a terror de' nemici, ora di splendida porpora a lusinga di vane donne coprivi le membra: in questa un'umile e bigia cocolla ti fa terribile all'averno e piacente a Dio. A quella scuola imparavi a domare generosi destrieri forte stringendo le ginocchia e tenendoti immobile sull'arcione; questa t'insegna a stimolare l'animo inerte collo sprone della carità e della speranza perché vincitore giunga alla mèta della salute, e a disprezzare i cavalli e te stesso secondo quel detto di Davide non avvertito dai cavalieri mondani: Ei non fa conto della forza del cavallo, né che l'uomo stia bene in gambe. Quella finalmente i rimorsi della coscienza, i segreti timori, le misere lodi degli uomini, ed una vana gloria comprata a prezzo di sudori ti prometteva, questa ti frutta la purezza del cuore, la sicurezza perpetua, ed il disprezzo di una nominanza caduca, perché Dio lodando e gloriandoti in Dio tu felice ti stimi d'esser campato da tanti mali, fatto partecipe di tanti beni, e per retto sentiero avviato alla immortale beatitudine.

Oh! santo ricetto, oh! scuola felice di Cistercio ove tali cose s'imparano e si conoscono a prova: oh! te avventurato che in quelle beate mura sorgesti a vita novella, e in luogo de' molti, poveri, malvagi e duri padroni, uno buono, mansueto, liberale e ricchissimo ne trovasti, che a tutti generosamente dona e mai non rinfaccia, e pregato di cosa che giusta sia, mai non la nega: o se talvolta tarda a concedere, lo fa perché il dono torni più utile; anzi sovente nemmeno aspetta che altri lo preghi, piacendosi e di rimunerare oltre il merito, e di prevenire i desideri. Questo tuo nuovo Signore esser non può che t'inganni, ti apponga colpa non vera, ti tenga a vile, anzi tanto più t'avrà in pregio quanto più basso tu sentirai di te stesso. Non che offenderti mai, ei veglierà perché nessuno ti offenda, non ti porrà ne' pericoli, non chiederà che li affatichi se non per opere sante, pietose, meritorie, utili, dilettevoli ed onorate. Non d'una città, di una provincia, di un regno mondano che altri gli desse o che tolto egli abbia ad altrui, ma supremo Signore egli è del cielo, della terra, del mare, e di quanto in quelli si contiene, tutto da lui creato e retto, ed il cui regno non avrà fine giammai.

Ed in tal grado di autorità e di possanza non già fatto è superbo e inaccessibile, ma buono tanto e benigno quanto mai non sarebbe il più familiare e domestico degli amici tuoi, purché peraltro a lui tu ti volga con animo puro e tutto a lui ti abbandoni. Conciossiaché aborre egli da ogni ombra di finzione, e non consente di divider con altri i cuori e le anime che tutte vuole per sé. È sua natura l'esser geloso, e fortemente si sdegna se in altri tu ponga il tuo amore, da quelli in fuori che devi amare in esso e per esso. Egli non soffre rivali, e a buon diritto, perché egli è unico, e di se stesso egli dice: Vedete, io son solo, e da me in fuori non havvi Dio; e sta pur scritto di lui: Altri non v'ha che tu solo; ed altrove: Non v'ha fra gli Dei chi a te s'agguagli, o Signore. Or fa' ragione se ve n'abbia fra gli uomini. Siano pur molti che si danno voce di principi e di signori nel mondo: uno, sol uno è il re dei re, il dominante sui dominanti. Se dunque non t'increbbe una volta darti tutto in balìa di un uomo che nulla in te aveva di suo fuorché il tuo volere, fa' che ora tutto ti dia, anzi tutto ti renda a lui ch'è padrone assoluto di te. E corpo, ed anima, ed opere e pensieri tuoi son cose sue: e se tolte ad esso tu per avventura già le desti altrui, chiama lui stesso in soccorso perché spogliatone l'ingiusto possessore ricuperi il suo dominio.

E tu porgendoti a lui fedele, se gli negasti le primizie, consacragli almeno di buona fede intero il resto della tua vita. Liberale di sua natura egli ammette a patti il debitore, e dimentica il passato. Che se in lode di Cesare disse già Cicerone non esser solito a dimenticarsi di nulla fuor che delle ricevute ingiurie, quanto più giustamente questo non dovrà dirsi di Cristo, del quale, se non fosse che le ingiurie nostre dimentica è sempre ascolta la sua misericordia, male avrebbe scritto il Profeta: Quando sarai sdegnato ti sovverrà della tua misericordia ed altrove: Ricordati delle tue misericordie, e della indulgenza che usasti fin dai secoli più remoti e quindi subito: Ricordati di me, ma per usar meco della tua misericordia. Oh! sì: non lasciartene avere alcun dubbio: di te, delle tue colpe, e ad un tempo delle sue misericordie egli si vorrà ricordare. E come no? Chi è che di buon grado le più preziose doti sue non rammenti? chi è che ponendosi innanzi degli occhi i propri tesori non fermi lo sguardo e l'attenzione sulle gemme più rare? Che se del principe dianzi da me nominato quello stesso oratore diceva di tutte le sue virtù nessuna essere stata agli altri più ammiranda e a lui più cara della sua misericordia, che dir dovremo di Cristo, di cui sta scritto: essere della sua misericordia piena la terra: benigno, soave porgersi a tutti il Signore, e la sua misericordia spandersi sopra tutte le opere sue, ed essere tutto merito della sua misericordia, che noi non siamo distrutti? Ma delle offese che tu gli recasti tieni per fermo ch'egli vorrà dimenticarsi, purché tu ti dimentichi delle male abitudini e delle perverse tue inclinazioni. Cancellerà ogni memoria delle tue colpe, da te le manderà più lontane che non è dall'orto l'occaso, e purgandoti d'ogni peccato ne distruggerà ogni ricordo sì che a volerlo cercare non se ne trovi più traccia. Non è capace d'ingannare egli che dette la sua promessa dicendo: scorderà le nostre iniquità, e sommergerà nel profondo del mare i nostri peccati: né sarà pago finché non abbia adempiuto il massimo della sua promessa, facendo che ove ridondava il peccato ivi ridondi la grazia siccome ed in molti già vedemmo, ed in altri ci confidiamo di vedere avverato. In una parola avrai da lui più assai che non potessi sperare o bramare, solo che tu sinceramente lo voglia: perocché non v'è patto ch'egli rifiuti da chi veramente tutto in lui s'abbandona.

Egli ti accoglierà lietamente, come se di nulla tu fossi a lui debitore, e tanto più lietamente per avventura quanto più festoso egli accoglie il figlio che torna dopo aver dissipato il patrimonio, e più esultante dimostrasi nel ritrovare l'agnella smarrita nel deserto, o la dramma perduta in casa, e più s'allegra per la venuta di un solo peccatore ridotto a penitenza che non per quella di novantanove giusti. Le quali cose furono scritte non perché i giusti ne prendano animo a divenir peccatori, ma perché questi non inducansi a disperare. A lui ti volgi confidente, né ti trattengano timore e vergogna: l'uno e l'altra sono salutari, e accetti a Dio, purché per essi non si distrugga la fiducia e la speranza. Temi di te stesso, e spera nel Signor tuo: benigno e placato lo troverai se te servo, e lui vorrai riconoscere assoluto padrone. Uomini al par di te mortali, e che morranno forse peggio di te, ti furono coll'orgoglio e cogli sdegni loro cagione in un giorno solo di tanti travagli e tante pene, quante mai non potranno in tutto il tempo della tua vita da te provarsi servendo al Signore del mondo.

Mai non sarà che un avaro usciere, od un superbo littore a lui ti neghi l'accesso, e di giorno e di notte potrai liberamente parlare con lui. Egli è sempre pronto ad udirti, né cosa giusta che tu gli domandi, ti sarà mai negata; sebbene poche siano le cose che domandar tu gli debba, ed egli stesso abbia insegnato che necessaria è sol una. Sa ben egli il padre celeste quali siano i nostri bisogni e di che ci sia d'uopo. Basti a noi dunque chieder quell'una, cioè a dire il regno di Dio, e tutto il resto ci verrà dato per giunta. Che se talvolta ei ti paresse lento o restìo, attendi con pazienza, non diffidare di lui, non ti annoiare, non ti lamentare, fa' che mai non ti prenda intolleranza o dispetto. Fatto sarà quel che brami, o se non questo, ciò che più ti giovi. Se, come avviene tutto giorno nelle corti terrene, utile ti sembrasse mettere in mezzo intercessori, facile e piana troverai questa via ad ottenere ogni favore dal tuo Signore efficacissima.

Non fa d'uopo di danari, di lusinghe, di artifici: bastano la devozione e la fede. È sua Madre una Vergine, di cui non vide il sole altra più benigna, non produsse natura donna che fosse più pietosa e più soccorrevole: umile tanto che nata parve pel cielo, e degna che in lei si fissasse il pensiero dell'Onnipotente, quando, scendendo a vestire l'umana natura, lei sola fra tutte le figlie dell'uomo stimò meritevole d'essergli madre: nella quale tanto tesoro si accolse di tutte virtù, che, tranne il suo divino figliuolo, mai non fu né può essere anima alcuna più santa e più nobile della sua. Questa le preci dei fedeli benché peccatori porge al figliuolo e con pietose istanze ottiene la grazia: perché quantunque aborra il peccato, i peccatori non odia, anzi di loro si muove a compassione, e brama che si convertano, e si adopera a farli salvi, considerando che dal peccato e dalle funeste sue conseguenze fu mossa la divina misericordia al gran passo, per il quale essa ascese al sublime onore d'esser Madre di Dio, e Vergine insieme di cui non è dato pur immaginare altra più intatta ad un tempo e più feconda.

Che se, come pure avviene presso i grandi della terra, a te paresse opportuno valerti presso l'intercessore di un altro intercessore non devi punto affannarti a ricercarlo. Pronto all'uopo hai Bernardo di cotest'ordine principe e padre, che da te amato certamente ti riama, e te vedendo spontaneamente dal mondo nella sua famiglia rifugiato farti desidera appieno contento e felice. Fa di valerti di lui, che pronto a soccorrerti gode sopra ogni altro il favore, e la grazia della Regina del cielo. Sai bene che piaccionsi i capitani di porgersi in aiuto ai loro fidi seguaci. Or che cerchi d'avvantaggio? Hai libero l'accesso, pronti gl'intercessori, pacifico, silenzioso il ricetto, solitario, devoto l'ospizio. Nulla ti manca se tu non manchi a te stesso. Né di questo sarà ch'io tema. Se pigro non fosti nel secolo ed in cospetto degli uomini, ove soventi volte torna ad utile la pigrizia, e a danno l'essere operoso, non vorrai tu per certo restare inerte nell'eremo e sotto gli occhi di Dio, ove utile sempre è l'operare, e l'esser pigro sempre è funesto. Conciossiaché, come bene or conosci, ivi non trattasi che di cose vane e caduche, e qui della eterna salute. Comune errore del mondo, e universale accecamento egli è quello di correr dietro a piccoli e fuggevoli beni disprezzando i tesori più grandi e più durevoli.

Ma tu non puoi più far gabbo a te stesso: tutto provasti: tutto hai conosciuto: saprai attenerti al meglio. Giovane ancora molte cose ti abbattesti a vedere cogli occhi tuoi, cui mai non giunsero a vedere tanti arrivati ad estrema vecchiezza: non hai difetto di esperienza: sta in te solo che non ti manchi il buon volere. Perché dunque più a lungo distrarre non ti voglio dalle pie tue preghiere, questo dirò che sopra tutto tu faccia. Al celeste invisibile medico mostra ogni giorno l'invisibile infermità e la occulta piaga dell'anima tua: occulta, dico, ed invisibile agli uomini, a lui non già che scrutatore de' cuori tutto penetra, tutto vede; ma ciò non ostante pur vuole che a lui l'infermo il riveli, ed ha in odio chi si studia di tenerglielo nascosto. Né ti spaventi la grandezza della tua miseria: per grande ch'ella sia, la sua misericordia è più grande: perocché quella ha un confine, e questa di sua natura è infinita. Pensa che se molto, se preziosissimo è quel che chiedi, tale veramente è per te: ma a lui non costa che poco il concederlo: perocché tu sei peccatore, ed egli è l'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, e venne in questo per chiamare non i giusti ma i peccatori. E che? Chi tutto il mondo sgravò dal carico immenso dei peccati stenterà per sottrarre alla soma un uomo solo? Se sei malato ed infermo, egli è che dice: Non ha bisogno del medico chi è in buona salute, ma chi sta male.» Se coperta di lebbra hai la coscienza, ei non ha egli a schifo i lebbrosi; e perché alcuno non dubitasse che chiamato da quelli ei ne rigettasse l'invito, alla mensa loro si assise, e li risanò: ed al lebbroso che gli disse: Se vuoi, Signore, tu puoi mondarmi, ed io lo voglio, rispose, e toccatolo appena, in men che il disse l'ebbe mondato. Se per mala abitudine in te il nemico infernale si procacciò qualche dritto d'indurti a peccare, egli, lo sai, liberò gli ossessi discacciando i demoni. Se dai tempestosi flutti della vita trascorsa la tua navicella è tuttora agitata, rammenta com'egli sedò le tempeste e Pietro sorresse sull'onde perché non lo sommergessero, e Paolo tre volte sottrasse al naufragio. Se curva e volta a terra è la tua volontà, sì che non ti riesca di spingerla al cielo, se zoppo hai l'andare, se paralitici, immobili in te sono gli affetti, se inaridite le mani ed incapaci ad opere buone, ricordati che i gibbosi, gli zoppi, i paralitici ei ritornò diritti, e di salutari umori ritemprò quelli che avevano inaridite le membra.

Se oppresso da inveterata infermità condurre non ti puoi da te stesso a cercare chi ti risani, né hai persona che voglia portarti in sulle spalle, pensa che all'invalido immobile già da trentotto anni egli comandò che sorgesse, e quegli sorse portando seco il suo letticciuolo. Se non estinto il fuoco delle antiche passioni l'anima di febbrile calore ancora ti accende, rammenta che alla suocera di Pietro cacciò di dosso la febbre col solo toccarla. Se provi nel cuore l'insaziabile avidità degli idropici, pensa che da lui fu sanata l'idropisia: se ciechi hai gli occhi della mente, a lui ricorri che rese la vista ai ciechi: se sorde agli ammonimenti celesti hai le orecchie, o mute le labbra alle lodi di Dio e alla confessione de' tuoi peccati, sai com'ei rese l'udito ai sordi, ed ai muti la loquela. Se infine morto tu sei per lo peccato, e dalla mala abitudine guasto e corrotto, egli i morti fece risorgere, e i cadaveri da quattro giorni già purulenti tornò alla vita. Cosa dunque non v'ha, cui domandare tu possa, e ch'ei non possa o non voglia concederti. Chiedi con riverenza, ma senza timore tutto quello che ti è necessario, e ti sovvenga che necessaria veramente è sola una cosa, e sono molte le inutili e le dannose.

Né ti prenda timore di riuscire importuno, poich'egli stesso lo volle. Chiedete, ei disse, ed avrete: cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto. Parlando degl'Iddii delle genti diceva il Satirico: L'uomo han più caro ch'ei non ha se stesso. E detto avrebbe il vero se parlato ei non avesse di quegl'Iddii, i quali essendo demoni, anzi che caro hanno in odio il mortale, gl'invidiano ogni felicità, ogni gaudio, e fanno piacer loro de' suoi dolori e delle sue miserie. Ma se invece di quelle false divinità detto s'intenda del nostro unico Iddio, verissimo è che a lui l'uomo è più caro che a se stesso non sia. Conciossiaché, se, come sta scritto, tutte ama egli le cose che son sua fattura, non è da por dubbio che sopra tutte ami l'uomo, cui fin da principio creò ad immagine e a somiglianza di sé, e cui dappoi si degnò farsi uguale egli stesso. Ora s'egli ancora fu uomo, né può alcuno non amare la propria natura, certo è ch'egli ama la nostra: ma l'ama più che noi non l'amiamo perché infinitamente di noi più perfetto; egli è amore per essenza, e ci amò fino ab eterno prima ancora che fossimo, né ci avrebbe creati se già non ci avesse amato. Ben dunque è dritto che si ami, anzi che si riami da noi chi primo cominciò ad amarci, e nell'amore ci vinse di tempo e di forza; del quale Giovanni Apostolo disse: Amiamo il Signore che ad amarci fu primo e Paolo: Cristo ci amò sacrificando se stesso per noi. Ma senza tener dietro ad altre testimonianze, quella ci basti dello stesso amantissimo Dio, che del suo Padre parlando, tanto, dice, amò il mondo, che a pro di quello dette il suo figlio unigenito, né v'ha chi non veda sotto il nome di mondo non d'altri parlarsi che dell'uomo.

Ben diverso peraltro è talvolta l'amore che l'uomo porta a se stesso da quello con cui amato è da Dio. Imperocché sebbene al dir dell'Apostolo nessuno è che odi la propria carne, sovente si vide a prova che molti amarono se stessi d'un amore letale, da cui gli effetti stessi si derivarono che nati sarebbero da un odio aperto.

Si fattamente pertanto a Dio diletto e a lui più caro che non a te stesso chiedi da lui senza punto esitare quello che vuoi, e confidati di ottenerlo, perocché lo chiedi a chi t'ama, e a chi non solamente può dare e suole dare, ma brama ei stesso di dare, e mai non nega cosa che degna sia d'esser data. Questo medesimo fu già chi disse di un monarca terreno: ma con quanto più di ragione dir non si deve del monarca celeste, il quale, quando i maggiori beni che si possono desiderare e a compimento di suprema felicità tutto se stesso ha dato all'uomo, punto non vede diminuirsi per questo i suoi tesori, e direi anzi che li accresce, s'egli non fosse che l'infinito non è capace di crescere e di aumentarsi?

Vero è peraltro che agl'immensi doni di Dio ogni giorno si aggiunge qualche dono novello, e se più grande non può, diviene la sua misericordia sempre più manifesta. Perché se quel che chiedi sia molto al di sopra di quello che meriti, e se indegno tu ti reputi, come indegni siamo tutti, del suo favore, non ei per questo si ristà dal concederlo; e vuol che il dono non al merito di chi lo riceve, ma alla grandezza risponda di chi lo fa. Questo in Alessandro re de' Macedoni parve a Seneca degno di biasimo: ma nell'eterno nostro Signore degno è di lode e di riconoscenza universale.

Conciossiaché se nel donare ei mirasse al merito nostro, o nulla ci darebbe, o largo ci sarebbe soltanto di castighi e di pene. Ma egli a sé riguarda, prende norma da sé, e a misura non delle opere nostre ma della sua misericordia a noi si porge liberale e pietoso. Imperocché fu la grazia che ci salvò mediante la fede, e questa non vien da noi, ma è dono di Dio, come dice l'Apostolo, né dipende dalle opere nostre, ond'è che nessuno può darsene vanto. Fece ciascuno di noi ciò che proprio è d'un peccatore: egli compie le parti di redentore. Lungi dunque da te ogni diffidenza, e qualunque tu sia, pieno di salutare speranza non temere perché sei indegno di quello che chiedi. Perocché non vorrai certamente domandar cosa che sia altrui di danno, o vane agiatezze, caduche dovizie, futili onori, meschina potenza, ma la misericordia di Dio, e la salvezza dell'anima tua, ottenuta la quale sarai più ricco che qualunque Re della terra in mezzo alle pompe onde stoltamente insuperbiscono quei poveri ciechi dimentichi di essere un pugno di cenere. Ma è tempo di finirla e di stringere in poco tutto il già detto. Molti furono un giorno i principi e i Re signori tuoi, dai quali tu potevi temere la tua rovina: ad un solo ora obbedisci che può farti beato: è questo potente, terribile, tremendo ai principi ed ai Re, che con un cenno egli prostra ed abbatte. Questo dunque tu venera, ama sol questo perché in te al nome risponda il fatto.

Imperocché quantunque altra volta le sentenze acconciando alla materia di cui trattava, diversamente io lo interpretassi, sacro non può dirsi l'amore onde amasi il mondo, leggendosi scritto: Non vogliate mettere amore nel mondo e nelle sue cose, perocché tutto quello che nel mondo si trova è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi, e superbia della vita. Ed altrove: Voi non sapete, o adulteri, che l'amicizia del mondo è inimicizia di Dio. Perché dunque meritamente si dica che il nome tu porti di sacro amore, ama il cielo, al Signore del cielo volgi il desio, e cerca lui del quale sta scritto: Cerca sempre di vedere il suo volto, e quando lo avrai trovato, a lui ti avvinghia con tutte le forze, e stringilo all'anima tua con indissolubile amplesso. Fa come dice Agostino: Slanciati fra le sue braccia; non temere ch'ei si ritragga sì che tu cada: abbandonati a lui con sicurezza, e sii pur certo ch'egli ti accoglie e ti risana.

Anzi io non dubito che di questo ch'io dico tu abbia in te già fatto la prova, e già cominci a gustare il conforto della salute: e poiché le opere di Dio sono tutte perfette, non dubitare che quella della tua guarigione al tutto non si compia. Mai non sarà ch'egli si stanchi, o che rallenti l'opera sua a seconda de' tempi: ma sarà teco fino all'ultimo giorno, e non ti lascerà né in vita né in morte, anzi nell'ora estrema ti sarà più d'appresso, perché il tuo spirito, creatura sua, per mano degli Angeli venga condotto nel regno dell'eterna pace, ed i pietosi sacerdoti alla terra consegnino cotesto corpo che nel novissimo giorno riprenderai per ottenere con esso la pienezza della immortale beatitudine.

E così tu che per povera mercede tollerasti tanti travagli, ora con lieve e dolce fatica, anzi in tranquillo riposo servendo l'ottimo de' Signori, eterno ed infinito premio conseguirai: e teco facendo le ragioni del tempo passato e dell'avvenire, sgombra avrai la mente da ogni nube di mestizia, di fastidio e d'inerzia. Tutte queste cose, o dolce amico, io ti scrissi non perché tu ne abbisogni, ma perché a te dicendole le ascolto ancor io. Coll'insegnare s'impara, e spesso un consiglio dato altrui tornò in vantaggio di chi lo dette. Pietosa è l'opera tua dell'eccitarmi colle parole e più coll'esempio.

Che poi tu chiedessi da me una lettera, sperando quasi da questa aiuto di argomenti e di considerazioni acconce a farti perseverante nella santa via che imprendesti, è solo effetto della ben conosciuta umiltà e cortesia dell'animo tuo. Togli la stima di cui tu mi onori, e la fedele amicizia che io ti professo, e null'altro in me trovi per cui coll'opera e colle parole possa io rispondere alla tua speranza. Avrei potuto mandarti una lunga lettera, che su questo argomento scrissi, già è tempo, al mio fratello germano, quando battendo la stessa via entrò nella Certosa come tu ora entrasti fra i Cisterciensi, o l'operetta più lunga, che indi a poco scrissi a lui stesso ed ai suoi compagni. Ma poiché mi parve a te non essere necessario che io lo facessi, ed a me il farlo era malagevole, mi regolai come sogliono anche quelli che si vantano amici, i quali o non fanno nulla, o fanno il meno che possono. E oltre la lettera, delle due cose che tu chiedevi ti ho mandato soli i sette Salmi, che nei tempi della mia miseria composi studiandomi a farli non già punto eleganti, ma affettuosi e devoti. Leggili or tu quali che si siano, e saprai compatirne i difetti se pensi che tu li hai voluti, e che io, già sono molti anni, li scrissi tutti ad un fiato, impiegandovi un giorno solo, e non intero. Quanto al libro della Vita Solitaria che tu brameresti di avere a conforto della tua solitudine, non posso mandartelo, perché di questo io non ebbi che due soli esemplari. L'uno è quello che tu stesso nell'ultima tua partenza portasti al vecchio ed ottimo padre mio, a cui era intitolato: e quanto ei lo gradisse tu gli leggesti in viso, io lo appresi dalle sue lettere. L'altro è rimasto presso di me, e sebbene io non ne faccia quel conto che amorosamente egli ne fece, pur non vorrei restarne senza.

Ma se mi verrà fatto trovare un copista, cosa veramente difficile assai, sta' pur certo che io vedrò modo che tu l'abbia, come di tutto cuore sempre farò quanto è in poter mio per soddisfare ad ogni tuo desiderio, e per giovarti, s'io valga, nello studio della religione, nella tranquillità dello spirito e nel l'amore di Cristo. Al quale io ti prego che quando con santi sospiri e con pietose lacrime, sicuro mezzo a placarne lo sdegno e a conseguirne la grazia, tu fatto te l'abbia propizio e familiare, supplicarlo ti piaccia perché mi accordi qual ch'ei più voglia, ma santa e confortata dalla sua grazia la morte: conciossiaché questa sia, com'ei sa bene, l'ultima e l'unica mia speranza.

E tu sta' sano, e vivi ricordevole sempre dell'antica nostra amicizia.

Di Venezia, al 18 di marzo.